32. Presentazione di Guillermo il Macellaio detto anche, a piacere del pubblico, Guillermo il Ligio.
Il Comandante C. G. Guillermo Bodenaco viene indifferentemente soprannominato Guillermo il Macellaio o Guillermo il Ligio. Da che parte pende la verità? I formalisti affermano che “il dovere è il dovere” e aggiungono “un ufficiale è un ufficiale,” anafore che hanno il vantaggio di lasciarci come la “Cerro de Pasco Corporation” lasciò Cerro de Pasco: all’oscuro. Gli avversari di Guillermo il Macellaio sostengono che egli aveva un debole per il sangue umano. E tirano fuori prove e scartafacci e ricordano che durante il secondo governo del Presidente-ingegnere-dottore Manuel Prado, il Comandante Bodenaco prese parte a dozzine di “sgomberi.” Grazie alla sua coraggiosa collaborazione, si raffreddarono piú cadaveri nel corso di quel sessennio che nello svolgimento delle nostre epiche battaglie (la metà dei morti della battaglia di Junín e il doppio degli eroi della battaglia del Due di Maggio, includendo le perdite spagnole, tra cui due per colica). È cosí che abbiamo vissuto per tutta la seconda presidenza di quell’ineffabile umorista che, durante un raptus d’ispirazione, stillò questa goccia di elisir filosofico: “In Perú,” sentenziò il Presidente Prado, “ci sono due specie di problemi: quelli che non si risolvono mai e quelli che si risolvono da soli.” L’ignoranza dei contadini impedí che un cosí interessante assioma filosofico venisse propagato. I problemi dei contadini si risolsero a colpi di fucile. In quei sei anni il Governo fece fucilare centosei contadini. Guillermo il Macellaio o Guillermo il Ligio prese parte a quasi tutte le azioni. Per prima cosa, Guillermo invitava i contadini a ritirarsi dalle terre invase. I contadini si ostinavano cocciutamente a rimanere sui loro campi, borbottando parole incomprensibili, mostrando documenti bisunti e agitando bandierine peruviane. Grave errore: l’uso del bicolore peruviano, vietato ai borghesi non autorizzati, esasperava i sentimenti patriottici di Guillermo il Macellaio. Il regolamento non ammette deroghe: il vessillo nazionale è riservato alle istituzioni o alle autorità.
Stando cosí le cose, Guillermo il Ligio si fermò una mattina alla biforcazione della strada per Cerro de Pasco e per Rancas. Il Comandante considerò con disgusto la pianura lungo la quale procedeva con andatura tartarughesca la Guardia Repubblicana. Era una rottura di coglioni. Ma se la prese con filosofia, si chinò all’interno della jeep, accese una sigaretta e aspirò una boccata di fumo.
De la jarana somos señores
y hacemos flores con el cajón,
y si se ofrece tirar trompadas,
también tenemos disposición
cantarellò Guillermo il Macellaio, ripensando con una certa commozione al cesellatore del celeberrimo valzer: il Maggiore Karamanduka. Il re della sgavazzatura aveva concepito quelle parole immortali durante un’altra marcia, quarant’anni prima: il giorno in cui la Guardia Repubblicana, agli ordini del Maggiore Karamanduka, partí per massacrare gli operai di Huacho che reclamavano la giornata di otto ore.
La Repubblicana, truppa scalcinata, avanzava a passo di formica.
Pásame la agüilla
Pásame la agüilla
modulò il Comandante Bodenaco. La musica piace all’uomo d’armi. Undici guerre ha combattuto il Perú. Fortunato emerse dalla pietraia. Indossava un paio di calzoni sbrindellati e bisunti e una camicia a quadri inamidata dal sudiciume. La guerra del 1827 contro la Bolivia l’abbiamo vinta. La passeggiata verso il Titicaca la pagarono i perdenti.
Yo no te la paso
ni de raspadilla
solfeggiò Guillermo il Ligio. Erano ormai due ore che Fortunato era sceso dal camion “Vado piano ma arrivo sano.” La guerra del 1828 contro la Gran Colombia l’abbiamo persa: un generale, che riuscí a farsi eleggere Presidente, tradí un altro generale. Fortunato era uscito dal carcere di Huánuco dopo aver scontato la sua condanna per mancanza di rispetto alle autorità. La guerra del 1838, di nuovo contro la Bolivia, l’abbiamo persa. Per risparmiare una razione di rancio avevano lasciato andare Fortunato la sera prima. La guerra del 1837 contro i cileni l’abbiamo vinta, ma il Perú permise all’esercito cileno, ormai accerchiato, di ritirarsi indenne tra marce trionfali. Fortunato chiese il permesso di dormire sotto il “Vado piano ma arrivo sano” che partí alle tre di mattina per Cerro de Pasco. Nel 1839, altra guerra contro il Cile. Persa. Tra i fautori della sconfitta c’erano, naturalmente, due futuri presidenti del Perú, Ramón Castilla e Manuel Ignacio de Vivanco. Fortunato arrivò a Cerro alle otto di mattina, ansioso di far ritorno a casa, ma non poté resistere al profumo di un brodo di montone che stava bollendo in uno dei chioschi della piazza. Gli restavano tre soles.
De la jarana somos señores
y hacemos flores con el cajón
cantò il Maggiore Karamanduka falciando l’avanzata della prima fila di operai con una scarica “d’avvertimento.”
“Per favore, un brodino,” chiese Fortunato.
La padrona, un donnone dalle natiche immense, piantò lo sguardo sulla strada.
