22. Sulla mobilitazione generale di maiali ordinata dalle autorità di Rancas.

Continuarono a lottare. Don Alfonso Rivera pensò con invidia e tristezza, con piú tristezza che invidia, alle doti di Fortunato. Quell’uomo era un trascinatore di folle. Lui, invece, aveva la parola stenta. Lui era un asino. Ma Fortunato arrugginiva in carcere per aver mancato di rispetto alle autorità.

Vestito di nero, con una camicia pulita ma non stirata, senza cravatta, il Personero attraversò la piazza di Rancas. Il vento che veniva dal lago faceva pendere la tempesta come una lacrima. Padre Chasán officiava. Rivera si bagnò le dita nell’acqua benedetta e si segnò. Padre Chasán, un uomo alto, bianco, con le sopracciglia folte, prometteva dal pulpito il fulmine della collera divina agli ingiusti. Rivera sospirò. Il Signor Gesucristo avrebbe fulminato “La Compagnia”? Padre Chasán si asciugò la fronte con una manciata d’erba “Gli sfruttatori e i violenti rotoleranno nella cenere. I buoni e i mansueti, i poveretti senza terra, gli oppressi, i miseri, quelli sí che sederanno alla destra di Dio Padre,” tuonò il pulpito tarlato. La chiesa esalava sudiciume e povertà. Le autorità si erano riunite in chiesa da poco. Chiesero rispettosamente a padre Chasán di ascoltare il giuramento del Direttorio. “Giuramento? Per che cosa?” “Per combattere contro la Compagnia Cerro de Pasco, padre.” Le sopracciglia cespugliose di padre Chasán si sollevarono come due corvi in volo. “Siete disposti a combattere davvero contro ‘La Cerro’?” “Si, padre.” I corvi si rifugiarono sotto la grondaia dei capelli. “Questo non è un gioco. Lottare contro ‘La Cerro’ non è uno scherzo. Io posso accettare il giuramento solo se siete disposti a lottare fino alla fine.” Il Personero e le autorità s’inginocchiarono, offuscati dalle lacrime. Ora il pulpito prometteva la Collera. “Coloro che si proclamano padroni della terra, i principi che hanno l’ardire di recintare la terra, periranno tutti. E chi oserà comparire quando il Signore ordinerà alle ossa di risorgere? I farisei? I pubblicani? Coloro che osano recintare il mondo? Coloro che rinchiudono i fiumi? Coloro che sbarrano le strade?”

Padre Chasán benedisse i fedeli con una mano piú vellosa di rabbia che di compassione. La gente tuffò le dita dalle unghie nere nell’acqua benedetta. Di domenica, la piazza di Rancas, deserta negli altri giorni della settimana, s’impidocchiava di sottane e di ponchos, ma erano ormai molte domeniche che non si faceva la Fiera. Quel giorno, tuttavia, la piazza soffocava di folla. Da una settimana i messi percorrevano le campagne annunciando un cabildo, la riunione generale dell’intera comunità. Il Personero Alfonso Rivera chiamava a raccolta, sotto pena di multa, tutti i rancheni.

Le autorità uscirono di chiesa con le mani fervorosamente giunte. Il Personero ne attraversò lo sbrecciato portale. C’era aria di neve. L’occhio astioso del lago Junín avrebbe scatenato ben presto la tormenta. Il messo fece suonare la campana. Era un avviso inutile: Rancas al completo attendeva sotto le prime raffiche. Il Personero si dolse di nuovo della propria pochezza: avrebbe voluto esprimere tutti i patimenti del suo cuore, raccontare alla gente che gli era apparso in sogno un angelo azzurro, che lui, Rivera, era disposto a dare la propria vita per loro; ma non trovò le parole, sospirò e si asciugò la fronte sudata.

“Leggete i titoli!” ordinò.

La gente si fece cupa. I titoli di proprietà di una comunità sono conservati dal Personero. Soltanto un’altra persona (per l’eventualità che il Personero venga a mancare) conosce il luogo dove sono nascosti quei documenti che si leggono solo nelle ore gravi.

Uno studente della Scuola Nazionale Daniel A. Carrión, figlio di Rancas, cominciò a leggere. In piedi su una tavola, il ragazzo magrolino, dagli zigomi sporgenti e dalla voce timida, leggeva con voce monotona. La lettura ebbe inizio alle dodici e dodici minuti. Durò due ore. La gente sopportò immobile, quasi immobile, l’enumerazione di case, sorgenti; pascoli e lagune che faceva fede che quelle terre, che quella nevicata che imbiancava i loro cuori, appartenevano a Rancas. Alle due del pomeriggio il lettore terminò, tossendo. Il Personero si fece largo. Il vento gli schiacciò contro la testa lo scolorito cappello nero.

