Trenta

Costanza Confalonieri, grazie all’ascensore per il personale, dalla Spa raggiunge direttamente la sua suite.

Entra e si sdraia sul letto. Ma ha freddo. Così si alza, toglie l’accappatoio, si sfila il costume bagnato e va a farsi un’altra doccia, stavolta bollente.

È inquieta. Il suo stato d’animo oscilla tra lo sconforto causato dagli ultimi avvenimenti e l’eccitazione frenetica per quello che potrebbe succedere nelle prossime ventiquattr’ore. Massì, stavolta va bene anche H24.

Dopo essersi asciugata e vestita, quasi con sorpresa, si accorge di avere fame. È dalla mattina, a parte una forchettata di polenta e vongole, che non mette qualcosa nello stomaco. Chiama il ristorante. Risponde Natasha, la lettone, a cui ordina cappelletti in brodo e sogliole alla mugnaia con insalata mista. Poi fa quello che si era ripromessa di non fare. Accende la tivù. Ahia.

Ora, con mille canali a disposizione, quante probabilità ci sono che si sintonizzi immediatamente sull’unico che si sta occupando proprio di lei? Lo 0,1 per cento, ma nella vita, quando una ha culo…

In studio ci sono il conduttore, che, con questi di Rimini, festeggia i 175 morti ammazzati in carriera; uno psicologo della Sapienza; una criminologa, consulente di svariate procure; un famoso dell’Isola dei, di cui però adesso sfugge il nome. Sullo sfondo un ledwall con l’immagine del Grand Hotel e la scritta (C)RIMINI.

Costanza, invece di spegnere, alza il volume. È la sindrome di San Francisco: se la città va a fuoco, chi è dentro scappa fuori e chi è fuori va dentro a curiosare.

I quattro necrofagi ne stanno dicendo di tutti i colori. Naturalmente su di lei, che non può fare altro che mordersi il labbro.

Comincia la criminologa: «Mi spiace contraddire l’ineffabile vice questora Costanza Confalonieri Bonnet, ma a Rimini il movente sociale è del tutto evidente. Quando si uccidono in sequenza un homeless, un africano, una tossicodipendente, una escort e un protettore è chiaro che nella mente dell’assassino è scattato l’odio nei confronti del peccatore, che lo ha accecato fino a spingerlo a commettere crimini orrendi. Solo chi è a sua volta accecato da qualcosa, magari dalla propria vanità, può non rendersi conto di questa evidenza, minimizzare fino a ridurre tutto a criminalità comune». E sorride. Soddisfatta.

Costanza scuote la testa, mormora: «Stronza. Non solo, sei anche antipatica, ignorante e presuntuosa. E poi sei stronza. Te l’ho già detto?».

Intanto, il conduttore ha chiesto allo psicologo di tracciare un profilo del serial killer. Il professore si passa una mano sulla barba sale e pepe e comincia.

«Difficile tracciare la filogenesi del soggetto con così scarsi elementi in nostro possesso. Evidentemente gli investigatori non erano interessati a questo aspetto. Tuttavia qualche spunto oggettivo di riflessione possiamo ricavarlo dal poco a nostra disposizione. Ci si trova di fronte a un deviato, la cui degenerazione psichica è sfociata in una sorta di destrutturazione della personalità. Le cause? Difficile dirlo, probabilmente una congenita disarmonia della condotta, che è quasi sempre frutto di un marcato disordine riproduttivo.»

«Vedi a sposarsi tra cugini?» commenta Costanza ad alta voce. Però non si riferisce al killer, ma al professore.

Intanto bussano alla porta. È Natasha che appoggia sul tavolino il vassoio con le due cloche. Poi apparecchia, saluta ed esce.

Costanza si avventa sui cappelletti come una palla da bowling sul castello dei birilli. Non fa strike ma ci va vicino, mentre in tivù è la volta di quello famoso, di cui però adesso sfugge il nome. Dice cose imbarazzanti su Costanza.

«Mi spiegate perché» argomenta l’abbronzato sistemandosi il ciuffo con la mano tatuata «io per diventare influencer mi sono fatto un mazzo tanto e questa invece? Questa vice questrice crede di diventare famosa così, dopo una conferenza stampa, dopo un solo passaggio televisivo, per giunta alla mattina. Cara vicesignora» dice proprio così «mi lasci dire che nella vita il culo bisogna farselo, non basta avercelo!» Applausi dallo studio.

