29.
Martha aprì la bocca per dire qualcosa, ma non uscì nulla. Mi presi un momento per squadrarla prima di parlare, per metabolizzare ogni suo particolare, per catturare la rabbia che mi montava dentro.
«Perché?» dissi infine, indicando i ritratti.
Martha ricambiò il mio sguardo, in silenzio. Avrei voluto afferrarla per le spalle e scuoterla per farle uscire le parole, ma mi costrinsi a restare calma.
«Perché?» ripetei. «Perché hai disegnato tutti quei ritratti? Perché Gabriella te l’ha lasciato fare? Rispondimi, Martha. Ho bisogno di sapere.»
A quel punto reagì, chinando il capo, lasciando cadere le spalle. «Perché era gentile. Era l’unica. Veniva qui e parlavamo. Lei mi ascoltava e io le raccontavo delle cose.»
«E lasciava che tu la ritraessi?» Stentavo a crederlo, eppure ricordavo il dolore vivido che avevo provato quando avevo visto Gabriella che usciva dalla casa di Martha, la sensazione di essere stata tradita. Quanto spesso Gabriella faceva visita a Martha? Molto più di quanto avevo immaginato.
«Niente male, eh?» disse Martha. «Ero brava in educazione artistica, vero?»
Guardai i ritratti. Non potevo negarlo. Aveva molto talento.
«Ma perché hai dato il ritratto a Edward Lily?»
«Non l’ho fatto», ribatté brusca. «Non gli avrei dato niente.»
«Perché?»
«Non era meglio degli altri.»
«No?»
«Te lo dissi, allora. Uomini e ragazzi. Tutti dietro a Gabriella. Non ne sarebbe venuto fuori nulla di buono, non ti pare?»
Si voltò e io seguii il suo sguardo. Ero stata così presa a pensare ai ritratti che avevo scordato l’armadio che avevo forzato. Ora lei aveva capito cosa avevo fatto. «Non ne avevi il diritto», disse con voce acuta e piena di rabbia. Diede una spinta alla porta, che si chiuse. «Chi ti credi di essere?»
«Ne avevo tutto il diritto», ribattei ringhiando. «Sto cercando mia sorella.»
«Non la troverai.»
Feci un passo avanti e lei trasalì. Aveva il volto pallido, gli occhi lucidi. Di cosa aveva paura? Mi voltai verso l’armadio e afferrai la maniglia.
«Lascialo stare!» mi urlò contro.
«Perché? Che cosa ci hai tenuto nascosto?» Un’anta sigillata e una ciotola rotta. Perché Martha aveva ridipinto l’armadio mimetizzandolo con il muro? Abbassai la mano. Un pensiero orribile stava prendendo forma nella mia mente, strisciando nella mia coscienza. Abbassando la voce, mi costrinsi a far uscire le parole. «C’era qualcuno, chiuso lì dentro?»
«Non sono fatti tuoi.»
«Sono fatti miei. Tuo padre ha chiuso Gabriella in quell’armadio?»
«No!»
Mi avvicinai a lei e le urlai in faccia: «Stai mentendo! Mia sorella era prigioniera. L’ha chiusa lì dentro, vero? E poi che cosa le ha fatto?».
Le afferrai il polso e me la tirai più vicino. Immaginai Gabriella prigioniera. Aveva gridato? Aveva picchiato contro le ante? Seguii il flusso delle sue emozioni: l’incredulità, la rabbia, il terrore, la disperazione quando si era resa conto che non sarebbe venuto nessuno.
Martha respirava affannosamente. Mollai la presa, disgustata. Era come un animale, indifesa e patetica.
«Per quanto tempo è rimasta nell’armadio?»
«Smettila di dire così», fece Martha. «Non l’ha chiusa lì dentro.»
«E allora perché l’hai sigillato con la vernice?» insistetti. «Che cosa stai cercando di nascondere?»
«Non era lei», replicò, fissandomi a sua volta.
«Che cosa intendi?»
«Ero io.»
Per un istante cadde il silenzio. «Tu?» dissi con un sospiro. «Perché?»
«Tre giorni», riprese, ignorando la mia domanda. «Mi ha tenuta lì dentro per tre giorni. Riesci a immaginarti com’è stato?»
Attraversò la stanza e si sedette sul letto. Io la guardai, incapace di muovermi o parlare, con le braccia abbandonate lungo i fianchi. Martha, non Gabriella, impaurita al buio. Uno strano sollievo. Uno strano timore.
