Capitolo 37
Hirad sentì Sha-Kaan contrarsi mentre si dirigevano verso la battaglia. Il Grande Kaan voleva disperatamente combattere, ma sapeva di non poterlo fare. I tre draghi cavalcati dagli umani procedevano fianco a fianco. La morte sarebbe potuta arrivare da qualsiasi direzione.
Ilkar aveva detto che i maghi avrebbero avuto bisogno di rimanere concentrati, senza interruzioni, per preparare l'incantesimo che, una volta lanciato, doveva essere mirato proprio alla superficie dello squarcio. Doveva inoltre essere seguito da una carica all'interno del corridoio, dove l'incantesimo originario sarebbe stato usato per indurre il collassamento fin su Balaia. I maghi avevano studiato un modo per controllarlo, ma era l'ennesimo rischio che si aggiungeva a tutti quelli che avrebbero corso. Hirad si chiese se un altro lancio di dadi avrebbe fatto qualche differenza.
Sotto di lui vide due draghi impegnati a combattere, a scagliarsi addosso vampate di fuoco mentre cercavano di mordersi e di ferirsi; incuranti di tutto il resto, precipitarono giù dal cielo e arrivarono molto vicini al suolo finché uno, trovata la presa mortale, non la sfruttò. Il drago caduto era un Kaan.
«Hirad!» gridò l'elfo. «Iniziamo a lanciare l'incantesimo. Sostienimi.»
Il barbaro trasmise il messaggio a Sha-Kaan, che lo avrebbe riferito agli altri due draghi. Staccò le dita dalla corda cui si teneva avvinghiato e afferrò la vita dell'elfo, lasciandogli le braccia libere nel caso avesse dovuto muoverle. Non poteva lasciare che Ilkar scivolasse di lato, avrebbe perso la concentrazione. Strinse bene le cosce, sentì le squame di Sha-Kaan sfregargli la pelle e si concentrò sull'obiettivo di mantenersi quanto più possibile fermo, Ilkar s'irrigidì per un istante, poi si rilassò; il suo corpo si accasciò all'indietro mentre iniziava a prepararsi insieme con Denser ed Erienne.
Il barbaro si piegò in avanti, tenendo la testa da un lato per guardare intorno e in basso. Scrutava il cielo per individuare eventuali attacchi. In sella dell'animale più grande che avesse mai visto, a un'altitudine tale da togliere il fiato, non si era mai sentito tanto vulnerabile in vita sua. La spada, ben legata, se ne stava inutile nel fodero.
Il cielo pullulava di draghi. I tre Kaan cavalcati dagli umani volarono a tutta forza verso lo squarcio, mentre i maghi del Corvo formavano la sagoma di mana di un incantesimo che avrebbe potuto salvare Balaia. Lo squarcio, enorme e delimitato dalle nubi, dominava il cielo; nella sua massa bruna la luce guizzava e brillava, e l'azzurro veniva divorato a velocità spaventosa. Gli altri Kaan volavano in formazioni difensive, mentre alcuni stormi pattugliavano il cielo cercando di sventare gli attacchi prima che i nemici minacciassero la porta dimensionale.
Senza preavviso, Sha-Kaan virò inclinandosi molto e risalendo brusco mentre un potente verso gli usciva dalla bocca. Nello stesso momento, un'ombra li coprì e un drago Kaan sfrecciò nel campo visivo di Hirad; aprì le fauci e vomitò fiamme. Per un istante il barbaro non vide il bersaglio; poi apparve un Naik, che schivò le fiamme e scese a spirale. Il Kaan lo inseguì.
«Non sarà facile!» gridò Ilkar, persa la concentrazione per la mossa improvvisa.
«Ora riproviamo», disse Hirad con la testa premuta contro quella dell'elfo.
I tre draghi che li trasportavano si rimisero in formazione e tornarono a dirigersi verso lo squarcio. Quando lo avessero raggiunto, avrebbero volteggiato intorno ai margini in attesa che l'incantesimo venisse effettuato.
Ormai il terrore di Hirad era scomparso, sostituito da un fascino morboso, da una paura eccitante e da una distaccata incredulità per la situazione in cui si trovava. Sha-Kaan stimò che in cielo ci fossero più di settecento draghi; i Kaan erano in minoranza rispetto ai nemici, ma molto meglio organizzati. Contro di loro le stirpi Naik, Gost, Stara, tutte divise ma tutte intente a combattere i Kaan.
