Due
Costanza Confalonieri Bonnet, stringendosi nel giaccone che aveva infilato sopra al pigiama, percorre i cento metri che la separano dall’ingresso laterale del Grand Hotel in tempo da record, anche se non omologabile per via del maestrale che soffia dal mare a forza quattro.
«Guai, dottoressa?» le chiede Stefano Cangini, il portiere di notte che la accoglie aprendo la porta.
«Una tragedia, Stefano. Hanno ammazzato Vagano, l’hanno massacrato di botte e poi bruciato.»
«Vagano? Madonna benedetta, ma non è possibile! Ma chi? Chi è stato?»
«Qualche nazista, fascista, razzista. Insomma, che finisca per -ista pochi dubbi. Adesso cerchiamo il prefisso. Buonanotte Stefano. Vado su e cerco di dormire un paio d’ore. Domani mi sa che sarà giornata da telegiornali.»
«Buonanotte, dottoressa. Povero Vagano, era l’uomo più buono del mondo.»
Stefano segue con lo sguardo Costanza che si avvia verso gli ascensori.
Dire che se n’era innamorato il primo giorno che l’aveva vista rende bene l’idea ma poco l’intensità del sentimento.
D’altro canto chi non aveva perso la testa per Costanza Confalonieri Bonnet, capo della Squadra mobile di Rimini, trasferita solo quattro mesi prima dalla Questura di Milano e alloggiata nella suite 401, la Gradisca, del Grand Hotel di Rimini?
Mentre la osserva infilarsi nell’ascensore, Stefano pensa che Costanza non solo è la più bella poliziotta d’Italia, ma anche la più bella donna che sia mai entrata al Grand Hotel negli ultimi sette anni, cioè da quando lui è stato assunto.
E sì che di attrici, cantanti, ballerine, insomma strafiche di professione ne aveva checkinate, in tanti anni. Ma Costanza era fuori gara lì dentro. E non solo lì. Stefano la vedeva in semifinale con Monica Bellucci, in attesa della vincitrice dell’altra semifinale, quella tra Claudia Cardinale e Julia Roberts, per lo scettro della più bella donna di tutti i tempi. Via al televoto.
Ma come era possibile che una delle più belle donne del mondo lavorasse in Polizia, e per giunta proprio davanti ai suoi occhi, lì al Grand Hotel di Rimini?
Stefano si era informato – le notti di un concierge sono lunghissime –, si era documentato, aveva chiesto e fatto ricerche approfondite e personali. Alla fine era riuscito a chiudere il cerchio.
Costanza Confalonieri Bonnet, per gli amici Connie, era nata a Milano il 12 giugno del 1981, figlia di Olivia Confalonieri Bonnet e… e basta. Del padre, nessuna traccia. Della madre, invece, di tutto e di più. Olivia era la primogenita di una delle famiglie più importanti di Milano, quelle con il palco alla Scala prima che costruissero la Scala e l’edicola funeraria al Cimitero Monumentale, in mezzo alle tombe di famiglia, un po’ in soggezione, dei Pirelli e dei Campari.
A parte le proprietà immobiliari, sufficienti per l’assegnazione di un Cap, la famiglia aveva un’azienda che si occupava di tessuti. Tessuti d’alta moda. Fondatore il bisnonno Federico che aveva poi passato il testimone, ricoperto di seta, al figlio Ernesto, il padre di Olivia, precipitato, quando Costanza era ancora alle elementari, con il suo aereo privato sulle Dolomiti mentre tornava dal Festival di Salisburgo dove aveva ammirato il maestro Muti che dirigeva La clemenza di Tito di Mozart. Poverino.
Poverini anche quelli che viaggiavano con lui, e cioè i due piloti e una top model americana, grande esperta di Mozart.
E di pompini, avrebbe aggiunto nonna Carlotta, la moglie di Ernesto, ma questo Stefano non poteva saperlo.
