Trentuno
Orlando Seneca Appicciafuoco parcheggia la sua auto davanti alla Cascina Salvo e Margherita, a Spadarolo, sede della Fondazione 21 marzo.
Quella della Cascina è una storia, questa sì, non banale.
Nel 1980 un attore e regista, piuttosto noto a quei tempi, Sauro Pari, lascia Roma, dopo aver venduto tutto ciò che possedeva, e si trasferisce a Spadarolo, dove aveva individuato un grande e vecchio casale che compra e ristruttura nei due anni successivi. La moglie, Virginia, anche lei attrice, è morta a Roma due anni prima dando alla luce Margherita, una bambina affetta dalla sindrome di Down. Sauro ha allora abbandonato tutto, amici, casa e lavoro, per dedicarsi a lei. Completamente a lei. Fonda la Cooperativa, che poi diventerà la Fondazione 21 marzo, insediandola nella, ribattezzata, Cascina Margherita di Spadarolo. Il 21 marzo è la giornata mondiale della sindrome di Down perché la data 21/3 richiama il fatto che la ventunesima coppia di cromosomi, invece di due, ne ha tre, la trisomia 21, appunto.
A trentacinque anni dalla sua nascita la Cooperativa, oggi Fondazione, è diventata in Italia un punto di riferimento imprescindibile per tutti i genitori di bambini con la sindrome di Down.
Orlando Appicciafuoco vent’anni fa stava a Palermo, era sovrintendente di Polizia, sposato con Elvira e con un figlio, Salvuccio, di sette anni, che era la luce dei suoi occhi, anche lui con la sindrome di Down. Siccome già a quei tempi si sentiva parlare della Cooperativa di Pari, Orlando aveva chiesto il trasferimento a Rimini. Appena arrivato con Elvira e Salvo, aveva cercato e trovato casa proprio a Spadarolo. Erano seguiti anni felici. Molto felici. Orlando e Sauro erano diventati praticamente due fratelli, accomunati dagli stessi interessi, culturali e sociali. Anche politici. Elvira faceva la mamma di entrambi i bambini, che crescevano all’interno di un vero e proprio laboratorio di iniziative di sostegno per tutti i ragazzi con la loro stessa sindrome. Anni indimenticabili per i Pari e gli Appicciafuoco. Anni d’amore, infine, per i due ragazzi, ormai adulti.
Poi però, nel 2012, Margherita e Salvo se ne erano andati, senza soffrire, come quasi tutti quelli che si arrendono alle stravaganze cardiache. A distanza di soli cinque mesi una dall’altro. Come se lei non potesse vivere senza di lui. Come Giulietta Masina senza Federico Fellini. Fine di una bella storia.
A quel punto Elvira aveva considerato esaurito il suo compito a Spadarolo e aveva chiesto a Orlando di tornare a Palermo. Ma lui, Seneca, aveva risposto: Hic manebimus optime. La sua casa ormai era la Cascina Salvo e Margherita, come era stata ribattezzata. La sua famiglia era la Fondazione 21 marzo, di cui, tra l’altro, era diventato vicepresidente. Così aveva salutato Elvira, che però andava a trovare a Palermo durante le ferie d’estate e a Natale – sì, andava giù come i terroni – e aveva traslocato il letto e tutti i suoi libri all’interno della cascina.
Questa la storia.
Orlando spegne il motore e scende dall’auto, andando verso la piccola officina, sulla destra della cascina, in cui sa di trovare Sauro. Che, infatti, è lì. Sta facendo il tagliando al piccolo spazzaneve, che ha quasi fuso per sgomberare dalla neve il piazzale del parcheggio.
I due si salutano e Orlando gli fa all’orecchio: «Ma tu ti ricordi ancora come si fa a recitare?».
Sauro lo guarda con compassione. Poi gli risponde: «Ci sono due cose che io, anche volendo, non posso dimenticare, la prima che sono comunista, la seconda che sono un attore. Quindi non mi chiedere se so recitare. Piuttosto, portami un testo».
«Allora vieni, dai. Facciamo due passi qui fuori. Dammi una sigaretta.»
«Non ci penso proprio.»
«Comunista, eh? Da quando?»
«Io sono comunista da così tanto tempo che Che Guevara da ragazzino aveva il mio poster sul suo lettino!»
«Hasta la victoria spiesso, allora» dice Orlando sorridendo e prendendo sottobraccio l’incredulo Sauro.