Dodici
Il ritorno alla Questura di Rimini degli agenti della Squadra omicidi non assomiglia di sicuro al ritorno da una gita di piacere. Niente più sirene e niente più lungomare. Ingresso sulla A14 al casello di Cattolica, come se i nuovi fatti imponessero di prendere una nuova strada.
Tutti, all’interno della volante, stanno facendo i conti con quello che hanno appena visto nell’appartamento del piccolo condominio di Portoverde. Ci sono immagini che non sbiadiscono col tempo. Non c’è passare dei giorni, dei mesi, degli anni che possa allontanarle dalla testa di chi le ha vissute. Resteranno lì, nella mente di ciascuno. Al centro, in un angolo, sopra, sotto, chissà. Ma resteranno lì. Per sempre.
Tocca naturalmente a Costanza, il capo, rompere il tesissimo silenzio.
«Mi domando se quello che abbiamo visto, a parte l’orrore, ci spinga avanti o ci porti indietro nell’indagine. Adesso sappiamo che i tre delitti non solo sono collegati, ma non c’entrano niente con il razzismo, l’intolleranza, la xenofobia, insomma tutte quelle robe che piacciono tanto ai media e non dispiacciono neanche a noi perché restringono il campo. Abbiamo la certezza che non è così. Quindi siamo fortunati a esserci liberati di un movente odioso, o sfortunati per esserci portati a casa un’indagine così ignorante e disumana?»
«È il paradosso di Yamaguchi» commenta Orlando, Seneca, Appicciafuoco mentre guida.
A quelle parole segue un lungo silenzio. Nessuno ha idea di chi cazzo sia Yamaguchi. Alla fine è sempre Costanza a buttare lì un timido: «… Che sarebbe?».
«Il 6 agosto del 1945 l’ingegner Tsutomu Yamaguchi, in viaggio per lavoro, scendeva dal treno alla stazione di Hiroshima nel preciso momento in cui, a tre chilometri di distanza, cadeva sulla città la bomba atomica. Subì gravissimi danni alla vista, all’udito, alla pelle, ma dopo due giorni passati in un rifugio volle tornare a casa dalla moglie.»
«Non ci credo!» dice Costanza che pensa di aver capito il finale.
«E invece è tutto vero» riprende Seneca Orlando. «Yamaguchi arriva a Nagasaki il 9 di agosto e dopo dieci minuti arriva anche la seconda bomba atomica.»
«Osta che sfighed!» questo naturalmente è Emerson.
«Il paradosso è proprio questo» conclude Orlando. «Yamaguchi è sfortunato perché si è beccato due bombe atomiche in tre giorni, oppure è fortunato perché è sopravvissuto appunto a due atomiche, morendo, pensate, a novantadue anni?»
Nessuno risponde perché il cellulare di Costanza inizia a trillare. È il signor questore. La sua vice lo aggiorna, gli racconta la rava e la fava e scopre, senza nascondere il suo fastidio, che per le dodici è stata convocata una conferenza stampa.
«La più difficile della mia vita» commenta il dottor Pagani.
Figurati della mia, pensa la dottoressa Confalonieri Bonnet riattaccando.
Visto che ha il telefono in mano, Costanza chiama il sostituto Maltese che, dopo aver ascoltato il resoconto sul ritrovamento della nuova vittima, autorizza la rimozione del cadavere per l’esame autoptico.
Poi Costanza telefona subito al medico forense. Ha davvero bisogno, ma un bisogno disperato, di sentire una voce amica.
«Ciao Myrta. Mi si spacca il cuore a parlarne, ma ti arriverà il corpo di una povera ragazza. Si chiama Pandora Grasso. A occhio e croce è stata uccisa come Vagano e Berhanu Nega. Ma quello che mi serve è l’ora della morte e il Dna. Confrontalo con quello del clochard perché credo che ci sia un legame tra loro. Ti ricordi la bambolina della foto nel calzino?»
«Certo che sì. E allora?»
«L’abbiamo trovata nell’appartamento di Pandora.»
«Porca di una puttana troia!»
«È così. Un’altra cosa, amica mia» Costanza si interrompe un attimo per mandare giù il groppo che ha in gola. «I corpi che ti arriveranno sono due. Pandora era incinta.»
Il sindaco Riccardo Milani tempesta Costanza di chiamate. Ma viene totalmente ignorato. Primo, perché sull’auto ci sono testimoni, secondo, perché i testimoni in questione di professione fanno gli sbirri e allora è un attimo fare due più due. Anche per Emerson Leichen Palmer Balducci.
