Uno
Il preside Alcide Pisani soffre di insonnia. Non da sempre, da quando la sua povera Linda l’ha lasciato, tre anni fa.
Malata era malata. Il dottor Saibene le aveva dato al massimo un anno, un anno e mezzo per via del male brutto che le aveva invaso la brughiera intestinale.
Lei se n’era fatta una ragione, ma lui… lui uno strazio. Non si dava pace e piangeva come piangono di solito quelli che nella vita hanno fatto piangere. Senza freni.
All’inizio lei lo consolava – lei, a lui! –, poi una mattina aveva perso la pazienza, era andata sul balcone e si era buttata di sotto.
Così almeno piangi per qualcosa, stronzo! aveva pensato mentre atterrava sul tettuccio di una Volvo che, presa alla sprovvista, ci rimase male. Poverina.
Non la Volvo, Linda.
E lo Stronzo? Lo Stronzo niente, si era comprato un cane, un labrador. L’aveva chiamato Linda anche se era un maschio perché a una certa età la memoria si concede lunghe vacanze, e perché così le cifre ricamate sulle lenzuola del corredo non si sarebbero dovute cambiare, visto che la nuova Linda lo seguiva ovunque e anche a letto si accucciava al suo fianco.
Solo sul balcone si rifiutava di andare e il professor Pisani non se lo spiegava. Ma si sa che il sesto senso degli animali sfugge molto spesso alla comprensione degli umani, figuriamoci a quella dei presidi.
Così, Alcide Pisani soffriva di insonnia. Tutte le notti, passata mezzanotte, portava la sua Linda (al femminile, così vuole lui) a marcare il territorio. Che poi era il lungomare di Rimini. Con qualsiasi tempo, in qualsiasi stagione.
Anche quel 16 febbraio in cui faceva un freddo, ma un freddo che il cane, quando lui gli aveva messo il guinzaglio, l’aveva guardato incredulo e poi aveva puntato deciso verso il balcone. Verso il balcone, la Linda!
E invece erano lì sul lungomare per il solito giro di cinquecento metri all’andata e altrettanti al ritorno. Fino alla rotonda del Grand Hotel e poi via veloci fino a casa in piazzale Kennedy.
Via veloci mica tanto, perché nella vita esistono gli imprevisti. Gli imprevisti possono essere belli o brutti e quando sono brutti si suddividono in bruttini e bruttissimi. Poi c’è la discrezionalità. Nel senso che un imprevisto bruttino per uno può essere bruttissimo per un altro e viceversa.
Ma un cadavere?
No, un cadavere è bruttissimo per tutti.
Il cadavere di un barbone poi, scovato dalla Linda sotto una panchina del piazzale, è brutto brutto brutto.
Il vice questore (al maschile, così vuole lei) Costanza Confalonieri Bonnet sta dormendo. Sogna una serata al cabaret, a Milano, quello famoso, quello in culo alla città con un piede sul confine di Sesto San Giovanni. Una serata di quelle loffie. In sala lei e pochi altri. Pubblico da martedì di febbraio in periferia.
Sul palco un comico periferico, da martedì, uno da spendere poco, insomma. Però simpatico, che sta dicendo: «L’altro giorno per errore ho telefonato a Della Valle, quello delle Tod’s. Il dialogo è andato così: “Pronto, chi parla?” “Sono Della Valle.” “Ah, mi scusi, ho sbagliato numero”. E lui: “Be’, se me le riporta con lo scontrino gliele cambiamo”».
Risolini che vanno larghi anche a un martedì. In sottofondo si sente la suoneria di un cellulare. E adesso chi lo starà chiamando, pensa Costanza rigirandosi nel letto.
Sì, però rispondi! Se non ti ricordi la prossima battuta non possiamo stare qui tutta la notte a sentire ’sto concerto. Tra l’altro, la suoneria è identica alla mia, che è già un po’ che la voglio cambiare… Oh cazzo!
«Pronto.»
«Dottoressa, sono Appicciafuoco. Scusi ma ci sarebbe un morto ammazzato.»
