11

Un mese prima del compleanno di mia mamma, l’ottantacinquesimo, mi telefonano dalla casa di riposo. La trasferiscono in ospedale. Ha la polmonite e forse non passerà la notte.

Chiamo il numero di cellulare di Aviva. Non mi risponde mai, ma ci provo lo stesso. La voce sintetica scandisce il numero.

«Sono la mamma», dico. «Se ci tieni a vedere la nonna da viva, salta sul primo aereo per la Florida. Chiamami.»

Mi siedo nell’atrio e aspetto che mi richiami. Mi addormento e, quando mi sveglio, accanto a me c’è Mimmy.

«Buone notizie!» dice. «Possiamo organizzare la festa di compleanno al museo d’arte di Boca Raton. Quelli che avevano prenotato il giardino per il matrimonio hanno disdetto!»

Le dico: «Zia Mimmy, mi prendi in giro? La mamma è intubata. Probabilmente sta per morire».

«Ce la farà. Se la cava sempre.»

«No, stavolta potrebbe non farcela. Ha ottantaquattro anni. È questione di giorni prima che non ce la faccia più.»

«Sei un osso duro», dice Mimmy.

«Se intendi che sono realista, allora, sì, lo sono.»

«Prepararsi al peggio non serve a scongiurarlo.»

L’assurdità è che Mimmy alla fine ha ragione. La mamma ce la fa e organizziamo la festa al museo. Lei sembra contenta come una bambina di cinque anni che le abbiamo organizzato una festa per gli ottantacinque.

«Museo», dice.

E: «Arte».

E: «Bellissimo».

E: «Rachel».

E: «Aviva».

Credo che sia questo che dice.

Ho messo la mamma sul furgone che la riporta alla casa di riposo e sto tornando alla mia macchina, quando mi sento chiamare. È Louis dell’appuntamento andato a mal fine. Sta visitando il museo con suo figlio e sua nuora.

«Rachel Shapiro», esclama. «Speravo tanto d’incontrarti. Voglio che tu sappia che non l’avrei mai detto, se avessi pensato che quella Aviva era la tua Aviva.»

«Alla fine ci sei arrivato.»

«Ma no», ribatte lui. «Sono un imbranato. Ero alla sinagoga per la Simchat Torah e c’era anche Roz Horowitz. È venuto fuori che siete buone amiche e allora le ho chiesto se sapeva cosa fosse successo, e lei me l’ha detto.»

«Io e Roz non siamo più buone amiche.»

«Ah, ne dubito. Le amicizie hanno alti e bassi.»

«Roz era alla sinagoga?»

«Non se la passa benissimo. Le è morto il marito.»

«Come è morto?!»

«Infarto.»

«Povera Roz. Dovrò chiamarla.»

Lui continua: «Quando mi piace una persona, divento nervoso e parlo troppo. Volevo fare colpo, cercavo di sembrare divertente e intelligente, e non sai quanto mi dispiace che mi si sia ritorto contro. So che do l’impressione di essere estroverso, ma in realtà sono un po’ timido».

Come se me ne importasse...

«Ovviamente non conosco tua figlia. So quello che ha riferito la televisione, ma non conosco lei. Ed è stata una sfortuna che sia venuto fuori quell’argomento.»

«Non è stata sfortuna», preciso. «Sei stato tu a chiedermi se avevo figli.»

A questo non può ribattere.

Quindi gli dico: «E se Aviva non fosse stata mia figlia? Ti sembra giusto parlare in quel modo della figlia di chiunque? Levin era un uomo adulto, eletto a una carica pubblica, mentre lei era una ragazzina sciocca e innamorata; lui ne è uscito benone e lei è diventata lo zimbello di tutti. A distanza di quindici anni, deve ancora essere presa in giro da un alte kaker che vuole fare colpo?»

«Mi dispiace. So di aver parlato troppo. Vorrei tanto poter tornare indietro nel tempo e riavvolgere il nastro dell’appuntamento.»

«I nastri non esistono più, Louis. Ci sono solo zeri e uno, e quelli non scompaiono mai.»

