Quaranta

La tavolata, nella sala rinfreschi del Grand Hotel di Rimini, è una di quelle che un osservatore esterno faticherebbe a classificare. Cosa può essere? Un matrimonio? Ma chi sono gli sposi? Un battesimo? E il battezzato? Una cena di famiglia? Ecco sì, forse una cena di famiglia allargata, visto che Costanza Confalonieri Bonnet, Connie per molti dei presenti, ha riunito intorno a quel tavolo le sue due famiglie, quella biologica e quella logica, cioè conseguente al lavoro che si è scelta.

È lei che siede a capotavola, anche se una volta nonna Carlotta, grande assente, le ha detto: «Preocupes no dove ti fanno sedere. Capotavola l’è indua te se setet giò ti». Alla sua destra Andreino, che nel pomeriggio ha portato a casa da Cesena i due punti di sua competenza per il Tc Ambrosiano. Uno nel singolare e uno nel doppio. Nel singolo ha battuto il numero uno del Tc Cesena, che è anche il 625 al mondo per la Fit. 6-4, 6-7, 6-3 il punteggio. Tutto questo a tredici anni. Di fianco a lui c’è il suo maestro e papà Federico Restelli, bello e interessante come uno che non ha dovuto aspettare i quarant’anni per essere bello e interessante. La contessa madre Olivia Confalonieri Bonnet è seduta di fianco a lui e, tutto sommato, non le sarebbe dispiaciuto se Federico fosse diventato, ufficialmente, suo genero. Anche se… un maestro di tennis… mah…

All’altro capo del tavolo, Leo Liverani, lo storico compagno di Olivia. Il quasi marito. Anche se… un comico… mah… Leo avrà già firmato trenta autografi e fatto una cinquantina di selfie da quando è sceso dalla camera. Ma essere al centro dell’attenzione non lo disturba per niente. Il contrario, semmai.

La squadra di Costanza al completo conclude il giro della tavolata. Cecilia Cortellesi, Orlando Seneca Appicciafuoco e Emerson Leichen Palmer Balducci. Che, tra l’altro, è vestito in maniera controversa. Impeccabile per il matrimonio di un calciatore. Peccabile per quasi tutte le altre occasioni. Chiude la dottoressa Myrta Albanese, alla sinistra di Connie. È lei a dire: «Se fossimo in un film di Poirot e questa fosse l’ultima scena, uno di noi sarebbe l’assassino».

Ridono tutti, anche Emerson, perfino lui sa chi è Poirot.

Comincia la sequenza dei piatti, firmati e spiegati personalmente dallo chef Davide Vecchioni, mentre si accendono le piccole conversazioni periferiche, consuete nelle tavolate numerose.

Costanza sta raccontando a suo figlio che l’indagine non si può dire chiusa fino al ritrovamento del denaro.

Orlando è tutto preso da Olivia che, a sua volta, è affascinata da questo intellettuale della Magna Grecia, che sa di Socrate, di Tomasi di Lampedusa, di Leonardo Sciascia e di Fabio Volo. L’esatto opposto di quel simpatico cretinetti di vice sovrintendente romagnolo, che sta facendo il filo alla giovane e carina agente bergamasca. Per farsi bello, le ha appena detto, Olivia e Orlando hanno sentito benissimo, che se non fosse in Polizia vorrebbe essere in una di quelle organizzazioni che aiutano il prossimo in giro per il mondo. «Hai presente Emergensi? Oppure Medici Senza Pazienti?» Così, ha detto così.

Federico Restelli sta spiegando a Myrta che Andreino non ha ancora deciso cosa fare dopo le medie. Lui lo spinge verso il liceo scientifico, perché anche nel tennis i numeri sono importanti. Le classifiche, le statistiche e poi la fisica, la biomeccanica sono materie ormai fondamentali nell’allenamento di un tennista.

«Anche se la fisica» si intromette Leo «non è che sia la materia preferita in famiglia» con quel “in famiglia” è evidente che Leo si sta un po’ allargando. Olivia prende mentalmente nota. «Mi ricordo che al mio esame di fisica all’università c’era un professore terribile.» Connie scambia un’occhiata con sua madre. Tutte e due hanno capito che sta andando di repertorio. E quando mai l’ha fatta l’università, Leo? Va bene, sentiamolo.