Poi mi avvicinai a lei, inginocchiandomi ai suoi piedi. «Raccontami», le dissi, sforzandomi di mostrarmi tranquilla. Posai la mia mano sulla sua. Sembrava fatta solo di ossa, ricoperte da un sottile strato di pelle. Per qualche secondo la lasciò ferma, poi la ritirò rapidamente.
Mi sedetti. «Raccontami», dissi di nuovo.
Lei chiuse gli occhi e parlò. «Lui era gentile.»
Ripensai a quello che mi aveva detto Eliza. «Prima che perdesse il lavoro?»
«Faceva l’elettricista», continuò Martha, sorridendo come se il ricordo la riempisse d’orgoglio.
«E poi?»
Il sorriso sparì. «Faceva il venditore.»
Scese di nuovo il silenzio. «E com’era, a quel punto?»
«Ubriaco. All’inizio il venerdì. E poi tutte le sere. E quando tornava faceva il matto per casa.» Chiuse gli occhi, ricordando. «Barcollava su per le scale, pisciava nel lavandino, si tirava su i pantaloni, chiudeva la cerniera, si allacciava la cintura.» Ora mi fissava. «Ti ho mai raccontato della cintura?» Non aspettò che le rispondessi. «Gliela passava attorno al collo e stringeva forte. Vuoi che ti racconti di mio padre? L’avrei ammazzato, se non fosse morto. L’avrei affogato, da vecchio, gli avrei tenuto giù la testa nella vasca o l’avrei soffocato con un cuscino. L’avrei fatto, te lo giuro, appena fosse diventato troppo lento per raggiungermi con i suoi pugni.»
Mi si gelò il sangue. «Il collo di chi?»
«Di mia madre.»
«E tu?»
«No.»
«E Gabriella?» sussurrai.
Scosse la testa, lentamente.
«E poi chi?»
Martha si coprì il viso con le mani e sapevo che non era più il caso di incalzarla. La studiai per qualche istante, desiderando che parlasse, ma stava piangendo, grosse lacrime che innaffiavano il letto. Mi alzai, sentendomi impotente, con il sangue che pompava nelle vene. Volevo capire. Se Martha non parlava, dovevo trovare un altro modo per scoprire la verità.
Tornai verso la stanza dei suoi genitori e restai sulla soglia guardandomi attorno. C’era un’atmosfera buia e incombente, come il demone dei miei incubi. C’era qualcosa nascosto. Segreti. Nelle crepe e nelle cavità delle pareti. Ero così vicina a capire... Dovevo solo guardare con più attenzione, e avrei saputo.
Superai la cintura e le riviste, attraversai il tappeto sbrindellato e lo scendiletto, puntando verso gli scatoloni. Toccai gli spigoli flosci e lessi le etichette sui coperchi. C’era il nome di un’azienda: Forniture Rawlinson. E gli indirizzi di negozi e imprese in diverse località, sparse per il paese. Le destinazioni di un commesso viaggiatore. Glasgow. Warrington. Sheffield. E York.
Rilessi i nomi, lottando per capire. Era come se il mio cervello lavorasse muovendosi con la velocità della moviola. York.
La cintura. La ribaltai col piede. Apparve una fibbia, che strisciò sul pavimento. Era a forma di aquila, il metallo scurito dal tempo.
York. Sembrava una sentenza di morte.
Martha mi aveva seguito, silenziosa come un fantasma. Alzai lo sguardo e il gelo mi invase il petto.
«A volte mi sembra di vederla», disse.
Un’immagine. Una ragazza bionda, con la frangetta. La ragazza uccisa a York. «Victoria Sands?» domandai con un sussurro.
Martha gesticolò, impaziente, scuotendo la testa. «No. Vedo lei. Per strada, o vicino al lago. E qui, dei passi che corrono per casa. La senti? La vedi?»
Scossi la testa. «Non è possibile.»
Ma sapevo che aveva ragione. Anch’io vedevo Gabriella ovunque.
«Che cosa le è successo?» chiesi. «Se non l’ha strangolata...» Feci una pausa. «Le ha fatto qualcos’altro?»
Martha mi osservò e, nonostante tutto, un’espressione sorpresa le illuminò il viso. «No. Te l’ho detto. Non ha ucciso Gabriella.»
Espirai, con un improvviso e colpevole sollievo. C’era ancora speranza. Feci un passo malfermo in direzione di Martha, allungando le braccia come se potessi afferrare la verità. Lei fece un balzo indietro. «Perché sei tornata?» disse. «Ora dovrò rivivere tutto da capo.»
