24. Ritratto a olio di un magistrato.
I maiali rasero millequattrocento ettari, ma non riuscirono a digerire la razione di piombo dei winchester. I valorosi morirono. Il Recinto continuò ad avanzare. Dopo essersi inghiottito quarantadue colli, ottanta picchi, nove lagune e diciannove corsi d’acqua, il Recinto dell’est serpeggiava alla volta del Recinto dell’ovest. La pampa non era infinita; il Recinto sí.
Nella pampa le voci vanno e vengono come il vento: chi fu l’autore dell’idea del reclamo? Non nacque dal cervello del Personero Rivera, né dall’immaginazione di Abdón Medrano, né dalla testa di Fortunato. Un giorno Rancas si svegliò con la novità del reclamo. A chi l’avrebbero rivolto? E le ciarle furono tante e poi tante che i Notabili si riunirono, spontaneamente, senza convocazione, nella scuola. Lo stesso Personero e le autorità presero parte alla riunione senza sapere il perché: forse l’idea era che dopo la benedizione di padre Chasán sarebbe stato possibile qualche tipo di rivolta. Vallo a sapere. Si riunirono. Rivolgere un reclamo a chi? Al Prefetto? Al Capo della Regione? Alla stessa “Cerro”? Non ci fu bisogno di molta saliva per dimostrare l’insensatezza del ricorso.
“E se andassimo direttamente dal Giudice della Provincia?” suggerí don Abdón Medrano. “In fin dei conti, il Recinto commette un delitto: nessuno ha il diritto di chiudere le strade.”
“Esatto,” ammise il Personero. “Il Giudice della Provincia ci proteggerà. Proteggere chi ne ha bisogno è lavoro del Giudice.”
Da dove cavò fuori il Personero l’idea che la professione di un giudice è quella di esercitare la giustizia? Mah! I Notabili di Rancas decisero quindi di reclamare. Era una giornata di sole e fu forse tutto quello spreco di fulgori ad accendere una speranza negli animi. Niente è piú debilitante per un essere umano che le menzogne della speranza.
I Notabili rovistarono nei bauli e si vestirono a festa. Ben lavati – faccia, collo, mani – (certuni, come Abdón Medrano, sfoggiavano perfino la cravatta), partirono, il giorno dopo, alla volta di Cerro de Pasco.
Il Tribunale di Cerro de Pasco è sprovvisto di marciapiede. Profonde crepe serpeggiano lungo tutta la facciata dell’edificio di due piani. Una folla di postulanti attende seduta, giorno e notte, il turno per parlare col Giudice, il dottor Parrales. Il Tribunale non è altro che una stanza con l’intonaco a pezzi, dove tentennano una scrivania sconquassata, un paio di poltrone e un paio di sedie. Sullo scrittoio di Sua Signoria, quasi sepolto da una cordigliera di pratiche inevase, una fotografia incorniciata d’argento sta a dimostrare l’esemplare attaccamento che il Magistrato nutre per la propria famiglia. In un felice momento, l’artista ha colto Sua Signoria severamente seduto nella sua poltrona; dietro il Giudice, sullo sfondo di un lago di cartone dove vagolano cigni dai colli interminabili, con la mano timidamente appoggiata alla spalla della Giustizia s’intravvedono la moglie e i sei figli, incapaci, pur essendo disposti tutti in fila, di apparire al di là dei limiti dell’immenso corpo del Genitore.
Rispettosi, quasi invisibili, i portavoce di Rancas penetrarono nell’ufficio. Il dottor Parrales non sollevò lo sguardo da un documento in carta bollata: continuò la lettura. I comuneros non si stupirono. I grattapancia del Perú sanno valutare perfettamente l’infima importanza delle loro faccende e sono sempre disposti ad una attesa di ore, giorni, settimane, mesi. In effetti, i comuneros attesero solo trenta minuti. Sua Signoria terminò di leggere il documento.
“Cosa volete?”
Il suo viso olivastro era una parete inattaccabile.
“Doctorcito,” balbettò Rivera, “noi siamo comuneros di Rancas... noi siamo venuti...”
“Spicciatevi, non ho tempo.”
“Non so se sai dell’esistenza di un Recinto nella pampa, doctorcito.”
Il comunero dà del tu per timore, ma poi si confonde e mescola il tu col lei in un sussurro anemico.
“Non so nulla. Io non esco mai dal mio ufficio.”
“La ‘Cerro de Pasco Corporation’ ha costruito un Recinto. Tutta la pampa ha cintato. Strade, paesi, fiumi, il Recinto chiude tutto, doctorcito.”
“Ormai non abbiamo quasi piú pecore, dottore,” disse Abdón Medrano. “Ci è morta la metà dei nostri agnelli. Non c’è piú pascolo. La dentatura di quel muro ha masticato tutta la nostra erba. Perfino le strade sono chiuse, doctorcito. Nemmeno i viaggiatori arrivano piú a Rancas.”
“La stessa fiera non c’è piú,” si recuperò il Personero.
“Trentamila pecore ci sono morte,” spiegò Medrano.
“Sarà la moria,” disse il Giudice.
“È fame, dottore,” disse Rivera.
“Io non sono veterinario,” s’infastidí il Giudice. “Cosa volete?”