Sha-Kaan penetrò un banco di nubi, e di nuovo lo squarcio apparve davanti a loro. Ilkar si contrasse e si rilassò. Hirad lo tenne stretto e pregò.
In prossimità dello squarcio il rumore era formidabile. I versi dei draghi rimbombavano tutt'intorno, sovrastando il frastuono dell'aria nelle orecchie. Il battito delle ali, le fiamme che punteggiavano qua e là il cielo e il rumore di mascelle che si chiudevano e di artigli che laceravano carne e squame erano nitidi e spaventosamente vicini.
Centinaia di draghi lottavano. I loro corpi cozzavano gli uni contro gli altri con incredibile violenza, i loro richiami echeggiavano in cielo. Andavano a velocità incredibili eppure si schivavano, sputavano fuoco passandosi accanto e compivano virate secche nell'aria. Erano macchine mostruose dotate della grazia di un danzatore, e il cielo era il loro regno.
Sei Kaan superarono il terzetto cavalcato dagli umani, tanto vicini da poter essere toccati. Hirad si rannicchiò di fronte alla loro forza e alle loro dimensioni; li seguì ipnotizzato mentre si gettavano sulla preda, quattro Gost che puntavano dritti verso lo squarcio. Da dieci bocche fuoriuscì fuoco, ed entrambe le formazioni si ruppero per evitare le fiamme. Un solo Gost fu investito dalle vampate dei Kaan; le sue ali arsero per un istante, la sua testa si trasformò in un ammasso di squame infuocate mentre il drago precipitava.
I sei Kaan si rimisero in formazione e scacciarono altri due Gost; il quarto continuò ad avanzare. Sentendo una stretta nauseante nello stomaco, Hirad capì che puntava proprio verso di loro; inviò mentalmente un avvertimento, e percepì il pensiero tranquillizzante di Sha-Kaan, che gli placò ogni paura.
Il Gost continuava ad avanzare, grosso, con le ali verdi, le mascelle spalancate e gli occhi fissi sulla preda. Poi svanì. Fu attaccato al fianco da due Kaan più piccoli: il primo gli serrò le zanne sul collo, l'altro gli affondò gli artigli nel ventre. Gli impatti risuonarono sordi e fecero vibrare l'aria.
Sha-Kaan proseguì, tranquillo. Ilkar non si era accorto di niente. Hirad era sgomento.
Tessaya aveva intrappolato la preda. I balaiani orientali si erano lanciati contro la retroguardia delle forze di Senedai, creando gran danno con le spade e con la magia; ma l'ansia di far breccia fra le truppe che attaccavano la residenza di Septern li aveva indotti a trascurare ciò che si trovava alle loro spalle.
Il Lord delle tribù Paleon aveva dovuto attendere che colpissero per essere certo della loro posizione. Avanzò rapido, inviando parte dei suoi a fiaccare i fianchi con una manovra a tenaglia e conducendo di persona la forza centrale dell'esercito. Sapeva che sulla sinistra il generale Darrick stava compiendo rapidi progressi; solo il coraggioso generale avrebbe potuto coprire tanta distanza in una notte tempestosa, e Tessaya non poteva che rispettarlo per il suo ardore e per le sue capacità di comando.
Il comandante degli occadi sapeva di dover distruggere rapidamente l'altra forza prima che l'assalto di Darrick minasse la sicurezza degli uomini di Senedai. Schioccò le dita, e i suonatori di corno avanzarono; si udì un solo squillo, poi l'attacco partì. Tessaya sganciò l'ascia e si precipitò alla testa degli uomini della sua tribù piombando sulla retroguardia dell'esercito orientale. Col primo colpo decapitò un uomo, col secondo fracassò varie costole e squarciò un cuore, col terzo aprì una coscia fino all'osso.
Tutti i maghi nemici erano concentrati in direzione opposta. Tessaya non temeva attacchi con la magia. Continuò ad avanzare, parò un colpo di spada e affondò l'ascia spaccando una testa non protetta dall'elmo. Ruggì di gioia, ordinò ai suoi di continuare e colpì ancora.
