Diciotto

Il Grand Hotel di Rimini sembra l’Hôtel de la Poste di Cortina.

Costanza entra nella hall dopo la lunga passeggiata serale, si toglie il berretto, si passa una mano tra i capelli e si scrolla il giaccone completamente imbiancato. Stefano si precipita ad aiutarla a sfilarselo e le dice: «Che spettacolo dottoressa, vero? Io un nevone così me lo ricordavo nel 2012, ma adesso è anche meglio. Ne avrà messa giù più di mezzo metro. Nel parco non si vedono le panchine, per dire. Il monumento della macchina fotografica, in piazza, è coperto fino a sopra l’obiettivo e la fontana dei Quattro Cavalli sembra la statua di Nicola I in piazza Sant’Isacco a San Pietroburgo».

«Sei stato a Pietroburgo?» gli domanda sorpresa Costanza che ci aveva passato con Federico una vacanza che mollala.

«Sì, ho lavorato un anno all’Hotel Astoria.»

«Uno stage?»

«Quasi. Diciamo che sono stato lì fino alla mattina in cui una signora americana, di Boston, ha ordinato la colazione in camera. Quando ho bussato alla porta della suite con il vassoio, lei mi ha aperto completamente nuda e mi ha detto: “Quello lo metti lì e questo lo metti qui”.»

«Non ci credo! E tu?» chiede Costanza più divertita che scandalizzata.

«Be’, non ho certo perso tempo a mettere il vassoio lì.»

Adesso Costanza ride, decisamente divertita.

«Avevo poco più di vent’anni, il testosterone lo sollevava lui da solo, il vassoio. Solo che dopo cinque minuti il marito, che era uscito per un meeting d’affari, è rientrato perché aveva dimenticato degli appunti importanti.»

Costanza stringe i denti e aspira.

«Ohi, ohi. E…»

«Niente, l’americano ha chiamato il direttore che si è presentato al volo. Ha guardato me, poi il vassoio. Poi ancora me e dopo il vassoio. Ha constatato che le uova strapazzate, in realtà, non avevano subito danni. Anzi. Purtroppo però il succo d’arancia era traboccato per una buona metà. Imperdonabile. Così ha scosso la testa e mi ha licenziato. Scarsa professionalità, ha detto.»

«E sei tornato a Rimini?»

«Sì, il giorno dopo ero già in viaggio verso casa. Magari un po’ avvilito, ma con una magnifica lettera di credenziali del direttore stesso. Era un vecchio comunista, e secondo lui in quella suite avevano dormito Lenin e Stalin, il fatto che oggi ci dormisse una puttana imperialista era una macchia che l’Astoria doveva lavare. Così, con quasi tutti gli onori, sono finito qui al Grand Hotel.»

Connie ride di nuovo di gusto e prendendo la chiave della Gradisca commenta: «Bella storia, Stefano. Secondo me te la sei inventata, ma resta bella davvero, anzi, se non è vera di più».

«No, no dottoressa, è vera! Ma non è mica finita. Un anno dopo, più o meno, la signora americana si è presentata qui al Grand Hotel. Da sola, questa volta. Mi ha cercato e mi ha chiesto: “Vediamo se hai imparato a non versare l’aranciata. Hai un mese di tentativi”.»

«E tu?»

«Non ho imparato! Però, se posso permettermi, ancora oggi, ogni volta che faccio una spremuta, ho un’erezione!»

Sull’ennesima risata di Costanza si spalanca la porta ed entra la dottoressa Myrta Albanese. Sembra Reinhold Messner di ritorno dal Nanga Parbat. Si scrolla di dosso la neve con furia, gridando: «Odio questa cazzo di neve! È bianca, mi ingrassa!».

Poi abbraccia Costanza che la conduce verso il bar dell’albergo.

Le due amiche si siedono a un tavolino accanto alla grande vetrata e ordinano a Cesare, il barman, due margarita.

L’hotel è deserto. Tutte quelle luci, tutto quel personale, tutto è per loro due, solo per loro due.

Guardano fuori e per qualche minuto nessuna parla, tanto inconsueto, quasi irreale, appare lo spettacolo là fuori nel parco. Da guardare senza commentare.

È il medico legale a rompere il silenzio.

«Allora, Connie, volevi delle conferme e sono qui per dartele. Partiamo dalla causa della morte della povera ragazza.»

«Pandora Grasso.»