«Ci sarebbe, ispettore?»
«Sa, il condizionale mi pareva una delicatezza, viste l’ora e la temperatura. Il morto c’è, eccome, ed è tre volte brutto.»
«Dove?»
«Sotto una panchina nella rotonda del Grand Hotel. Se si affaccia ci vede tutti qua.»
«Scendo subito.»
Il vice questore Costanza Confalonieri Bonnet si alza dal letto, scosta le tende della sua suite all’ultimo piano del Grand Hotel e, nonostante la nebbia, vede subito i lampeggianti della volante e dell’ambulanza. Nottatina.
«Cosa abbiamo, Appicciafuoco?»
«Abbiamo quello che un poliziotto non vorrebbe mai avere. Un barbone carbonizzato.»
Costanza dà un’occhiata al corpo martoriato. Vincendo l’orrore si avvicina e sbotta: «Ossignore, ma è Vagano!».
«Lo conosce?»
«Si vede, ispettore, che lei non abita al mare. Vagano qui al parco Fellini è un’istituzione. È come la fontana dei Quattro Cavalli, laggiù, una presenza fissa ventiquattro ore al giorno, dodici mesi all’anno.»
«Ma Vagano e poi?»
«Non credo che qualcuno sappia il suo vero nome. Per tutti è solo Vagano perché non parla mai e quando lo fa recita di continuo una filastrocca che mi hanno detto, e in effetti poi mi sono ricordata, è l’inizio di Amarcord. Dai e dai, a furia di sentirgliela ripetere, l’ho imparata a memoria anch’io. Dice: Le manine scoincidono nel nostro paese colla primavera. Sono delle manine di cui che girano, vagano qua e vagano anca là. Sorvolano il cimitero di cui tutti riposano in pace. Sorvolano il lungomare come i tedeschi… datesi che il freddo non lo sentono loro. Ai… Al… Vagano, vagano. Girolanz… Gironzano… Gironzalon… Vagano, vagano, vagano!»
«Comunque, Vagano di documenti non ne ha. E, a proposito di manine, guardi le sue come sono ridotte. Prima di dargli fuoco l’hanno massacrato di legnate. Mai vista una cosa così.»
«Chi l’ha trovato?»
«Quel signore lì che stava pisciando il cane» dice un agente appoggiato alla volante.
«È transitivo?» chiede Costanza.
«Chi?»
«Non chi, cosa. Il verbo pisciare è transitivo? Vuole il complemento oggetto?»
«Sì e no. Permetta che mi presenti, sono il preside Alcide Pisani. Preside in pensione. Questa è Linda, il mio labrador. È lei che ha trovato il corpo. Vede signora, il verbo pisciare è intransitivo, probabilmente onomatopeico. E tuttavia quando il senso è figurato diventa transitivo. Per dire di uno che esagera nell’esprimere opinioni è corretto dire che è un “pisciasentenze”. Anche “pisciasangue” diventa sostantivo ed è il termine popolare con il quale si indica la piroplasmosi bovina.»
Costanza Confalonieri ha ascoltato un po’ disorientata. Si gira verso l’ispettore capo Orlando Appicciafuoco e gli dice: «Capisce, ispettore, perché Rimini mi affascina? Guardi qui. Dove troviamo da un’altra parte un senzatetto pestato e bruciato probabilmente da qualche nazista, un preside che ci spiega le proprietà di un verbo» indica Linda che sta mostrando a una ruota della volante che quella zona lì è roba sua «un cane che piscia su, e sottolineo su, una pantera, il tutto illuminato dalle luci del Grand Hotel di Federico Fellini? Dica, Appicciafuoco, dove lo troviamo un posto così, eh? Adesso raccolga tutto e ci vediamo domattina in Questura. Buonanotte, signor preside. Tu, agente, impara la lezione. Domani ti interrogo».
«Buonanotte, commissario» dice il preside accarezzando Linda.
«È un vice questore» precisa l’ispettore capo Appicciafuoco versando una bottiglietta d’acqua sulla ruota della volante pisciata dal labrador.