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Il Grand Hotel di Rimini, illuminato e sotto la neve, è uno spettacolo che meriterebbe uno stato d’animo migliore.

Costanza Confalonieri Bonnet scende dalla volante, saluta l’agente che l’ha accompagnata ed entra nella hall deserta.

«Buonasera, dottoressa.»

«Buonasera, Stefano.»

«Giornata dura, immagino» dice il portiere di notte dandole la chiave della sua suite.

«Eh, dura davvero. Mi verrebbe da chiederti di mandarmi qualcuno su in camera per togliermi di torno tutti gli specchi. La mia faccia stasera non vuole essere guardata» e si copre il viso con una mano.

«Quando è stanca è ancora più bella, mi scusi se mi permetto» il portiere innamorato arrossisce. «Vuole che le mandi qualcuno della Spa per un massaggio?» e mentre glielo propone spera che lei rifiuti, perché non sopporta l’idea che qualcuno, uomo o donna che sia, possa posare le mani su quel corpo disegnato da Manara.

Per fortuna Costanza risponde: «No, grazie Stefano. Faccio un bagno, mangio qualcosa, poi nanna. Fammi portare una tartare di tonno, un’insalata verde e un po’ di frutta. Buonanotte».

La suite Gradisca del Grand Hotel, nella quale Costanza Confalonieri vive ormai da quattro mesi, da quando cioè è stata chiamata a dirigere la Squadra mobile di Rimini, è abbastanza spaziosa. Confortevole, ma niente di più. Un po’ il limite di tutti i vecchi alberghi cinque stelle lusso.

Il Grand Hotel è stato costruito nel 1908. Ristrutturato ovviamente, soprattutto dopo i bombardamenti della Seconda guerra mondiale. Però si è sempre cercato di conservare piuttosto che innovare, come in fondo è corretto che sia.

Gli arredi per esempio, Settecento veneziano. Belli sì, questo è fuori discussione, però nel Settecento. E nel Veneto. Lassù facevano sicuramente la loro figura. Ma in Romagna e nella giovinezza del Ventunesimo secolo? Così-così, in tutta onestà.

A quello che già si trovava nella suite, Costanza ha aggiunto soltanto un impianto stereo e una poltrona Frau azzurra. Di quell’azzurro chiaro tipico dei sedili dei motoscafi Riva degli anni Sessanta. O del mare delle Seychelles, parente lontano, ma di quelli che non si sono mai incontrati, del mare di Rimini.

Il letto infine è enorme e comodo e il bagno, quello sì, modernissimo.

Dopo essersi sfilata le francesine bagnate, ormai da buttare, e aver aperto i rubinetti della vasca, Costanza pigia il play dello stereo. Dentro c’è un cd di un altro secolo. Non il Settecento ma siamo lì vicino.

Le note di The Girl from Ipanema, suonata e cantata da Stan Getz e João Gilberto si diffondono per la suite, subito disturbate da una fastidiosa musichetta contemporanea. Quella del cellulare.

Sul display la scritta non lascia dubbi: «Mamma». Oh madonna.

«Ciao, mami. Sto bene sì, ma non è il momento, sai?»

«Lo so amore mio, è che ho visto il telegiornale e ho preso paura. Vuoi che venga giù?»

«Mamma, cosa dici? Sono un vice questore, ti ricordi? Gli omicidi sono il mio lavoro, come i vestiti per te, gli applausi per Leo… Non so neanch’io cosa sto dicendo… Insomma, senza i morti ammazzati mi resterebbero solo le truffe, lo spaccio, le rapine e pirlate così, capisci? Sarebbe come un lavoro alle poste, in banca, in un ministero. Quindi mamma, grazie per il pensiero, ma stai pure a casina tua e, come si dice nei film, lasciami lavorare, ragazza. Anzi, lascia lavorare la tua ragazza.»

«Okay Cocò, non ti arrabbiare, magari vengo giù nel week-end che ti porto un po’ di roba da metterti.»

Qui bisogna sapere che, nella suite, la disponibilità di armadi è quella che è, per cui al guardaroba di Costanza provvede la signora Olivia, che ogni tre settimane scende a Rimini con la sua monovolume, svuotando e riempiendo di nuovo l’inadeguato armadio della figlia, che è sì un vice questore, ma pur sempre una Confalonieri Bonnet.

«Va bene, mamma. Tra l’altro sabato vengono anche Federico e Andreino, organizzati con loro.»

«Ma è fantastico!» commenta entusiasta Olivia. «Credo che anche Leo domenica abbia una convention a Riccione, per cui potremmo mettere insieme tutta la famiglia come neanche a Natale!»

«Bella idea, mamma. Adesso però buonanotte.»

Leo. Leo Liverani è il compagno storico di Olivia Confalonieri Bonnet. Non il padre di Costanza.

Leo è Leo, chi non lo conosce? Grande comico, grande uomo di spettacolo. Settant’anni portati con la classe e la leggerezza di chi non ha mai conosciuto la parola lavoro. Solo divertimento. Nella vita e sul palco. Divertimento suo e di quelli davanti a lui. «Per te gli anni non passano mai» gli aveva detto una volta un famoso conduttore di talk show. «Guardateci, pensate: abbiamo la stessa età! Chi lo direbbe?» «Il carbonio 14!» gli aveva risposto Leo ridendo. Ripeteva sempre: «So che gli anni contano, ma io non li conto. E se io insisto a non contarli, loro si stufano di contare».

