Dieci
La sveglia del telefonino con la suoneria Foresta di Sherwood sveglia Costanza alle 5.30.
Senza neppure aprire gli occhi, allunga la mano e impone a Robin Hood il silenzio.
Non ha bisogno di girarsi sul fianco per scoprire che nel letto è sola.
Connie si alza e si sente subito bene. Non ha dormito molto, è vero. Non ha mangiato niente, è vero. Ma quel che aveva da fare e ha fatto vale bene due ore di sonno e una tartare di tonno, e questo è ancora più vero. Sorride pensando che una rima sonno-tonno neanche un rapper di Rozzano, e si avvia alla finestra della camera.
Nevica ancora. Ormai saranno quasi venti centimetri e le palme del parco del Grand Hotel sembrano chiedersi: Ma qua non ci avevano detto che c’era il mare?
Il colpo d’occhio è però magnifico. I lampioni illuminano i fiocchi che cadono come se a piazzarli lì fosse stato non un elettricista di Saludecio ma il light designer di un film in bianco e nero di Woody Allen. Che magari era di Saludecio, vai a sapere nella vita. Comunque, Oscar d’ufficio.
Costanza entra in bagno, apre la doccia, si lava i denti senza mai alzare gli occhi verso lo specchio (guai a guardarsi prima che sia passata almeno un’ora dal risveglio, questo è il primo comandamento di nonna Carlotta), poi sente il trillo di un sms. Con la bocca neppure risciacquata, va al comodino e legge Cecilia Cortellesi sul display. Apre. «Novità.» Non resiste neppure un secondo e richiama immediatamente la sua agente.
«Buongiorno, dottoressa.»
«Buongiorno Cecilia. Cosa abbiamo?» risponde Connie a labbra strette perché il dentifricio sta facendo un bel pastone, lì dentro.
«La Stradale stanotte ha trovato la macchina di Berhanu Nega, la Lexus Ingrid. Era in una stradina di campagna nei dintorni di Coriano. Mi hanno girato le foto: sedili sventrati e ribaltati.»
«Quindi è confermata l’ipotesi che gli assassini cercano qualcosa.»
«Direi che non c’è dubbio.»
«Brava Cecilia, bel lavoro. Adesso mandami una macchina e verifica che Appicciafuoco e Balducci siano in ufficio da me fra un’ora.»
«Lo faccio subito, vice questore, ma c’è un’altra cosa.»
«Cosa?»
«Non mi chieda come ci sono riuscita se no ci mettiamo nei guai, fatto sta che ho trovato traccia di un atto notarile per la vendita di un appartamento a Portoverde.»
«E dov’è?»
«Tra Misano e Cattolica, un posto turistico, di seconde case. L’atto è datato un mese fa. Il venditore è tale Silver Succi. L’acquirente…»
«Dimmi che è Pandora Grasso!»
«Glielo dico sì!»
«Bingo! La ragazza di Berhanu, che non risponde al telefono, adesso noi andiamo a prelevarla a casa. Grande Cecilia. Ci vediamo tra un’ora nel mio ufficio, il copione della giornata è scritto. Ma tu, non sarai mica stata in Questura tutta la notte?»
«Oh be’, in fondo è il mio lavoro. Questa Operazione Pandora è la roba più importante che ho fatto in Polizia finora e non voglio perdermi neanche un secondo. Mi sembra di essere in un telefilm. Forte, e chi se ne frega del sonno. Stanotte avrò dormito poco, ma mi sono divertita un casino.»
Anch’io, sai, pensa Costanza riattaccando.
Adesso però tocca vestirsi, stando ben attenta a non cadere negli stessi errori del giorno prima. Quindi maglione a collo alto, jeans e stivaletti Camper. Intanto… madonna che fame.
Guarda sul tavolo la tartare di tonno e quasi quasi… no dai, neanche in Islanda è consentito fare colazione col tonno crudo. E allora rimane il frigobar, dal quale prendere un Bounty e un Kinder, per poi avvicinarsi alla finestra e vedere la volante parcheggiare davanti all’ingresso dell’hotel. Viva la Polizia, pensa Costanza pregustando il cappuccio e la brioche del bar della stazione.
Ma la brioche ha perso la sua partita ancora prima di iniziarla. Quando Costanza si avvicina al bancone e vede la vetrina delle paste, col barista che sta sistemando i bomboloni ancora caldi, il destino della brioche è ormai segnato.
Il bombolone caldo con la crema è uno dei motivi, o forse «il» motivo, per cui vale la pena di vivere in Italia, pensa il vice questore Costanza Confalonieri mentre affonda i denti nell’impasto lievitato e fritto, raggiungendo con la punta della lingua la crema pasticcera e impolverandosi la punta del naso con lo zucchero a velo. Tutto come da istruzioni per l’uso, insomma.
Finito anche il cappuccio, si fa imbustare altri cinque bomboloni, detti anche krafen dai poveri di spirito. Tre sono per la sua squadra che la sta aspettando in Questura, uno per l’agente che guida la volante, l’ultimo per un barbone sdraiato sui cartoni, nell’atrio della stazione deserta. In fondo questo è un modo per tornare alla realtà e far sapere al povero Vagano che il suo assassino ha le ore contate.
Alle sei della mattina in corso d’Augusto davanti alla Questura di Rimini fa davvero un freddo becco.