«Perché dovresti rivivere tutto da capo, Martha?» Parlai con il tono più dolce possibile. «Dimmelo.»
Mi lanciò un’occhiata curiosa, come se stesse pensando a qualcosa per la prima volta. «Sei proprio come quelle donne lì, vero?»
«Quali donne?»
«Quelle che mi hanno costretto ad andare in chiesa.»
«In chiesa?»
«Sì. Pensavano che mi sentissi sola, quando è morta mia madre.» Mi rivolse un’occhiata subdola. «Perché avrei dovuto sentirmi sola? Ci sono andata una volta. Mi è bastato. Distribuivano volantini che parlavano di Cristo e di come ci ha salvati, di come si è preso i nostri peccati, e di come ci avrebbe perdonato per quello che avevamo fatto se l’avessimo accolto e ci fossimo pentiti. Probabilmente pensavano di poter salvare anche me.»
«Salvarti da cosa, Martha?»
«Ti piacerebbe che te lo dicessi, vero?»
Cercai di mantenere un tono di voce basso e calmo. «Dirmi cosa?»
«Il perché e il percome.»
«Sì, Martha», dissi. «Mi piacerebbe che mi raccontassi il perché e il percome.»
«Il perché è facile. Hai mai visto una farfalla nella tela di un ragno?»
«Dimmelo!» esclamai, alzando la voce. Avevo di nuovo dodici anni, gli occhiali rattoppati, il quaderno dei sospetti in mano. «Che cosa sai, Martha? Raccontami del giorno in cui è scomparsa. L’hai vista?»
Martha non mi stava ascoltando. «Posso quasi sentirlo», diceva. «Posso quasi percepirne l’odore.»
«Che cosa senti?»
«Urlare.»
«Che odore c’è?»
«Fiori.»
Aspettai, il cuore mi batteva così forte che mi sembrava riecheggiasse per tutta la casa. «Raccontami», insistetti. «Parlami di quel giorno.»
Una ruga le attraversò la fronte. Immaginavo le scene che si componevano nella sua mente, la sequenza degli eventi. Era rimasta a scuola per una lezione di arte dopo l’orario regolare. Era tornata a casa a piedi nella semioscurità. L’arrivo di Martha in Acer Street era coinciso con quello di Gabriella?
«A che ora sei arrivata a casa?» chiesi.
Martha chiuse gli occhi come se si stesse sforzando di ricordare. «Non lo so, ma ero certa che mia madre mi avrebbe ammazzata perché ero in ritardo. Mi avrebbe chiusa fuori.»
«È questo che è successo, ti hanno chiusa fuori?»
«Mi sono seduta sul muretto», fece lei.
«Quale muretto?»
«Quello lungo la strada.»
«Ti sei fermata perché avevi paura di andare a casa.»
Socchiuse gli occhi. «Mi sono fermata perché ho visto quell’uomo.»
«Quale uomo?» Le mie parole suonavano lontane, come se fossi in un sogno.
«Edward Lily.»
Feci un respiro profondo, contai nella mia testa prima di parlare di nuovo. «Che cosa faceva?»
«Parlava con Gabriella.»
«Hai sentito cosa si dicevano?»
Annuì. «All’inizio non mi avevano notato.»
«Cosa? Cosa dicevano?»
Fece una pausa, poi rispose. «Lui disse che le voleva bene. Che voleva stare con lei. Pensai... Pensai che stesse cercando di...» Si interruppe.
«Sapevi che era suo padre?»
Mi fissò scuotendo la testa. «No. Credevo...» Tacque di nuovo, arrossendo. Deve aver pensato il peggio di Edward Lily.
«Era suo padre», ripetei e la osservai mentre la consapevolezza si faceva strada in lei. «Cosa gli disse Gabriella?»
«Non mi ricordo. Non capisco... perché non mi ha detto che lui era suo padre?»
«E perché avrebbe dovuto?» replicai. «Non lo ha detto neppure a me.» Incrociai le braccia, cercando di non far trapelare le mie emozioni, afferrandomi i gomiti e ficcandomi le unghie nella carne. «Prova», aggiunsi. «Prova a ricordare quello che disse Gabriella.»
Scosse la testa. «Non ci riesco.»
«Per favore, Martha. È importante. Cosa ha detto?»
Lei si premette i palmi sugli occhi, come per costringere i suoi ricordi a tornare al passato. «Disse che lei non avrebbe lasciato la sua famiglia.»
Tirai un sospiro di sollievo. «E cos’altro?»