“Un grande male è caduto su questo paese, fratelli,” si contorse le dita. “Dai nostri peccati è nata una grande pena. La terra è malata. Un grande nemico, una Compagnia poderosissima, ha deciso la nostra morte.”

Si appoggiò alla tavola. Gli si notavano le spalle curve, come schiacciate dal peso delle nevi remote.

“Rancas è piccola, ma Rancas lotterà. Una picca può sventrare un animale. Un sasso in una scarpa ferisce il piede di un uomo.”

“Non ci sono nemici piccoli!” gridarono due occhi nei quali combattevano, come cani, la paura e il coraggio.

Sul viso di Rivera svolazzava la delusione.

“Le autorità sono dei ruffiani della ‘Cerro de Pasco Corporation.’ Se ne fregano dei nostri patimenti. Va bene: combatteremo soli. Fratelli, domenica prossima dovete portare un maiale. Ogni uomo, ogni capo famiglia, è obbligato a portare un maialetto. Io non so come farete a trovarlo. Rubatelo, fatevelo prestare, compratelo. Arrangiatevi. So solo che domenica prossima noi ci riuniremo in questa stessa piazza coi maiali. Questo è l’ordine della comunità: portare un maiale in questa piazza domenica prossima.”

La gente sbigottí. Il Personero era diventato matto? Crepitò qualche risatina. Perché dovevano portare un maiale? Ma il Personero è il Personero. Bisognava ubbidire.

È difficile trovare maiali sull’altipiano. I pastori evitano i porci. Il maiale, colonia devastatrice di parassiti, non è benvoluto. Il pascolo in cui caccia il muso un maiale è pascolo contaminato. Trecento maiali? I comuneros piú avveduti comprarono i maiali di Rancas nel pomeriggio di quella stessa domenica. Il giorno dopo cominciavano già a scarseggiare; allora andarono a cercarli nei paesi vicini. La gente gli rideva in faccia.

“Signora, mi venda il suo maiale.”

“Non posso, sto ingrassandolo.”

“Allora me lo affitti, signora.”

“Sei matto?”

“Per una settimana sola, mammetta.”

“Per che cosa ti serve?”

“Perché cosí mi han detto di fare i miei morti.”

“Quando mai si sono visti maiali in chiesa, cholo idiota?”

“Ti darò dieci soles.”

“Cosa mi darai in pegno?”

“Ti darò il mio poncho.”

Dove il denaro non solleticava, offrivano servigi. I Gallos fabbricarono una staccionata; la signora Tufina barattò una trapunta per un maiale; gli Atencio fecero il tetto a una stalla. Tutti riuscirono ad arrangiarsi. La domenica successiva padre Chasán uscí dalla chiesa con le sopracciglia severamente inarcate: i grugniti vietavano il suo sermone. Seduti sugli ultimi ciuffi d’erba di una piazza ventosa, i rancheni aspettavano impazienti. Il Personero Rivera ascoltò la messa fino alla fine, bagnò le dita nell’acqua benedetta, si fece il segno della croce e s’inginocchiò; solo dopo aver tracciato sulla fronte tre croci corrugate, uscí lentamente.

I messi gli fecero scorta.

“Chiudete la piazza!”

I messi chiusero la piazza con assi di legno e piote. In pochi minuti la piazza si trasformò in un chiuso. Quando i falegnami terminarono di inchiodare le cantonate, Rivera parlò.

“Marcate i vostri maiali!” gridò. “Fratelli, lasciate qui i porci. I messi li sorveglieranno. Tornate domenica prossima.”

Un mormorio accolse le sue parole. Ma erano ormai abituati all’avarizia di lingua del Personero e la faccia delle autorità non concedeva scherzi. Il Personero è il Personero. Marcarono le loro bestie e le lasciarono andare. La gente di rispetto si allontanò; i ficcanaso e i perdigiorno rimasero attorno al chiuso. Verso il crepuscolo i maiali avevano già fatto sparire gli ultimi ciuffi d’erba. “Cosa mangeranno gli animali domani?” domandarono i proprietari, allarmati. “Niente,” risposero i messi. “C’è ordine di non dargli niente.”

“Niente?”