Sha-Kaan aveva compiuto l'ennesima virata di fronte a un attacco concertato dei Naik. Troppi Kaan stavano coprendo il terzetto cavalcato dagli umani, troppo pochi difendevano lo squarcio. Hirad percepì l'ansia del Grande Kaan, insieme con quella di Ilkar.
«Non possiamo continuare a perdere la concentrazione», gridò l'elfo. «Consumiamo troppo mana. Sha-Kaan deve mantenere la rotta. Deve darci tempo.»
«Fa tutto quello che può», replicò Hirad con voce roca, mentre Sha-Kaan virava per avvicinarsi di nuovo allo squarcio.
Per la terza volta, Ilkar si contrasse e si rilassò. Per la terza volta, Hirad lo strinse forte. Il drago attraversò a gran velocità le nubi che si addensavano, ignorando una lotta tra due Kaan e uno Stara che gli precipitarono accanto. Ali, artigli e teste si contorcevano; i tre draghi erano avvinghiati l'uno all'altro e a nessuno importava la velocità cui stavano cadendo.
Davanti allo squarcio, una decina di Kaan ruppe la formazione e partì lanciando richiami incalzanti. Quindici draghi, ancora lontani ma in rapido avvicinamento, stavano puntando verso di loro: erano Naik, dal colore bruno rossiccio che ormai si distingueva. Hirad colse qualcosa di davvero pericoloso nel loro assetto.
I Naik si divisero in tre gruppi da cinque, ognuno disposto a cuneo. Il primo salì, l'altro perse quota e il terzo continuò dritto puntando al cuore dei Kaan, che non potevano permettersi di separarsi per combatterli tutti. Decisero di dividersi a metà, cinque proseguirono e cinque si alzarono, lasciando perdere il terzo stormo Naik.
Nel frastuono dei versi di battaglia che echeggiarono in cielo, le fazioni si scontrarono. Il fuoco avvampò in tutte le direzioni, le ali batterono, gli artigli lampeggiarono e i corpi cozzarono fragorosi. Naik e Kaan caddero, alcuni con le ali a brandelli, orrende ferite sul ventre.
Il terzo stormo Naik proseguì. All'inizio Hirad non era sicuro che puntasse sul Corvo. Poi lo stormo cambiò direzione: non andava più verso lo squarcio, voleva intercettare il terzetto di draghi cavalcati dagli umani. Il barbaro scrutò il cielo in cerca di Kaan che potessero eliminarli, ma c'era confusione ovunque. Il cielo era un ammasso caotico di draghi, l'oro dei Kaan si confondeva col color ruggine dei Naik, il verde cupo dei Gost e il borgogna degli Stara.
Certo che nessuno avesse visto i Naik in arrivo, Hirad inviò un messaggio a Sha-Kaan, la cui unica risposta fu aumentare la velocità.
«Dev'essere questa volta. Non possiamo più resistere.»
Se avessero raggiunto il margine dello squarcio, la rete difensiva residua avrebbe intercettato la stirpe nemica, ma Hirad capì che non sarebbero stati più veloci dei Naik. Guardò a destra e a sinistra, osservando gli amici. I maghi avevano le braccia protese e le mani a coppa, gli occhi chiusi e le teste gettate all'indietro mentre costruivano la sagoma che avrebbe chiuso lo squarcio e posto fine alla guerra in cielo; l'Ignoto e Thraun li tenevano come faceva lui stesso, in parte per conforto, in parte per sorreggerli.
Più il Corvo si avvicinava allo squarcio, più si avvicinavano i Naik. Hirad sentiva i loro versi, sicuri e audaci, e ne osservò la formazione allargarsi leggermente per poter avere la massima potenza d'attacco. Sha-Kaan aveva mal giudicato la situazione, e ciò sarebbe stato un errore fatale; non sarebbe arrivato nessuno in soccorso. Nel giro di pochi istanti, giudicò Hirad, i membri del Corvo si sarebbero trasformati in piccoli roghi.
All'improvviso, in alto, le nubi si divisero e una trentina di draghi le superò a gran velocità disperdendole. Hirad ebbe un moto di gioia, ma subito dopo si sentì sprofondare: erano Veret, non Kaan. Il barbaro chiuse gli occhi in attesa della fine; sapeva che avrebbe percepito il calore soltanto per un fugace istante, ma non voleva vederlo arrivare.