«Avevo quattro studenti prima di me. Il primo si siede e il prof gli dice: “È in treno. Fa caldo. Cosa fa?”. “Be’, apro il finestrino.” “Bene, ora mi calcoli la variazione di entropia.” “Ma mi servirebbe qualche dato in più.” “Niente da fare. Non la sa? Allora avanti un altro.” Al secondo, al terzo, al quarto, stessa domanda, stessa scena. Finalmente tocca a me. “È in treno, fa caldo. Cosa fa?” “Mi tolgo la giacca.” “Okay, ma fa sempre caldo, che fa?” “Sfilo la cravatta.” Il prof si spazientisce. “Ma fa ancora caldo, cosa fa?” “Slaccio la camicia.” “Fa sempre caldo, che fa?” “Senta prof, può fare tutto il caldo che vuole, ma io non lo apro quel cazzo di finestrino!”»

Risate di tutti, tranne che di Olivia e Connie che quella barzelletta l’avranno sentita un centinaio di volte. Leo però il suo scopo l’ha raggiunto, ora tutta l’attenzione è su di lui. E se date l’attenzione a un comico, poi non pretendete che ve la restituisca. Lo spettacolo ha le sue leggi.

Intanto, dopo le ostriche con burrata e lamponi e l’astice in brodetto della riviera, adesso Natasha sta servendo il bianco di spigola con carciofi e croccantini di calamaretti.

Ma Leo è sempre più sul pezzo e ora sta intortando Cecilia, senza uscire dalla sua comfort zone che stasera è nei paraggi di Quark.

«La fisica, in realtà, io la odio» sta dicendo quasi serio. «Come la matematica. La chimica invece mi ha sempre appassionato. Per esempio, mischio io la mia acqua: due parti di H e una di O. Guai! Non mi fido di nessuno!»

Cecilia ride.

Olivia alza gli occhi al cielo e sussurra a Connie: «Questa non è neanche sua».

Leo riprende: «La chimica, in realtà, mi serve. Io sono un grande appassionato di fotografia. Scatto, sviluppo e stampo tutto da solo. Ho una camera oscura a casa mia e una a casa di Olivia, con solfito e carbonato di potassio e poi idrochinone e glicol dietilenico. Tutto quello che serve per sviluppare e stampare».

A Costanza, all’altro capo del tavolo, arrivano frammenti di quel discorso, singole parole, frasi spezzettate. Eppure qualcosa di quel cicaleccio indistinto la colpisce. Non le è chiaro cosa, ma sente le vertebre lombari informicolarsi e bruciacchiare. Significa, lei lo sa bene, che qualcosa sta cercando di attirare la sua attenzione. Ora dovrebbe zittire tutti e concentrarsi per interpretare l’intuizione.

Invece è troppo stanca. Beve un sorso di Müller Thurgau e torna ad ascoltare gli altri.

Orlando sta parlando a Olivia delle difficoltà che si incontrano a gestire una fondazione come la 21 marzo.

«Sì, qualche finanziamento dalla Regione arriva, col 5 per mille poche briciole, perché il resto va quasi per intero alle big company. Non ci lamentiamo, per carità. Però è durissima. Per fortuna in Italia esiste il volontariato, che è il vero orgoglio di questo Paese.»

Emerson intanto sta spiegando ad Andreino che il mondo si divide a metà.

«Quelli che la piada la mangiano con la rucola e lo squacquerone, quelli con la mozzarella e il prosciutto e quelli con le verdure gratinate.»

Andrea sta pensando a un mondo diviso in tre metà e fa fatica a metterle insieme, quando Natasha e Davide entrano con il dessert. Crema morbida di marron glacé con cialda calda di meringa e gelato di pinoli.

Applausi.

Telefonini.

Foto.

«Un momento!» dice Leo Liverani. «Se permettete, qui il fotografo sono io!»

Ancora applausi. Leo tira fuori da uno zainetto nero una piccola macchina fotografica.

«Ladies and gentlemen, vi presento una Leica M6 del 1989. Piscinina, bruta e cativa, ma invece un gioiello. Che ha in pancia una pellicola b/n Agfapan 100. La foto che farà sarà un quadro. Chef, ce la scatta lei, per favore? Deve solo premere qua.»

Il gruppo si schiera. Lo chef prende la piccola macchina nera e scatta, scatta ancora. Tutti ridono.

Tranne Costanza.