«Sì. È stata una torsione violenta del collo che ha provocato la frattura della colonna cervicale. In pratica la stessa modalità delle altre due vittime.»

«Questo è successo a che ora?»

«Diciamo più o meno a quest’ora, cioè tra le diciannove e le ventuno.»

Di sicuro Pandora non aveva ancora cenato.

«Quindi a questo punto possiamo dire con certezza che la sequenza temporale dei tre omicidi è: l’etiope verso le diciotto, la ragazza intorno alle venti, il senzatetto verso mezzanotte.»

«Confermo» dice Myrta. «Ti aiuta?»

«Sì, collima con il quadro che ci siamo fatti.»

Cesare arriva con i margarita e il patatinificio d’accompagnamento, quelli che alla Pensione Cinzia si chiamerebbero stuzzichini, ma al Grand Hotel guai, qui è il «finger food».

Le due amiche bevono il primo sorso. Myrta socchiude gli occhi e sospira: «Mmm… Come va giù bene».

«Come i terroni a Natale.»

«Eh?»

«Niente, è una citazione. Sai, ho una squadra di investigatori che culturalmente mi copre da Cicerone a Casadei, passando per Yamaguchi e Fabio Volo. Imparo molto da loro, anche se non è facilissimo stargli dietro. Mi confermi che Pandora era incinta, vero?»

«Certo, direi di quindici settimane. Il test del Dna conferma la compatibilità biologica con Berhanu Nega.»

«Non ci voleva molto, ma anche questo lo avevamo supposto» dice Connie addentando una markigian fried ball. Un’oliva ascolana.

«Ti posso fare io una domanda, adesso?» chiede Myrta mentre fa segno a Cesare che i margarita sono stati apprezzati e che le lì presenti dottoresse non avrebbero niente in contrario a replicare. «Che razza di gente è quella che spezza il collo a una ragazza incinta? Da che girone dell’inferno sbuca? Dov’è che bisogna firmare per rimandarli da dove sono venuti?»

Il vice questore Costanza Confalonieri Bonnet sospira e allarga le braccia.

«Non lo so. Mi viene quasi da dire che spero di non saperlo mai, perché quando li troverò mi toccherà guardarli negli occhi. E questo, lo so, non mi farà stare bene. Ma sono un poliziotto e il mio lavoro prima o poi mi porterà a prenderli. Quando succederà, ti manderò un sms con un diavolo, o due, o tre e tu capirai.»

«Che cazzo di mondo, però! C’è un’altra cosa che mi fa venire la pelle d’oca. Connie, siamo donne, forse non dovremmo occuparci di queste cose. Mi viene quasi di dare ragione a quelli secondo cui noi dovremmo stare nelle nostre casine a cucinare per i nostri mariti, in attesa di vedere Il segreto, dopo aver messo a letto i bambini. Mi sai dire dove abbiamo sbagliato?»

Connie trova la forza di sorridere prima di dire: «Non lo so. So solo che queste due donne qua troveranno chi ha ammazzato quell’altra povera donna là».

Myrta, posando il bicchiere vuoto con la destra, mostra a Connie il medio e l’indice della sinistra.

«Là, le povere donne sono due. L’esserino era una bimba. Me lo giuri, Connie, che li prendi?»

Cesare porta al tavolo il secondo giro di margarita e dice a Costanza: «Sa, dottoressa, che è in tutti i telegiornali?».

«Be’, qualche sospetto ce l’avevo. Son poliziotta mica per niente. Ma non avranno mica mandato anche il filmatino col, diciamo così, back stage?»

«No, no, tutto molto formale. Estratti della conferenza e tanti primi piani sul suo viso. In cucina, di là, l’han visto tutti. È vero che non hanno niente da fare ma non è per quello. È che lei, se mi permette, non sembra un commissario. Sembra una diva di Hollywood. Quei capelli, quegli occhi…»

Myrta conferma: «Io ho visto lo spezzone anche su YouTube sai? Credo che ormai ti avvicini al milione di visualizzazioni».

«Ma come fanno a trovarlo?» chiede Connie.

«Basta andare su Google, digitare Costanza, lì ti rimbalzano su YouTube e voilà. Fino a ieri, se su Google digitavi Costanza, la prima cosa che ti usciva era “lago di”. Da oggi ti esce “il culo di”. Sono i social, bellezza!»

