28. In cui si proverà che esiste qualche differenza tra i colibrí e le pecore.

In quasi tutti i villaggi di Cerro de Pasco – e in quasi tutta la Repubblica del Perú – le terre migliori sono delle aree insultate dalle piogge maleodoranti dei bisogni pubblici. Quei terreni sono monumenti alla speranza. Il Municipio li riserva per immaginari e ripetutamente promessi edifici pubblici. Ogni volta che il Prefetto o il Deputato promettono una scuola o un ospedale, l’ottimismo del Municipio riserva un terreno. Il Consiglio Comunale e la popolazione assistono alla solenne posa della “prima pietra” degli edifici pubblici. Non si posa mai la seconda. Il piú modesto villaggetto può vantarsi di dozzine di “prime pietre”; mercati, scuole, ospedali, uffici di agropecuaria, viali immaginari espongono la loro prima pietra all’ingenuità. Tutto il Perú è una prima pietra. Cerro de Pasco, capitale del distretto, vanta, naturalmente, moltissime “prime pietre” piú di qualsiasi altra provincia. Ma, come dice il proverbio, “nessuno sa per chi lavora.” Il Municipio di Cerro dispone di molte aree invase dalle erbacce. Tale incuria consentí ai comuneros di chiedere al Municipio il permesso di condurre le loro striminzite greggi a pascolare sui chimerici edifici pubblici. Il Municipio, mosso a pietà dalle pecore che agonizzavano lungo la strada per Huánuco, concesse il prestito delle sue zone incolte. Quel pascolo permise alle greggi di Rancas di resistere altre due settimane. Terminate le erbacce, i comuneros chiesero il permesso di far pascolare nello Stadio Municipale. Il campo di calcio, dove le agili maglie gialle di Cerro avevano piegato da poco (per 4 a 1) la sprezzante squadra di Huancas, permise di tirare avanti altri nove giorni. Ottobre morí.

Il primo di novembre, giorno dei morti, è festa grande a Cerro de Pasco. Da tutti gli angoli del Perú, dalle polverose città della costa, dai villaggi canicolari della selva, dalla campagna di Huancayo, i pasqueñi salgono a trovare i loro defunti. È l’unica settimana durante la quale è difficile trovare alloggio. A Cerro de Pasco non crescono fiori; proprio per questo motivo, i dolenti si ostinano ad offrire ai loro defunti l’insolito lusso delle corone. Dalie, rose, gerani, gigli e gladioli arrivano a montagne dalle terre calde. Il primo di novembre una vera folla invade il cimitero. Per tutta una mattinata il cimitero ricupera la sua antica grandezza, quella del tempo in cui Cerro si insuperbiva di dodici viceconsolati. La folla prega e singhiozza davanti alle tombe; verso mezzogiorno esce e va a consolarsi nei chioschi di cibarie sparsi lungo un chilometro. Si mangia, si beve e si balla fino al crepuscolo, alla salute degli indimenticabili. Ammaliato dalla bacchetta magica del ricordo, il cimitero si trasforma per un giorno in una città. Negli altri trecentosessantaquattro giorni lo viene a visitare un solo ospite: il vento.

Quel primo di novembre del 1959, i defunti ricevettero piú fiori che mai.

Anche i comuneros di Rancas, di Villa de Pasco, di Yarusyacán, di Yanacancha, di Huayllay vennero in visita al cimitero. Non portavano fiori, venivano a piangere ansiosi di conversare coi loro morti. Non avendo soldi per poter acquistare le fumiganti meraviglie dei chioschi: brodi di testa d’agnello, riso con anatra, porcellini arrosto, capretti alla norteña, si accontentarono di pranzare con grano tostato, seduti tra le tombe.

Allora don Alfonso Rivera guardò un chingolo. L’uccellino nero svolazzò tranquillamente e si fermò su una tomba, scosse la testina e si avvicinò, saltellando, a becchettare un gladiolo.

“Guardate il chingolito!” sussurrò il Personero. “Bestiolina di Dio!”

Continuarono a masticare, con gli occhi puntati sul Jirishanca, irraggiungibile, indifferente guglia di neve sperduta nella volta del cielo.

“Guardatelo, guardatelo!”

“Cosa ti succede, don Alfonso?” domandò Medrano. Gli si illuminarono gli occhi.

“Guarda come si mangia i fiorellini!” e indicò con un largo gesto del braccio il cimitero. “Quanti fiori! Fiori buoni, fiori in quantità da succhiare e da mangiare!”

“È bellissimo il cimitero, don Alfonso,” ammise Medrano.

“Fiori in abbondanza, fiori in quantità da masticare e da brucare,” continuò don Alfonso.

“A che cosa pensi, Personero?”

