31. Delle profezie annunciate dagli infallibili chicchi di granoturco.

“Héctor!” gridò Ignacia, lasciandosi scappare di mano il coltello col quale stava pelando le patate. “Perché sei venuto? Uomo pazzo! Non sai che moltissime pattuglie armate ti stanno cercando? La Guardia Civile sa che te ne vai attorno con gli sconosciuti.”

La donna si strinse la testa tra le mani.

“Ay! Gesucristo, che peccato avrò mai commesso per soffrire tanto?”

“Taci, donna, taci, e dammi qualcosa da mangiare.”

Ignacia si alzò, ma tornò immediatamente a sedersi, incenerita dallo spavento: il rumore di un paio di scarponi rimbombava sulle pietre che portavano al suo uscio. Il revolver di Chacón lampeggiò nella penombra. Si portò l’indice alle labbra e andò a nascondersi dietro un mucchio di sacchi di biada che ingombravano una buona metà della stanza senza finestre.

La testa di un uomo sparuto, dagli zigomi sporgenti e dai capelli sciolti, s’infilò nella porta socchiusa.

“Teodoro, cosa vuoi?” domandò Ignacia, tranquillizzata alla vista del fratello del Nittalope.

Un paio di calzoni inzaccherati di fango e un maglione grumoso si abbatterono sulla panca.

“Cosa succede, Teodoro?”

L’uomo si afferrò la testa e sollevò la pozzanghera di dolore dei suoi occhietti.

“Per colpa di tuo marito non ho piú cavalli! Io mi faccio sempre i fatti miei. La mia unica disgrazia è quella di essere fratello di Héctor. Cosa devo fare? Otto cavalli e una giumenta, mi hanno sequestrato. Come farò a riprenderli? Come farò a pagare la multa? Come farò a lavorare?”

Ma ammutolí scorgendo la faccia partorita dal buio.

“Senti, Teodoro,” s’infuriò il Nittalope, “non essere vigliacco, non prendertela con le donne. Affronta piuttosto gli uomini. Se tu parlassi cosí col Giudice, ti riprenderesti i tuoi cavalli. Tu non c’entri nulla. Perché protesti? O i tuoi cavalli sono rubati?”

“Non sono rubati. Li conoscono tutti.”

“E allora perché non fai reclamo?”

“E se mi mettono in prigione?”

“Perché dovrebbero metterti in prigione?”

Teodoro abbassò la testa.

“Io so che tu lavori per il bene della comunità, ma la vendetta la sopporto io, Héctor. La mano del dottore è pesante. Dove andremo a finire?”

“Dove vorranno i nostri piedi. È lí che andremo a finire.”

“Ho paura di andare a reclamare, non ho il coraggio di andare dalle Guardie.”

Si interruppe e uscí bruscamente. Lo si udiva singhiozzare fuori della porta.

“Tutti hanno paura,” sospirò Ignacia.

“Perché?”

“Credono che la polizia ammazzerà e incendierà per colpa tua. Hanno paura di questo.”

“Parlano a vanvera.”

“Tu sei cambiato. Prima non eri cosí. Tu adesso sei un altro uomo. Io stessa, tua moglie, quasi non ti riconosco.”

Il risentimento illuminava come un petrolio cattivo la stanza buia.

“Andiamo a prendere i cavalli di Teodoro, Ignacia.”

“Quegli animali li ha la Guardia Civile.”

“Non spaventarti, Ignacia. Stammi a sentire. Ho poco tempo. Tu andrai alla casa di Montenegro. Busserai alla sua porta e dirai: ‘Mio marito è venuto a Yanacocha con quattro sconosciuti armati.’”

“Ay, Signor Gesucristo!”

“Mio marito è venuto con uomini decisi a tutto e io ho avuto paura. E gli dirai anche: ‘Chacón pensa di assalire la fazenda per vendicarsi del sequestro fatto a suo fratello Teodoro. Lasci andare i cavalli, altrimenti succederà qualcosa di brutto.’ Dirai proprio cosí, al Giudice.”

“E se mi chiede qualcosa d’altro?”

“Rispondi mettendoti a piangere. Scendi a Yanahuanca domattina presto,” disse Chacón, scomparendo.

