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Ti risponde al primo squillo. «Oh, Aviva, ti avrei chiamato.»
Capisci che non si riferisce al colloquio telefonico.
«Abbiamo deciso di andare in un’altra direzione», prosegue.
In circostanze normali, non chiederesti i particolari. Ma ne hai abbastanza di essere ignorata. «Posso chiederle, sinceramente, cos’è successo? Avevo avuto un’impressione molto positiva.»
Lei rimane in silenzio. Poi dice: «Sì, Aviva. Abbiamo fatto una ricerca in Internet ed è uscita la storia di te e del membro del Congresso. Per me non sarebbe stato un grosso problema, ma il mio capo ritiene che, essendo un’organizzazione no-profit, ci servano persone impeccabili. Parole sue, non mie. La verità, comunque, è che viviamo di donazioni e certe persone sono estremamente tradizionaliste e assurde, quando si tratta di sesso. Mi sono battuta per te. Sul serio. Sei fantastica e sono sicura che troverai un lavoro fantastico».
«La ringrazio per la franchezza.» Agganci.
Ecco perché non ti chiama nessuno.
Perché, anche se a Philadelphia, Detroit, San Diego nessuno ha sentito dello scandalo Aviva Grossman, basta che cerchino il tuo nome e troveranno tutti i sordidi particolari. Avresti dovuto pensarci. Sei un’esperta di ricerche su Internet.
Vuoi conoscere il passato equivoco del fiume Kissimmee? Vuoi scoprire quali consiglieri comunali sono omofobi? Vuoi sapere tutto su quella cretina della Florida che ha fatto sesso anale con un politico sposato perché lui non voleva metterglielo nella vagina?
La scoperta della tua vergogna è a portata di clic. Vale per tutti, ma non è che ti faccia sentire meglio. Al liceo hai letto La lettera scarlatta e ti viene in mente che Internet è questo. All’inizio c’è quella scena in cui Hester Prynne è costretta a mostrarsi nella piazza del paese per tutto il pomeriggio. Tre o quattro ore, diciamo. Un tempo intollerabile per lei, comunque.
Tu resterai in quella piazza per sempre.
Porterai quella A fino alla morte.
Rifletti sulle possibilità che hai.
Non ne hai.
Gira pagina.