Ventiquattro

Elena e Guglielmo Grasso, i genitori di Pandora, sono due belle persone sulla sessantina. Vengono da Savona, dove abitano e dove stava anche Pandora prima di San Patrignano e poi di Portoverde.

La storia che raccontano è, per certi versi, prevedibile, per altri, stupefacente, però nel senso di sorprendente.

Pandora non è loro figlia naturale. È stata adottata. I fatti sono questi. Nel 1993 l’ingegner Maurizio Fornari, direttore dello stabilimento 3M-Ferrania di Cairo Montenotte, viene licenziato a seguito di una pesante ristrutturazione che porterà poi alla chiusura definitiva della fabbrica. Persona intelligente, molto colta, ma fragile, l’ingegnere ha un conseguente fortissimo esaurimento nervoso. La depressione lo annichilisce. Fino al giorno in cui, caricata la famiglia in macchina, parte. Nessuno sa per dove. Francia, forse. I Fornari sull’auto sono in cinque, Maurizio, la moglie e i tre figli, due maschi e Pandora, che ha cinque anni ed è la più piccolina. A Spotorno l’incidente. Forse a causa della sonnolenza provocata dai farmaci, l’ingegnere perde il controllo e l’auto si schianta contro un camion. Muoiono la moglie e i due maschi. Fornari è in condizioni disperate. Pandora è illesa, ma da lì inizia il suo travaglio. Non ha parenti, ma proprio nessuno di nessuno. Prima viene affidata ai servizi sociali, in attesa di vedere cosa ne sarà del padre. L’ingegner Fornari resta in coma per più di un anno. Miracolosamente si risveglia, ma ha perso il lume della ragione, lui stesso non sa più chi sia. Alterna brevi parentesi di lucidità a lunghissimi periodi di demenza. Viene tenuto sotto osservazione per un altro intero anno, alla fine del quale il Tribunale di Savona lo dichiara totalmente incapace di intendere e di volere e lo interdice, raccomandandone il ricovero in una struttura del genovese. Contemporaneamente, il Tribunale dei Minori priva il Fornari della potestà genitoriale e affida Pandora ai Grasso, i quali in seguito la adottano. La bambina è fantastica, ma fragile come il padre. Lo shock dell’incidente l’ha segnata profondamente. In un colpo solo ha perso tutta la sua famiglia, oltretutto a una età, cinque anni, in cui non sei più così piccolo da rimuovere, ma non abbastanza grande per elaborare la tragedia. L’infanzia di Pandora è difficile, l’adolescenza drammatica. Entra in contatto con l’eroina. Sembra una vittima predestinata, e infatti a diciotto anni è completamente dipendente dalla droga, con tutto quello che consegue. Furti in casa e fuori, fermi, ricoveri in ospedale, crisi di astinenza, fughe, tutto il campionario insomma. Alla fine, i genitori adottivi riescono a farla entrare a San Patrignano. La vanno a trovare regolarmente. I progressi li vedono. Sperano. Lei non si fa più ed è diventata ancora più bella, bellissima senza le cicatrici dell’eroina. Invece, dopo un anno e mezzo, scompare. Esce dalla comunità e non si fa più viva. I Grasso non ne sanno più nulla. Provano a cercarla ma, alla fine, sono costretti a lasciar perdere. Se ne fanno una ragione. Capita, in fondo. Può succedere con i figli naturali e con quelli adottati, è la vita difficile dei genitori di figli difficili. Questo il succo del discorso.

Costanza Confalonieri e Orlando Appicciafuoco hanno ascoltato in silenzio. Commossi. Sono colpiti dalla compostezza di quei due signori che hanno appena perso una figlia. Anche se quella perdita era stata preceduta, anni prima, dalla rinuncia.

È il vice questore a rompere il silenzio domandando: «E il padre? Dell’ingegner Fornari avete più saputo niente?».

Risponde Elena Grasso: «Guardi, dottoressa, che noi non lo abbiamo neanche mai conosciuto, incontrato, neppure visto di sfuggita. Le notizie su di lui le abbiamo avute dai giornali, subito dopo l’incidente, e dal Tribunale dei Minori. Tenga presente che la fabbrica della Ferrania, poi 3M, era di gran lunga la più grossa realtà industriale del savonese».

«Pensi che è arrivata a dare lavoro a 4500 persone, 4500 famiglie» interviene, con una punta di orgoglio, il signor Grasso. «Sulle pellicole Ferrania si giravano i film di De Sica, Fellini, Mastroianni, Cardinale. Per noi di Savona, la Ferrania era quello che la Fiat era per Torino. E l’ingegner Fornari era il suo direttore, quindi si può immaginare lo scalpore che quell’incidente terribile suscitò all’epoca. E pensare che oggi la fabbrica non c’è più, o quasi. E forse neanche l’ingegnere.»

«Temo possa togliere il forse» risponde Costanza. «Abbiamo motivo di credere che anche l’ingegnere sia stato ucciso, qui a Rimini. Solo che non aveva nome, solo un soprannome, Vagano. Viveva da qualche anno come un clochard, nei dintorni del Grand Hotel: probabilmente aveva col tempo riacquistato barlumi di lucidità e scoperto, o saputo, che Pandora stava a Rimini. Così l’aveva cercata, le si era riavvicinato. Ma queste sono solo illazioni. Le indagini sono naturalmente ancora in corso e voi ci avete dato un contributo preziosissimo.»

Elena Grasso annuisce e chiede: «Avete già idea del perché Pandora e suo padre sono stati uccisi? Abbiamo letto cose orribili su di lei».

Costanza prende tra le sue le mani di Elena.

«Il perché non lo sappiamo ancora, ma lo scopriremo. Su Pandora non ascolti i giornali. A noi risulta che stesse per lasciarsi alle spalle i fantasmi del suo passato e che si fosse riconciliata col padre naturale.»

Questa volta è Guglielmo Grasso a parlare.

«In effetti tre o quattro anni fa vennero da noi a Savona i carabinieri, per dirci che il Fornari era scomparso dall’istituto di Genova, chiedendoci se noi ne sapevamo qualcosa. Ma ovviamente non ne sapevamo nulla. Ecco dove era finito. Mi viene da dire che la famiglia, alla fine, si è riunita.»

«Pregherò per loro» dice Elena Grasso, tradendo per la prima volta l’emozione. Asciugandosi le lacrime, chiede: «È vero che era incinta?».

Costanza non risponde. Si alza e l’abbraccia. Piange anche lei.

Il vice sovrintendente Emerson Balducci, dopo aver bussato, mette la testa dentro per dire: «Scusatemi. Dottoressa, è arrivato il signor questore».

«Vengo subito» risponde Costanza con un gesto. Poi saluta la mamma e il papà di Pandora e lascia – è bastato uno sguardo – all’ispettore Appicciafuoco il compito non invidiabile di accompagnare i Grasso all’obitorio per il riconoscimento.

Uscendo dalla sala degli interrogatori, Costanza inquadra Emerson a figura intera, e non può credere ai propri occhi. Balducci la felpa se l’è girata, sì, ma per lui girare significa evidentemente mettere davanti quello che era dietro. Interpretazioni. Adesso sul petto ha scritto: SI PUÒ MICA VINCERE SIEMPRE. E sulla schiena: HASTA LA VICTORIA SPIESSO.

«Così non si capisce» si giustifica Emerson cogliendo l’espressione inceneritrice del suo capo.