Olivia lo aveva conosciuto a metà degli anni Settanta, naturalmente prima che Costanza nascesse, a Figueres, durante una festa in casa di Salvador Dalí. Nessuno dei due era mai più riuscito a ricostruire cosa ci facessero, loro, a casa di Dalí. Ma quelli erano anni che, come han detto quasi tutte le rockstar, se te li ricordi vuol dire che non c’eri. E Olivia e Leo, invece, c’erano. Da allora si erano frequentati e persi di vista neanche loro sapevano quante volte. Dopo uno di quei distacchi, Olivia si era ripresentata con Costanza in braccio. Leo le aveva sorriso, fatto due coccole, poi era uscito perché aveva una serata. Quando, all’alba, era tornato, aveva svuotato un Autogrill dai peluche e dalle automobiline. Perché non si ricordava più se era un maschietto o una femminuccia. E nel dubbio…

Da allora le separazioni si erano fatte meno frequenti, ma, nonostante una vita passata insieme, Leo e Olivia non si erano mai sposati. Di più, non avevano mai pensato di fare un figlio. Di più ancora, non avevano mai vissuto insieme. Di più ancora e ancora, non si erano mai sentiti una coppia. Originale, molto rischioso, però aveva funzionato e funzionava ancora alla grande.

Per stare insieme, Leo doveva ogni volta corteggiarla come fosse la prima volta, farla ridere, emozionarla.

Lei alla fine cedeva, nessuno dei due si pentiva, poi Olivia gli faceva segno di andare e lui andava, perché quel copione non prevedeva improvvisazioni.

Una volta sola, in tanti anni, lei gli aveva chiesto se voleva rimanere e lui, preso alla sprovvista, aveva risposto: «Eh, ma non ho il pigiama…».

«E allora?»

«Eh, ma senza pigiama mi sento nudo…»

«Ma sei già nudo!»

«Ah già… Allora facciamo così, che vado a prendere il pigiama e poi torno. La strada la so…»

Olivia aveva riso e poi si era messa a dormire, tanto sapeva che non sarebbe tornato.

«Buonanotte, Cocò. Ah, senti, sai cosa ha combinato la nonna Carlotta?»

«Mamma, non lo so e non mi interessa. Ho la vasca piena e i piedi gelati, visto che ho camminato tutto il giorno nella neve con le francesine…»

«Ossignur! Vai gioia, vai. Buonanotte.»

Costanza può finalmente entrare nella vasca. Prima il piede destro, poi il sinistro. Il tutto con estrema cautela perché se lì dentro ci buttasse la pasta, otto minuti e sarebbe cotta.

Quando, dopo aver espulso con un soffio interminabile tutta l’aria dai polmoni, trova il coraggio di sedersi, coi capezzoli che sono già a Viserba per la tensione e lo sbalzo termico, ecco di nuovo il trillo del telefonino che, non c’è niente da fare, non ne vuole sapere di andare a tempo con Stan Getz.

Questa volta il display dice: «Sindaco».

«Signor sindaco, non è il momento, davvero.»

«Immagino, signora vice questore, ma mi domandavo se avevi niente per me. Hai visto i tigì, Connie? I morti di Rimini fanno più notizia delle tensioni tra Stati Uniti e Corea del Nord. Non c’è giornale che non abbia spedito qui un inviato. Se stanotte vedi dalla finestra una specie di Babbo Natale rosso che cammina nella neve, non è un’allucinazione. È il Gabibbo.»

Costanza sorride e decide di andare in soccorso di quel simpatico sindaco. Anche affascinante, le tocca di ammettere.

«Allora, Riccardo, è ovvio che non posso passarti informazioni su un’indagine in corso, però al momento è probabile che razzismo, xenofobia, intolleranza, neonazismo c’entrino poco o niente con questa vicenda» dice Costanza mentre sente suonare alla porta. «Avanti!» urla dalla vasca.

«La cena, dottoressa.»

«Grazie, Stefano, lasci pure tutto sul tavolo. Buonanotte. Riki, sei ancora lì?»

«Sì, sono qui. Scusa, ma se Vagano e il ragazzo etiope non li ha uccisi il Ku Klux Klan, chi allora?»

Connie sospira. E riprende a mordicchiarsi il labbro inferiore. Poi: «Riccardo, è un’indagine in corso, ti pare che mi metta a parlarne con il primo che passa? Anche se il primo passante è il primo cittadino, non posso davvero».

«Connie?»

«Cosa c’è ancora?»

«Mi fai salire?»

La spugna le piomba nella schiuma. Costanza scuote la testa e pensa, ma è possibile che gli uomini siano tutti uguali? Anche i più intelligenti, anche i più… insomma che tutti cadano sempre e comunque sulla stessa cosa, ma è possibile?

«Dai, Connie ti prego, ho voglia di vederti. È stata forse la giornata più difficile della mia vita, fammi salire.»

E insiste anche, pensa Costanza, insiste come un liceale che vede la sua prima volta seduta lì, sul sellino dello Scarabeo a portata di mano. Ma lui, per la miseria, non è un ragazzino. È un sindaco!

«Connie, sono qua sotto e sto congelando. Non ho l’ombrello. Sembro un pupazzo di neve. Entro dalla porta laterale, prendo l’ascensore di servizio. Ti giuro che non mi vedrà nessuno. Mi fai salire?»

Adesso basta però. Il vice questore Costanza Confalonieri Bonnet come una furia esce dalla vasca e si infila l’accappatoio. Adesso basta però, ripete tra sé portandosi il telefonino all’altro orecchio e prendendo un respiro profondo per non tradire il nervosismo.

Quando riprende a parlare, infatti, è calma. Calma ma decisa. Perché a volte più di tanti discorsi basta una parola. Una sola parola e lei gliela dice.

«Sali.»

Gliel’ha detta. E intanto i capezzoli, lasciata Viserba, stanno per raggiungere Igea Marina. E questa volta l’escursione termica c’entra poco.