Costanza, scendendo dalla volante, accelera il passo con il sacchetto dei bomboloni stretto in una mano. Scivolare è un attimo. E infatti si ritrova col sedere per terra senza nemmeno poter ammortizzare l’impatto con le mani, visto che le braccia sono protese a proteggere il sacchetto. Comunque meglio un livido su una chiappa che la crema pasticcera nella neve, pensa la responsabile della Squadra mobile salendo, questa volta con molta attenzione, i gradini dell’ingresso.
I suoi sono già tutti in ufficio.
L’ispettore capo Orlando Appicciafuoco è l’unico in divisa. Il vice sovrintendente Emerson Leichen Palmer Balducci ha messo su un chiodo di tutto rispetto. Bravo, ha fatto i compiti.
L’agente scelto Cecilia Cortellesi è ovviamente vestita come il giorno prima, visto che non si è mossa dal suo computer. Jeans, sneakers e un paio di maglie buttate addosso alla valàchevaibene.
Tutti hanno un giornale in mano.
Tutti scuotono la testa.
I titoli, come sempre frutto della fantasia di chi non ha fantasia, variano da: RIMINI LA CAPITALE DELL’ACCOGLIENZA SI SBARAZZA DEI DIVERSI, a: MASSACRATI UN SENZATETTO E UN NERO. ORA A CHI TOCCA?, fino a un eccelso: TERRORE SOTTO LA BUFERA. CHI È LO YETI DI RIMINI?
«Lasciate perdere i giornali» fa Costanza. «Ho i bomboloni quasi caldi per tutti. Emerson, vai a prendere i caffè.»
Ha detto chiaramente Emerson, e non Cecilia, come mezzo mondo si sarebbe aspettato, quindi l’altro mezzo le è parecchio grato, lo si deduce dallo sguardo adorante della Cortellesi.
Emerson, a dire il vero, non fa una piega, va e torna con quattro caffè pure personalizzati: uno macchiato per Costanza, uno ristretto per Orlando e uno lungo per Cecilia. Quello di Emerson è con molto zucchero.
Connie distribuisce i bomboloni – Orlando rifiuta per un problemino di glicemia – e inizia a parlare.
«Immagino siate tutti al corrente delle novità di questa notte.»
Balducci scuote la testa.
«Allora vi riassumo brevemente. Mentre noi dormivamo, la qui presente agente scelto Cortellesi Cecilia pigliava pesci. Il primo a strascico, ed è la macchina di Berhanu Nega, trovata dalla Stradale vicino a Coriano, sventrata come un cefalo; il secondo invece all’amo e molto, molto grosso. Cecilia infatti ha scoperto che la ragazza della nostra seconda vittima, anzi della prima se mettiamo gli omicidi in ordine cronologico, cioè quella Pandora Grasso che stiamo cercando da ieri sera e che ha l’onore di aver dato il nome alla nostra operazione, un mesetto fa ha comprato un appartamento a Portoverde.»
«Osta, e dove cavolo li avrà presi i baiocchi?» fa Emerson con un candore del quale quasi subito perfino lui si pente.
«Domanda poco da sbirro, mi sa che tutti ce l’abbiamo, un’idea su dove li abbia presi» risponde Costanza e tutti, anche Emerson, annuiscono. «Ma adesso questo è secondario rispetto all’urgenza di trovare la ragazza e di parlarle. Lei ci può dare le risposte che ci mancano. Che sono tante, anzi che sono proprio tutte visto che non abbiamo in mano niente di niente. E dicendolo mi accorgo di essere anche abbastanza ottimista.»
«Allora non perdiamo tempo. Che minchia ci facciamo ancora qua? Andiamo a Portoverde» dice Appicciafuoco avviandosi verso la porta.
Costanza Confalonieri Bonnet si alza anche lei dicendo: «Voglio tre volanti. Le voglio con le sirene che si sentano fino a Pesaro. Voglio che tutti sappiano che siamo incazzati. Siamo incazzati perché siamo terrorizzati. Ma non per questo abbiamo paura. Paura perché? Qui a Rimini, dopo la dogana di Serravalle, c’è San Marino, mica c’è la Corea del Nord. Non ci sono grandi testate nucleari ma solo piccole teste di cazzo che spaccano, ammazzano, bruciano credendo di farci paura. Io l’unica paura che ho è fargli troppa poca paura. A lui o a loro».
Dopo la sparata motivazionale, come le hanno insegnato ai corsi di aggiornamento del ministero degli Interni, Costanza si avvia alla porta seguita dalla sua, gasatissima, Squadra. Poi all’improvviso fa dietrofront e torna alla scrivania. Prende il bombolone avanzato, fa due passi e gli dà un morso quasi con rabbia, un po’ esagerato per la verità, tanto che un grumo di crema pasticcera schizza sul colletto della polo del vice sovrintendente Balducci. Costanza, senza scomporsi, con l’indice della mano destra toglie la crema, poi si porta il dito in bocca e lo lecca.
Emerson, che non ha seguito (ma anche se avesse seguito?), ha capito poco o niente, tanto che, vedendo quel dito che passa in un amen dal suo collo alle labbra di Costanza, comincia a sceneggiarsi un film che non si sa come finirà, ma certamente sarà vietato ai minori. Questo nella sua testa. Solo lì, però. Proiezione riservata.