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Ti dimentichi di Charlie. Stai per andartene col membro del Congresso, quando lui tende la mano alla tua «telefonata a casa». «Aaron Levin. Tu devi essere uno dei nuovi stagisti.»
Charlie riesce a dire il suo nome e poi: «È un onore conoscerla».
«Grazie per essere venuto a lavorare per noi, Charlie», gli dice il membro del Congresso, guardandolo negli occhi. «Lo apprezzo.» E lo invita a unirsi a voi.
«Avevamo già altri programmi», dice Charlie.
«Ma niente di stabilito», correggi tu.
«Cosa volevate fare?» chiede il membro del Congresso. «Mi piace sapere cosa combinano i giovani.»
«Volevamo guardare Letterman e poi Conan», dice Charlie.
«Allora facciamolo. Ma prima mangiamo qualcosa. Sono solo le dieci e mezzo. Abbiamo tempo.»
«Wow. Però...» balbetta Charlie. «Il mio appartamento non è pulitissimo, anzi. Ho dei coinquilini. Ho...»
«Non ti preoccupare, ragazzo. Mangiamo di sotto e guardiamo la TV qui sopra», dice il membro del Congresso. «C’è un televisore in fondo al corridoio.»
Scendete al caffè e il proprietario, che è mediorientale, s’inchina all’ingresso di Levin. «Il membro del Congresso Levin! Dov’è stato? Abbiamo sentito la sua mancanza.»
«Farouk, ti presento i miei nuovi stagisti, i fuoriclasse Charlie e Aviva», dice Levin.
«Non permettetegli di farvi lavorare troppo», dice Farouk. «Lui lavora tutta la notte, sei notti a settimana.»
«Tu lo sai solo perché fai gli stessi orari», ribatte Levin.
«Quando me lo chiedono, rispondo che nessuno lavora più del mio membro del Congresso, tranne me. Ma quando li vede i suoi ragazzi e la sua bella moglie?»
«Li vedo sempre. Ce li ho nel portafogli, sulla scrivania...» Levin ordina un piatto di falafel per tutti, accompagnati da hummus.
Farouk porta la baklava offerta dalla casa.
«Allora, datemi un parere», dice il membro del Congresso. Ha un po’ di hummus sul labbro superiore. Non sai se farglielo notare, ma non riesci a smettere di guardarlo. «Devo fare un discorso alla National Organization for Women sul divario tra i sessi nella leadership e su cosa si può fare per rimediare, soprattutto pensando alla prossima generazione. Tu sei una donna, Aviva.»
Annuisci con troppa convinzione.
«E tu conosci senz’altro qualche giovane donna, Charlie.»
«Meno di quante ne vorrei conoscere», dice Charlie.
Il membro del Congresso si fa una risata. «Quindi, ragazzi, ci sono idee?»
Charlie dice: «Secondo me funziona come per i late show. Io li adoro...»
«Sì, l’avevo intuito», dice Levin.
«Chi conduce un late show indossa sempre un abito scuro», prosegue Charlie. «Chi viene eletto presidente indossa sempre un abito scuro. Magari, se le signore si mettessero in tailleur scuro, il problema sarebbe risolto.»
Il membro del Congresso guarda te. «Tu come la vedi?»
«Sono d’accordo. In parte.» Ti accorgi che stai arrossendo.
«In parte?»
«In parte. Non sono... cioè, non sono una femminista.»
«Ah, no?» Il membro del Congresso sembra divertito.
«Voglio dire, non sono una non femminista. Cioè, mi ritengo un essere umano, prima che una donna.» Lo dici perché sei giovane e perché hai un’idea sbagliata del femminismo. Pensi che le femministe siano tua mamma e Roz Horowitz. Donne di mezza età che ricordano con piacere le manifestazioni degli anni ’70 e hanno vetusti bauli pieni di spillette e magliette con slogan. «Ma credo – perché lo so – che le donne vengano giudicate in base al loro aspetto. Se una donna indossasse un tailleur scuro, non la eleggerebbero presidente. Direbbero che cerca di passare per un uomo. Così non può vincere.»
Il membro del Congresso si scusa e va in bagno. Charlie dice: «Come fai a conoscerlo?»
«Eravamo vicini di casa. E mio papà ha operato al cuore sua mamma.»
«Wow», fa Charlie. «Sono stato un figo a sceglierti come ’telefonata a casa’. Non riesco a credere che voglia passare la serata con noi! Sul serio, è così sincero. Sembra davvero che sia interessato a quello che abbiamo da dire.»
Concordi.