Ignacia passò la notte a rigirarsi sulla sua pelle di montone, ma alle sette di mattina scese, con gli occhi arrossati, a Yanahuanca. Attraversò la piazza con la testa bassa. L’ombra di una guardia civile sbarrava la strada. Ignacia si tolse il cappello, tremando. La guardia, con occhi d’acquavite, non notò il tremore del cappello. Ignacia avanzò, ma quando scorse a mezzo isolato di distanza il casone a tre piani, i cui muri rosa, le porte blu e il tetto verde vincevano qualsiasi orizzonte, vacillò e indietreggiò. Camminò per tutto il paese come ubriaca, fino a mezzogiorno. Alle dodici si presentò alla porta sorvegliata.

“Passa, figlia mia, passa,” disse il dottor Montenegro aggiustandosi il cappello. “È vero quello che mi ha detto il Chuto?”

“È la pura verità, dottore. Mio marito viene verso la provincia in compagnia di sconosciuti. Per ammazzarti; ecco perché viene.”

Il dottor Montenegro aveva finito di far colazione con una tazzona di cioccolata. Si osservarono allora gli effetti perniciosi che la cioccolata provoca negli epatici: il dottore si fece verde.

“Mi avevano già detto che tuo marito stava venendo con gente armata,” disse l’epatico. “Non avevo bisogno del tuo avviso, ma non importa. Questa informazione mi serve per sapere che tu sei una donna leale. Hai fatto bene ad avvisarmi. Se ci si comportasse sempre cosí, si eviterebbero tante disgrazie.”

“Voglio che i miei figli conservino il loro padre, dottore.”

“E cosa pensa di fare tuo marito?”

“Ammazzare e rubare nella tua fazenda, se non restituiscono le bestie a Teodoro. È forse meglio lasciar andare i cavalli, dottore. Ho paura.”

“Non temere, figlia mia. Tu sei innocente e io ti proteggo.”

“Ho paura per i miei figli, dottore.”

“Magari tutti fossero onesti come te, Ignacia. Magari tanti ipocriti fossero come te. E per dimostrarti che chi ben fa ben riceve, lascerò liberi i cavalli.”

“Sono decisi ad ammazzare. Lascia liberi i cavalli, dottore.”

“Li lascerò liberi per te. Non per paura di tuo marito. Non sarò certo io a cambiare le mie abitudini e ad agire contro giustizia per quattro straccioni.” E alzò la voce, “Pepita, Pepita!”

Doña Pepita, che ascoltava dietro la porta socchiusa, entrò nella stanza, illividita al pari del retto Giudice.

“Pepita, cara, scendi a parlare col segretario e digli che vada da parte mia in Caserma a dare ordine che lascino liberi i cavalli di Teodoro. Quel poveraccio non ha colpa di essere parente di un bandito. Quanti cavalli sono, Ignacia?”

“Sono nove, dottore.”

“Quel Teodoro è ricco. Nove cavalli! Bene, figlia mia, ci vediamo.”

“Grazie, dottore.”

“Dove hai detto che si trova, tuo marito?”

“Dio solo lo sa, dottore. Quell’uomo si è dimenticato della sua casa.”

Il vestito nero mostrò il tartaro dei suoi denti.

“Si sarà cacciato dalle sue innamorate. Dicono che tuo marito sia tremendo.”

“Sarà come tu dici, dottore.”

“Bene, se vieni a sapere qualcosa, avvisami. Non ti succederà niente. Le Autorità ti proteggono.”

Una brusca tenerezza per i figli del Nittalope sbocciò in quell’attimo nel cuore del dottor Montenegro. C’è perfino qualche scoliaste che si ostina a sostenere che il dottore domandò a Ignacia quanti figli avesse e quali fossero le loro avvenenze. Altri si accontentano invece di affermare che il dottore estrasse semplicemente una banconota da dieci soles per ricompensare Ignacia dei suoi buoni servigi.

“Compra qualche caramella per i tuoi figli, Ignacia.”

Il padre dei figli tanto teneramente evocati stava cavalcando in una gola rocciosa fiancheggiata da pareti vertiginose.

“Qui ci troviamo a Yerbabuenaragrac,” disse Chacón. “Qui dovrà passare per forza Montenegro, sabato, diretto a Huarautambo.”

“Per forza?”

