Venti
La cena al Grand Hotel è arrivata al secondo.
Il vice questore Costanza Confalonieri Bonnet e l’anatomopatologa Myrta Albanese, grazie al Verdicchio molto gradito a giudicare da quel che ne rimane, sono sempre più in vena di confidenze.
Natasha arriva al loro tavolo con gli spiedini di calamari pennini e il fritto di sardoncini. Grazie.
«Ma questa faccenda che tu abiti qui, com’è esattamente?» chiede Myrta all’amica. «Ho sentito delle storie, tutte poco convincenti. Ma lo sai che questa è la seconda volta nella mia vita che metto piede al Grand Hotel? E io sono di Rimini e ho quasi cinquant’anni, anche se non li dimostro.»
«È vero, non li dimostri. Conosco uomini che ci metterebbero la firma, ma pure autenticata dal notaio, a essere seduti al mio posto.»
«Ah sì? Tipo?»
«Gli Inti-Illimani, per esempio.»
«Vai avanti, va’.»
«La storia del Grand Hotel veramente farebbe parte dei casini della mia vita, di cui non parlo mica volentieri. Però stasera… dopo una giornata così…»
«Dai, allora!»
«Okay. Succede che una sera… Aspetta. La premessa è che io per molti anni non ho saputo chi era mio padre. Mia madre, quando glielo chiedevo, mi condiva via, quasi annoiata, con la storia che ero il frutto di una passione intensa, ma brevissima. È superfluo, diceva, voler sapere qualcosa di qualcuno che non c’era allora, non c’è oggi e non ci sarà domani. Chiusa la premessa.»
«In due parole, una scopata e via. Con però un nontiscordardime che più nontiscordare era difficile.»
«Ti ringrazio per aver portato il discorso su un piano così aulico, però sì, una scopata e via. Così succede che una sera di una ventina di anni fa, ero piccinina, neanche maggiorenne, sto guardando sul divano un vecchio film con mia madre e, osservando l’attore protagonista, dico una roba tipo: “Però che figo che era quello lì, eh?”. E lei: “Per forza, è tuo padre”.»
Myrta la guarda a bocca aperta e non trova le parole. Così perde il tempo della battuta e Connie può continuare.
«Allora ci rimugino per un bel mesetto, mi informo bene sul chi e sul dove, poi una mattina, senza avvisare nessuno, salgo su un treno Milano-Roma. Prendo un taxi e vado a casa sua. Suono. Lui mi apre e io gli dico: “Ciao, sono Costanza e sono tua figlia”.»
«E lui?»
«E lui niente. Mi fa entrare, si fa spiegare bene chi sono e alla fine mi fa: “Costanza, sono davvero felice di averti conosciuta. Sei anche più bella di tua madre. Del ricordo che ho di tua madre. Salutamela tanto, dille che magari prima o poi…”.»
«Ma che stronzo!»
«Ma no. E poi l’hai detto tu che era stata una scopata e via. Aggiungi che lui era già molto malato. E infatti, sei mesi dopo è morto. Non sono neanche andata al suo funerale, per dirti. Insomma, per me la storia cominciava e finiva lì. Nessuno avrebbe mai saputo chi era mio padre.»
«Quindi sono la prima a cui… Ma scusa, lui è…»
«Ah no, questo non te lo dirò mai, quindi non fare quella faccia. Già mi sono lasciata andare troppo.»
«Okay, ma il Grand Hotel, in tutto questo drammone, cosa c’entra?»
«C’entra che, un po’ dopo la sua morte, mi telefona un notaio e mi convoca a Roma. Vado giù, lui mi consegna una lettera e mi fa firmare delle carte. In poche parole, quel signore, chiamiamolo papà, mi aveva lasciato in eredità la suite del Grand Hotel di Rimini. Nella lettera, molto affettuosa, mi spiegava anche perché, ma non te lo dirò mai.»
«Ma come faceva un privato a essere proprietario di una suite del Grand Hotel?»
«Perché negli anni Ottanta, credo, l’albergo aveva rischiato di fallire. Allora, siccome per Fellini era come la sua seconda casa, lui convinse quattro amici a tamponare questa crisi comprando le quattro suite. Immagino fosse impossibile per questi suoi amici dire di no al Maestro, per cui l’operazione si fece. Naturalmente le suite rimasero in gestione all’albergo: un investimento in definitiva, niente più che un investimento. Io stessa, da quando l’ho ereditata, in vent’anni ci sarò venuta un paio di volte. Però ogni anno mi arrivava l’accredito con quanto mi spettava per il subaffitto della mia camera.»
Connie si interrompe e addenta dallo spiedino il primo calamaretto.
«Ma è incredibile» commenta Myrta. «Così, quando ti hanno promosso vice questore, non ti sarà sembrato vero di scoprire che c’era proprio Rimini tra le destinazioni.»
«Più o meno.»
Myrta finge per un attimo di interessarsi al cibo che ha nel piatto. Poi all’improvviso: «Dai, dimmi chi è».
«Ma non ci penso neanche!»
«Facciamo una cosa» dice il medico forense versandosi l’ultimo goccio di Verdicchio. «Qui siamo nella terra di Giovanni Pascoli. Ti ricordi la Cavallina storna? Chi fu? Chi è? Ti voglio dire un nome. E tu fa cenno. Dio t’insegni, come. […] Mia madre alzò nel gran silenzio un dito: disse un nome… Sonò alto un nitrito.»
La dottoressa Myrta Albanese si schiarisce la voce, poi alza un dito e fa un nome. Un nome e un cognome.
La dottoressa Costanza Confalonieri Bonnet getta indietro i capelli come fossero una criniera e, mentre sta, forse, per nitrire, vede entrare di corsa l’agente scelto Cecilia Cortellesi.