«Pensa che io volevo lavorare per un senatore o alla Casa Bianca, ma qui si sta rivelando molto meglio.»
Tornate tutti in ufficio, dove il membro del Congresso mette sul Letterman. A metà del talk show si toglie la cravatta e la camicia e resta con una maglietta intima bianca. «Scusate, ragazzi», dice. «Guardate dall’altra parte. Fa un caldo boia.» Di colpo sei contenta che ci sia anche Charlie. Hai sentito dire che le donne dello staff s’innamorano di Levin e preferiresti evitare di ricadere nel cliché.
Quando torni al dormitorio, a notte fonda, Maria non c’è, ma non è insolito. Dorme quasi sempre a casa della sua ragazza. Vorresti avere anche tu una ragazza con un appartamento dove andare. La novità della vita al dormitorio è passata. Sei già stufa delle pareti di cemento e del poster di Pulp Fiction di Maria, che non sta mai attaccato per più di cinque giorni consecutivi. Sei stufa di fare la doccia con le ciabatte e dei bagni in comune e della lavagna bianca sulla porta che non si cancella. Sei stanca che le cose spariscano senza poter sapere per certo se siano state rubate o solo andate perse. Sei stanca dell’odore di corpi, di sesso, di sporco, di campi da calcio, di calzini, di erba, di pizza e ramen vecchi di una settimana, di asciugamani umidi, di lenzuola cambiate due volte a semestre. Se quello della stanza di fronte mette Crash into Me un’altra volta, muori. È la sua canzone da rimorchio. Il peggio del peggio. E sembra tutto ancora più intollerabile, quando hai passato una lunga giornata al lavoro.
Però non sei stanca fisicamente e vorresti qualcuno con cui parlare di tutto. Pensi di chiamare tua mamma, ma non lo fai. È tardi e ci sono cose che lei non capirebbe.
È tardi.
Controlli la posta elettronica sul computer della tua compagna di stanza. Ha lasciato aperto il browser sul blog di una donna che lavora nella moda. Ultimamente chiunque ha un blog. Ne leggi un pochino. L’autrice posta foto dei vestiti che si mette, con la testa tagliata, e spara a zero sul suo capo e sull’ambiente sessista dell’industria della moda.
Potresti farlo anche tu.
Ti sdrai sul letto e tiri fuori il tuo portatile, decidi di aprire un blog.
Decidi che sarà anonimo, perché vuoi poter parlare apertamente delle tue esperienze. Non vuoi che ti condizioni, in futuro. È un modo per sbollire un po’.
Scrivi.
Sono solo l’ennesima stagista del Congresso.
Primo giorno di lavoro e sono già nei guai. Ho sottratto fondi alla campagna elettorale? Ho fatto una scenata davanti a un elettore o davanti al membro del Congresso? Ho organizzato un’infiltrazione stile Watergate e poi ho tentato d’insabbiare tutto?
No, lettori immaginari. Ho solo INFRANTO IL DRESS CODE.
In fatto di abbigliamento, gli stagisti devono seguire un certo regolamento, e io pensavo di averlo fatto. Ma le mie TETTONE la pensavano diversamente...
Perché il problema è tutto lì. Se a essere vestita com’ero vestita io fosse stata una stagista meno dotata, a quest’ora sarebbe nei guai? Credo proprio di no. Questo significa che il codice di abbigliamento per le stagiste prevede due pesi e due misure, a seconda del fisico che hai. Il che, lettori immaginari, è una merda.
E, comunque, cosa avrei dovuto fare? Nel primo semestre di università ho messo su undici chili. Volevano che mi rifacessi il guardaroba? Lo sapete che GLI STAGISTI NON VENGONO PAGATI? I maschi sono vestiti come gli sciattoni che lavorano nei call center dell’assistenza tecnica. Magari mi compro anch’io un paio di pantaloni kaki e una camicia di jeans e stop.
Parlando d’altro. Oggi ho incontrato il Big Kahuna. Avete presente Gaston, del cartone La Bella e la Bestia? Gli somiglia, e pure più muscoloso.
Vi sembra strano che io abbia sempre pensato: «Dai, Belle, scegli Gaston. Non è mica tanto male. È bello. È ricco. Gli piaci. Un po’ egoistico, ma chi non è un po’ egoista? Sul serio, Belle, non andare con la Bestia. Quello vive da solo in un castello e ha un pessimo carattere e il suo migliore amico è un servitore che è un candelabro! Tutte cose che dovrebbero metterti in guardia, ragazza. E poi, casomai ti fosse sfuggito, è una BESTIA!»?
Vostra
E.S.D.C.
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