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Chiamai Franny per scusarmi se ero stata un po’ brusca.
«Ma no, non c’è problema. Non so perché sulla questione della sala da ballo sono stata così irritante», mi disse.
«Franny, non sei irritante. E, anche se lo fossi, sei una sposa, quindi ti è concesso.»
«Ti farà piacere sapere che oggi pomeriggio sono passata al Lodge e ho dato un’occhiata in giro. Il sole era basso e dalle finestre si vede il lago, che a dicembre sarà tutto ghiacciato, quindi la vista sarà ancora più bella! E c’era un profumo di cedro... Ho immaginato il pizzo e le orchidee e Wes col farfallino scozzese, se riusciremo a convincerlo a metterlo scozzese, e ho pensato: Franny, stupidina, Jane aveva proprio ragione. Sono così contenta che ti abbiamo scelto, Jane.»
«È bello sentirselo dire», risposi. Perché quel giorno mi sembrava di non averne fatta una giusta.
«In realtà sono contenta che tu mi abbia chiamato, perché ho pensato una cosa. Hai presente Steineman’s?»
«Certo.» Era un grande negozio di abiti da sposa a Manhattan. Era carissimo e un po’ stucchevole. Un parco divertimenti a tema matrimoniale, per turisti. Gli stessi vestiti si trovavano in tutti i grandi magazzini di provincia che avessero un reparto nuziale decente.
«Lo so che è stucchevole, ma ci sono sempre voluta andare e mi chiedevo se ci verresti con me. Potresti portare anche Ruby. Anzi, dovresti. È la tua assistente. Coprirò io tutte le spese. Ho dei soldi, me li ha lasciati mia madre.»
Di norma non avrei acconsentito, però il fatto era che sia io sia Ruby avevamo bisogno di cambiare aria. «È una proposta gentile, ma non avrebbe più senso portare la tua migliore amica?»
«Non ho una migliore amica», disse con una risatina, come per scusarsi. «Insomma, nessuno che vorrei portarmi. Credo di avere qualche problema ad approfondire le amicizie femminili.»
«Forse è colpa del bullismo.»
«Probabilmente.» Fece un’altra risatina.
«E le damigelle?» Ne aveva quattro. «Potresti portarti loro.»
«Tre sono le sorelle di Wes e l’altra è la sua migliore amica, che non mi sta molto simpatica. Potrei portare mia zia, ma piangerebbe tutto il tempo. E comunque preferisco un’opinione professionale.»
Invece un’opinione professionale non le serviva affatto. In materia di abiti da sposa, Franny era da ammirare per la sua decisione. Scelse il primo che si era provata, così ci rimase il resto della giornata per visitare la città. Mi diede quasi la sensazione di aver già scelto il vestito prima di andare in negozio.
Da lì ci dirigemmo a piedi al Metropolitan Museum of Art. La strada era lunga ma il clima era mite, soprattutto in confronto al Maine. Ruby prese a braccetto me e Franny, ma dovevamo continuamente metterci in fila indiana per lasciar passare la gente.
Ruby disse: «Lo sapete che il novanta per cento degli uomini o delle persone – non mi ricordo bene – non si sposta quando gli vai incontro per strada?»
«Chi te l’ha detto?» chiese Franny.
«Una mia amica, Mrs Morgan», rispose Ruby. «Io però mi sposto sempre e ho notato che anche tu e la mamma lo fate. Mi stavo domandando cosa succederebbe se non lo facessi. E, se continuassi a camminare dritta per la mia strada, alla fine si sposterebbero gli altri?»
«Ci provo. Non mi sposto!» Franny raddrizzò le spalle. Meno di un minuto dopo un uomo in giacca e cravatta le venne incontro. Era a mezzo metro da lei, quando Franny si spostò di scatto.
«L’hai schivato!» esclamò Ruby. Era piegata in due dal ridere.
«È vero», disse Franny. «Cacchio! Pensavo sul serio di farcela.»
Ruby le disse: «Non essere triste, Franny. Forse è necessario che una certa percentuale di persone si sposti, altrimenti nel mondo regnerebbe... Che parola era, mamma?»
«L’anarchia.»
«Regnerebbe l’anarchia», concluse Ruby. «Forse quelli che si spostano non lo fanno per debolezza. Forse non gliene frega niente e basta.»
Quando arrivammo al Met andammo dritte al tempio di Dendur, che per me era sempre stato una delle cose più belle da vedere in città. Franny stava buttando un centesimo nella fontana, quando una coppia di settantenni patinati mi fermò. «Siamo qui in vacanza, dalla Florida», disse la donna.
Si vedeva lontano un chilometro. Erano un autentico prodotto della Florida quanto Disney World e i finti fenicotteri rosa nei giardini.
«Siamo venuti a trovare nostro figlio e sua moglie. Perché vogliano vivere al freddo, non lo capirò mai. Hanno un appartamento che è grande come una scatola di fiammiferi», aggiunse l’uomo.
«Stavamo dicendo – spero di non offenderla – che lei somiglia tanto a quella ragazza...» riprese la donna. «Quella che ha combinato quel guaio col membro del Congresso. Come si chiamava?»
«Aviva Grossman», dissi. «Capisco benissimo cosa intende. Sono cresciuta in Florida e mi capitava sempre di essere scambiata per lei. Ma, nel Maine, dove vivo adesso, non la conosce nessuno, e poi è passato tanto tempo.»
Scherzammo sull’ironia di somigliare alla discutibile protagonista di un vecchio scandalo.
«Più la guardo, meno le somiglia», disse la donna.
«Certo, lei è molto più bella», aggiunse l’uomo. «Più snella.»
Lei arricciò il naso. «Quel Levin si è comportato malissimo con quella ragazza.»
«Ma al Congresso fa bene il suo lavoro. Devi ammetterlo», disse il marito.
«Non ammetto un bel niente. La ragazza non si è comportata bene, ma lui... Quello che ha fatto è...» La moglie scosse la testa. «Una brutta cosa.»
«La ragazza sapeva che era sposato, quindi ha avuto quello che si meritava», disse il marito.
«Figuriamoci se non lo dicevi.»
«Quella con cui era sposato, però...» proseguì il marito. «Un bell’elemento. Se le appoggiavi un cubetto di ghiaccio sul culo, non si scioglieva.»
«Chissà che fine ha fatto la ragazza», disse lei.
«Borsette», disse il marito, autorevole.
«Borsette?» fece la moglie.
«Si è messa a produrre borsette», ribadì lui. «O sciarpe fatte a mano.»
«Credo che quella fosse Monica Lewinsky», dissi io, e li salutai. «Buon viaggio.»
Raggiunsi Ruby e Franny, che si erano sedute. «Chi è Aviva Grossman?» mi chiese Ruby.