3. Su un conciliabolo di cui avrebbero voluto essere informate a tempo debito le signore Guardie Civili.

“Ormai ci sono tutti,” disse l’Abigeo.

“Quanti ne sono venuti?” Chacón, il Nittalope, domandava tanto per domandare: i suoi occhi, in grado di scoprire l’orma di una lucertolina nella notte, distinguevano tra i massi di Quencash le facce in attesa sulle rocce, sul pascolo, sotto l’incerata della notte.

“Sette maschi e nove femmine, Héctor.”

“Noi donne siamo piú maschie,” si vantò Sulpicia dal centro della corolla della sua cenciosa sottana.

“Avete pensato a mettere qualcuno di guardia?” ammoni il Ladro di Cavalli.

“Di’ un po’ che cosa pensi di fare, Héctor,” disse un uomo sfregiato.

“Avete da bere?”

Il Ladro di Cavalli levò il tutolo di granturco dall’imboccatura della bottiglia e gliela porse. Héctor Chacón, il Nittalope, scrutò la fila di volti tesi e buttò fuori il fumo della sigaretta. Erano dieci anni che sognava di quelle sigarette, di quelle voci, di quei livori.

“In questa provincia,” non si avvertiva quasi il suo risentimento, “c’è qualcuno che ci tiene proprio sotto i piedi. Io ho visto i malfattori supplicare nelle prigioni Gesucristo Incoronato: gli assassini e i mammasanta s’inginocchiavano e pregavano piangendo l’orazione del giusto Giudice. E allora il signor Gesucristo si rabbonisce e li perdona; ma su questa terra c’è un giudice che non si rabbonisce né con parole né con orazioni. È piú potente di Dio.”

“Gesummaria!” si segnò Sulpicia.

“Fintanto che vive, nessuno alzerà la testa dallo sterco. Le nostre terre le reclamiamo a vuoto. Il Personero presenta reclami per niente. Le autorità non sono altro che i ruffiani dei ricchi.”

“I Personeros,” disse il Ladro di Cavalli, “vanno d’accordo col Giudice. Bustillos e Valle si danno il cambio: uno fa il Personero un anno intanto che l’altro si riposa; l’anno dopo, cambiano: il Personero lo fa l’altro.”

“La loro forza è andare d’accordo,” disse Sulpicia.

“E chi li può fermare?”

“Quando io sono entrato in prigione,” continuò Chacón, “le terre della nostra comunità erano il doppio. In cinque anni Huarautambo e il Giudice se le sono ingoiate.”

“Il Personero ha presentato un reclamo,” avvisò l’Abigeo. “Il tredici ci sarà una comparizione.”

“Vedrete,” rise Chacón. “Il dottor Montenegro si pulirà il culo coi nostri redami. Per gli oppositori, quell’uomo ha due carceri: uno nella sua fazenda di Huarautambo e l’altro nella provincia.”

“Per noi non c’è soluzione,” si rammaricò l’Abigeo.

“Che rimedio proponi, Héctor?”

“La comparizione sarà per il tredici dicembre. Quel giorno, io lo ammazzerò.”

Strillarono le civette.

“Il giorno che quell’uomo morirà,” tremolò l’Abigeo dopo un silenzio invecchiato, “la polizia ammazzerà e brucerà tutta Yanacocha.”

“Dipende.”

“Dipende da che cosa? Non lasciarci in sospeso.”

“Bisognerebbe aggirare l’ostacolo.”

“E cioè?”

“Si potrebbe fingere una rissa; se muoiono due o tre dei nostri, la giustizia potrebbe anche pensare che si è trattato di una lite.”

“Se quell’uomo muore,” s’irrigidí Sulpicia, “nessuno dirà: ‘Yanacocha è mia.’”

L’Abigeo si grattò la testa.

“Cosa ne sarà degli assassini?”

“Staranno in prigione per cinque anni.”

“Sapendo approfittare,” disse Chacón, “l’uomo che è stato in prigione ne esce piú uomo. Io so di molti che in prigione hanno imparato a leggere e a scrivere.”

“Io ho imparato in prigione,” disse modestamente il Ladro di Cavalli.

Sulpicia pensò a suo marito, morto nella prigione di Yanahuanca, si alzò e baciò rabbiosamente la mano di Héctor Chacón.

“Benedetta sia la tua mano, Héctor! Io sono pronta a restare in prigione dieci anni, purché non prendano te.”