Il formicolio è salito, ora ha investito tutta la colonna, su fino alle vertebre cervicali. Ma non c’è più bisogno di zittire gli altri per concentrarsi. Il vice questore Costanza Confalonieri Bonnet ha capito. Adesso, ha capito tutto.

Si stacca dal gruppo, prende Balducci per un braccio e lo spinge in un angolo della sala. Gli dice: «Emerson, fammi vedere il filmato che hai fatto col telefonino al Lady Godiva».

Lui ci mette un attimo. Schiaccia il triangolino del play e lo gira verso Connie.

«Ferma qui!» ordina Connie. «Ingrandisci.»

Sul piccolo schermo, fissata allo specchio del make-up, c’è la foto di Vagano, tra Pandora e Karina. Connie, con pollice e indice della mano destra, ingrandisce ancora di più l’immagine. Poi restituisce il cellulare a Balducci e gli dice: «Chiama gli altri. So dove sono i soldi».

Cecilia e Orlando, accompagnati da Emerson, raggiungono Costanza in un salottino di fianco alla sala da pranzo. Connie è seduta su un divanetto di velluto rosa. Di fronte a lei, tre poltrone uguali su cui prendono posto i suoi. Sei occhi sono fissi su Costanza che, invece, guarda in basso, un punto imprecisato del tavolino che sta tra loro. Immobile, guarda lì e non parla. Però si morde il labbro.

Ci sono momenti in cui quello che stai provando è così assoluto che, se lo condividi, rischi di diluirlo, di fargli perdere maestosità. Questo, per lei, è uno di quei momenti, per cui esita, sempre con lo sguardo su quel punto imprecisato.

«Dunque?» chiede Appicciafuoco facendo fatica a nascondere l’irritazione per l’attesa.

Okay, pensa Costanza, me la sono goduta abbastanza. Solleva lo sguardo e dice: «Ho capito dove sono i soldi. Ma prima di dirvi tutto, lei, ispettore, deve fare una cosa. Chiami il suo amico Sauro Pari e gli dica di precipitarsi qui».

L’ispettore capo Appicciafuoco, abituato a eseguire gli ordini senza domandare, chiama il suo presidente.

«Venti minuti e arriva» riferisce. «Ri-dunque?»

«Emerson, fagli vedere il filmato del camerino di Karina. Stoppa sulla foto, ingrandisci. Adesso guardate dietro a Vagano e alle ragazze. Avete capito dove hanno scattato la foto?»

«Alla rotonda del Grand Hotel» risponde Emerson. «Quella è la macchina fotografica gigante che c’è prima del parco.»

«Giusto. I soldi sono lì dentro. Sicuro come l’oro. E li abbiamo sempre avuti davanti al naso. Cecilia, cerca in internet qualcosa su quella macchina.»

Si vede che, con quelli che ci sanno fare, le connessioni sono in soggezione, perché passa un attimo e la Cortellesi legge: «Nell’inverno del 1948, Elio Guerra costruì di sua iniziativa la Ferrania Galileo, il negozio-macchina fotografica ispirato al modello Condor II. Doveva servire come negozio d’appoggio per il suo lavoro di fotografo estivo in spiaggia».

«Capite?» chiede Costanza.

«Capisco» risponde subito Orlando, ragionando ad alta voce. «Quando è arrivato a Rimini sulle tracce di Pandora, Vagano, cioè l’ingegner Maurizio Fornari, ha visto la macchina Ferrania e l’ha letta, nella sua testa confusa, come un segno, si è sentito di nuovo a casa. Lui della Ferrania era stato il direttore e, nella sua follia, lì ci vedeva la sua nuova casa, che, guarda caso, era anche quella vecchia.»

«In quell’ex negozio fatto a macchina fotografica c’è sicuramente una porta e in quella porta c’è una serratura che si apre con questa chiave. Matematico.»

«Sì, è sicuro, sentite qua: “La Ferrania Galileo divenne uno dei luoghi più fotografati di Rimini. I turisti si mettevano in posa e si facevano fotografare come davanti all’Arco di Augusto, o al ponte di Tiberio. Nel tempo cambiarono le sue funzioni, da negozio a punto d’informazione turistico”. Vuol dire che è cavo. Vuol dire che dentro è abitabile!»

«Porca boia, muoviamoci allora!» sbotta Emerson che interpreta anche l’impazienza della Cortellesi. «Diobo’ perché dobbiamo aspettare l’arrivo dell’attorino? Io non lo so.»