«Sei una donna intelligente e hai grinta. Mi piacciono le donne grintose. Alla nostra età, possiamo permetterci di non riprovarci? Non dobbiamo a noi stessi una seconda chance?»

«Sono sola da molto tempo. E mi sta bene così.»

«Eppure... Secondo me possiamo fare di meglio.»

«A me sta bene non fare di meglio.»

«Certo che sei un osso duro.»

Gli dico che mia zia mi ha detto la stessa cosa.

«Mi piace. Per favore, riproviamoci.»

Solo perché ho sessantaquattro anni e sono una donna, la gente pensa che dovrei essere contenta di stare con qualcuno, chiunque. Ma io preferisco stare da sola che stare con un bastardo come CarGlass Tony, pace all’anima sua, o con un pallone gonfiato che ha insultato mia figlia.

 

 

Succede una cosa buffa. Mia mamma perde un orecchino al museo. Lei non se n’è neppure accorta, ma qualche settimana dopo la festa mi chiama una delle guide per dirmi che forse ha un orecchino di mia mamma. Me lo descrive: smeraldi, opali, giada e diamanti, tagliati per sembrare acini e foglie. Le chiedo come ha fatto a capire che è di mia madre. La guida mi dice: «Lo sa che andava sempre a parlare al liceo per la giornata dei sopravvissuti? Raccontava sempre di suo padre, il gioielliere, e mi ricordo che si chiamava Bernheim. Dietro l’orecchino c’è scritto Bernheim».

«Strano che se lo sia ricordata, però.»

«Mi piaceva moltissimo sentir parlare sua madre. Mi è rimasta davvero impressa.»

Vado al museo dopo la lezione di pilates e non riesco a trovare la guida da nessuna parte, quindi gironzolo un po’. M’imbatto in una classe di ragazzini delle elementari, forse di quinta; un uomo anziano – cioè della mia età – sta insegnando loro a realizzare degli stampini. Insegna a intagliare semplici disegni nel legno, a intingere il legno in vassoi pieni d’inchiostro e a passare sulla carta dei rullini. Sporcano ovunque e in genere la sporcizia non mi piace. L’uomo non indossa i guanti, il che mi sembra una follia, e ha le mani coperte d’inchiostro. Ha gli occhi verdi, la barba color ruggine e neanche un capello in testa, ma in compenso ha una pazienza squisita. Mi guarda e dice: «Posso fare qualcosa?»

«No», rispondo. «Devo incontrare una persona, ma non l’ho trovata. Mi piaceva guardarla lavorare.»

Fa spallucce. «Può restare finché vuole.»

Così mi siedo in fondo e, sinceramente, a guardare l’uomo che fa le stampe coi bambini c’è una tranquillità... L’inchiostro ha un gradevole odore medicinale. Mi piace il fruscio ritmico dei blocchi nei vassoi. Ma quello che mi piace di più è il mormorio dei bambini concentrati su un compito. Era una delle cose che preferivo dell’essere educatrice.

Quando i bambini se ne vanno, l’uomo mi dice: «Vuole provare?»

Rispondo: «Sono vestita di bianco, meglio di no».

E lui: «Magari un’altra volta».

Si lava le mani, ma non tornano pulite. È allora che mi ricordo di lui. È Andrew dalle unghie sporche. È un artista! Me l’aveva raccontato? Non lo saprei dire, ero talmente distratta da quelle unghie... Ma, sapendo che lo sporco è inchiostro, cambia tutto.

«Andrew.»

«Rachel.»

«Non ti avevo riconosciuto.»

«Io ti ho riconosciuto immediatamente.»

«Hai ripensato alla mia foto e ci hai aggiunto dieci anni», scherzo.

«Sono stato sgarbato.»

«Ah, non ti preoccupare. Ho le spalle larghe. Comunque, non pensare che sia vanitosa. È imbarazzante ammetterlo, ma mi ero proprio dimenticata che fosse una vecchia foto. Sai, in un certo senso dal 2004 non sembra passato tanto tempo.»

«Sul serio, è stata una cattiveria da parte mia. Ero andato a parecchi appuntamenti che non avevano portato a niente e mi sono rifatto su di te, temo. Ma capisco cosa intendi. Quando i figli sono grandi, si perde il senso del tempo. Tu hai figli? Non credo che ne abbiamo parlato.»