Connie era cresciuta di conseguenza con le femmine dei Confalonieri Bonnet, cioè quel tipo di donne che, cercando, si può trovare in tutto il mondo, ma che a Milano cresce spontaneamente in ogni palazzo del centro storico, o quasi. Donne che perdono la parola davanti a pochissime cose: il lambrusco col sushi, i mocassini con lo smoking, i tatuaggi sul collo. Insomma, quel genere di signora milanese che se il capufficio la molesta non perde tempo con i sindacati, non va in Questura a denunciarlo. Lo licenzia direttamente, visto che l’azienda è sua.
Costanza era arrivata alla laurea in Criminologia e Psicologia criminale all’Università di Greenwich. Poi il ritorno in Italia e un periodo di incertezza e riflessione durante il quale aveva trovato il tempo, tra l’altro, di dare un erede maschio alle Confalonieri Bonnet. Quando tutto sembrava avviarsi verso un finale lieto, ma senza fantasia, ecco il colpo di testa: Costanza aveva partecipato, senza farne parola con la famiglia, al concorso per entrare nella Polizia di Stato. Naturalmente lo aveva vinto diventando poliziotta, nell’incredulità di mamma Olivia e nonna Carlotta.
Ma anche della Milano del Monumentale e della Polizia di Stato, che una gnocca così non l’aveva vista neanche incollando insieme i calendari attaccati dentro gli armadietti dei questurini di tutta Italia. Unica.
Bisogna anche dire che Costanza ci metteva del suo per non facilitare le cose. Passava i concorsi come semafori verdi. Era più intelligente che simpatica e più simpatica che bella, pensava Stefano Cangini, il portiere di notte, guardando sul cellulare una foto che le aveva rubato. E siccome Costanza era in gara per diventare la più bella di sempre, figurarsi come era messa a simpatia e intelligenza.
Purtroppo al Viminale avevano scoperto che, in base a non si sa quale assurdo codicillo dell’epoca fascista, Costanza Confalonieri Bonnet non poteva essere nominata subito capo della Polizia, e quindi tutti si erano rassegnati a farle percorrere l’iter di legge. Che perdita di tempo, però.
La promozione a vice questore risaliva a quattro mesi prima. C’era però la seccatura della destinazione, visto che Costanza non poteva rimanere a Milano dove era sempre stata.
La scelta era allora caduta su Rimini, sia per l’incarico specifico, capo della mobile in una delle città più a rischio d’Italia – per via del turismo estivo –, sia perché Costanza possedeva lì un appartamento. Che poi non era un appartamento, ma la suite 401 del Grand Hotel.
Su questo fatto apparentemente inspiegabile Stefano Cangini era parecchio informato. Qui si può dire che giocasse in casa.
Negli anni Ottanta-Novanta, il Grand Hotel aveva attraversato un lungo periodo di difficoltà economiche. Così, la proprietà si era inventata una formula che qualche anno dopo avrebbe spopolato a Miami e in tutta la Florida. Vendere cioè ai privati le sue suite, che poi erano quattro, una per piano, e avevano nomi felliniani: la Volpina, la Saraghina, la Tabaccaia e la Gradisca.
Quattro puttane, avrebbe commentato molto tempo dopo nonna Carlotta. Ma anche questo Stefano non poteva saperlo.
Il prezzo di vendita era elevato, ma sui quattro acquirenti era intervenuto personalmente Federico Fellini che del Grand Hotel era da sempre sponsor e demiurgo.
In verità l’operazione si era rivelata tutt’altro che un pacco, visto che la rendita era assicurata: i nuovi proprietari avevano ricevuto per decenni il cinquanta per cento della cifra che l’albergo incassava affittando le suite agli ospiti.
La 401, la Gradisca appunto, era stata acquistata dall’Immobiliare Fontana Liri nel 1992 e poi era passata a Costanza Confalonieri Bonnet nel 1997. Tutto qua.
Ecco come il Grand Hotel, già casa di Federico Fellini quando tornava nella sua Rimini, era diventato la casa di Costanza Confalonieri Bonnet, vice questore in odore di capo della Polizia e in profumo di Chanel.