Quattordici
Umberto Pagani, il questore di Rimini, ha dovuto farsi prestare una sala al Palazzo della Provincia per ospitare la conferenza stampa.
Nella città romagnola non si vedeva un simile affollamento di giornalisti dalla conferenza di Didier Deschamps, prima di Rimini-Juventus, debutto dei bianconeri in serie B il 9 settembre del 2006. Risultato finale 1-1.
Oggi anche il questore si accontenterebbe di un bel pareggio. L’atmosfera sembra ostile, ma Pagani sa di poter contare su un autentico fuoriclasse, che sta entrando al suo fianco nella sala, fresca di parrucchiere, con un tailleur blu, borsa e scarpe allacciate in tono.
Sono presenti praticamente tutte le testate e tutti i tigì nazionali. Inviati, corrispondenti, due direttori di quotidiani locali, cameramen e come sempre molti curiosi.
Il questore Pagani prende posto al lungo tavolo. Costanza Confalonieri Bonnet si siede alla sua destra. Pagani picchietta con l’indice il microfono come fanno tutti quelli che non hanno mai usato un microfono, poi dice la frase che Leo Liverani ha insegnato a Costanza a non pronunciare mai, neanche sotto tortura, «Mi sentite?» perché è matematico che metà della sala insorgerà: «No! Voce! Volume!». E infatti succede il delirio. Il vice questore suggerisce al suo capo di non fare nulla, solo avvicinarsi il più possibile al microfono. Detto fatto.
Il dottor Pagani ringrazia e dà il benvenuto a tutti. Poi esordisce dicendo che non è consuetudine delle questure indire conferenze stampa su indagini in pieno svolgimento, a maggior ragione se i fatti criminosi risalgono a poche ore prima, neanche trentasei per la precisione. E tuttavia lo scalpore che i delitti hanno suscitato nell’opinione pubblica non solo riminese e il conseguente sgomento che bla bla bla, eccetera eccetera eccetera. Comunque, prima di dare la parola alla vice questora dottoressa Costanza Confalonieri Bonnet, dirigente della Squadra mobile di Rimini, tengo a precisare che non si tratterà di una conferenza ma di una informativa sui fatti. Quindi lasciate parlare la signora qui al mio fianco, non rompete i coglioni e soprattutto non scrivete cazzate che vi conosco, a voialtri.
Questo il succo. La forma un po’ meno country, più sul melodico tradizionale. Ma non serve precisare.
Ora tocca a Costanza. La sala si fa subito più attenta e il brusio seguito alle parole del questore si spegne in un lampo. I più esperti tra i cronisti, i veterani delle conferenze, non possono non notare il magnetismo, sconosciuto a loro memoria, di quella vice questora (al femminile per i giornalisti, se no qualche lettrice che dopo mena il torrone al direttore con una lettera vuoi che non ci sia?).
Costanza, in un silenzio quasi surreale, dice subito che ha una nuova brutta notizia. Le vittime sono salite a tre. Pandora Grasso, ventotto anni, pierre di Savona, è stata trovata uccisa in un condominio di Portoverde con le stesse modalità delle altre due vittime e cioè Berhanu Nega, trent’anni, di nazionalità etiope, e un homeless che a Rimini tutti conoscevano col soprannome di Vagano, ma che in realtà non è ancora stato identificato. I famigliari della Grasso e del Nega sono stati avvisati e sono in viaggio per Rimini. Costanza, a questo punto, fa una pausa per consentire alla platea di assimilare la notizia, poi mentre tutti i cameramen, che non hanno ascoltato una sola parola, visto che alla categoria l’unico senso richiesto è la vista, stringono su di lei come stregati dalla sua bellezza, riprende picchiando in testa ai media storditi il colpo di grazia. E quasi abbassando la voce aggiunge che le vittime in realtà sono quattro. Pausa. Pandora era in stato interessante. Pausa. Sì, era incinta. Avesse detto che il papa era politeista avrebbe sconvolto meno la sala. Così, dopo un attimo di disorientamento, sono una marea le mani che si alzano col bisogno ineludibile di soddisfare domande essenziali per i lettori, quali: «Chi era il padre?», «Il piccolo ha sofferto?», «Verrà battezzato dopo l’autopsia?». Costanza riprende però subito la parola e il controllo della sala dicendo che no, non risponderà alle domande e che sì, la Polizia segue una pista. Che i tre delitti sono collegati ma non per motivi di marginalità, xenofobia o aporofobia. Parola che, tra l’altro, dubito conosciate, ma non è certo colpa mia, tutto questo sottinteso.
«Ci troviamo di fronte a un individuo o, forse, a più individui non solo pericolosi, ma anche addestrati militarmente. Ora, se credono di dichiararci guerra, è bene sappiano che noi, di guerre, non ne facciamo. Noi siamo la Polizia italiana. Noi arrestiamo i colpevoli. Quindi nessuna guerra e nessun panico per i riminesi. Vedrete che prenderemo gli assassini e voi avrete da scrivere e parlare per tanto e tanto tempo. Grazie per l’attenzione, e augurateci buon lavoro, visto che non sarà certo un bel lavoro. Arrivederci.»
Questore e vice questore si alzano e si allontanano inquadrati dagli operatori. Uno di loro, che una volta aveva sostituito un collega malato all’Isola dei famosi, per abitudine stringe sul culo di Costanza.
Nella confusione, si coglie qualche domanda dall’orda dei giornalisti, chiedono di tutto e a Costanza viene in mente che il dottor Donnarumma, suo mentore e guida, un tempo questore di Milano, oggi capogabinetto al ministero degli Interni, le aveva spiegato che una conferenza di Polizia può dirsi fatta bene se in definitiva sei riuscito a non dire, far dire, non lasciar dire. Forse lei oggi non ha seguito le istruzioni con rigore, però non si è neanche tanto allontanata.