«Ma basta con questa storia!» fa Connie fintamente esasperata. «Andiamo a cena, piuttosto.»

La vice questora e l’anatomopatologa si trasferiscono nella sala ristorante. Bellissima e desolata. Piena di luci e vuota di persone.

Le accoglie Natasha, una spettacolare lettone che questa sera, visto il cahier de réservations intonso, è contemporaneamente maître de salle, chef de rang, commis de rang e sommelier. L’intera brigata di sala in un’unica persona. Che però, se uno guarda bene, è anche persona unica, per cui non segue reclamo.

«Benvenute al restaurant delle Isole Svalbard.» Natasha saluta così le due ospiti. Poi le fa accomodare a un tavolo anche questo con vista neve e consegna loro i menù.

La scelta cade su un piatto di passatelli al sugo di canocchie e spiedini di calamaretti pennini per Costanza, mentre per Myrta tagliolini allo scoglio e frittura di sardoncini con cipolla di Tropea. Da bere, un Verdicchio marchigiano.

«Ho lasciato per ultima la cosa che forse ti preme di più» dice il medico legale. «Vagano era il padre di Pandora Grasso.»

Costanza guarda prima l’amica, poi fuori dalla vetrata del Grand Hotel. Tace. Si morde il labbro, poi finalmente commenta: «Questo è uno di quei misteri coi quali tutti i poliziotti vorrebbero avere a che fare».

«In che senso?»

«Nel senso che domattina alle nove, in ufficio da me, arrivano i signori Grasso, cioè il padre e la madre di Pandora. E alle nove e cinque questo mistero non sarà più un mistero.»

«Ci sono le rose che durano l’espace d’un matin e i misteri che durano l’espace d’une nuit, quindi possiamo giocare con le ipotesi.» Myrta assaggia il Verdicchio che Natasha le ha versato e approva. Poi continua: «Per me Pandora è stata adottata dai Grasso, magari poco dopo lo scatto di quella foto che ho trovato nel calzino di Vagano. Resta da chiarire perché il padre naturale l’abbia abbandonata».

«Forse perché era fuori di testa, pazzo e gliela hanno portata via.»

«Sì, ma la madre? Perché è chiaro che la madre non c’è. Morta? Scappata? In galera? Io scommetto su morta. E su Vagano impazzito di conseguenza.»

«Sì, potrebbe stare in piedi.»

«Ma, a proposito, perché lo chiamavano Vagano?»

Adesso tocca a Connie posare il calice di Verdicchio. Si asciuga le labbra con il tovagliolo, e: «Non lo sai? Qui sono preparatissima. È una delle prime cose che ho imparato quando sono arrivata al Grand Hotel».

Dalla cucina escono i primi e Natasha inverte le portate, tagliolini a Connie e passatelli a Myrta. Glielo fanno notare e lei, scambiandoli di nuovo, commenta con grande spirito: «Scusatemi. Sapete, con questa confusione…» e indica la sala deserta.

Le dottoresse ridono e appena Natasha se ne va, Costanza riprende il discorso.

«Vagano è un soprannome che deriva dalla cantilena che ripeteva sempre e che è presa paro paro dalla prima scena di Amarcord. Anche lì una specie di picchiatello romagnolo dice, facendotela breve: Vagano. Girolanz… Gironzano… Vagano, vagano, vagano

«Ecco cos’era!» sbotta Myrta. «Ti ricordi I ragazzi sono in giro del Liga? All’inizio c’è la stessa roba – Vagano, vagano, vagano. Sono anni che mi chiedo chi parla, cosa cavolo vuole dire, dove vagano! È Amarcord anche lì, allora!»

«Brava, è vero, neanche io li avevo abbinati!»

«Dai che siamo una bella coppia» Myrta solleva il bicchiere per un brindisi. Poi, a bruciapelo, le chiede: «Connie, tu hai mai fatto la groupie?».

«Ma sei scema? Certo che no. Tu piuttosto, visto che me lo chiedi?»

«Ci ho provato ma mi hanno rimbalzata.»

«Ma sei seria o cosa?»

«Serissima.»

«E chi mai avrebbe rifiutato un simile bocconcino?»

«Davvero vuoi saperlo? Gli Inti-Illimani!»

La risata di Costanza si sente fino alla reception e Stefano, senza alcun motivo, ride anche lui. Per solidarietà. E, siccome gli è venuta sete, va al bar a farsi una spremuta.