Undici
Il corteo delle pantere della Polizia procede a sirene spiegate verso Misano, lungo la strada costiera della riviera romagnola. Niente autostrada, niente Adriatica. Così ha deciso il vice questore Costanza Confalonieri Bonnet. Tutti devono sentire che la Squadra omicidi di Rimini si sta muovendo. Quei tutti, per la verità, sono quasi nessuno, in quel buio, gelido mattino nevoso di febbraio. Ma è il pensiero che conta.
Sulla macchina di mezzo, una Bmw appena consegnata con l’odore tipico di tutte le macchine nuove del mondo, non ancora coperto dall’odore tipico di tutte le polizie del mondo, è stipata la Squadra al completo, perché così ha voluto la sua comandante.
Questa volta al volante c’è Orlando Appicciafuoco, Seneca, che, quando era ancora un semplice agente, era stato spedito da Palermo a Merano per un corso di guida sulla neve e sul ghiaccio. Perché si sa mai che a Palermo prima o poi… Comunque dodici lezioni per imparare che sulla neve non bisogna frenare. E tutto questo coi nostri soldi! Vergogna! Vergogna! Vergogna! Commenterebbe qualcuno ai nostri giorni.
Al fianco dell’esperto pilota di rally è seduta Costanza. Dietro stanno Cecilia ed Emerson, ancora immerso nella sua fantasia cine-pasticcera.
«Questa Pandora Grasso» è la Cortellesi che legge e commenta le informazioni annotate sul suo magico iPad «ha una biografia che mollala. A diciassette anni scappa di casa per la prima volta.»
«Casa sua dov’era?» chiede Orlando, da sempre interessato alla geocriminalità.
«Savona. È lì che fin da ragazzina ficca il naso nel mondo degli stupefacenti e quel mondo finisce per schiacciarla quasi del tutto. A ventidue anni, i suoi genitori riescono a farla entrare a San Patrignano. Ci resta un paio d’anni e quando esce è pulita.»
Orlando sorpassa un mezzo del Comune che sparge sale sulla strada. È l’unico veicolo che hanno incontrato da Rimini a Marebello.
«Se ha i genitori, cade l’ipotesi che Vagano sia il padre. Quindi che cosa fa?» chiede Costanza.
Cecilia si prende il tempo per leggere dal tablet, poi: «Pare che intanto si sia fatta bellissima e siccome sto guardando una sua foto mi sento di confermare, per quel che ne capisco. Tu, Emerson, che dici?» e gira il tablet con la foto verso il collega, grande esperto di gnocca guardata.
«Diobo’! Sembra Angiolina Sciolì giovane!»
Dopo la qualificata conferma, Cecilia riprende il filo.
«Pandora è bella e, evidentemente, ne è convinta anche lei. Entra in un giro molto romagnolo di discoteche, privè, party esclusivi, club nautici ariosi. Insomma, non saprei come definirla. Viene facile dire una escort, ma secondo me non era proprio o, per lo meno, solo questo.»
«Una demi-mondaine» butta lì Costanza.
«Una che?» chiede Emerson.
«Una entraîneuse a targhe alterne e solo con macchine di lusso, capito?» gli spiega Seneca Orlando.
«Sì, direi di sì.»
Costanza, incuriosita dalla titubanza di Emerson, perché sa che può riservare sorprese cui sarebbe un peccato rinunciare, gli domanda: «Perché, tu, una così, come la chiameresti?».
E lui, infatti: «Ah dì, una che dà del tu al cazzo».
Il vice questore ride (ma dentro di sé, eh?) e con un tono finto burbero gli dice: «Bene, e questa figura retorica così femminile, che si presta alle più varie interpretazioni, da quale scrittrice è ispirata stavolta? Jane Austen? Simone de Beauvoir? Elsa Morante?».
«Eh no! No! Questa è mia, è tutta mia!» dice Emerson con l’orgoglio di chi sa che sta per essere finalmente ammesso nel prestigioso Olimpo dei Citati. Le scrittrici se ne facciano una ragione.
La pattuglia bicolore delle tre volanti supera l’incrocio con viale Ceccarini a Riccione e prosegue verso Misano, mentre l’agente scelto Cecilia Cortellesi conclude la relazione.
«A un certo punto, Pandora e Berhanu costituiscono una società, lo Studio Associato Pandhanu, che si occupa di pubbliche relazioni. Spulciando tra i clienti, non tanti per la verità, quasi tutti club, discoteche e robe del genere, ho trovato anche un night di Rimini, il Lady Godiva che forse…»
«Ma è il night sotto al Grand Hotel!» dice Costanza pensando immediatamente che proprio lì vicino è stato trovato Vagano e che forse un’altra tessera del puzzle andava a posto, senza però ancora lasciare capire se si trattava di un faro in mezzo all’oceano, oppure di tre gattini in una cesta. Ma con un po’ di pazienza…
Intanto Portoverde, il quartiere residenziale alle porte di Misano, ormai è là, in fondo alla seconda uscita dell’ennesimo rondò.
Cecilia legge dall’iPad l’indirizzo esatto: calle dei Pescatori 10.
Trovare la palazzina è un attimo, visto che a Portoverde ci sono solo tre strade e se non è una è l’altra, o l’altra ancora.
Le auto della Polizia si fermano davanti al numero 10. Le tracce solitarie delle loro ruote sulla neve immacolata rivelano che da lì non è passato nessuno, almeno nelle ultime ore.
Scendono tutti, tranne un agente che rimane in auto per eventuali contatti radio.
