Venticinque
Costanza Confalonieri Bonnet entra nell’ufficio del suo superiore, il dottor Umberto Pagani, senza bussare. Lui sta sfogliando i giornali e neanche se ne accorge.
Lei, senza salutarlo, gli dice: «Signor questore, siamo in ritardo. Il dottor Maltese ci sta aspettando al Palazzo di Giustizia».
Pagani la guarda un po’ interdetto. Non gli risulta alcun appuntamento. Sta per chiedere lumi, ma Costanza lo precede.
«Venga, lo sa che è urgente.»
Il questore è ancora frastornato, ma ubbidisce. Segue l’istinto di chi è sposato da trent’anni. Mentre scendono le scale, Costanza gli dice all’orecchio: «Siamo spiati. Ho la certezza che microspie sono state piazzate in Questura, ma non so esattamente dove. Quindi anche il suo ufficio potrebbe non essere pulito».
Intanto lo prende per il gomito sinistro e lo guida verso la volante con il motore acceso in attesa davanti all’ingresso.
Il questore Pagani ha tantissime qualità. La pazienza, l’esperienza, una certa sagacia e un solo neo: un difetto uditivo quasi totale all’orecchio sinistro. Insomma, è pressoché sordo dalla parte dove si è messa Costanza. Di quel che lei gli ha appena sussurrato, lui ha capito solo «ufficio pulito», per cui gli verrebbe da dire: «Per un po’ di polvere, via…». Ma sempre quei trent’anni di matrimonio gli suggeriscono di soprassedere.
Il capo della Questura di Rimini e quello della Squadra mobile salgono sull’auto della Polizia.
Costanza ordina all’agente di portarli al Palazzo di Giustizia e di mettere la sirena. L’autista esegue.
La radio della pantera è sintonizzata su Deejay. Sono le nove e cinque e in onda c’è Fabio Volo. Costanza, quando se ne rende conto, lo considera di buon auspicio.
Questa volta si è seduta, per caso, alla destra di Pagani, la parte audio attiva, e in mezzo a quel frastuono cerca di spiegargli tutto. Quasi tutto. E cioè che forse quelle precauzioni sono eccessive, però nessuno sa con esattezza dove siano state piazzate le microspie, potenzialmente potrebbero essere ovunque e quindi, soprattutto in questa fase cruciale dell’indagine, rischi non se ne possono prendere.
Il questore annuisce. Quanto abbia capito è difficile da stabilire. Però uno diventa questore anche per questo. Anzi, probabilmente l’esame di Farfintadicapire è un esame catenaccio prima di arrivare alla laurea in Questurologia. Chissà. Fra qualche anno, Costanza verificherà di persona.
La volante parcheggia davanti al Palazzo di Giustizia di Rimini. I due poliziotti salgono rapidamente le scale per raggiungere l’ufficio del sostituto Giorgio Maltese. Per loro fortuna il piemme, ignaro di tutto, è già lì.
Dopo i saluti, la Confalonieri gli racconta tutto. Questa volta proprio tutto.
Parla a lungo, mentre Maltese prende appunti e Pagani pensa che, forse, lui è già andato in pensione e nessuno glielo ha ancora detto.
Costanza è quasi alla fine del suo intervento.
«Riassumendo. Sappiamo che Berhanu Nega era un corriere che, sfruttando una presunta immunità diplomatica, periodicamente portava soldi a qualcuno a San Marino. Qualcuno che poi, si suppone, aveva il compito di riciclarli. Questi soldi arrivano dal Nord, diciamo dal traffico di stupefacenti, anche se rimaniamo nel campo delle ipotesi. Secondo me, c’era un collettore che aveva il compito di accumulare contante e quando raggiungeva una certa cifra la mandava, tramite Berhanu, a San Marino. Circa una settimana fa, il ragazzo ha la pensata che lo porta diritto al cimitero: ruba, fingendo una rapina, l’ultimo carico. Lo affida alla fidanzata, futura madre di sua figlia, che, a sua volta, lo consegna al padre ritrovato. Vagano lo nasconde, Dio solo sa dove. Poi muore e non ci lascia la mappa del tesoro.»