“Cosa c’è, comadrina,” domandò Fortunato, ansioso di rendersi simpatico per farsi servire piú presto. La curva vomitò il primo camion della polizia. La guerra del 1841, di nuovo con la Bolivia, tornammo a perderla: in piena battaglia di Ingavi qualcuno si prese la briga di eliminare il Presidente Gamarra, colpendolo alle spalle. I camion avanzavano pesantemente, carichi di uomini della guardia d’assalto. Le conversazioni appassirono. Il blablabla delle comari si affievolí.
“Oggi sgomberano Rancas,” sussurrò un uomo accanto a Fortunato. Il vecchio, con un nodo alla gola, riconobbe un comunero di Junín.
“Oggi c’è lo sgombero,” ripeté.
Fortunato cercò di sorbire quanto piú brodo poteva. La guerra del 1859 l’abbiamo vinta senza sparare un solo colpo di fucile. Fu l’Ecuador a pagare i cocci: ci si era accordati che il perdente avrebbe pagato le spese della gita a Guayaquil, ma, inspiegabilmente, il Perú mise a disposizione denaro, vettovaglie e tutto quanto. La gola respinse il brodo caldissimo. Fortunato allungò con mano tremante i suoi ultimi soles e si avvicinò alla fermata dei camion. Cinque minuti dopo riuscí a saltare su un veicolo che stava rallentando mentre affrontava la salita; ma l’asmatico “Anch’io sono stato ultimo modello” percorse solo qualche chilometro. A Colquijirca, uno sbarramento di guardie bloccava il traffico, col fucile spianato. La guerra del 1879, illuminata dalla torcia solitaria dell’“Huáscar,”33 l’abbiamo persa. L’“Anch’io sono stato ultimo modello” si accodò agli altri camion. Fortunato saltò a terra prima di farsi scorgere dall’autista. La Guardia Civile controllava i documenti. In un gruppo di minatori riconoscibili dal casco giallo, Fortunato scorse un comunero di Ondores.
“Ehi!” sussurrò.
“Salve, Rospino, come mai?”
Il vecchio inarcò le sopracciglia e si portò l’indice alle labbra.
“Zitto... zitto...”
“Cosa c’è?”
“Senti, oggi sgomberano Rancas. Devo passare. Prestami il tuo casco!”
“E io come passo?”
“Con la tua tessera. Prestami il tuo casco!”
“Va bene, Rospino.”
Attraversarono il posto di blocco, mescolati tra i minatori. Le guardie civili, eccitate, controllavano alla carlona. Fortunato superò lo sbarramento, avanzò piano piano e, dopo qualche centinaio di metri, cominciò improvvisamente a correre. La pampa risplendeva. La guerra del 1930, contro la Colombia, l’abbiamo persa. Amari presentimenti correvano con la lingua fuori. Ma tra il 1900 e il 1911 si riuscí a estrarre dalla regione del Putumayo qualcosa come 4.000 tonnellate di caucciú. A spese di 30.000 huitotos.34 Era un buon prezzo: sette vite umane per ogni tonnellata. Ogni pianta, ogni pietra di quella steppa erano differenti, indimenticabili, per il vecchio Fortunato che continuava a correre. La guerra del ’41 contro l’Ecuador l’abbiamo vinta: tre paracadutisti conquistarono Puerto Bolívar. Il vecchio correva, correva. Otto guerre perse contro lo straniero; ma, in cambio, quante guerre vinte contro gli stessi peruviani. La guerra non dichiarata contro l’indio Atusparia l’abbiamo vinta: mille morti. Non figurano nei testi. Risultano invece i sessanta morti del conflitto del 1866 contro la Spagna. Il 3° Reggimento di Fanteria vinse nel 1924, senza alcun aiuto, la guerra contro gli indios di Huancané: quattromila morti. Su quegli scheletri fu fondata la ricchezza di Huancané: l’isola di Taquile e l’isola del Sol affondarono di mezzo metro sotto il peso dei cadaveri. In quella pampa dove l’uomo è consolato da cosí poche ore di sole, Fortunato aveva aperto gli occhi ed imparato ad amare, lavorare, vivere. Correva, correva. Nel 1924 il Capitano Salazar rinchiuse e bruciò vivi i trecento abitanti di Chaulán. Lontano, sfolgoravano i tetti di Rancas. Nel 1932, l’Anno della Barbarie, cinque ufficiali di Trujillo furono massacrati: mille fucilati saldarono il conto. Anche le battaglie del sessennio di Manuel Prado le abbiamo vinte: 1956, battaglia di Yanacoto, tre morti; 1957, battaglie di Chin-Chin e di Toquepala, dodici morti; 1958, battaglia di Chepén, Atacocha e Cuzco, nove morti; 1959, battaglie di Casagrande, Calipuy e Chimbote, sette morti. E nei primissimi anni del 1960, battaglie di Paramonga, Pillao e Tingo Maria, sedici morti.
Somos los niños más engreídos
de esta bella j noble ciudad
por nuestra gracia y sagacidad.
Compose con voce tonante il Maggiore Karamanduka, quarant’anni prima che Guillermo il Sanguinario cantarellasse sentimentalmente alla sua memoria: fu il giorno in cui il suo reggimento ridusse gli scioperanti di Huacho a una pozzanghera di sangue. Fortunato si rammentò il nome delle sue pecore: Cotone, Piumetta, Fior del Campo, Amadeo, Bandierina, Negro, Civetta, Burlone, Trifoglio, Ozioso e Fortunato. Gli si liquefecero gli occhi.
Guillermo il Ligio scorse Rancas, la meta, nitidamente, in fondo alla sua linea di tiro.
Y si se ofrece tirar trompadas
también tenemos disposición.