“Non c’è altra via per raggiungere Huarautambo.”

Il Magro accarezzò il ventre del winchester.

“Qui lascerà il suo sangue.”

“Nascondiamo i cavalli e aspettiamo. C’è da mangiare e da bere in abbondanza. Io andrò all’inizio della gola e avviserò lanciando sassolini. Non sia mai che ci vada di mezzo qualche innocente.”

“Ben presto stenderemo tutti quelli che dicono ‘Questa terra è mia,’” disse il Magro.

“Il guaio è che Montenegro non lo conosciamo,” disse Pis-pis, contrariato, “corriamo il rischio di buttarci addosso a qualcuno che non c’entra.”

“Non preoccupatevi, ci penserò io. Voi andate a dormire.”

Aspettarono giovedí, venerdí e sabato, le ventiquattro ore di sabato e le novecentosessanta ore dei quaranta sabati seguenti.

Il dottor Montenegro non si fece vedere. Invano i membri del “Comitato pro-fucilazione del piú grande cornuto di Yanahuanca” (parole di Pis-pis) si annoiarono a Yerbabuenaragrac. Né le partite a carte né i ricordi riuscirono a consolarli. Il dottor Montenegro si rinchiuse nel suo casone. Colto da un improvviso languore, il Giudice non uscí nemmeno per presiedere il Tribunale. La Benemerita Guardia Civile gli trasportava i rei nel patio. E si sparse una voce: fintanto che i componenti del “Comitato pro-esecuzione gratuita del piú grasso figlio di puttana della terra” (testo di Pis-pis) non fossero stati assicurati alla giustizia, il dottore non sarebbe uscito dalle sue stanze. Al Comitato non rimase altro rimedio che consultare i buoni uffici dell’Abigeo.

“Cosa scopri nei tuoi sogni, Abigeo?”

L’Abigeo non vedeva nulla.

“Riesco a scorgere solo una pampa, scorgo solo una pampa,” continuava a ripetere.

“Montenegro non uscirà dal suo ufficio,” informò il Ladro di Cavalli, “finché non riuscirà a sapere dove ti sei cacciato.”

“Come fai a saperlo?”

“Il sergente Cabrera ne ha parlato in casa sua. La cuoca ha sentito.”

“Cosa facciamo?” si scoraggiò il Magro.

“Aspettiamo,” disse Pis-pis. “Per quei figli di puttana l’avarizia è piú forte della paura. Non si lascerà perdere il raccolto.”

“Aspettare fino al raccolto?” Chacón si rabbuiò. “No, fratellini, è troppo. Perché non tornate alle vostre case? Io ce la farò comunque, ma voi vi siete già troppo compromessi. Se volete, verrò a cercarvi quando il raccolto sarà terminato.

Pis-pis si morse le unghie.

“Hai ragione, compare.”

“Non appena ci avviserai, verremo subito,” disse il Magro. “Saremo tutti pronti.”

“Prima di andarmene, il granoturco mi dirà qual è il tuo futuro,” disse Pis-pis.

Pis-pis distese per terra il poncho e vi gettò sopra una manciata di chicchi.

“Tu sarai Montenegro,” e indicò un chicco nero. Buttò fuori il fumo della sigaretta.

“Tu sarai Chacón,” cosí battezzò un chicco bianco.

“Tu sarai Yerbabuenaragrac,” cosí intitolò un chicco rosso.

Mescolò i chicchi e soffiò tre volte. Ripeté tre volte l’operazione, accigliandosi sempre piú.

“Non capisco cosa succede,” disse. “Mi vengono sempre fuori dei parenti traditori.”

“Parenti?”

Gettò di nuovo i chicchi.

“Sí, i parenti ci tradiscono.”

Pis-pis tentò la riprova. Scelse degli altri chicchi e li battezzò rapidamente.

“Tu sarai Chacón.”

Buttò fuori il fumo.

“Tu sarai la casa di Chacón.”

Soffiò tre volte.

“E allora?”

“C’è un parente che ti tradisce.”

“Cosa ti viene in mente?”

“Verrai acciuffato in casa tua, Héctor.”

“Hanno paura di me. Non si avvicineranno mai alla mia casa,” disse Chacón aggiustandosi il sottogola.

“Bada a te, Héctor, bada a te!”