«Di che cifra stiamo parlando?» chiede Maltese.
«Non lo sappiamo, ma tenuto conto della violenza della reazione e della capacità del doppiofondo della macchina dell’etiope, supponiamo dai 10 ai 20 milioni di euro, a seconda del taglio. Questi soldi chi li cerca? Deve essere per forza una finanziaria, una banca d’affari o un istituto di credito bello disinvolto di San Marino. Qualunque cosa sia è legata a filo doppio con la criminalità organizzata. Ma, al di là di chi c’è a monte, sappiamo che a valle, cioè a cercare i soldi, ci sono dei killer professionisti. Due che, come ha subito intuito il vice sovrintendente Balducci, nascono a Est, come il sole. Quasi certamente due russi, di certo ex militari. Il terzo è un italiano, probabilmente il capo sul campo. Su questi tre abbiamo due testimoni che stiamo cercando per proteggerli.»
Il sostituto procuratore Giorgio Maltese annuisce e le domanda: «E adesso come pensa di procedere?».
«Una trappola. Siccome loro non sanno che noi sappiamo delle microspie, dobbiamo portarli in un luogo dove pensano di trovare quel che cercano. E invece trovano noi. Molto semplice. Si fa per dire, naturalmente. A parte gli imprevisti è chiaro che, se anche tutto funzionasse, noi prenderemmo gli esecutori, ma non avremmo né i mandanti, né il denaro. Però intanto facciamo il primo passo. Piutost che nient l’è mei piutost, diciamo a Milano. E poi speriamo nel Signore, visto che diciamo anche: El Signur ved e pruvved, g’ha larg i brasc.»
Il sostituto Maltese tace. Poi è lui ad allargare le braccia e a stiracchiarsi, come fanno i felini in tutti i documentari del «National Geographic». Anche quelli sugli squali. E, infatti, il magistrato mostra i denti, prima di iniziare a sua volta un lungo discorso.
«Devo dirvi che da almeno sei mesi la Procura di Rimini si sta occupando, con la Dda di Bologna e la Guardia di Finanza, di un sospetto caso di riciclaggio che coinvolge alcune banche d’affari e finanziarie di San Marino. Le indagini sono complesse, perché complessi sono l’oggetto e il contesto. San Marino è uno Stato straniero sovrano e qualsiasi iniziativa giudiziaria o investigativa deve muoversi per rogatoria internazionale. Rogare, in latino significa “implorare” e rende bene l’idea, perché chi implora non è che abbia tanto potere contrattuale, non è che possa mettere fretta. Se a questo poi aggiungete che al Tribunale di Rimini c’è un sottodimensionamento ormai cronico e che le nostre competenze nello specifico non sono certo quelle dei colleghi di Milano, vi siete fatti un’idea delle nostre difficoltà. Comunque sì, a noi risulta che quantità enormi di denaro contante passino il confine per darsi una bella smacchiata nelle lavanderie della Serenissima Repubblica di San Marino. Se volete, vi faccio qualche esempio di come funziona il riciclaggio, così avete un’idea delle nostre difficoltà.»
Ma anche no, pensa il questore Pagani che è disposto a fingere una piccola ischemia pur di non ascoltare la lezioncina del magistrato. Poi gli viene un’illuminazione. Per non ascoltarla è sufficiente porgere l’orecchio sinistro. Basta ricordarsi ogni tanto di fare sì con la testa e abbassare gli angoli della bocca, per dire: «Caspita!». Come quando gli parla sua moglie. Uguale.
Costanza, invece, ha ascoltato tutto con molta attenzione.
Torna in Questura che è quasi l’una. Lascia nel suo ufficio il questore che, le viene da pensare, deve avere avuto un piccolo ictus visto che sono due ore che fa sì con la testa, poi raggiunge i suoi agenti.
