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«Va bene», disse Franny. «Era solo un capriccio. Mi è venuta un’altra idea che volevo sottoporti. So che abbiamo parlato di vasetti di vetro e cavoli ornamentali, e mi piacciono da morire. Ma mi chiedevo se te ne intendi di orchidee.»

«Di orchidee?»

«Sì! Ho visto che ne hai una sul davanzale. E quello che mi piace delle orchidee è che non muoiono mai. La tua è sempre uguale, dalla prima volta che sono venuta qui. E... non so, mi dà una sensazione confortante, casalinga.»

Non avevo mai sentito definire «casalinga» un’orchidea. «Capita che muoiano ma, se continui a innaffiarle, alla fine si riprendono.»

«Ecco! Mi piace. Non so se c’entra col rustico-elegante...»

«Tutto c’entra col rustico-elegante.»

«Ma mi chiedevo se potremmo usare delle orchidee come centrotavola e poi gli invitati potrebbero portarsele a casa. Sarebbe tanto elegante, però anche... come dire?»

«Rustico?» suggerii.

«Pensavo più a ’naturale’. È una cosa cui teniamo molto, sia io sia Wes. Almeno, io ci tengo. Non so, è che sembrano più speciali delle rose.»

Portai Franny da Eliot Schiele. Era il fiorista cui mi rivolgevo quando gli sposi volevano qualcosa d’insolito. Era il fiorista più serio che avessi mai conosciuto. Non voglio etichettarlo con la parola «artigianale», che ha una connotazione diversa, ma non sarebbe sbagliato definire i fiori di Schiele artigianali. Era un perfezionista, perfino un po’ ossessivo, e caretto.

Schiele disse: «Matrimonio d’inverno? L’unica difficoltà sarà trasportarle dal furgone alla sala del ricevimento. Alle orchidee non piace il freddo».

«Ma gli invitati potranno portarsele a casa?» chiese Franny.

«Sì, basterà dire loro di non restare a ciondolare nel parcheggio. Potrei anche stampare dei libriccini con le istruzioni per la cura e il mantenimento. Sa, quando e quanto bagnarle, quando cominciare a fertilizzarle, dove tagliare lo stelo, come rinvasare, scegliere il terriccio giusto, quanta luce vogliono. Franny, lo sapeva che alle orchidee piace farsi toccare le foglie?»

«Bello!» esclamò lei.

«Io alla mia non le tocco mai», dissi.

«Allora scommetto che la tua orchidea è piuttosto depressa, Jane», replicò Schiele.

«Che tipi di orchidee ci sono?» chiese Franny. «Jane ne ha una bianca che mi piace tantissimo.»

«Jane ha una tipica phalaenopsis da supermercato, da principiante. Senza offesa, Jane. E si potrebbe fare, nessun problema. Ma ci sono migliaia di orchidee. Migliaia! Non vale la pena di fermarsi alla prima che ti capita sott’occhio.»

«Ehi, Schiele», dissi. «È della mia orchidea che stiamo parlando. Ce l’ho dai tempi dell’università.»

«È un’ottima orchidea, Jane. Per cominciare, l’ideale. Ma questo è un matrimonio. L’inizio di giovani vite! Si può fare di meglio.» Tirò fuori il grosso raccoglitore con le orchidee.

Franny scelse la brassavola, i cui fiori sembravano delicati grappoli di calle.

«Ah», fece Schiele, «la signora della notte.»

«La chiamano davvero così?» chiesi. «O è un nomignolo del cavolo che le hai dato tu?»

«Rilascia il suo profumo di sera. Non preoccuparti, Franny, è un profumo fantastico.»

Schiele disse che avrebbe fatto un preventivo.

Qualche giorno dopo me lo mandò, insieme con un’altra orchidea, una viola con foglie che sembravano germogli di bambù, e con un biglietto.

 

Mi chiamo Dendrobium. Voglio fare amicizia col tuo phalaenopsis da supermercato, anche se è incredibilmente plebeo. So che si sente solo e ha bisogno di compagnia.

 

Gli telefonai. «La mia orchidea è una femmina.»

«Non credo proprio. E comunque sei davvero sessista. Mica tutti i fiori sono femmine.»

«Non ho detto questo. Ho detto solo che la mia è una femmina. Ma i fiori hanno un sesso?»

