Trentotto

La fontana, che sta al centro della piccola piazza davanti al cimitero di Rimini, è completamente ghiacciata. Il silenzio è di conseguenza assoluto, senza più neanche il fruscio degli zampilli che, in qualsiasi mese dell’anno, dopo le diciotto è l’unico rumore. Silenzio irreale quindi, come solo, forse, nella camera anecoica.

L’auto scura, partita dal Borgo San Giuliano, fa l’ultima curva a gomito prima di imboccare il lungo viale che porta alla fontana. L’inchiodata davanti al cancello è da cinema, da film, Natale a Fast and Furious, per via della neve. Rimane un mistero come faccia la Bmw a non impennarsi. D’altronde i tedeschi, quando ci si mettono, fanno paura.

Anche i russi, per la verità, fanno paura, soprattutto quando spalancano le portiere e schizzano fuori dall’auto sparando alla serratura del cancello del cimitero come fossero al luna park.

Sono le 18, 10 minuti e 12 secondi. Prendere nota. Il piccoletto italiano si fionda dentro per primo. Vede la Prua della tomba di Fellini, e fa segno a sinistra. Ecco la chiesa. Ed ecco la statua di san Francesco. Ci siamo, pensa. Ma all’improvviso si blocca. Il suo cellulare si è messo a vibrare e in quel silenzio sembra la sirena dei pompieri. Alza il braccio destro per bloccare i due russi. Con la sinistra risponde.

«Sì?»

«È una trappola, scappate!»

Ma è troppo tardi.

Otto laser rossi sono puntati sui tre assassini, quasi tre a testa. Poi la voce meccanica di un megafono rompe quel silenzio perfetto.

«Polizia! Buttate le armi e sdraiatevi a terra!»

Uno dei due russi si gira di scatto e spara. Si sente un urlo soffocato e subito dopo tre colpi che centrano il killer. L’italiano è già a terra con le mani dietro la nuca. Il secondo russo getta la pistola e si stende.

I Nocs escono allo scoperto, ammanettano i due e verificano le condizioni del russo colpito. Niente da fare, per lui. L’agente ferito viene sorretto da due colleghi, ma la pallottola gli ha solo trapassato la spalla.

Il commissario capo Rudi Rezzoli tira fuori il cellulare e chiama il vice questore Costanza Confalonieri Bonnet. Guarda l’ora: sono esattamente le 18, 11 minuti e 5 secondi. Il tutto è durato 53 secondi. Per la cronaca e la storia.

«Missione compiuta» dice il commissario. «Abbiamo un agente ferito e un cattivo che non andrà a processo. Serve un’ambulanza.»

Costanza ha il telefonino in viva voce, così tutta la squadra ha sentito.

«Sììììììììììì!» esulta Cecilia, memore della sua lunga frequentazione con la curva Morosini dello stadio di Bergamo. Un attimo dopo, arrossisce.

Emerson Balducci manda un WhatsApp al gruppo di agenti che sorvegliano i furgoni. «Fermate i sospetti e venite oltre!»

Perentorio.

Costanza telefona al questore e al magistrato.

In Questura c’è un clima da ultimo giorno di scuola, tutti promossi. Gli agenti sono fuori dagli uffici. Si abbracciano. Qualcuno piange. Tutti hanno vinto, anche quelli che stanno al rinnovo passaporti.

Alle 18.30, a sirene spiegate, arriva il corteo delle auto civetta con a bordo dodici arrestati, gli uomini addetti alle intercettazioni sui furgoni spia. Lungo il corso d’Augusto si formano i primi capannelli di curiosi.

Alle 18.35 è la volta delle auto dei Nocs con gli assassini, il gigante russo e il piccolo italiano. Le teste di cuoio naturalmente hanno ancora addosso i passamontagna neri e alle 19 l’immagine di un Nocs, il più gasato, con il busto intero fuori dal Suv, il mephisto a tre buchi in testa e la pistola in mano apre il Tigitrè e fa esplodere d’orgoglio l’Italia intera.

«Rimini. Sgominata la banda di parco Fellini. Malavita italiana e mafia russa dietro gli omicidi del lungomare. Il ministro degli Interni e il presidente del Consiglio si congratulano con la Polizia.» Così strilla il titolo di apertura.

Il televisore è acceso anche nell’ufficio del vice questore Costanza Confalonieri Bonnet, che è appoggiata alla sua scrivania e sta ascoltando l’apertura del notiziario. Intanto sono arrivati il questore Umberto Pagani, che si aiuta leggendo i titoli nel sottopancia, e il sostituto Giorgio Maltese. C’è anche tutta la Squadra omicidi.

Il commissario capo Rudi Rezzoli, dopo aver bussato, entra e chiede: «Posso presentarvi due personcine che io penso siano state meno fortunate del loro compagno?». Due Nocs portano dentro l’italiano e il russo. «Naturalmente negano tutto» prosegue il Rezzoli. «Dicono che non sono loro gli assassini, che erano al cimitero per svaligiare qualche tomba di famiglia.»

L’agente scelto Cecilia Cortellesi si avvicina al russo ammanettato. Gli slaccia la cintura e gli apre i pantaloni. Tutti rimangono di sasso. Solo Costanza ha capito cosa sta facendo. Cecilia gli abbassa i pantaloni, poi le mutande. Gli solleva la camicia e scopre il tatuaggio NI KAPLI ŽALOSTI.

«Sono loro» dice ed esce dall’ufficio senza neanche tirargli su le mutande.

Non segue dibattito.

«Ora, mi raccomando, sobrietà» aveva raccomandato Costanza a tutti i suoi, lasciando la Questura verso le ventitré. Però il suo ritorno al Grand Hotel proprio sobrio non appare. Il corteo di auto che la segue e lo staff dell’albergo schierato all’ingresso, come la servitù all’arrivo della regina nel castello di Windsor, collocano il suo ritorno solo un gradino sotto quello di Traiano a Roma dopo la conquista della Dacia. Se annunciasse cento giorni di feste e combattimenti al Colosseo, nessuno si meraviglierebbe.

Tutti al Grand Hotel la vogliono abbracciare. Stefano e Alessia, naturalmente. Poi gli altri: Natasha con la brigata di sala, lo chef Davide Vecchioni con quella di cucina, il barman Cesare Daelli, il personale della Spa, i facchini, i lift, proprio tutti. Costanza non si nega a nessuno. Figuriamoci al sindaco, il quale ha seguito le istruzioni via WhatsApp e la sta aspettando nella suite. Come Pompeia Plotina aspettava Traiano nella Domus Aurea. Che, in fondo, sempre una suite era.

«Signor sindaco, gradisca.»

E in sottofondo, molto discreto, il tema di Nino Rota. Laaa lalaaa lalaaa lalalalà. Laaa lalaaa lalà.