“Fiori per le nostre pecorelle.”

“Don Alfonso!”

“Rubiamoli,” disse il Personero, eccitato.

“Zitto... zitto...”

“Non sta bene rubarli,” disse Medrano. “Forse ce li regalano. Perché no? L’Alcalde può regalare i fiori. Qui marcirebbero.”

“Non vorranno,” disse Gora.

“Sarebbe mancanza di rispetto.”

“Provare non costa niente,” disse il Personero.

“Figurati se ce li regalano! Preferiscono farli marcire,” insistette Gora.

“Se ci regalassero i fiori, le pecorelle resisterebbero ancora una settimana,” disse Fortunato.

“Diranno che è sacrilegio,” si ostinò Gora.

“Bisogna guadagnare tempo.”

“Perché?”

“Non so,” disse il vecchio, “non so. Non saresti contento di portare qui le tue bestiole?”

La campana della chiusura li costrinse a uscire, ma non si allontanarono. Rimasero accanto all’entrata, a discutere. Era già buio quando scesero a Cerro de Pasco. Non smisero di parlare, mentre si avviavano verso Rancas. Il giorno dopo, molto presto, andarono a trovare l’Alcalde.

“I fiori del cimitero?”

L’Alcalde rimase allibito per un attimo, poi scoppiò a ridere.

“Perché no?” disse l’Alcalde. “Ma è una cosa che non posso decidere io solo. Bisognerebbe sentire che cosa ne pensano i Consiglieri.”

I fiori del cimitero? L’onorevole Consiglio Provinciale alzò le braccia al cielo. Il consigliere Malpartida si scandalizzò. Cosa avrebbe detto la gente? Il pur rispettabile problema dei comuneros si sarebbe dunque trasformato anche in un problema della città? Chi ne pagava le spese era Cerro de Pasco. L’aumento delle tariffe elettriche era solo un avviso. Attenzione! I fiori dei defunti erano sacri. Se non si rispettavano nemmeno le tombe, dove si sarebbe andati a finire?

L’Alcalde insistette. Cosí come stavano andando le cose, ben presto i comuneros sarebbero stati ospiti e proprietari del cimitero.

“Non si sa se sono morti o vivi. Forse, i fiori possono pretenderli nella loro qualità di futuri occupanti del cimitero. È questione di tempo.”

E attaccò dal lato della legge. La Costituzione della Repubblica del Perú è esplicita: nessuno è obbligato a fare quello che la legge non prescrive, a nessuno è vietato di fare – capite, signori? – a nessuno è vietato di fare quello che la legge non proibisce. La legge proibiva forse di regalare i fiori del cimitero? La saggia giurisdizione peruviana non codifica alcun divieto che stabilisca: “Nel caso che una compagnia straniera recinga tutte le terre libere, si vieta ai comuneros di Pasco di far entrare le loro greggi nel cimitero.”

“Farle entrare?” allibí il signor Malpartida. “Non sarebbe meglio portar fuori i fiori?”

“Portar fuori i fiori sarebbe un sacrilegio. Non sarebbe meglio far entrare le greggi?”

“Fare entrare le greggi sarebbe una profanazione.”

“C’è profanazione quando lo si fa con intenzione. Quale intenzione sacrilega si può imputare alle pecore? Non ci sono forse anche adesso degli animali, nel cimitero?”

“Cosa?”

L’Alcalde Ledesma sorrideva:

“Gli uccellini che becchettano i fiori.”

Possono le pecore commettere un sacrilegio? Qual è la differenza tra un montone e un chingolo? Portar fuori i fiori è una profanazione? Come si devono portar fuori i fiori? Buttandoli al di là del muro di cinta? Il delicato problema fu discusso per sei ore. Perché no? All’inizio della Conquista, i filosofi spagnoli discussero non per sei ore ma per sessant’anni se gli indios appartenevano al genere umano. Non fu forse necessario arrivare fino alla sedia gestatoria per far sí che, brandendo le chiavi del regno, un papa affermasse ex cathedra che quegli esseri scoperti nelle Indie con corpo, viso e gesti sorprendentemente simili agli uomini, erano, effettivamente, esseri umani?

Il dibattito del Consiglio Municipale di Cerro de Pasco durò meno. Alle quattro di mattina venne approvata la seguente mozione: “Il Consiglio Provinciale di Cerro de Pasco autorizza le comunità di Cerro de Pasco a introdurre i suoi animali da pascolo nel cimitero della città, allo scopo di consentire a detti animali, che si trovano in stato di fame, di alimentarsi coi fiori offerti ai defunti in occasione del primo giorno di novembre del presente anno.”

La mozione – sia detto in onore del signor Malpartida – venne approvata all’unanimità.