Trentasette
Il palazzo di vetro e acciaio della Gotfin a San Marino è tutto illuminato. Visto dal basso, dal buio della valle dell’Ausa, sembra un’astronave in procinto di atterrare. Ma dentro non ci sono marziani, solo molti impiegati, qualche funzionario e lui, il capo, che dal suo ufficio all’ultimo piano sta aspettando aggiornamenti sul recupero del denaro.
È in piedi, le mani dietro la schiena. Fermo davanti all’enorme vetrata. Ma non guarda il panorama, ha gli occhi chiusi, respira piano, tutta la concentrazione è sul telefonino che stringe con forza nella mano sinistra. Dentro di sé l’uomo ripete ossessivamente: «Suonasuonasuona», quasi per aiutare lo squillo a fare il suo dovere. «Suonasuonasuona» e il telefono, finalmente, suona. Ma non è quello che stringe nella mano sinistra, lo squillo arriva da un cassetto dell’enorme scrivania, anche quella in vetro e acciaio, dove c’è un cellulare che sarebbe meglio non suonasse mai, pensa l’uomo aprendo il cassetto e afferrando il piccolo apparecchio.
«Sì?»
«Sono io.»
«Guai?»
«Guai. Ho qui sulla scrivania una richiesta di rogatoria della magistratura italiana sulla Gotfin.»
«Il che mi sta a significare?»
«Che stanno indagando su di te.»
«E tu negagliela.»
«Non posso, devo autorizzarla.»
«Merda! Consigli?»
«Sparisci, è l’unica cosa che puoi fare. Anche perché la rogatoria non è tutto. Uno dei magistrati che se ne sta occupando a Rimini è un mio vecchio compagno di università e un po’ si è sbilanciato. Mi sembra di aver capito che stanno organizzando una trappola.»
«Che trappola?»
«Non lo so, ma ha qualcosa a che fare con un’altra inchiesta, una roba di omicidi, non credo che tu ne sap…»
«’Ncul’a cu t’è vivu!» urla l’uomo gettando il telefono dentro il cassetto rimasto aperto. Si infila velocemente il cappotto, poi apre un armadio. La valigia che tira fuori è lì da talmente tanto tempo che quel che contiene sarà passato di moda da più che un bel po’, pensa l’uomo sempre più furioso, avviandosi verso gli ascensori. In attesa che le porte si aprano, compone un numero sul telefonino del «suonasuonasuona» che, invece, è sempre rimasto muto. «Rispunni cazzune! E rispunni, figghiu e’ntrocchia!»