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La mia cara amica Roz Horowitz ha conosciuto il suo secondo marito tramite un sito di appuntamenti, e lei ha tre anni e venticinque chili più di me, e dicono tutti che non è tenuta bene come me, nel complesso, e allora ho pensato di provarci pure io, anche se cerco di non andare troppo online. Il primo marito di Roz è morto di cancro al colon e lei si merita di essere felice. Non che questo nuovo marito sia niente di speciale. Si chiama Tony e lavorava nel ramo dei vetri per auto nel New Jersey. Ma Roz gli ha dato una sistemata e l’ha portato a comprarsi delle camicie da Bloomingdale’s e adesso vanno insieme a una serie di corsi del JCC, il Jewish Community Center: conversazione in spagnolo, ballo liscio, massaggio per amanti, come fare in casa sapone e candele. Non è che io ci tenga particolarmente a trovarmi un marito. Ti danno un mucchio da fare, ma non voglio nemmeno passare il resto della mia vita da sola e, lasciatemelo dire, sarebbe carino avere qualcuno con cui andare a qualche corso. Pensavo che i siti di appuntamenti fossero per le persone più giovani, ma secondo Roz no. «E anche se fosse? Adesso sei più giovane di quanto non sarai mai.»

Allora le chiedo di darmi qualche consiglio e lei mi dice di non mettere una foto che ti fa sembrare più giovane di quello che sei. Su Internet mentono tutti ma, paradossalmente, la cosa peggiore che si possa fare online è mentire. Allora le dico: «Roz, mia cara, cosa c’è di diverso dalla vita reale?»

Il primo uomo che incontro si chiama Harold e, per scherzare, gli chiedo se si è sempre chiamato così, perché mi sembra un nome da vecchio. Ma Harold non capisce la battuta e se la prende. «Non hai mai sentito parlare di Harold e la matita viola? Quell’Harold lì è un bambino, Rachel.» Comunque, l’appuntamento non porta da nessuna parte.

Il secondo uomo che incontro è Andrew e ha le unghie sporche, quindi non mi è possibile stabilire se è simpatico oppure no. Non riesco nemmeno a mangiare le crêpes allo zucchero di canna e burro che ho ordinato, oy gevalt, tanto sono distratta da quelle unghie. Insomma, cosa ha fatto prima di venire all’appuntamento? Una gara di giardinaggio? Ha seppellito l’ultima donna con cui era uscito? Mi dice: «Rachel Shapiro, mangi come un uccellino!» Mi viene in mente di farmi impacchettare le crêpes, ma a che pro? Le crêpes sono buone appena fatte. Se le riscaldi, diventano gommose e sanno di uovo, e anche se te le cacci giù a forza è una tragedia, perché pensi a come potevano essere e al loro potenziale sprecato.

Andrew mi chiama qualche settimana dopo per chiedermi se mi va di uscire di nuovo e io, in fretta e furia, gli dico: no grazie. Mi chiede perché. Non voglio dirgli delle unghie nere perché sembra una scusa meschina e forse lo è. Il mio ex marito era meticoloso con le unghie, eppure si è rivelato lo stesso un figlio di buona donna. Mentre penso a cosa rispondergli, lui aggiunge: «Va bene, credo che mi basti, come risposta. Non stare a inventarti una bugia».

Allora gli dico: «Sinceramente, penso che non sia scattata la scintilla e alla nostra età» – ho sessantaquattro anni – «non ha senso perdere tempo».

E lui: «Te lo devo dire, la tua foto ti fa sembrare dieci anni più giovane di quello che sei». Un colpo basso di addio.

So che voleva solo vendicarsi dell’offesa, ma mostro la foto a Roz, per sicurezza. Mi era sembrata recente invece, guardandola meglio, mi accorgo che deve risalire alla fine della seconda amministrazione Bush. Roz mi dice che in effetti sembro più giovane, ma in positivo, non tanto da arrivare al ridicolo. Mi dice che, se scelgo il ristorante giusto, con la luce giusta, posso dimostrare esattamente l’età della foto. E io le ribatto che qui si finisce come Blanche DuBois, che mette la sciarpa alle lampade. Roz mi scatta una nuova foto col cellulare, sul mio balcone, e chiuso.