«Non hai studiato biologia a scuola?» ribatté Schiele.

«Si vede che non stavo attenta.»

«Peccato. Certe piante hanno fiori di un solo sesso. Altre hanno fiori di tutti e due i sessi. Bisogna considerare ogni singolo fiore e ogni singola pianta. E, a onor del vero, la maggior parte delle orchidee, compresa la tua, è ermafrodita, e molti fiori sono bisessuali.»

«Però resto convinta della mia idea. A prescindere dal suo aspetto e dalle sue preferenze sessuali, la mia phalaenopsis è femmina. Se insisti a dire il contrario, confondi genere e sesso.»

«Magari potremmo prenderci un caffè e chiarire la questione? Potrei visitare la tua orchidea.»

«Non sono sicura che mi sentirei a mio agio.»

«L’orchidea non sentirà nulla.»

«No, intendo il caffè. Non bevo caffè.»

«Allora un tè.»

«Schiele, tanto per chiarire: non stiamo uscendo insieme.»

«Ma figurati. Solo che, tra noi del settore matrimoniale, ci conviene serrare i ranghi, non credi? Comunque mi piacerebbe che diventassimo amici. So che ti rivolgi alla Boutique del Bouquet più spesso che a me, e mi piacerebbe diventare il tuo fiorista preferito.»

«Non è niente di personale. La Boutique del Bouquet è più economica.»

«E poi con quel nome... Chi può competere con un nome del genere?»

 

 

«Spero di non essere impertinente ma, avendo lavorato con un buon numero di wedding planner, tu non mi sembri esattamente il tipo», disse Schiele al ristorante.

Gli chiesi cosa intendeva.

«Il tipo di donna che ha in mente il suo matrimonio fin da bambina e poi, dopo essersi sposata, non ne ha mai abbastanza e allora decide di buttarsi nel settore.»

«Mi pare che sia una definizione un po’ sessista, per non dire altro.»

«Scusa. Insomma, sembri molto solida. Come persona, non fisicamente, per quanto tu abbia un corpo solidissimo... Sto andando troppo oltre?»

«Direi di sì.»

«Per essere chiari: ti trovo incredibile. Mi ricordi Elizabeth Taylor ai tempi di Cleopatra. E con ’solida’ intendo intellettuale e riflessiva, e non è quello che associo a chi lavora nel tuo settore.»

«Ah, stavi andando così bene!»

«Merda. Quello che volevo capire è che cosa ti ha portato a fare la wedding planner. Cos’hai studiato? Cosa volevi fare da giovane? Insomma, chi sei? Chi è Jane Young?»

«Potresti cercarlo su Google.»

«E che divertimento ci sarebbe? Comunque ci ho provato. Hai un nome molto comune. Ci sono circa mille Jane Young.»

«Certo che fai un sacco di domande.»

«Ero un insegnante e credo nel metodo socratico.»

«Mi sembra di essere a un colloquio di lavoro. Perché hai smesso d’insegnare?»

«Non lo so. Volevo avere più tempo da passare con le mie piante.»

«Ovvio.»

«Le piante reagiscono meglio delle persone alle cure e alle attenzioni. Come insegnante, mi pareva di essere noioso per i ragazzi. E perché le domande t’innervosiscono?»

«Non m’innervosiscono.»

«Sembrerebbe di sì.»

«Sono un libro aperto. Dai, chiedimi qualcosa, qualsiasi cosa.»

«Cos’hai studiato all’università?»

«Scienze politiche e Letteratura spagnola.»

Mi guardò e annuì. «Questo sì che mi torna.»

«Sono contenta che approvi. Ma voglio precisare che, anche se non pensavo di farlo, mi piace organizzare matrimoni. Mi piace il rituale. E la gente t’invita a entrare nella sua vita in quello che crede il giorno più importante. È un privilegio.» Era il mio solito discorsetto.

«Conosci i segreti di tutti.»

«Ne conosco parecchi.»

«Potresti essere la donna più potente della città.»

«Quella è Mrs Morgan.»

«E cosa pensavi di fare, invece?» riprese Schiele.

«Pensavo di entrare in politica. Non è durata molto.»

«Non avevi il pelo sullo stomaco?»

«Al contrario, mi piaceva molto. Ma poi ho avuto Ruby e mi sono dovuta reinventare. E tu cos’hai studiato?»

