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Nell’ultimo semestre di università hai frequentato un seminario avanzato di Scienze politiche intitolato «Politica e gender». A tenere il seminario era una quasi cinquantenne coi capelli argentati, che di recente aveva avuto un figlio. Se lo portava a lezione in un marsupio. Sebbene fosse l’unico maschio presente al seminario e la discussione a volte fosse accesa, non piangeva mai, anzi, sembrava tranquillizzato dalle voci. Eri invidiosa di quel bambino. Avresti voluto essere una persona nuova di zecca, maschio, e dentro il marsupio di una docente di Scienze politiche.

Il seminario però è stato una perdita di tempo. Forse non era il seminario in sé, ma il tuo stato d’animo al momento. Lo scandalo era passato ma tu eri ancora piena di amarezza e di rabbia. A metà semestre circa, la professoressa ti ha trattenuto dopo la lezione.

«Non perdere la fiducia in noi femministe», ti ha detto.

«Non l’ho persa.»

«Qui voglio sbilanciarmi. La tua tesina, che hai intitolato Perché non sarò mai femminista: un approccio gender-free alle politiche pubbliche, non sembra suggerire il contrario?» Ti guardava con occhi gentili ma divertiti.

«È swiftiano. Satira.»

«Ah, sì?»

«Ma perché dovrei essere femminista? Quando è successo tutto, nessuna di voi si è precipitata a difendermi.»

«No. E probabilmente avremmo dovuto. Lo squilibrio di potere fra te e Levin era osceno. Ma credo che la scelta di non difenderti sia stata fatta, da un certo punto di vista, nell’interesse comune. Levin è un valido membro del Congresso. Anche sulle questioni femminili. La perfezione non esiste.»

«Il Miami Herald ha scritto che avevo riportato indietro la causa del femminismo di cinquant’anni. Posso sapere in che modo l’avrei fatto?»

«Non l’hai fatto.»

«Sua moglie è rimasta con lui. Non è lei che ha riportato indietro la causa del femminismo? Non è più femminista lasciare un marito che ti ha tradito? Sinceramente, è più di un mese che vengo al seminario – per non dire che sono una donna da quando sono nata – e non ho ancora capito cosa sarebbe il femminismo. Cosa cazzo è?»

«Dal mio punto di vista, come docente di Scienze politiche, è la convinzione che i sessi dovrebbero essere uguali davanti alla legge.»

«Questo lo so, ovviamente. Ma allora cosa c’è che non va nella mia tesina?»

«Il problema della tua tesina è che il gender esiste. Le differenze esistono e la legge deve riconoscerlo, altrimenti è ingiusta.»

«D’accordo. Mi ha chiesto di fermarmi. Voleva qualcosa da me?»

«Non mi hai fatto la domanda successiva, a logica. Cioè che cos’è il femminismo dal mio punto di vista, come donna e come essere umano.»

Chi se ne fotte, hai pensato.

«È il diritto di ogni donna di fare le proprie scelte. Non serve che piacciano agli altri, Aviva. Tu hai il diritto di scegliere. E anche Embeth Levin. Quindi non aspettarti chissà che supporto.»

Ti veniva da alzare gli occhi al cielo e hai cercato di trattenerti.

«Vorrei che riflettessi meglio sulla tua tesina», ti ha detto.

La settimana dopo hai fatto la scelta di lasciare il seminario.





Vuoi il bambino, anche se è contro ogni logica.

Non ti aspetti chissà che supporto.

Devi cambiare vita.





Il tempo stringe. Hai sette mesi per cambiare vita.

Devi trovare un lavoro ma, grazie alla rete, hai una pessima fama. Nessun posto è abbastanza lontano per trasferircisi.

Potresti restare a casa e farti mantenere dai tuoi. Ma il bambino sarebbe sempre figlio di «Aviva Grossman» e non si può fare una cosa del genere a un bambino.

Potresti tornare a studiare, ma cosa risolveresti? Come hai detto a Jorge, alla fine saresti sempre e comunque «Aviva Grossman».

Il problema è il tuo nome.



Se resti a casa, vai a pagina 144.

 

Se cambi nome, vai a pagina 146.

La vita in un istante
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