Costanza spegne e chiude gli occhi. Che pirla, pensa. Ha ragione Orlando, un Paese che non persegue penalmente L’isola dei famosi è un Paese che cammina in salita sulla strada della civiltà. Non dico la pena di morte. Anche se…

Suona il telefonino spiato. Rischio. È il sindaco. Doppio rischio. Sai che c’è? C’è che io rispondo.

«Caro sindaco!»

«Cara vicesignora!»

«Stai guardando?»

«Che animali, eh? Tu come stai?»

«Secondo te?»

«Già. Quindi non hai niente da offrirmi che possa farmi passare una notte di pace in tempo di guerra?»

Lei capisce l’allusione (non ci voleva granché) ed è tentata. Ma no, non è il momento. Piuttosto può sfruttare le microspie per cercare di pasturare un po’ prima di gettare l’amo con l’esca vera. Per cui, fingendo di non aver colto l’avance, risponde: «No, grosse novità non ne abbiamo. Però domani potrebbe essere un giorno importante. I miei stanno cercando una persona che forse sa dove è finita una certa cosa che poi è la chiave di tutto. Però, come immagini, non posso dirti di più. Se parlassi roboante come lo psicologo brizzolato della Sapienza, potrei dirti che siamo vicini a individuare la nota stonata nello spartito dell’indagine».

«Osta, che bella frase. Mi vengono in mente gli scampoli d’assenza, ti ricordi?»

Lei ride e replica: «Bravo, sì! Certo che me li ricordo gli scampoli d’assenza, che intuizione! Ma l’hai sentito quel cretino, la congenita disarmonia, ma vai a cagare, va’!». Costanza è furiosa. «E basta con tutte queste stronzate! La colpa, come sempre, è dei cattivi maestri. In questo caso dei poeti. “Vorrei fare con te quello che la primavera fa con i ciliegi.” Sai, invece, cosa ti farei io?»

«Ma è Neruda!»

«Lo so, e per lui chiudiamo un occhio. Gli diamo una wild card, ma per tutti i suoi nipotini nisba. Tutti a lavorare.»

Riccardo Milani ride. Poi decide di provocarla.

«Allora faccio scopa con “Possono strappare tutti i fiori ma non fermeranno la primavera”.»

«A lavorare.»

«Ma è sempre Neruda!»

«Wild card ritirata. Miniera. Turno di notte.»

Il sindaco non la smette, si diverte troppo. Non ha mai sentito Costanza così aggressiva.

«Adesso te ne dico una che mi hanno insegnato quando ero in Fgci, che non c’entra col calcio ma coi giovani comunisti. È bellissima e dice che i comunisti non hanno gli occhi solo per piangere, quando si asciugano una lacrima lo fanno per guardare più lontano.»

«Sempre a lavorare! Questo sarebbe?»

«Giancarlo Pajetta!»

«Non so chi sia, ma a lavorare lo stesso. E siccome è comunista, questo va in Siberia. D’inverno.»

Costanza beve un sorso d’acqua e sorride pensando: chissà cosa ci stanno capendo quelli all’ascolto nel furgone. Poi continua: «Alla larga dagli spacciatori di minchiate alte, altro che poesia. La poesia non può mai, mai, essere banale. Le manine scoincidono nel nostro paese colla primavera. E vagano vagano vagano, questa è poesia. Mica tutte quelle cazzate, tutte quelle banalità alte, placcate oro».

«Perché ci sono delle banalità basse?»

«Certo! E quelle invece le adoro. Sincere, ruspanti, lì usciamo dalla sfera della banalità per entrare nell’ignoranza pura, vera, cristallina, insomma una branca della cultura. Lo so, è complicato, vorrei farti un esempio, a parte le manine di Vagano, ma non mi viene in mente niente. Comunque hai capito?»

«Certo. Mi stai dicendo che tu impazzisci per robe come, vediamo…» fa una pausa, sta pensando. Poi: «Una roba come: “Si spegne nei tuoi occhi la luna e si accendono i grilli. Tu sei come il vento che porta i violini e le rose”».

Connie coglie al volo il riferimento e canta: «Caramelle non ne voglio piùùù».

E lui: «Se tu non ci fossi bisognerebbe inventarti».

«La luna e i grilli normalmente mi tengono sveglia mentre io voglio dormire e sognare.»

«Una parola ancora.»

«Parole, parole, parole.»

«Ascoltami.»

«Parole, parole, parole.»

«Ti prego.»

«Parole, parole, parole.»

«Io ti giuro.»

«Parole, parole, parole, parole, parole, soltanto parole tra noi. Buonanotte, signor sindaco.»

«Buonanotte, signora vicesignora. Osta come canti bene però!»

E riattaccano.

Stavolta, per loro, niente turno di notte.