Tredici
Costanza Confalonieri Bonnet è nel suo ufficio in Questura. Ha appena finito di parlare al telefono con Leo Liverani, il compagno di sua madre, che ha letto i giornali ed era preoccupato per lei. Carino, come sempre del resto. E l’ha anche fatta ridere con un paio di battute. Niente di sconveniente, o inopportuno. È un comico, Leo, fa battute. Fosse un elettrauto, le avrebbe parlato della pipetta della candela, ma è un comico e un comico, si sa, parla con le battute. Battute che però Connie ha già dimenticato. Anzi no, una diceva che a Rimini c’erano talmente tanti delitti che per delimitare la scena del crimine bisognava srotolare dieci chilometri di nastro bianco e rosso, dal lungomare fino al casello dell’A14.
Costanza guarda l’orologio che segna le dieci. La conferenza è convocata per mezzogiorno. Dai suoi agenti nessuna notizia. Troppo presto, ma peccato lo stesso. Ci sperava. Sente i muscoli delle spalle e del collo tesi e doloranti. Senza pensarci due volte, si alza, esce dall’ufficio, scende le scale e dice al piantone di chiamare un agente che la porti in albergo.
Dopo dieci minuti entra nella hall del Grand Hotel. Al banco della reception c’è Alessia, una delle concierge diurne, che le sta molto simpatica. Non sa che la ragazza prova nei suoi confronti lo stesso sentimento di Stefano, il portiere di notte: anche nel suo caso trattasi di amore. O forse è proprio per questo che a Costanza sta simpatica. Sorridendo, le chiede di prenotarle un massaggio alla Spa e intanto chiama Rosalia che ha un negozio da parrucchiera a trecento metri dall’albergo e le fa spesso i capelli a domicilio. Appuntamento tra un’ora nella suite. Si avvia verso la Spa, Alessia la guarda da dietro, chiude gli occhi e pensa a quanto darebbe per potersi reincarnare. Negli occhi e nelle mani del massaggiatore. Igor.
Mentre Igor, un bielorusso di un metro e novanta ma con la forza di un bielorusso di quasi due metri (che è uguale, ma rende di più l’idea), la massaggia, Costanza prova a riepilogare i fatti.
Fatti che le risultano provocatoriamente lineari. C’è qualcuno che cerca qualcosa che ha, o meglio aveva, qualcun altro. Fine del riepilogo. Purtroppo non si sa nulla del qualcuno e del qualcosa, mentre i qualcun altro, che sanno tutto del qualcuno e del qualcosa, non possono più parlare.
La chiave che la dottoressa Myrta Albanese ha trovato nell’esofago di Vagano è, appunto, la chiave di tutto. Cosa apre? Cosa ci sarà dentro quello che apre?
Veniamo agli omicidi. Sono opera di professionisti. Però strani, gente che non usa la pistola, o il coltello, ma le mani. E poi dà fuoco ai cadaveri. Militari. Sicuro come l’oro che sono ex militari di quelli brutti, addestrati a eliminare il nemico. Che poi il nemico sia una ragazza incinta per loro non fa differenza. E invece sì, lei non la bruciano. Segno che hanno un loro codice, delle regole d’ingaggio. Quindi militari, ex militari, forze speciali. Sì, sta in piedi. Ma chi si può permettere un esercito? Non i ladri di galline. Non una banda romagnola, neppure se di liscio, le più pericolose. No, qui abbiamo di fronte qualcosa di enorme. Igor, a proposito, la fa sedere sul lettino perché comincia a lavorarle la zona cervicale. I muscoli del vice questore sono tutti legati tra loro.
I legami, proprio i legami, ecco l’altro problema. Che cosa legava le tre vittime tra loro?
«Igor fai più piano, per favore» si raccomanda Costanza, ma senza farsi distrarre dal dolore.
Le ipotesi qui sono più semplici. Alla portata di Emerson Leichen Palmer Balducci, per intenderci.
