Quattro
Il vice sovrintendente Emerson Balducci viene da Corpolò, piangente località dell’entroterra riminese.
Un tempo, quando tutti, ma proprio tutti giocavano la schedina del Totocalcio che premiava i tredici e i dodici, se uno faceva undici nei bar di Rimini gli dicevano: «Sei sfigato, ma se vai a Corpolò lì l’undici lo pagano». Per dire che, come Parigi era la capitale della moda, Londra la capitale della finanza e Stoccolma quella della patacca bionda, per i romagnoli, che dell’argomento ne sapevano eccome, Corpolò era la capitale dell’ignoranza.
Questo almeno negli anni Settanta del secolo scorso.
Oggi, naturalmente, Corpolò di passi avanti ne ha fatti parecchi e tuttavia il vice sovrintendente Emerson Balducci, classe anagrafica 1989, classe scolastica gli accertamenti sono ancora in corso, be’, lui è uno parecchio attaccato alle tradizioni e poi competitivo ma di brutto, come del resto molti figlioli di Romagna. Insomma, se c’è un torneo di ignoranza lui non ci sta ad arrivare secondo.
Ma è di famiglia, mica credere che sia tutta farina del suo sacco. Il padre Boris, organista Hammond nell’orchestra spettacolo Luci di Romagna di Yuri Poltronieri, era un fan sfegatato del trio inglese di rock progressivo, per cui non aveva avuto dubbi a chiamare il suo primogenito Emerson Leichen Palmer, scritto proprio così visto che quel giorno all’ufficio anagrafe del comune di Rimini, combinazione, era di turno un’impiegata di Corpolò.
Emerson in compenso ha tante altre qualità. È arguto. Anche simpatico, per giunta di quella simpatia tutta romagnola, tirata in casa come le tagliatelle.
Ecco il motivo per cui piace a Costanza, perché la mette quasi sempre di buon umore. Così, quando esce dal suo ufficio e lo vede davanti alla macchina del caffè a tacchinare l’agente scelto Cecilia Cortellesi, la nuova arrivata di Bergamo, esperta di computer e diavolerie elettroniche, non ci pensa un secondo.
«Emerson, andiamo a Miramare, muoviti» gli dice Costanza.
E lui: «Comandi». E poi: «Diobo’ dottoressa, che faccia che ha».
«Perché, che faccia che ho?»
Emerson riflette un attimo e risponde: «Ah di’, ha una faccia da Tigitrè».
«Ah, però! E come sarebbe la faccia da Tigitrè?»
«Ma sì dai, ha presente quando finisce la sigla e inquadrano in primo piano la giornalista e a te che guardi ti scappa da dire: Osta che faccia, cosa sarà successo? Minimo avran messo una bomba atomica in un asilo nido. E infatti lei dice: “Buonasera dal Tigitrè, ci giunge adesso notizia che l’onorevole Paranza ha lasciato il Partito Democratico”.»
Costanza lo guarda e sorride, come può sorridere un poliziotto con due cadaveri carbonizzati sulla groppa.
«Tu dovevi fare il comico, altro che il poliziotto» gli dice. «Hai talento, Emerson, io ne capisco e in te, credimi, il talento c’è. Cristallino. È la cultura che ti fa il giro largo intorno. Per dire, non c’è nessun onorevole Paranza. Forse Speranza, al limite.»
«Paranza, Speranza» risponde Emerson gettando il bicchierino del caffè verso il cestino e mancandolo in pieno. «Sempre di pesci piccoli parliamo, no?»
«Eccolo qui! Quando dico talento esattamente questo intendo. Dai, prendi una volante, metti su la sirena e portami a Miramare, c’è il diavolo che ci aspetta. E stasera, Emerson, guarda il Tigitrè. Vedrai che facce che avranno.»
Sul lungomare a cento all’ora Emerson fa il cinema. Del tutto inutilmente, visto che la litoranea di Rimini alle sette della mattina, per giunta in febbraio, è così deserta che, se non ci fosse la neve, vedere comparire un tuareg che ti vuol lavare il vetro al semaforo di Bellariva mica stupirebbe.