I Veret superarono rapidi i Kaan e si lanciarono sui Naik, sparpagliandosi in un turbine di ali e di fuoco. Gli snelli draghi marini volteggiavano con agilità incredibile e tutti i Naik caddero preda del numero schiacciante dei Veret.
Sha-Kaan esultò, batté le ali un po' più rapidamente e i tre Kaan percorsero l'ultimo tratto che li separava dallo squarcio. Con un urlo il Grande Kaan allontanò la rete difensiva, s'inclinò per virare, subito seguito dagli altri due draghi.
Ilkar pronunciò parole che Hirad non riuscì a capire, puntò i palmi verso lo squarcio e con un urlo lanciò l'incantesimo. Tre fasci di mana balzarono verso lo squarcio e si attaccarono ai suoi bordi: uno azzurro, uno arancione e uno giallo. Come corde munite di rampini, ondeggiavano e si piegavano seguendo il volteggiare dei draghi, intrecciandosi fino a formare una fune di mana che sfrigolava e sobbalzava, la cui estremità era sempre tenuta dai maghi del Corvo.
Sha-Kaan lanciò un urlo, e il suo grido fu ripreso da Nos-Kaan e da Hyn-Kaan. Intorno a loro, l'aria si riempì di richiami.
«Pronto, Hirad?» chiese Ilkar.
«Per cosa?»
«Per la cavalcata della tua vita!»
Con una manovra acrobatica, i tre draghi e i loro passeggeri si gettarono in picchiata nello squarcio. Il barbaro urlò mentre venivano risucchiati. Alle loro spalle, le corde di mana sferzavano il corridoio dimensionale, attaccandosi ovunque lo toccassero.
Un rombo aumentò d'intensità. Ilkar lasciò andare la corda, che si agitò come una frusta e sprofondò nel corridoio generando luci multicolore nelle pareti brune screziate di grigio, in cui praticò grossi squarci oltre i quali apparve un vuoto nero attraversato da un vento ululante. L'elfo si voltò e gridò qualcosa che si perse nel frastuono. Il corridoio dimensionale si stava dissolvendo; i bordi dello squarcio stavano collassando su se stessi, creando onde di pressione che investivano i draghi.
Il corpo di Sha-Kaan fu sballottato come un uccellino in una burrasca. Hirad si piegò in avanti più che poté, afferrando la corda con tanta forza che pensò si sarebbe staccata dagli ancoraggi. Avrebbe urlato ancora, ma l'aria gli veniva strappata dai polmoni con la stessa velocità con cui la immetteva per alimentare il corpo tremante. Poi Sha-Kaan si stabilizzò e riprese a battere le ali.
Il barbaro azzardò un'occhiata alle spalle e vide il nero precipitarsi verso di loro a una velocità maggiore di quella che avevano. «Sha-Kaan, più svelto!» comunicò senza percepire nulla in risposta, tranne un groviglio impazzito di pensieri.
La luce stava svanendo. Il corridoio si stava disintegrando intorno a loro. In pochi istanti sarebbero stati inghiottiti nel nulla dello spazio interdimensionale. Ma pochi istanti erano tutto ciò di cui avevano bisogno.
Irruppero nello spazio balaiano. Sha-Kaan s'inclinò brusco per virare e allontanarsi dallo squarcio e volò ancora più velocemente, perpendicolare rispetto alla grande macchia nel cielo. Hirad sferrò un pugno in aria ed esultò in preda alla pura gioia.
Il Corvo era tornato.
Jayash vide i bordi dello squarcio incresparsi e la luce smettere di lampeggiare nelle sue profondità. Dal buio spuntarono tre draghi, che virarono per allontanarsi nel momento stesso in cui apparvero alla vista. Ma Jayash li notò appena.
Lo squarcio si stava lacerando lungo l'intera superficie. I bordi si ripiegarono su se stessi a una velocità maggiore di quella osservabile dall'occhio umano e il centro si protese verso l'esterno come un gigantesco pugno mirato al suolo.
Jayash sentì la forza del vento agitargli i capelli, sferzargli il mantello e sollevare mulinelli di polvere nella piazza. «Oh, santi dei!» esclamò.
Poi il nero avvolse la terra.