“Chi dovrebbe morire?” domandò il Ladro di Cavalli succiandosi i molari.

Solo gli occhi del Nittalope, in grado di distinguere la fulva presenza dei furetti nelle stoppie, si accorsero delle mandibole serrate dell’Abigeo.

“Il Niño Remigio,” disse l’Abigeo, “ormai non ha piú scampo. Sta sempre peggio. Non passa giorno che non stramazzi a terra con la bava alla bocca. Coi miei occhi l’ho visto piangere quando resuscita dai suoi attacchi! Si butta sul prato e strappa l’erba. ‘Perché vivo? Perché esisto? Perché mai il Divino non mi prende con lui?’ Fa proprio cosí!”

“Che cosa ne dite?”

“Sarebbe bene che riposasse in pace, quel poverino.”

“Se muore,” disse il Ladro di Cavalli, “gli offriremo una buona funerazione.”

“Gli compreremo una bella cassa,” rincalzò l’Abigeo, “e tutti gli anni, il giorno dei Morti, gli porteremo i fiori.”

“Al voto.”

Nel buio, il Nittalope guardò tutte le braccia alzate. “Chi saranno gli altri?” domandò l’uomo sfregiato.

L’Abigeo sputò verde.

“Isaías Roque tradisce il villaggio. Montenegro viene a sapere da lui perfino quello che noi pensiamo. Lui gli riporta le novità e tutto quello che noi si dice. Propongo che muoia.”

“Roque si vanta di essere figlioccio del Giudice. È giusto che muoia col suo padrino,” disse Sulpicia.

“Voi cosa ne pensate?”

Il Ladro di Cavalli riuscí finalmente a togliersi dai denti il filamento di coca.

“Al voto,” disse il Nittalope.

Tutti alzarono la mano.

“Ce n’è un altro che deve morire,” disse il Ladro di Cavalli. “È Tomás Sacramento. Prende nota delle persone che mormorano contro Montenegro. Per colpa di quell’uomo molta gente sta soffrendo pena.”

“Cosa ne pensi, Héctor?”

“Una volta i contadini del Giudice hanno arato un seminato della comunità. Per ordine del Personero, io sono andato a lamentarmi al Posto di Guardia. Il sergente mi ha detto: ‘Mandami i cavalli e preparami una bella pachamanca.2 Domani verrò su a ispezionare.’ Cosí feci, ma commisi la bestialità di incaricare Sacramento di portargli i cavalli. Io so che Sacramento ha parlato col Dottore e che Montenegro gli ha detto: ‘Tu fa’ lo gnorri.’ E Sacramento ha portato i cavalli a pascolare. Non mi ha dato retta. E cosí, quando il Personero è sceso per informarsi, il sergente lo ha messo in prigione.”.

“Siamo nelle sue mani. Ci consegnerà al Giudice quando gli sembrerà meglio.”

“Bisogna farla finita con l’erba mala.”

Tutti alzarono la mano.

“Prima dobbiamo scacciarli dalla comunità,” disse l’Abigeo. “L’uomo che non coopera non ha diritto di esistere. Che muoiano come cani senza padrone!”

“No!” disse Chacón. “Se li scacciamo, la giustizia sospetterà.”

“E chi ammazzerà il Giudice?”

La notte s’incupí come l’umore di una zitella.

“Mi offro io. Di fronte o di spalle, come meglio vi pare. E se ce n’è bisogno, posso incaricarmi di ammazzare anche gli altri.”

“Non sei l’unico maschio di questa provincia,” si risentí l’Abigeo.

“Il Giudice lo finiremo a sassate,” si ripromise Sulpicia.

“No,” disse Chacón, “sarebbe un delitto troppo pesante.”

“E quanti soldi ci vorrebbero per gli avvocati?”

“Di soldi, in fondo, non ce n’è bisogno.”

“E le nostre famiglie?”

“La comunità aiuterà le famiglie.”

“La comunità,” assentí l’Abigeo, “lavorerà le terre degli accusati e manderà viveri agli arrestati.”

“Gli arrestati se la caveranno da soli: intrecceranno ceste, fabbricheranno pettini.”

“Io sono pronto,” pronunciò gravemente l’Abigeo. “Un anno di prigione,” disse Chacón, “è uno sbuffo di fumo; cinque anni sono cinque sbuffi di fumo.”