«Io, invece, credo di sì» gli risponde Orlando. «Sapete cosa succede quando un privato cittadino trova un oggetto smarrito e lo consegna all’autorità, visto che non ne conosce il proprietario? Secondo l’articolo 927 del Codice civile, questo diligentissimus vir ha diritto al 10 o al 5 per cento del valore dell’oggetto a seconda dell’entità. Quindi, per risponderti Emerson, se l’attorino trova le valigie, qualcosa porta a casa.»

«Attorino a chi?» Sauro Pari è entrato in quel momento e ha ascoltato l’ultima parte del discorso del suo amico Orlando. «Informo che il sottoscritto attorino, nel 1985 al Morlacchi di Perugia, ha fatto il Riccardo III davanti a Carmelo Bene, che poi è venuto in camerino…»

«Signor Pari» lo interrompe Costanza «adesso lei scende in piazza, va giù alla Ferrania Galileo, la macchina fotografica, cerca la serratura e la apre con questa chiave. Noi la seguiremo dalle finestre del Grand Hotel. Lei entra, trova quel che trova, poi telefona al suo amico Orlando e noi la raggiungiamo immediatamente.»

Sauro Pari non fa domande, prende la chiave che lei gli sta porgendo e si avvia verso l’uscita.

Gli agenti della Squadra mobile raggiungono una delle vetrate della sala da pranzo dalla quale si vede distintamente, semisommersa dalla neve, la monumentale Ferrania Galileo.

Appicciafuoco si avvicina a Costanza e le dice: «Non le pare un po’ forzata questa storia che sia Sauro a trovare le valigie?».

«Un po’? Mi pare forzatissima, sì. Però, avendo quasi sicuramente dalla nostra il magistrato e il questore, ho pensato che era giusto provarci. Al massimo continuerete ad accontentarvi del 5 per mille.»

«La sa una cosa? Che se va in porto questo babbiu noi ci cambiamo il nome in Squadra nobile di Rimini.»

Senza averci capito granché, ma con la precisa sensazione di essere stati tutti convocati, anche gli altri commensali si alzano e vanno verso la vetrata.

Sauro Pari ha raggiunto la macchina fotografica gigante. La neve intorno supera il metro di altezza, ma i mezzi hanno lavorato bene e il perimetro della Ferrania Galileo è calpestabile. Deve fare il giro due volte per individuare la porta, quasi invisibile, e vedere la piccola serratura. Aiutandosi con la pila del telefonino, Sauro infila la chiave e dà i due giri canonici.

Apre la porta ma non entra. Si gira invece verso il Grand Hotel, fa partire la telefonata a Orlando e intanto fa segno di raggiungerlo. Neanche due minuti e Costanza con tutta la Squadra è lì. È lei che entra per prima.

Le valigie sono subito oltre la soglia, Costanza quasi ci inciampa. Accende anche lei la pila. Praticamente è un minilocale, saranno tre-quattro metri per uno-uno e mezzo, pensa. Per terra un materassino con un sacco a pelo, poi una lampada e un fornello da campeggio, un tavolino e una sedia pieghevoli, un piatto pulito, un coltello, una forchetta (evidente che non riceveva) e scatolette varie di cibo. E ancora libri, un sacco di libri ovunque nel poco spazio. Sul bancone (che di «one» ha proprio poco), di quando la Ferrania Galileo era un negozio, c’è quello che sembra l’occorrente per sviluppare i rullini fotografici: bacinelle di plastica, un kit chimico, guanti di gomma, un termometro, delle mollette. E i negativi sviluppati? Sono in una cartelletta appoggiata sopra ad alcuni libri. Costanza li trova, ne sfila una striscia e, appoggiando il telefonino al ripiano, li fa scorrere contro il fascio di luce della pila. Sono foto di una consegna. Si vede chiaramente, nonostante le piccole dimensioni dell’immagine, Berhanu Nega che passa una valigia a due uomini in giacca e cravatta. Costanza le fa vedere all’ispettore capo.

«Per me siamo a San Marino e loro sono funzionari della Gotfin che ricevono un carico. Probabilmente il penultimo, sono vestiti pesante ma non da freddissimo. Per me siamo verso Natale» dice Appicciafuoco.