«Botanica. L’avrai immaginato. E perché Letteratura spagnola?»

«Perché dove vivevo era utile parlare bene lo spagnolo, se volevi entrare in politica. L’avevo già studiato al liceo e ho pensato che studiandone la letteratura sarei migliorata. Ma a dire il vero è stata una scelta abbastanza impulsiva, presa in due minuti. Ero già al terzo anno. Il tempo stringeva e dovevo decidermi.»

«Dimmi qualcosa della letteratura spagnola», chiese Schiele.

«Una frase del mio romanzo preferito. Los seres humanos no nacen para siempre el día en que sus madres los alumbran, sino que la vida los obliga a parirse a sí mismos una y otra vez.»

«Bello. Cosa vuol dire?»

Il campanello della porta tintinnò e Mrs Morgan entrò nel ristorante come se ne fosse signora e padrona, perché, in effetti, lo era. Aveva appena compiuto settant’anni. Era schietta, alla maniera di chi è molto ricco. Oltre al ristorante, possedeva mezza città e il giornale locale. Stavamo organizzando insieme un evento di beneficenza per restaurare la statua del capitano Allison in Market Square.

Si fermò al nostro tavolo. «Jane! Avevo in mente di chiamarti, ma già che ti trovo qui... ci sono notizie dallo yacht club? E, Mr Schiele, come sta la sua adorabile moglie, Mia?»

Mrs Morgan si sedette al tavolo. Chiamò il cameriere e ordinò un bicchiere di rosso.

«Sta benone», disse Schiele.

«Conosci la moglie di Schiele?» mi chiese Mrs Morgan.

«No.»

«È una ballerina classica.»

«Si è ritirata, ormai», precisò Schiele.

«Ma non conta. Avere un talento come quello!» disse Mrs Morgan. «Mi scusi, Mr Schiele. Sono stata scortese. Voi due avevate finito? Ho diverse cose di cui discutere con Jane, per il nostro piccolo evento.»

Schiele si alzò. «Non c’è problema. Jane, ti chiamo.»

 

 

Quella sera, Schiele mi chiamò sul serio. «Siamo stati interrotti.»

«Mi dispiace. Mrs Morgan non si rende conto che l’universo non può sempre piegarsi alla sua volontà. Avevi bisogno di qualcos’altro?»

«Il fatto è che mi piaci.»

«Anche tu mi piaci. Sei il fiorista più rigoroso che conosca.»

«Dai, Jane. Ti sto dicendo che non riesco a smettere di pensare a te. L’avrai capito.»

«Invece dovrai smettere. Non sono una che esce molto e di certo non esco con gli uomini sposati.»

«Ho la sensazione che mi consideri un farabutto. Sappi che il mio matrimonio è finito da parecchio. Cioè, le cose vanno male da parecchio.»

«Mi fa piacere che tu ne sia consapevole. Ci vuole coraggio a riconoscere di essere infelici. Comunque hai fatto bene a chiamarmi. Franny vuole sapere se si riesce ad avere uno sconto sui vasetti ordinandoli separatamente dalle orchidee.»

«Scorporo le cifre. Posso richiamarti tra un paio di giorni?»

«Perché invece non mi mandi un’email? Ciao, Schiele.»

Mi piaceva proprio. Ma una cosa che ho imparato è che non si scherza con un matrimonio, neanche se è in crisi.

Mia nonna è stata sposata per cinquantadue anni, finché non è morto mio nonno. Diceva sempre che, se tra moglie e marito andava male, era solo questione di tempo e sarebbe tornata ad andar bene. E non per sottilizzare a tutti i costi, ma perché in fondo Schiele era un fiorista, vi dirò che ci sono stati momenti in cui ho pensato che la mia orchidea «plebea» non sarebbe mai più fiorita, momenti in cui sembrava irrimediabilmente morta. Mi viene in mente una volta in cui io e Ruby eravamo andate in vacanza a San Francisco e, avendola lasciata sul calorifero, aveva perso tutte le foglie. L’avevo bagnata per un anno e poi una radice, poi una foglia, e un paio d’anni dopo... voilà! Altri fiori. Ecco cosa so di matrimoni e orchidee. Sono più duri a morire di quanto non si pensi. È il motivo per cui amo la mia orchidea da supermercato e non vado con gli uomini sposati.

La vita in un istante
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