Pandora e Berhanu stanno insieme e aspettano un bambino. Lui è un precario all’Università di Bologna. Precario, mah…. Vedremo. Lei è una che fino a poco tempo prima dava del tu al cazzo ma nell’ultimo periodo, forse, faceva finta di non conoscerlo. Doppio mah… Anche qui c’è qualcosa che sfugge. Di sicuro, Pandora è figlia, o nipote, o comunque imparentata con un barbone fuori di cotenna, però erudito. Che sa di latino e di cinema alto. Che sta a Rimini da qualche anno, però nessuno sa dove. Sì, è Vagano la chiave di tutto, perché sua è la chiave che, a sua volta, è la chiave di tutto. In due parole: chi cazzo è Vagano? Quattro parole. E qui domani ci arriviamo, pensa ancora Costanza ruotando lentamente il collo guidata dalle manone del bielorusso. Domani arrivano i genitori di Pandora, i signori Grasso, e loro ci diranno per forza qual è il legame tra la ragazza e il barbone. A meno che già stasera Myrta ci dia i riscontri dei Dna. Questo è quanto abbiamo finora.
Costanza scende con cautela dal lettino dei massaggi, la testa le gira appena. Aspetta trenta secondi che le passi, poi ringrazia Igor, senza però stringergli la mano, non si sa mai. Basta un cenno. Sale in camera, dove ad aspettarla c’è Rosalia con tutto il suo armamentario.
«Rosi» le dice «tu sai quanto io adori chiacchierare con te, però adesso mi serve un’ora di silenzio assoluto perché non posso perdere il filo del ragionamento che ho in testa.»
«Nessun problema. Solo una domanda: lo shampoo, quale lo vuole?»
«Lo voglio quello a schiuma silenziosa» risponde e pensa che prima o poi, alla mobile, una squadra che si occupi dei crimini contro la lingua italiana dovrà pure essere messa in piedi. Intanto riprende il suo personale riassunto.
La cronologia degli eventi è importante perché conferma che tutte le strade portano a Vagano. Il primo a essere torturato, poi ammazzato e poi bruciato è il ragazzo etiope. E siamo intorno alle diciassette. Quindi dovrebbe essere, si aspetta ancora però l’esame autoptico, la volta di Pandora. Diciamo verso l’ora di cena, visto che aveva una pentola con la minestra sul fornello. Per ultimo Vagano, nella notte. Dunque gli assassini prelevano Berhanu, dopo avergli sventrato la macchina. Lo portano nella colonia abbandonata, lo torturano, lui cede e gli dice che la roba, chissà che roba, ce l’ha Pandora. Allora vanno da lei, la spogliano perché, pensano, è un comunque un bel vedere, minacciano di violentarla, lei si terrorizza anche per via del bambino in grembo e ammette che la roba l’ha data a Vagano. E dove sta ’sto Vagano? In via dei Matti al numero zero. Per l’ultima volta, dove? Sulle panchine del parco Fellini a Rimini.
Costanza fa una pausa, riapre gli occhi e si guarda allo specchio.
«Rosi, toglimi ’ste due pieghe che mi hai fatto, va’» dice.
«Sicura? Fanno così beach waves.»
«Esatto, fanno così bitch, ma bi, i, ti, ci, acca che in inglese significa?»
«Butto lì, “zoccola”?»
«Vedi a saper le lingue? Cerca di ricordarti che sono pur sempre un vice questore, okay?» conclude Costanza socchiudendo di nuovo gli occhi e riprende il filo della sua trama.
Siamo all’epilogo. Gli assassini (ho già detto che devono per forza essere più di uno?) arrivano al parco Fellini. Rintracciano il barbone. Lui è il fine corsa. Non ha nomi da dare come gli altri, ma solo un luogo da indicare. Cominciano a torturarlo. Un dito, due dita, tre dita, una spalla, un piede, ma lui niente. Allora probabilmente decidono di portarlo via per continuare con calma, ma lui che fa? Muore. Pur di non dirgli che la chiave ce l’ha in gola e cosa apre quella chiave, lui muore. Gli viene un colpo. Infarto. A loro non resta che bruciarlo. Per sfregio, rabbia, frustrazione, messaggio a qualcuno, chissà. Comunque sia, sono costretti ad andarsene a mani vuote. E con magari nelle orecchie, spera Costanza, quella cantilena di cui non capiscono neanche una parola, ma proprio neanche una.
Sono delle manine di cui che girano, vagano qua e vagano anca là. Sorvolano il cimitero di cui tutti riposano in pace. Sorvolano il lungomare come i tedeschi… datesi che il freddo non lo sentono loro. Ai… Al… Vagano, vagano. Girolanz… Gironzano… Gironzalon… Vagano, vagano, vagano!