Ora il problema è individuare l’appartamento della Grasso. La palazzina è a tre piani e il citofono, che purtroppo ha solo i numeri, indica sei appartamenti. Emerson pigia i sei bottoni, ma non ottiene risposta. Normale, sono tutte seconde case ed è improbabile che qualcuno possa avvertire la necessità di lasciare la città per passare un paio di giorni a Misano a febbraio. Per giunta sotto la neve. Pandora, però, lì potrebbe essersi già trasferita, eppure l’auspicato «Chi è?» non arriva.
L’ispettore capo Orlando Appicciafuoco richiama l’attenzione dei colleghi. Il portone della palazzina è accostato. Sembra chiuso, ma non è così. Sulla serratura i segni dell’effrazione sono evidenti.
Come nei telefilm, tutti gli agenti tacciono ed estraggono la pistola. Le femmine, Costanza e Cecilia, stanno un passo indietro, ma non per sottomissione. Più semplicemente sanno che in certe situazioni il cervello è quasi d’impiccio.
Infatti è proprio il vice sovrintendente Balducci che, al primo piano, trova l’appartamento di Pandora Grasso.
La porta è divelta.
Emerson, camminando con l’adrenalina fino alle ginocchia, urla la frase di rito: «Fermi tutti! Polizia!» peccato la zeta romagnola che svilisce tutto e non metterebbe paura neanche a un criceto. Poi, pistola spianata, irrompe nell’appartamento.
È praticamente un ampio monolocale, ragion per cui gli agenti maschi non possono sguinzagliarsi e gridare: «Libero!» come sognano da una vita.
Anche perché l’appartamento libero non è per niente.
Al centro della stanza c’è un corpo accartocciato su se stesso.
Un corpo di donna.
Nuda.
Morta.
Pandora.
Il vice questore Costanza Confalonieri si avvicina e si china sulla ragazza, solo per constatare che non vi siano più segni di vita. Poi si rialza e dice a tutti di fare attenzione a non toccare niente. Un agente viene mandato giù, alle volanti parcheggiate, per avvisare la Centrale. Altri due a verificare se il resto della palazzina è realmente disabitato.
La Squadra ora è rimasta sola nella casa di Pandora. Si sente un vago odore di benzina, di cherosene. Ma questa volta nessuno ha versato niente sul corpo della povera ragazza. Che, anche fatta su come un gomitolo, coi capelli spampanati e il pallore della morte, sembra a tutti bellissima.
Chissà, forse è questo che ha convinto l’assassino o gli assassini a non bruciarla. La bellezza a volte chiama rispetto anche a chi il rispetto non l’ha mai frequentato.
L’agente scelto Cecilia Cortellesi, col cuore che le batte a mille e il respiro affannoso, trova il coraggio di girare intorno al cadavere per vedere meglio il viso. Si china su di lei, poi quasi singhiozzando dice: «Era… era incinta».
Nessuno commenta. Se l’orrore fosse misurabile, se avesse una sua unità di misura, lì al primo piano del numero 10 di calle dei Pescatori a Portoverde di Misano Adriatico l’orrorometro esploderebbe per inadeguatezza della scala. Ma una macchina così non l’hanno ancora inventata, per cui tocca mandar giù lacrime e saliva in attesa che qualcuno riprenda equilibrio e trovi la forza di rompere quel silenzio, disturbato solo dal gracchiare della radio della volante un piano sotto.
Costanza distoglie lo sguardo dal corpo di Pandora e lo lascia vagare per il monolocale.
C’è un angolo cottura con una pentola di minestrone sul fornello spento e un piccolo frigo, dei mobiletti bianchi sopra e sotto il lavandino, che è pulito come se non fosse stato usato di recente. C’è poi un divano, di fronte a un televisore al plasma di una ventina di pollici. Sul tavolino una vecchia Nikon F2 e delle riviste, di quelle che anche a febbraio hanno in copertina una donna in bikini. La macchina fotografica ha lo sportelletto aperto ed è senza rullino.
Per terra, alla rinfusa, i vestiti di Pandora. Il reggiseno ha il gancetto rotto, come se fosse stato strappato. Volevano violentarla, è la prima cosa che pensa Costanza, poi hanno visto che era incinta e non se la sono sentita. Ormai pensa al plurale perché si è persuasa che tutta questa barbarie non può mica essere opera di una persona sola. Si sono limitati a ucciderla, probabilmente dopo aver trovato, o saputo, quello che cercavano.
«Povera stella. Povera stellina» dice a bassa voce Costanza, leccandosi una lacrima che aveva quasi raggiunto le labbra.
Sull’ultimo lato del monolocale c’è il letto. Molto grande, in quell’ambiente così piccolo. Sulla parete, sopra i cuscini, un poster incorniciato degli U2, concerto di San Siro, 7 luglio 2009. Costanza si gira verso i colleghi pensando che c’era anche lei, quel giorno, a Milano. Ricorda perfino che a un certo punto Bono aveva fatto gli augu… Si blocca all’improvviso. Il sangue non circola più. I polmoni smettono di ventilare. La vista le si riempie di stelline colorate. Possibile? È possibile che abbia visto quello che adesso le impedisce di girarsi per avere la conferma? O la smentita?
Costanza si volta lentamente con gli occhi chiusi. Li riapre di scatto. Sì, ora la conferma ce l’ha.
Senza aprire bocca, ma schioccando le dita, richiama l’attenzione dei suoi. Indica il letto.
È Cecilia la prima a capire e grida.
Tra i cuscini spunta la testa di Stacie, la sorella di Barbie.