«Disse che non voleva fare del male a nessuno. E... gli diede uno dei miei ritratti. Quello che le avevo regalato.»
Perché? Per scusarsi del rifiuto? In sostituzione di sé stessa? «E lui era arrabbiato?» Martha fece segno di no. «E tu? Non eri seccata perché gli aveva dato il tuo ritratto?»
Lei distolse lo sguardo. Era vero. Era arrabbiata e gelosa... come me.
«E Tom?» ripresi, con il cuore che martellava. «C’era anche lui? È passato mentre stavano parlando?»
Martha annuì.
Le dichiarazioni di Tom che cambiavano continuamente. La sua smemoratezza. Aveva visto Gabriella con un uomo o con una ragazza? La risposta era che l’aveva vista insieme a entrambi. Aveva sempre detto la verità.
«Che cos’ha fatto Edward Lily? Le ha fatto del male?»
«Se n’è andato.»
«E Gabriella?»
«Piangeva.»
Abbassai la voce, riducendola a un sussurro. «Che cos’ha fatto?»
«È venuta da me. Riesci a immaginartelo? Voleva stare con me.»
«E cos’è successo, a quel punto?»
«L’ho portata a casa.»
«L’hai portata a casa», ripetei.
Scese il silenzio. Mi immaginai Gabriella in lacrime, vulnerabile, accompagnata da Martha, la persona che aveva aiutato e sostenuto. Ma ora la situazione si era rovesciata, era Martha che stava aiutando lei. Aveva colto la sua occasione e portato mia sorella a casa sua ancora una volta. Chissà com’era contenta di portare a casa un’amica, come una ragazza qualsiasi, con dei genitori come tanti, in una casa come tante. Ma Martha non era una qualunque, no? Aveva avuto una vita orribile, con un padre assassino e una madre maltrattata.
«Era una puttana.»
Il sangue tornò a ribollire e pulsava nella mia testa. Fissai Martha in volto. «Cosa diavolo vuoi dire?»
«Mi ha mandato a prendere dei biscotti.»
Distolsi lo sguardo, confusa. «Gabriella?»
«Mia madre. Era una puttana.»
Le immagini sfarfallarono: quella camera da letto abbandonata, la cucina antisettica, il salotto sterilizzato, ogni traccia di personalità scomparsa. E la tomba degli Ellis, con la lapide deturpata. Odiava suo padre. Odiava anche sua madre? L’aveva vista morire. Mio Dio, come era stato? Quel pensiero si insinuò ancora dentro di me. Aveva spinto sua madre? Mi strofinai gli occhi. Martha odiava entrambi i suoi genitori. Suo padre era un mostro, quello era chiaro, ma sua madre era una vittima. O no?
Martha restò in silenzio. Mi sporsi in avanti e posai per un attimo la mano sulla sua. Abbassò gli occhi, osservando quel contatto con una certa sorpresa e questa volta non lo rifiutò.
«Che cos’è successo quando sei entrata?»
«Non aveva la sua sciarpa», disse Martha, portandosi le dita alla gola.
«Tua madre.»
«Sì. Ed era arrabbiata. Arrabbiata con me perché ero in ritardo e perché avevo portato Gabriella a casa.»
«Ma lei era già stata lì e a tua madre non era importato.»
«No, ma... i lividi. Erano...» Si interruppe.
«Tuo padre l’aveva...»
«Sì. L’aveva picchiata la sera prima, e Gabriella continuava a guardare quei nuovi lividi e a ripetere che doveva andare a casa. Cercai di portarla di sopra, sul serio, ma quella puttana la convinse ad andare in salotto. Diceva che le avrebbe offerto qualcosa da bere. Non sapevo che cosa fare.»
Ora mi immaginai come doveva essersi sentita Gabriella quando la porta si era chiusa e aveva visto la signora Ellis. Il corridoio doveva esserle sembrato più scuro, più stretto. Doveva essersi guardata attorno, aver chiesto perché fosse lì. Doveva aver desiderato di tornare a casa da mamma e papà. Da me.
Strinsi i pugni, poi li riaprii. «E tuo padre... Era in casa?»
«No», disse Martha, amaramente. «Era al pub. Era sempre al pub.»
Mi concentrai sulla mia voce, per mantenere un tono piatto. «E allora cosa avete fatto?»
«Ci siamo sedute sul divano.»
«Di cosa avete parlato?»
Sorrise, ricordando. «Gabriella mi aveva chiesto di non dire niente a nessuno a proposito di quell’uomo. Si fidava di me. E io la perdonai per aver dato via il ritratto.»