Il centro dello squarcio si era proteso verso l'esterno e aveva investito il terreno sottostante con la forza tremenda dello spazio interdimensionale. Passò rombando tra gli edifici e ululò negli spazi aperti: un'ombra nera enorme che devastava Balaia. Quasi con la stessa rapidità con cui si era abbattuto, fu risucchiato e scomparve con un'esplosione che avrebbe riecheggiato per giorni nelle orecchie dei membri del Corvo.
Parve era stata spazzata via. Non restava quasi una pietra a indicare che lì un tempo sorgeva una città, c'era solo una chiazza di sassi avvolti dalla polvere e dall'eco dei secoli.
«Santi dei», mormorò Hirad.
«Giustizia», disse Ilkar.
«Non per quanti controllavano l'ombra di mezzogiorno», replicò il barbaro.
Il drago si voltò senza fermarsi e puntò veloce verso i monti Blackthorne. «Andiamo alla residenza di Septern», disse in risposta alla tacita domanda di Hirad. «Le vostre forze combattono laggiù. I vostri nemici non devono avere la possibilità di distruggere quel luogo: è prezioso per i Kaan.»
Darrick uccise un avversario con un colpo al petto e si sentì pervadere da un'ondata di forza. Si lanciò in avanti, tallonato dai suoi soldati e dai suoi maghi. Gli incantesimi si abbattevano con minor frequenza ma non con minore intensità sui nemici indifesi, e ormai il generale vedeva le truppe che attaccavano la residenza.
«Esercito, a me!» gridò, precipitandosi in campo aperto.
Un tremito del suolo lo fece cadere in ginocchio, seguito poco dopo da un altro. Alzò lo sguardo e vide che gran parte dei combattenti era a terra. I Protettori si rialzarono svelti, gli occa-di si rimisero a fatica in piedi e indietreggiarono.
I muri della residenza stavano crollando. Una terza vibrazione scosse la terra. L'edificio ondeggiò; pietra e mattoni caddero in uno squarcio in cui le luci lampeggiavano e il buio aumentava. Un pennacchio di fumo schizzò in alto nel cielo, seguito da una colonna di oscurità che lo raggiunse, lambì l'aria e ricadde verso il suolo mentre i lembi dello squarcio si richiudevano con un rumore sordo, sgradevole.
La residenza non c'era più.
Dalle linee degli occadi si levarono aspri versi di esultanza. Le asce si alzarono in aria, i guerrieri si abbracciarono e da un migliaio di bocche scaturirono canti di vittoria.
Darrick sollevò una mano: i suoi smisero di muoversi. Guardò in silenzio mentre i Protettori, rinfoderate le armi, si chinavano a raccogliere le maschere dei loro morti, si facevano strada fra i caduti e si allontanavano. Gli occadi arretrarono, lasciandoli andare, quasi avessero avvertito il passaggio di qualcosa. O forse erano solo contenti di non dover più combattere contro i terribili guerrieri mascherati.
A poco a poco il canto svanì mentre un numero sempre maggiore di occadi si raccoglieva in una parte dell'ormai vuoto campo di battaglia, nei pressi della residenza di Septern. Non era finita. La vittoria non era ancora loro. Darrick e il suo esercito li fronteggiavano ancora e non si muovevano. Le due parti si guardarono attentamente. Poi d'un tratto i ranghi degli occa-di si aprirono per lasciar passare un uomo.
«Generale Darrick.»
«Lord Tessaya.»
Un centinaio di passi separava i due eserciti.
«Forse dovremmo parlare di nuovo, discutere della vostra resa», disse Tessaya.
«Non credo», replicò Darrick. I suoi esultarono. «In fondo, non mi avete creduto l'ultima volta e mi ritengo un uomo di parola.» Indicò a ovest, oltre i monti Blackthorne, dove lo squarcio aveva fino a poco prima dominato come una seconda luna minacciosa. «Il Corvo sta cercando di salvarci, e sarò dannato se lascerò che torni in una terra governata da voi.»
«Parole coraggiose per un uomo in una posizione delicata», disse Tessaya. «Non siete nella posizione di avanzare pretese. Anche i vostri migliori guerrieri hanno rinunciato.» Gesticolò in direzione dei Protettori che, avviatisi verso Xetesk, si erano fermati e stavano guardando il cielo. «Come farà il vostro Corvo a tornare? Il buco nel cielo è stato tappato in modo molto efficace.»