“Solo acqua gli daremo.”

“Non sarà vero.”

Ma era vero. Il Personero aveva ordinato digiuno assoluto. Il giorno dopo i maiali ripresero a grufolare. Martedí scalzarono le radici: il suolo della piazza si crivellò di buchi bordati di bava. Mercoledí la gente aspettò la luce del giorno con occhiaie lunghe un metro: non si riusciva a dormire. Giovedí il Direttore della Scuola corse alla Personeria a protestare. Se non facevano tacere i maiali sarebbe stato impossibile continuare a far lezione. Venerdí protestarono i bottegai, al gran completo. Sabato le vecchie cominciarono una novena. Chasán si rifiutò decisamente di celebrare. “Padre, non ci tolga anche l’aiuto divino,” supplicò il Personero. Padre Chasán mosse le labbra colleriche senza alcun risultato; i grugniti cancellavano il mondo.

Peccatori segnati per lavare delitti mostruosi, i maiali digiunarono otto giorni.

Nulla alterò don Alfonso Rivera, Quella domenica tornò a stringersi addosso il suo vestito nero e attraversò il paese saettando attorno uno sguardo di fuoco. La gente gremiva la scuola. Il Personero fece chiudere le porte. Nemmeno dopo quella precauzione riuscirono a sentirlo. Comprendendo l’inutilità del commercio della parola, prese un pezzo di gesso e scrisse sulla lavagna: “Ognuno dovrà prendersi il suo maiale.” Le proteste dei maiali incrinavano le fragili pareti della domenica. Cancellò e scrisse: “Poi li lasceremo andare nei pascoli della Compagnia.” Cancellò e scrisse: “Li lasceremo andare nei pascoli migliori della Compagnia.” Cancellò e scrisse: “Voglio vedere la faccia dei gringos quando sapranno che le loro pecore mangeranno erba infetta.”

Sorrideva fino alle orecchie. L’assemblea scucí una formidabile risata. Erano mesi che a Rancas non si rideva. Disgraziatamente, i grugniti impedivano di udire lo scoppiettio delle risate. Ma, dai gesti, dalle lacrime, dal modo in cui si tenevano la pancia, si capiva benissimo che tutti stavano sghignazzando a crepapelle. Infettare i pascoli della “Compagnia” coi maiali affamati! Era formidabile! Il Personero scrisse, con la sua enorme calligrafia infantile, le istruzioni: ogni uomo avrebbe preso un maiale e lo avrebbe portato, con zampe e muso legati, fino ai limiti delle terre della “Cerro.” In quei prati pascolavano pecore finissime. Un esercito di veterinari curava montoni mitologici. Uno solo di quei costosissimi australiani valeva piú di un gregge delle loro pecore striminzite. Ma dopo aver brucato l’erba infettata dai maiali di Rancas, che valore avrebbero avuto?

Il sole si stava rannuvolando. Corsero verso la piazza dove i maiali stavano impazzendo. In due, in tre, li acciuffarono tutti. La strana processione uscí da Rancas pregando: donne, bambini e cani scheletriti marciarono fino ai limiti della “Cerro” con trecentocinque maiali. Scorsero i confini della “Cerro” alle tre. Un gruppo di guardiani dai brutti ceffi uscí fuori agitando i fucili. Le schioppettate aspettavano che i comuneros attraversassero i confini. Non li violarono. Don Alfonso si fermò accanto al cippo di proprietà. Trecentoquattro uomini lo imitarono.

“Cosa succede?” gridò Olazo, il capoccia di turno, un briccone ossuto. “Dove state portando quei maiali?”

“Li stiamo portando a passeggio,” rispose Rivera.

“Badate! Non oltrepassate il limite perché vi bruciamo!”

Il Personero si curvò e liberò il suo maiale. Il porcellino strabuzzò gli occhi alla vista del pascolo.

“Uomo o bestia che attraversa, lo falciamo!” avvisò Olazo.

Partirono i maiali e le schioppettate. Un tuonare di denti flagellò il pascolo. I capoccia spararono troppo tardi: un millennio di fame grufolava sull’erba. Il mondo era un ruggito. Una tempesta di grugniti grandinava sul pascolo delizioso. Otto, dieci, quindici maiali stramazzarono proprio mentre stavano attaccando l’erba in cui ormai non avrebbero mai piú pascolato le splendide greggi de “La Compagnia.”

Il giorno dopo, la “Cerro de Pasco” abbandonò millequattrocento ettari.