Il terzo uomo che incontro è Louis, ha dei begli occhiali con le stanghette di titanio. Mi piace subito, anche se la prima cosa che dice è: «Caspita, sei meglio che in foto», e mi resta il dubbio di aver esagerato nella direzione opposta, con questa sciocchezza della foto. È professore di letteratura ebraico-americana all’università di Miami e mi racconta che correva la maratona finché l’anca non ha cominciato a dargli problemi, quindi adesso fa la mezza. Mi chiede se io faccio attività fisica e gli dico di sì, in effetti insegno pilates per la terza età. Forse posso aiutarlo coi flessori? Lui dice: «Scommetto di sì», o qualcosa di simile. Poi, per chiarire che non siamo superficialotti, tiriamo in ballo i libri. Io dico che mi piace Philip Roth, anche se probabilmente è un cliché per una donna della mia età, col mio background. Ma lui dice che, no, Philip Roth è fantastico. Una volta ha tenuto una conferenza sui suoi libri e Roth ci è andato e si è seduto in prima fila! Si è fermato sino alla fine, ogni tanto annuiva, accavallava e scavallava e riaccavallava le gambe lunghe, e dopo se n’è andato senza dire una parola.

«Gli è piaciuto?» domando. «O si è offeso?»

Louis dice che non lo saprà mai e resterà sempre uno dei grandi misteri della sua vita.

Io dico: «Philip Roth ha le gambe lunghe?»

E lui: «Non quanto le mie, Rach».

È piacevole flirtare.

E poi lui mi chiede se ho figli. Sì, gli dico, una figlia, Aviva. E lui dice che Aviva significa «primavera» o «innocenza», in ebraico, ma che bel nome. E io dico che lo so, io e il mio ex marito l’abbiamo scelto per quello. E lui dice che non ne conosce tante di Aviva, non è un nome diffuso, solo quella ragazza che si è inguaiata con Levin, il membro del Congresso. Te lo ricordi quel mishegoss?

«Mmm», faccio io.

E lui: «È stata una piaga per la Florida meridionale, una piaga per gli ebrei, una piaga per i politici, posto che sia possibile, e per la civiltà in generale».

Dice: «Sul serio, non te la ricordi? Ai notiziari ne hanno parlato tutti i giorni, nel 2001, finché non c’è stato l’11 settembre ed è caduta nel dimenticatoio».

Dice: «Non mi ricordo come faceva di cognome. Tu davvero non te la ricordi? Dai, Rach, era come Monica Lewinsky. Sapeva che lui era sposato e l’ha sedotto. Sarà stata attratta dal potere o dalla notorietà. O forse era un’insicura. Era una troietta formosa, una di quelle col faccino carino, quindi è probabile che accaparrarsi un uomo come Levin le abbia accresciuto l’autostima. Non riesco a provare compassione per persone del genere. Si può sapere come faceva di cognome?»

Dice: «Proprio una vergogna. Levin era un rispettato membro del Congresso. Sarebbe potuto diventare il primo presidente ebreo, non fosse stato per quella farkakte».

Dice: «Lo sai chi mi fa pena? I suoi genitori».

Dice: «Mi chiedo cosa ne sia stato della ragazza. Cioè, chi mai la assumerebbe? Chi la sposerebbe?»

Dice: «Grossman! Aviva Grossman! Ecco!»

E io confermo: «Ecco».

Mi scuso e vado alla toilette e, quando torno, dico al cameriere d’impacchettarmi il resto della paella, che è molto buona e decisamente troppa per una persona sola. Certi ristoranti stanno indietro con lo zafferano, ma La Gamba no. Non si può scaldarla nel microonde, la paella, ma sul fornello viene molto bene. Propongo di dividere, ma Louis dice che aveva già deciso di offrire lui. Insisto. Lascio pagare un uomo solo se ho intenzione di rivederlo. Roz dice che è femminismo o magari il suo contrario, ma secondo me è solo buona educazione.

Torniamo al parcheggio e lui dice: «È successo qualcosa? Ho detto qualcosa di sbagliato? Pensavo che stesse andando benissimo, poi all’improvviso malissimo».

Dico: «È solo che non mi piaci», e salgo in macchina.

La vita in un istante
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