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Quando tornò all’università di Miami, in autunno, Aviva decise di lasciare il campus e trasferirsi in un minuscolo appartamentino in Coconut Grove. Ci divertimmo molto ad arredarlo insieme. Tutto in stile shabby chic. Comprammo mobili di legno da Goodwill, li sabbiammo e li verniciammo color crema; comprammo lenzuola fiorate sbiadite e una trapunta beige in un negozio di antiquariato e ci mettemmo una ciotola turchese piena di conchiglie e candele di soia al profumo di gardenia e lavanda, dipingemmo le pareti di bianco e appendemmo tende di tulle. E per un vero colpo di fortuna trovammo una sedia Wegner Wishbone di autentica betulla. Era prima che scoppiasse la mania degli anni ’50, quindi mi pare che l’avessimo pagata più o meno trentacinque dollari. L’ultima cosa che le comprai fu un’orchidea bianca.
«Mamma, la ucciderò.»
«Basta che non la bagni troppo.»
«Non sono brava con le piante.»
«Hai ventun anni. Non sai ancora con cosa sei brava.»
Era talmente bello, quel posticino, candido e perfetto, che mi ricordo di aver desiderato di poterci andare a vivere con lei, ero quasi invidiosa. Nel suo appartamento, tutto poteva essere esattamente come lei lo voleva.
Fu un periodo felice per il nostro rapporto e in generale un periodo felice della mia vita. Il consiglio aveva deciso di non cercare un nuovo preside e fui nominata a tempo indeterminato. Mi organizzarono un cocktail party. Servirono salmone affumicato su triangoli di pane tostato. Purtroppo il salmone era andato a male e per mia fortuna non l’avevo mangiato, perché tutti quelli che l’avevano mangiato stettero male. Non lo interpretai come un brutto segno.
Roz mi portò fuori a pranzo per il mio quarantanovesimo compleanno. Mi disse che avevo un aspetto magnifico e mi chiese cosa avevo fatto.
Risposi: «Sono felice».
«Dovrò provarlo anch’io», disse.
Non so come mai – forse avevo bevuto troppo vino – ma scoppiai a piangere.
«Rachel! Mio Dio, cosa c’è? È successo qualcosa?»
«Al contrario. Pensavo che sarebbe successo, ma non è successo e io mi sento sollevata e riconoscente.»
«Non sei costretta a raccontarmelo.» Roz mi versò un altro bicchiere di vino. «Un problema di salute? Salute di Mike? Hai trovato un nodulo?»
«No, niente del genere.»
«Aviva?»
«Sì, c’entra Aviva.»
«Vuoi raccontarmelo? Non sei costretta.»
«Aveva una storia con un uomo sposato, ma è finita. Grazie a Dio, è finita.»
«Oh, Rachel, non è nulla. Aviva è giovane. Fare degli errori è il privilegio speciale della giovinezza.»
Abbassai gli occhi. «Non era solo per la storia in sé. Era anche per la persona con cui l’ha avuta.»
«Chi era? Non sei costretta a dirmelo.»
Le sussurrai il nome all’orecchio.
«Buon per lei!»
«Roz!» esclamai. «Sei perfida. È sposato e ha la nostra età, ed era il suo capo!»
«Certo, ma non è mica brutto. In fondo anche noi ci scherzavamo e lo chiamavamo il nostro fringuello. Te lo ricordi?»
Come avrei potuto dimenticarlo?
«Secondo te Aviva ci avrà sentito?» disse Roz.
«Non saprei.»
«Con quella moglie...» Roz era su di giri. «Ho cambiato idea: buon per lui. Aviva è gnocca. Quei due avrebbero avuto dei figli stu-pen-di.»
«Comunque è finita. E niente figli, grazie a Dio.»