«Anche per me. E le foto, da lontano, le ha chiaramente scattate Pandora con la Nikon che aveva in casa. Forse per crearsi una specie di assicurazione, oppure per farci un regalo una volta scappati in Etiopia, non lo sapremo mai» risponde Costanza.

«Però sapremo presto chi sono questi due e mi sa proprio che i soci della Gotfin, quest’anno, i dividendi glieli mettono nel pane insieme alla lima.»

«Portiamo via tutto. Facciamo stampare e ingrandire, che queste foto per noi valgono più dei milioni nelle valigie. Lo dobbiamo a Pandora e a Karina. Anche agli altri, ma a loro due di più» dice Costanza, abbassando la testa per uscire dalla macchina fotografica.

Fuori, non ci può credere, c’è Leo Liverani che sta regalando una cartolina autografata a uno che le sembra di aver già visto. Ma sì, è il preside Pisani, quello che ha scoperto il cadavere di Vagano.

«Commissario, che piacere incontrarla di nuovo! Ha visto? Non nevica più» le dice il vecchio professore.

«Dottor Pisani, vero?»

Il preside annuisce.

«Che ci fa qua? Usciva il cane?»

«Ah, vedo che le è rimasto impresso l’uso popolare del verbo intransitivo come transitivo. È quello che noi grammatici etichettiamo con la glossa di “meridionalismo”. Il fatto è che nel linguaggio parlato… Linda! Vieni qui!»

Il labrador del professore si è infilato nella Ferrania Galileo. Balducci si precipita dentro e dopo un attimo esce tenendo il cane per il collare. Linda ha in bocca i guanti di plastica di Vagano. Sono gialli.

«Grazie Linda» dice Pisani prendendo i guanti. «Ma questi non mi servono più. Ne ho preso un altro paio.»

Costanza e Orlando si guardano perplessi, poi l’ispettore chiede: «Perché, questi suoi sono?».

«Sì, glieli avevo prestati, all’ingegner Fornari intendo, una settimana fa. Me li aveva chiesti l’ultima volta che gli ho portato i libri. Era un gran lettore, sa? Io i libri glieli davo volentieri, tanto che me ne debbo fare ancora? Poi, soprattutto d’estate, la notte stavamo le ore su quella panchina a commentarli. Personaggio complesso ma una gran testa. Mi aveva raccontato tutta la sua storia. Incredibile e agghiacciante.»

Costanza guarda Orlando e poi Emerson e Cecilia. Sono tutti stupefatti. Impietriti.

«Ma scusi, professore, lei non legge i giornali? Non guarda la tivù?» A Costanza viene voglia di aggiungere: CAZZO! Ma non lo fa.

«Per carità, signora mia! D’altronde Nec scire fas est omnia, non è concesso sapere tutto. Io mi accontento dei miei libri e del mio piccolo sapere e, per quel che mi resta, mi basta e avanza. L’ingegnere, purtroppo, è un altro capitolo della mia storia che si chiude. È un peccato. Io soffro d’insonnia, sapesse che sollievo era per me trascorrere le notti con Fornari su quella panchina. Andiamo, Linda. Buonanotte, commissario.»

Costanza Confalonieri Bonnet pensa che si merita la retrocessione a commissario. La sua squadra non ha ancora capito se è il caso di mettersi a piangere. Se quella prima notte a qualcuno di loro, a uno qualsiasi, fosse venuto in mente di chiedere al preside «Ma lei, questo qui, lo conosceva?» cosa sarebbe cambiato? Certo che anche lui però…

Stanno arrivando le volanti che prenderanno in consegna le valigie milionarie e metteranno in sicurezza la Ferrania Galileo.

Costanza, silenziosa, prende per mano Andreino e si avvia verso il Grand Hotel. Piano piano, la seguono tutti. E adesso? Nonostante l’ora nessuno ha sonno.

«Spaghettata?» butta lì Leo per alleggerire.

Olivia lo fulmina con uno sguardo.

Federico Restelli alza fino al mento la lampo della giacca a vento.

Orlando Appicciafuoco ha male a un ginocchio e trascina la gamba destra.

Myrta Albanese sospetta di covare un raffreddore.

Sauro Pari declama a mezza voce il Riccardo III: «Ora l’inverno del nostro scontento è reso estate gloriosa…».

Emerson Balducci gli è venuta una mezza idea.

Cecilia Cortellesi le è venuta l’altra mezza.

Il preside Alcide Pisani soffre d’insonnia.