Costanza Confalonieri Bonnet, cintura allacciata, ha il tempo per chiamare il sostituto procuratore della Repubblica di turno.
Non sa chi sia a occuparsi del caso. Poco male, pensa, tanto uno vale l’altro. È fortunata, si becca il dottor Giorgio Maltese che ha già avuto modo di conoscere in un paio di occasioni istituzionali.
Bell’uomo, però biondo. Di Genova, sui quarant’anni. Un Robert Redford al pesto, molto gustoso e, a essere pignoli, anche un filo pesante.
Mentre lo informa meglio, anche se un po’ meccanicamente, sulla tragedia di cui nella notte gli ha già parlato Appicciafuoco, a cui ora si è aggiunto pure il cadavere di Miramare, Costanza non può fare a meno di pensare, con un angolino libero del suo cervello, che a Rimini è circondata da uomini belli. Il sindaco, naturalmente, poi Emerson, e questo piemme. Perfino Orlando Appicciafuoco, il suo esperto ispettore capo, detto Seneca dai colleghi per via della sua cultura – ragguardevole in un ambito civile, smisurata nella Polizia di Stato – è un maturo gigante siciliano, di ceppo normanno e dal fascino aristocratico. Quasi inaudito.
«Sì, dottor Maltese, sto andando proprio adesso sul luogo del secondo omicidio… Direi che non ci sono dubbi che si tratti di omicidio. La aggiornerò quando avrò visto la scena. Per ora auguriamoci buona giornata, sapendo che non lo sarà per niente.»
Eccola là, la Colonia Bolognese. Bellissima nel suo totale abbandono.
Non ci fosse la sirena della volante ad assordare, si sentirebbero soltanto il mare e i gabbiani, capaci di fare casino anche quando non strillano.
I più sensibili sentirebbero anche le grida e gli schiamazzi delle migliaia di bambini che la colonia ha ospitato dagli anni Trenta agli anni Settanta. Gli enormi muri di mattoni rossi ne sono inzuppati e ogni tanto, forse per sentirsi meno soli e abbandonati, ne liberano qualche goccia.
Davanti all’ingresso della Colonia Bolognese il vice sovrintendente Emerson Balducci pianta un’inchiodata che di bolognese ha poco o nulla. La paternità se la contendono Nürburgring e Le Mans. Anche l’acuto stridore delle ruote sembra una lingua straniera. Straniera ma comprensibilissima. Dice: Ma dove cazzo ti credi di essere, pirla?
Costanza Confalonieri Bonnet, invece, guarda Emerson Leichen Palmer Balducci a lungo, dicendogli tutto senza dirgli una parola.
Poi scende e stringe la mano all’ispettore capo Orlando Seneca Appicciafuoco. Poliziotto vero, lui.
«Venga, dottoressa. Il cadavere è là, dove una volta c’era l’ingresso della colonia.»
«Stessa modalità di Vagano?»
«A occhio, la mano è quella. Stessa ferocia e direi anche stessa tecnica, mi sembra proprio identica all’altra.»
Costanza e il suo miglior investigatore raggiungono la scena del crimine.
Cazzo, pensa il vice questore guardando il cadavere a terra, ancora più raccapricciante di quanto lo fosse Vagano sotto la nebbiolina del parco Fellini. Nero è nero, dubbi non ce ne sono. E fin lì… Costanza si morde il labbro inferiore, poi chiede: «Ma secondo lei, Orlando, qui stanno ammazzando le persone o i simboli? Un barbone, un nero…».
«Mah, non saprei. Però, in questo caso, forse possiamo fare un piccolo passo avanti. Il morto qui, meschino, lo conosco. Non mi ricordo il nome, ma sono sicuro che questo è finito sotto processo. Solite storie da poveri, di droga, direi. Appena torniamo in Questura lo rintraccio.»
«Orlando, lei deve essere molto fisionomista, visto come è ridotta la faccia.»
«Non è per la faccia, guardi la mano sinistra. Vede che gli mancano due dita? Un uomo di colore senza mignolo e anulare l’ho arrestato quattro o cinque anni fa. Sono sicuro. Insomma, fra un paio d’ore possiamo sapere come si chiama, i suoi dati. Magari qualcosa ci dicono.»