“Vogliamo che lei faccia la constatazione dell’abuso, doctorcito.”
“È una constatazione che costa.”
“Quanto costerebbe la constatazione, doctorcito?” domandò Rivera, rincuorato.
“Dieci... forse quindicimila,” rispose la voce impercettibilmente meno congelata.
“Non ce la faremo mai a mettere insieme tanto, doctorcito, forse se lei ci venisse un po’ incontro...”
Gli occhi del dottor Parrales sfolgorarono e la sua mano castigò violentemente la scrivania. Il rimbombo lasciò senza parola le autorità.
“Cosa vi siete messi in testa? Questo non è un mercato. Vi voglio favorire e voi vi mettete ancora a discutere. È mai possibile?”
“Grazie, dottore.”
“Quando possiamo tornare?” Fortunato semisorrideva dalla porta.
“Quando volete,” disse il dottor Parrales, risentito. Uscirono tutti entusiasti.
“Non ve l’avevo detto?” Fortunato si stropicciava le mani. Non stavano piú nella pelle.
“Siamo degli idioti. Perché non siamo venuti prima?”
“Diecimila è molto. Mai e poi mai riusciremo a metterli insieme,” disse Rivera, scettico.
“Potremmo fare una colletta,” propose Medrano.
“Cinque, seimila sarebbe tutto quello che riusciremmo a raccogliere.”
“È vero. Non riusciremmo mai a metterli insieme.”
“E se facessimo una festa?” insinuò Medrano.
Lo abbracciarono. Invece di organizzare una dubbiosa colletta era molto meglio preparare una tombola. Conoscendo il motivo, sarebbe accorsa gente anche da altri paesi. Era un’idea geniale. A Rancas l’idea fu completata da don Teodoro Santiago. Perché non invitare l’Alcalde di Cerro de Pasco?
“Quello non ci darà retta!”
“Tanto vale provare!”
“Forse ci comprerà qualche bigliettino.”
“Figurarsi!”
“Tentare non costa niente!”
Minacciava pioggia. Il cielo si blindava di squame livide. Indifferenti alla tormenta, si diressero al Municipio, un edificio a due piani con porte e finestre verdi che non sfugge agli orrori dell’architettura di Cerro. Fortunato entrò solo. Uscí raggiante.
“Entrate, entrate! L’Alcalde ci riceve!”
Si scrostarono coi sassi il fango delle scarpe. Mica volevano correre il rischio di sporcare il pavimento del Municipio!
Davanti a una tavola coperta di panno verde, li aspettava l’Alcalde, don Genaro Ledesma, un uomo sui trent’anni.
“Bene, in che cosa posso servirvi?”
Era una voce calda, lenta.
“Siamo comuneros di Rancas, dottore,” spiegò Fortunato. “Non so se lei conosce il nostro problema. La ‘Cerro de Pasco Corporation’...”
“Il Recinto?” domandò.
Rimasero di stucco. Finalmente un’autorità riconosceva l’esistenza di quell’invisibile serpente.
“Lei ha visto il Recinto? Lo ha visto davvero?” domandò incredulo Rivera.
“Sí, come lo hanno visto tutti.”
“Ma lo ha visto davvero?”
“Sí, sí. Come posso non vederlo se è proprio alle porte di Cerro?”
“E lei che cosa ne pensa, dottore?” domandò Fortunato, con circospezione.
“È un abuso intollerabile. ‘La Cerro’ non ha alcun diritto.”
Parlava senza affrettarsi.
“Siamo venuti a chiedere un po’ d’aiuto da parte del Municipio, dottore,” disse Rivera.
“Di che cosa si tratta?”
“Vorremmo che il Municipio ci aiutasse, comprando qualche bigliettino di una tomboletta.”
“Una tombola? A che scopo?”
“Abbiamo organizzato una tombola per mettere insieme quello che serve a pagare gli onorari del dottor Parrales.”
“Il Giudice?”
“Si, dottore.”
“Onorari per che cosa?”
“Per constatare l’esistenza del Recinto il dottore vuole diecimila soles. Noi possiamo metterne insieme cinquemila. Se il Municipio ci aiuta, completeremo la somma,” buttò fuori Fortunato.
“Siete matti?”
Abbassarono la testa, costernati.
“Il dottor Parrales non deve chiedervi nessun onorario. Ha il dovere di formulare quella constatazione. Non dovete dargli nemmeno un centesimo. Il Giudice riceve uno stipendio dallo Stato. Verificare gli abusi è un obbligo.”
“Allora, lei non ci può aiutare?” domandò Rivera, col poco fiato che gli rimaneva in corpo.
“Darvi denaro per corrompere il Giudice sarebbe immorale. Il Municipio può aiutarvi in un altro modo.”
“In che modo, dottore?”
L’Alcalde rifletté.
“Questa faccenda de ‘La Cerro’ è molto grave. È la cosa piú grave che si è vista in questo distretto. Questo è solo un inizio; quale sarà la fine? Bisogna fare una denunzia, amici miei. È l’unico modo di risolvere questo problema. Oggi stesso parlerò per radio e denuncerò lo scandalo. E per prima cosa, denuncerò il dottor Parrales.”