12. Intorno alla strada percorsa dal lombrico.
Nove colli, cinquanta pascoli, cinque lagune, quattordici sorgenti, undici caverne, tre fiumi cosí impetuosi che non gelano nemmeno d’inverno, cinque villaggi, cinque cimiteri, s’inghiottí il Recinto in quindici giorni.
Prima che i Personeros si riunissero per considerare le sue ambizioni, il Recinto divorò la pampa. Dicerie sotterranee emaciarono la pianura. I viaggiatori, costretti a pernottare a Rancas, mormoravano che il Recinto non era opera di cristiani, che spuntava nello stesso tempo in dozzine di casali, che ben presto sarebbe entrato nei villaggi e persino nelle stanze. Bruscamente, il Recinto sbucò venti chilometri piú in là, accanto a Villa de Pasco. Fortunato correva, correva, correva. Nella nebbia vermiglia della sua spossatezza, Fortunato intravide la faccia spaventata di Adán Ponce, i visi aggrottati dei Notabili di Villa de Pasco. Il Recinto infettava anche quelle terre. Vicino a Villa de Pasco, sonnecchiano due lagune: Yanamate grande e Yanamate piccola, due pozze solitarie frequentate unicamente da anatre selvatiche. Il Recinto emerse tra le due lagune. I pastorelli, che da parecchie settimane conoscevano le sue livide imprese, corsero ad avvisare Adán Ponce, il piú importante cittadino di Villa de Pasco. Adán tralasciò la riparazione di un paio di forbici rugginose e uscí con venti uomini. Il Recinto stava già deglutendo la pampa Buenos Aires. Per quella notte si fermò lí. Il giorno dopo si arrampicò fino a Buenavista e rinchiuse quaranta famiglie. Uomini e donne costretti nell’interno delle loro case cominciarono a gemere. Per uscire non avevano altra scelta che la fosca strada verso i nevai. Il terzo giorno, il Recinto salí alla Cuesta de los Pumpos e rinchiuse altre diciotto famiglie. Quella sera si fermò, a quindici chilometri dalla sua culla, sulle scivolose rive del fiume San Juan. Rinchiuse altre trenta famiglie. Il fiume San Juan nasce sulle cordigliere del Chauca, gonfio di buonissime trote; sfortunatamente, qui non le conosciamo: le acque avvelenate dei rilavaggi le assassinano. Qui il San Juan è un corso di acque defunte. Ma la sua fetida corrente non trattenne il Recinto. Il Recinto saltò il San Juan e avanzò verso Yuracancha, il villaggio piú striminzito della pampa. Quando il Creatore venne a visitare questi luoghi, non volle entrare a Yuracancha. Cosí dice la gente del villaggio, risentita per l’altopiano che gli ha destinato don Gesucristo. L’unica ricchezza di Yuracancha è una miniera di calce. Per mantenere in vita i loro greggi, gli yuracanchani faticano per leghe, in cerca di pascoli. Quel mezzogiorno il Recinto si avvicinò. Gli yuracanchani uscirono, tremando, con pale e sassi per affrontarlo.
Ma a duecento metri dal villaggio il Recinto gli voltò le spalle, si curvò e si perse sdegnosamente nella pampa.
A Yarusyacán sí che è entrato. I pastori ignari pascolavano le loro greggi. Nel villaggio c’erano solo vecchi e donne. Gli yarusyacani sono coraggiosi. Non avrebbero mai permesso che il Recinto arrivasse nel villaggio. Si sarebbero difesi. Ma, fino a quel giorno, il Recinto non aveva ancora violato alcun villaggio. Divorava terra, masticava lagune, mangiava colli, ma non osava penetrare nei villaggi. Ma tre ore dopo aver respinto il misero Yuracancha, sorprendentemente, infilò la strada principale di Yarusyacán. Le donne, uniche abitanti nelle ore di lavoro, uscirono strillando, con occhi enormi. Le piú coraggiose impugnarono le fionde e castigarono, da lontano, le squadre. Anche i bambini della scuola le presero a sassate; ma una sola carica di cavalli disperse gli attacchi inutili. Il Recinto divise il villaggio in due: ormai non si poteva piú passare da un marciapiede all’altro. Attraversò Yarusyacán e tornò a fondersi nella pampa. Avvoltoi enormi svolazzavano nel crepuscolo di cenere.