Un suono alieno echeggiò in lontananza. Era un suono che Darrick aveva già udito in precedenza, ma ritenne che non segnalasse un nemico. «I modi esistono, Lord Tessaya.»
I Protettori non si erano più mossi; scrutavano il cielo coi loro volti mascherati. Tre punti erano apparsi in alto all'orizzonte e si avvicinavano a una velocità incredibile.
«Credo che stiano arrivando.»
«Come se facesse qualche differenza», commentò Tessaya. «Incontriamoci a metà, così discuteremo della vostra resa. Rifiutatevi, e vi ammazzerò fino all'ultimo.»
«Il Corvo potrebbe non fare la differenza. I loro amici forse sì.» Darrick si girò verso il capitano più vicino. «Per gli dei, spero di avere ragione. Quelli che stanno arrivando sono draghi. Preghiamo che il Corvo sia sulle loro groppe, altrimenti fra un istante saremo tutti morti.» S'incamminò verso Tessaya.
Nella terra di nessuno, tra gli eserciti contrapposti, i due comandanti s'incontrarono e s'inchinarono con deferenza a distanza di rispetto.
«È una situazione complicata, vero?» osservò Tessaya, con aria compiaciuta.
«Non particolarmente», rispose Darrick. «I vostri eserciti hanno invaso le nostre terre, noi vi abbiamo bloccato a ogni passo e ora cercate di negoziare una resa per facilitare quello che altrimenti sarebbe un cammino molto incerto.»
Tessaya incrociò le braccia all'ampio petto, mostrando il sangue che gli si stava seccando sugli avambracci e sulle pellicce. «Visione interessante ma, dal momento che ho già costretto alla resa quella penosa banda che mi avete mandato ieri nella foresta, ritengo che siate inferiori di numero e che non abbiate più nessuna carta da giocare. Io tengo in mano molte vite e non esiterò ad annientarle.»
Darrick azzardò un'occhiata al cielo e vide i puntini aumentare di dimensione. Ormai non avrebbe dovuto bluffare a lungo. «D'accordo. Illustrateci le vostre condizioni. Fatemi ascoltare la vostra versione di una resa onorevole.»
Tessaya ridacchiò mentre il vento gli arruffava i capelli. La pioggia cessò nel momento stesso in cui lui iniziò a parlare. «Perfino la pioggia attende la mia parola!» esclamò. «Non desidero vedere altri scontri. Tutti quelli che si trovano alle vostre spalle poseranno le armi e si consegneranno ai miei guerrieri. Saranno tenuti qui finché non si troverà per loro un compito adeguato. Voi accompagnerete il mio esercito vittorioso a Korina, dove negozierete per me la resa della città. I vostri soldati saranno trattati bene e...»
In quell'istante le linee degli occadi furono pervase da un'ondata di costernazione. Tessaya si voltò e si accigliò.
Toccò allora a Darrick assumere un'aria compiaciuta. «Mi dispiace, mio signore, ma queste condizioni sono inaccettabili.» Sentiva il cuore battergli forte e di nuovo pregò che fossero draghi Kaan quelli in avvicinamento.
«Non siete nella...»
«Silenzio!» tuonò Darrick, e la forza della sua voce investì Tessaya, che trasalì visibilmente. «Avete messo in dubbio la mia parola, e ora vi pentirete della vostra decisione. Mi avete chiesto da dove potesse arrivare il Corvo. Guardate alla vostra sinistra e osservate il cielo. Troverete la risposta.»
Tessaya girò la testa quasi contro la sua stessa volontà; spalancò la bocca e impallidì. La costernazione generale si tramutò in urla di avvertimento e di paura. Gli uomini di entrambi gli schieramenti ruppero le righe e fuggirono. I capitani di Darrick gridarono per invitare alla calma; le loro controparti nemiche invece fuggirono insieme coi guerrieri. Tessaya non fuggì; scelse invece d'indietreggiare fino al punto in cui prima si trovavano i suoi.
Quando finalmente guardò, Darrick vide i draghi abbassarsi di quota continuando però a volare a forte velocità. E non c'erano dubbi sulle macchie di colore che punteggiavano i lunghi colli dorati. Il generale aprì la bocca e scoppiò in una fragorosa risata.