Cecilia consegna a ciascuno di loro i cellulari usa e getta già predisposti. Il gruppo di WhatsApp che li riunisce lo ha chiamato Pandora, naturalmente.
Emerson ha messo due agenti sulle tracce di Karina, ma non ha ancora notizie.
Tutto questo viene comunicato al capo per iscritto, mentre a voce Appicciafuoco le dice che in ufficio l’hanno cercata in tanti, visto che aveva staccato il telefonino. La madre, il figlio, il sindaco e Bruno Vespa. Mica pizza e fichi.
Balducci adesso si è tolto la felpa e si è messo la divisa.
Costanza, che non si è neppure sfilata il piumino, dice ai suoi: «Sono in piedi dalle sei e ho fame. Vi invito tutti a pranzo».
La Squadra risale il corso d’Augusto, passa il ponte di Tiberio, che una nevicata come questa nei suoi primi duemila anni non l’aveva mai vista, e si infila nella trattoria La Marianna.
Costanza saluta la signora e si dirige verso la saletta piccola sul retro. Si siede a un tavolo vicino alla finestra.
«Qui non ci può ascoltare davvero nessuno» osserva.
«In te cul al Grande Fratello» le fa eco Emerson Balducci, sedendosi a capotavola.
Fatte le ordinazioni, polenta con sugo di poveracce e strozzapreti con le canocchie per tutti, Costanza aggiorna i suoi sull’incontro con Maltese.
«C’è un fascicolo della Procura su una banca d’affari di San Marino, che si sospetta legata ai Barbaro che, come sapete, sono la famiglia ’ndrangocamorrista più potente di tutta la riviera adriatica. A grandi linee il meccanismo lo conosciamo, la banca riceve i soldi sporchi e li ripulisce. Ma adesso sappiamo anche come, grazie al magistrato. Per esempio, la banca trasferisce il denaro che scotta su un deposito titoli intestato a un prestanome. Questo lo gira a una società estera con sede alle Cayman, Turks e Caicos, insomma quei posti dove non si arriva mai. Intanto una società italiana o sammarinese apparentemente pulita acquista a Bellaria o a Gabicce la Pensione Mariuccia che è in svendita. Oppure l’ex colonia abbandonata da decenni. Compra l’una o l’altra per un’elemosina, visto che nessuno le vuole. Poi la ristruttura con qualche centinaio di migliaia di euro, trasformandola in un hotel a quattro stelle. A questo punto rivende a una cifra esagerata ma non contestabile, indovinate un po’ a chi? Alla società delle Cayman che ha in parcheggio il denaro sporco. Cioè a se stessa. I soldi rientrano puliti, e in più si ritrovano anche un albergo per riposarsi e, chissà, andare a festeggiare i loro affari.»
Una cameriera porta la polenta al sugo di poveracce. Per un paio di minuti nessuno pensa più al riciclaggio e alla Pensione Mariuccia. A Costanza verrebbe da commentare: Se qui le vongole le chiamano poveracce, chissà le cozze. Ma non lo fa. Riprende, invece, la sua lezione.
«Oppure, per rimanere in ambito caraibico, Tizio conclude con Caio, che sta all’estero e ha ricevuto dalla banca i denari, il preliminare per l’acquisto di un’isola. Si pensa in grande, come vedete. Versa così qualche milione di caparra. Ma Caio non adempie e allora scattano le clausole che obbligano a restituire il doppio o il triplo della caparra…»
Costanza viene interrotta dallo squillo del telefonino, quello ufficiale, di Emerson Balducci, che, tra l’altro, era piombato anche lui in uno stato pre-ischemico.
Risponde.
Sbianca.
Chiede: «Dove?» poi riattacca. Ha la voce che gli trema quando dice: «Hanno ammazzato Karina e Zavoli! Al Lady Godiva!».
«Nooo!» urla Costanza.
Cecilia si mette a piangere.
Per un paio di minuti non succede altro. Ognuno è schiacciato dall’orrore dei propri pensieri.