Ormai nei villaggi non dormí piú nessuno. Quella sera arrivò a Rancas l’ultimo mulattiere, un commerciante di fichi d’India, rinchiuso nelle strade da tre giorni. Quell’uomo comunicò: “Signori, questo Recinto non riguarda solo la pampa. È un filo di ferro che cammina per tutta la terra. Inghiotte distretti interi. In certi luoghi la gente, rinchiusa, muore di fame e di sete. Io ho visto sbarrata la strada per Huánuco. Un altro mulattiere, al quale ho regalato i miei fichi – marcivano – mi ha detto che al di là di Huariaca ci sono centinaia di camion fermi. I passeggeri muoiono e la merce va a male.”
Tre giorni dopo sopravvenne la Grande Paura.
Si notarono segni durante tutta la settimana. Don Teodoro Santiago scoprí che l’acqua di Yanamate si crivellava di buchi. A Junín una vacca partorí un maiale con nove zampe. A Villa de Pasco, nell’aprire un agnello saltò fuori un topo. Segni ce ne furono, ma nessuno volle vederli. Perfino alla vigilia si sarebbe potuto sospettare del nervosismo dei cani. Qualcuno doveva avergli comunicato che il mondo si stava richiudendo. Scappate prima che sia troppo tardi. Qualcuno doveva averli avvisati. E anche gli alberi si spaventarono. Io non li ho visti. Qui non crescono alberi. Ma a Huariaca, mille metri piú giú, dicono che gli eucalipti impazzirono. Non soffiava alito di vento: è per questo che fece impressione. L’aria sonnecchiava tranquillamente quando i salici e i molles13 diventarono epilettici: si torcevano, tremolavano, si agitavano, poveretti, come se volessero, poveretti, piedi per andarsene. Qualcuno doveva avergli mormorato che la terra si richiudeva. Si contorcevano, si ferivano, si piantavano addosso le loro spine. Soffrirono per metà pomeriggio e per tutta la notte. Qualche albero riuscí finanche a trascinarsi per qualche metro. All’alba erano tutti sudati di un lattice sconosciuto. Ma ormai nessuno aveva piú compassione degli alberi: gli animali scappavano. Le furbe volpi, da vere volpi, si misero in fuga fin dalle quattro della mattina. Senza dire una parola, senza dirlo a nessuno, sfrecciarono lungo la strada per La Oroya: migliaia e migliaia di musi fendettero il buio. Alle sette si scoprirono i barbagianni abbarbagliati. Qualcuno doveva averli messi al corrente. La gente si inginocchiò con la faccia colore di questo muro. Pietà, Gesucristo! E don Santiago, in ginocchio, accelerando il panico: “Accusatevi, peccatori, accusatevi prima che sia troppo tardi.” E si accusarono. Mayta cominciò a mordersi le mani. Mani sporche, mani condannate! “Io ho rubato le tue galline, don Jerónimo, sono un miserabile ladro, perdonami.” Don Jerónimo rispose con un singulto. Si abbracciarono, singhiozzando. Anche Clodomiro confessò: il Barrigón non era colpevole del furto della farina di don Jerónimo. E la moglie di Odonicio si graffiò anche lei la faccia. Uccelli e pesci si disputavano le strade del cielo. Cielo nero, cielo verde, cielo blu, cielo terra. “Ah, Diosito, voglio bruciarmi il ventre: ho fornicato con mio cognato! Portate carboni e fatemeli mangiare.” Cosí era, infatti: approfittando della malattia di Odonicio, si rivoltavano a un metro dal paralitico. Vennero alla luce atrocità. Rancas, inginocchiata, alzò le mani inutili verso le labbra di Dio, ostinatamente chiuse.