Chiuse gli occhi, sforzandosi di parlare. Mi costrinsi a prenderle di nuovo la mano e a stringerla. «Dimmi, Martha. Che cos’è successo dopo?»
«Mi ha detto che doveva andare. Ha detto che doveva vedersi con te al negozio e che era in ritardo.»
Era vero. Ero rimasta a lungo alla Casa di Flores, scrutando nel buio in attesa di mia sorella. Se solo fossi andata a cercarla. Se solo ci fossimo incontrate a scuola...
Ora Martha si rivolse a me con cattiveria. «Avrei potuto aiutarla se solo non avesse nominato te. Avrei potuto accompagnarla fuori di casa e mi sarei presa uno scappellotto sulle orecchie per averla lasciata andare.»
Lasciai andare la sua mano e serrai le labbra. Non dovevo arrabbiarmi o farla smettere di parlare. Avrei accettato qualsiasi cosa da Martha se mi avesse raccontato quello che sapeva.
«Non l’avrebbe mai scoperto, se solo non avessero conservato il giornale.»
«Quale giornale? Cosa ha scoperto?»
«Quello con la fotografia della ragazza. Quella dello Yorkshire. Quella che aveva ammazzato. Era sul divano e Gabriella lo prese. E poi è entrata lei. “Mettilo giù”, disse. Ma era troppo tardi. Gabriella stava guardando la foto, la fissava, e io vidi quello che mia madre ci aveva scritto sopra. Troia. Scarabocchiato proprio lì, in mezzo alla pagina.»
Mi sentii barcollare, immaginai di svenire su quel pavimento sudicio. Cercai di stare salda sui piedi e mi sforzai di parlare. Ero così vicina a capire tutto, ormai. «E allora cosa ha fatto tua madre?»
«Ha preso la borsa.»
«La borsa?»
«È andata a prendere la borsa, ha tirato fuori i soldi e me li ha dati. Mi ordinò di andare a comprare dei biscotti. Aggiunse che non potevamo avere ospite Gabriella e non offrirle qualche biscotto.»
Biscotti. Mi venne la pelle d’oca. «E Gabriella cos’ha detto?»
«Ha detto che non aveva fame. La puttana non l’ha ascoltata. Mi disse di comprare anche della spremuta. E il latte. E di fare pure con calma, che lei avrebbe fatto compagnia alla mia amica. Mi spinse fuori dalla porta. Quella puttana mi ha spinto fuori dalla porta.»
«Martha», replicai cercando di mantenere il controllo. «Dimmi cos’è successo dopo.»
«Non avevo scelta. Non capisci. Pensavo che sarebbe andato tutto bene. Dieci minuti. In dieci minuti non può succedere niente, no?» Mi rivolse uno sguardo implorante, come se volesse essere rassicurata.
«E l’articolo sul giornale? Gabriella aveva capito?»
Annuì. «Sì. Ma pensavo che se fossi tornata in fretta... E poi, quando sono uscita l’ho visto.»
«Chi?» chiesi, incalzandola.
«Lui. Stava tornando dal pub.»
La mia mente si sgombrò quando d’un tratto capii. Il signor Ellis, violento e imprevedibile, nella stessa casa con Gabriella. Perché Martha aveva negato la sua colpa? Perché l’aveva protetto?
«Sarei dovuta tornare dentro», ammise. «Ma avevo paura. Quindi mi sono messa a correre più in fretta che potevo.»
Lo sguardo di Martha ora fissava il vuoto, gli occhi tremavano come se stesse rivedendo sé stessa, che sfrecciava per la strada. «Ho comprato i biscotti», continuò. «Non ho preso la spremuta e nemmeno il latte. Volevo risparmiare tempo, capisci?» Mi rivolse uno sguardo supplichevole. «Ma quando sono tornata era troppo tardi. Ho cercato di dirtelo. Non te lo ricordi? Ti ho parlato dei biscotti.»
Distolsi lo sguardo, facendo del mio meglio per reprimere il singulto che mi montava in gola. Perché ora ricordavo quel giorno, quando avevo respinto Martha e le avevo urlato contro per strada. Pensavo che volesse diventare mia amica, ma mi sbagliavo. Stava cercando di raccontarmi di Gabriella.
E da quando ero tornata lei mi aveva osservato, seguito, con il disperato desiderio di confessare. E io cosa avevo fatto? L’avevo respinta di nuovo e le avevo impedito di raccontarmi la verità.