«Una figlia. Aviva.»

«Aviva», dice. «Un bellissimo nome», dice. «Raccontami qualcosa di lei.»

La vita in un istante
9788842931003-cov01.xhtml
9788842931003-presentazione.xhtml
9788842931003-tp01.xhtml
9788842931003-cop01.xhtml
9788842931003-occhiello-libro.xhtml
9788842931003-fm_1.xhtml
9788842931003-p-1-c-1.xhtml
9788842931003-p-1-c-2.xhtml
9788842931003-p-1-c-3.xhtml
9788842931003-p-1-c-4.xhtml
9788842931003-p-1-c-5.xhtml
9788842931003-p-1-c-6.xhtml
9788842931003-p-1-c-7.xhtml
9788842931003-p-1-c-8.xhtml
9788842931003-p-1-c-9.xhtml
9788842931003-p-1-c-10.xhtml
9788842931003-p-1-c-11.xhtml
9788842931003-p-1-c-12.xhtml
9788842931003-p-2-c-13.xhtml
9788842931003-p-2-c-14.xhtml
9788842931003-p-2-c-15.xhtml
9788842931003-p-2-c-16.xhtml
9788842931003-p-2-c-17.xhtml
9788842931003-p-2-c-18.xhtml
9788842931003-p-2-c-19.xhtml
9788842931003-p-2-c-20.xhtml
9788842931003-p-2-c-21.xhtml
9788842931003-p-2-c-22.xhtml
9788842931003-p-2-c-23.xhtml
9788842931003-p-2-c-24.xhtml
9788842931003-p-2-c-25.xhtml
9788842931003-p-3-c-26.xhtml
9788842931003-p-3-c-27.xhtml
9788842931003-p-3-c-28.xhtml
9788842931003-p-3-c-29.xhtml
9788842931003-p-3-c-30.xhtml
9788842931003-p-3-c-31.xhtml
9788842931003-p-3-c-32.xhtml
9788842931003-p-3-c-33.xhtml
9788842931003-p-3-c-34.xhtml
9788842931003-p-3-c-35.xhtml
9788842931003-p-3-c-36.xhtml
9788842931003-p-3-c-37.xhtml
9788842931003-p-3-c-38.xhtml
9788842931003-p-3-c-39.xhtml
9788842931003-p-4-c-40.xhtml
9788842931003-p-4-c-41.xhtml
9788842931003-p-5-c-42.xhtml
9788842931003-p-5-c-43.xhtml
9788842931003-p-5-c-44.xhtml
9788842931003-p-5-c-45.xhtml
9788842931003-p-5-c-46.xhtml
9788842931003-p-5-c-47.xhtml
9788842931003-p-5-c-48.xhtml
9788842931003-p-5-c-49.xhtml
9788842931003-p-5-c-50.xhtml
9788842931003-p-5-c-51.xhtml
9788842931003-p-5-c-52.xhtml
9788842931003-p-5-c-53.xhtml
9788842931003-p-5-c-54.xhtml
9788842931003-p-5-c-55.xhtml
9788842931003-p-5-c-56.xhtml
9788842931003-p-5-c-57.xhtml
9788842931003-p-5-c-58.xhtml
9788842931003-p-5-c-59.xhtml
9788842931003-p-5-c-60.xhtml
9788842931003-p-5-c-61.xhtml
9788842931003-p-5-c-62.xhtml
9788842931003-p-5-c-63.xhtml
9788842931003-p-5-c-64.xhtml
9788842931003-p-5-c-65.xhtml
9788842931003-p-5-c-66.xhtml
9788842931003-p-5-c-67.xhtml
9788842931003-p-5-c-68.xhtml
9788842931003-p-5-c-69.xhtml
9788842931003-p-5-c-70.xhtml
9788842931003-p-5-c-71.xhtml
9788842931003-p-5-c-72.xhtml
9788842931003-p-5-c-73.xhtml
9788842931003-p-5-c-74.xhtml
9788842931003-ind01.xhtml
Il_libraio.xhtml