Il telefono del vice questore torna così nello zainetto blu della Nava. Non serve più perché adesso è arrivato il tempo degli ordini ai suoi.
«Tu, Cecilia, chiami l’ambasciata d’Etiopia e poi rintracci i genitori di Pandora, i signori Grasso, li avvisi di quello che è successo e li convochi prima possibile in Questura qui a Rimini.»
Cazzo! Perché io? pensa la Cortellesi.
«Perché sei una donna» risponde Costanza tra lo stupore dei maschi, che non avevano sentito alcuna domanda. «E le donne» riprende Costanza «hanno una sensibilità su questi argomenti che agli uomini, diciamo così, fa parecchio difetto.»
Okay sono una donna, ma sono anche di Bergamo, pensa, quasi fosse una giustificazione, Cecilia.
«Non è una buona scusa, fallo e basta. Bergamo o mica Bergamo» conclude il vice questore, mentre Cecilia vorrebbe pensare: come cazzo fa? ma rinuncia. Orlando nello specchietto guarda Emerson e insieme allargano la mascella e sbadigliano per sturare le orecchie che, evidentemente, funzionano un po’ come vogliono loro.
«Lei, ispettore Appicciafuoco, vada invece al Lady Godiva. Cerchi di capire se qualcuno sapeva del legame tra Pandora e Vagano.»
«I night non sono propriamente i miei habitat naturali, dottoressa, ma, siccome mi rendo conto che di omicidi nelle biblioteche c’è scarsezza in questo periodo, andrò al night. Chi me lo doveva dire, però.»
«Tu, Emerson, hai la chiave di Vagano. Dopo i ferramenta… o i ferramenti, Orlando?»
«Ferramenta, è un plurale femminile irregolare. Meglio dire però “negozi di ferramenta”.»
«Grazie. Dopo aver chiesto ai negozi di ferramenta in città, dicevo, parti dal primo bagnino al porto canale e, con quella chiave, cerchi di aprire tutte le cabine fino in piazzale Kennedy.»
«Osta, ma sono centinaia!» piagnucola il vice sovrintendente.
«Fai dei duplicati, visto che sei già dal ferramenta, e ti fai aiutare da qualche agente. Dobbiamo assolutamente scoprire cosa apre quella cazzo di chiave, o quella chiave del cazzo, scegliete voi.»
Emerson però non è convinto e butta lì: «Stia a sentire dottoressa, ma una volta che ho girato tutti i ferramen… tutti i negozi di ferro… Porca boia non mi viene, posso dire chiavai?». Emerson si rende subito conto, dal silenzio e dagli sguardi dei suoi colleghi, che non è solo «La Settimana Enigmistica» a tendergli trabocchetti. Anche la lingua italiana, nel minestrone dei sostantivi travestiti da passati remoti, può essere vigliacca la sua parte. Quindi arrossisce e la chiude lì.
«Ancora una cosa» questa è Costanza che, generosamente, sorvola sugli imbarazzi di Emerson «qualcuno di voi ha notato un telefonino nel monolocale? No, eh? Secondo me non è credibile che Pandora non l’avesse, quindi sentiamo subito la Scientifica. Se confermasse che non c’è, be’ da qualche parte deve pur essere e, forse, da qualche parte ci potrebbe portare. Naturalmente dobbiamo scoprire, prima, che numero aveva, per cui, Cecilia, occupatene tu.»
«Come fatto, dottoressa.»
«Bene, allora tutti per strada e ci rivediamo, se avete finito, in Questura dopo la conferenza stampa. Ma, se ci sono novità, noi i cellulari invece li abbiamo, giusto?»
A Rimini ha smesso di nevicare. L’atmosfera in corso d’Augusto, dove le volanti hanno appena parcheggiato, è davvero suggestiva. Lo spazzaneve non è ancora passato, tanto la zona è a traffico limitato. Così le impronte dei passanti disegnano una ragnatela di tracce che potrebbero suggerire a qualche ufologo un’analogia coi disegni di Nazca.
Mentre gli agenti della Squadra omicidi scendono per dipanare le rispettive matasse, Costanza si trattiene sulla Bmw della Polizia. Sta mandando un sms a Riccardo Milani: «Ciao Riki, la situazione è sempre più drammatica, però ormai è sicuro che non ci sono squadroni della morte dietro agli omicidi. I riminesi sono estranei. Rimini, vedremo». E invia.
Dopo cinque secondi arriva la risposta: sono sette punti di domanda.
Ma ora non ho tempo per rispondere neppure a uno, pensa il vice questore Costanza Confalonieri Bonnet, Connie per i sindaci.