Gli occadi avevano scagliato frecce, avevano finto cariche, avevano cercato in tutti i modi di provocare i balaiani orientali. Ma la cavalleria delle quattro Città College, con in testa Blackthorne e Gresse, li aveva battuti con la sua audacia, sapendo di poter distanziare il nemico in qualsiasi momento.
Alla fine, come immaginato da Blackthorne, la curiosità aveva avuto la meglio. Il comandante degli occadi, munito di una bandiera rossa e bianca indicante tregua, era avanzato da solo. Blackthorne e Gresse gli erano andati incontro. La conversazione era stata breve.
«Sono Adesellere. Vorrei conoscere i vostri nomi.»
«Barone Blackthorne.»
«Barone Gresse.»
«Dov'è il resto delle vostre forze?» aveva chiesto Adesellere.
Solo allora Gresse aveva compreso l'idea di Blackthorne e il motivo per cui gli occadi non avessero semplicemente caricato mettendo in fuga la cavalleria.
«È possibile che siano sparpagliati in questo campo in attesa di colpirvi quando avanzate. In alternativa, potrebbero essersi allontanati nel cuore della notte a nord, attraverso i dirupi, per combattere contro il vostro esercito presso la residenza di Septern», aveva replicato Blackthorne. «Potete scoprirlo solo avanzando fin qui. Noi ci toglieremo di mezzo, ma a quel punto potreste morire. Oppure potete marciare verso la residenza di Septern, arrivando là prima del buio. Quale delle due? Io so quale sceglierei.»
Alle loro spalle, le tende erano flagellate dal vento. La pioggia continuava a cadere.
Adesellere aveva guardato le tende. Nonostante il silenzio e la calma apparente, in tutte poteva nascondersi una morte improvvisa. «Non fermerete per sempre la marcia degli occadi», aveva ribattuto. Poi si era girato e aveva condotto i suoi guerrieri lontano dal campo di battaglia.
Mezz'ora dopo, Blackthorne e la cavalleria erano ancora seduti in sella. Un esploratore riferì che gli occadi stavano effettivamente marciando verso est, a passo sostenuto.
«Bene, amici miei», disse Blackthorne. «Penso che sia ora di andare a prendere i nostri feriti. Saranno molto più comodi qui.» Girò il destriero, e la cavalleria lo seguì.
Fu allora che si levarono le grida. Tre sagome spuntarono dall'ombra nel cielo sopra i monti Blackthorne, viaggiando a una velocità straordinaria.
«Smontate! Smontate!» tuonò Blackthorne mentre i cavalli, percepito un nuovo spaventoso pericolo, cominciavano a battere gli zoccoli.
L'ordine fu subito eseguito. Gli animali, una volta liberi dal controllo umano, scapparono sparpagliandosi davanti alla minaccia che incombeva dall'alto.
«Santi dei!» esclamò Gresse sentendo un fastidioso nodo alla gola e il cuore che gli batteva all'impazzata. Stava sudando copiosamente e l'aria gli scorreva a stento nei polmoni. Non riusciva a muoversi e anche Blackthorne, al suo fianco, era pietrificato.
I draghi si avvicinarono. L'oro dei corpi brillava nel cielo grigio bagnato dalla pioggia. Si abbassarono e, quando sfrecciarono sopra il piccolo esercito, uno emise un verso lacerante.
Gresse si girò e per poco non perse l'equilibrio; avrebbe giurato di avere sentito una risata mentre i draghi passavano. Rabbrividì quando scomparvero oltre la linea delle colline e si voltò di nuovo verso l'amico.
Blackthorne sfoderò un sorriso e gli diede una pacca sulla spalla, con mano tremante.
«Che c'è?» domandò Gresse.
«Non li hai visti?»
«E chi mai poteva non vederli? Dannazione! Stavo per crepare di paura.»
Blackthorne scoppiò a ridere. «In groppa ai draghi, intendevo. Mio caro Gresse, ce l'hanno fatta. Quello era il Corvo.»
Gresse si voltò di nuovo. I draghi erano scomparsi. Fu travolto da un senso di sollievo.
«Miei signori?» Era il capitano della cavalleria. Si era tolto l'elmo ed era pallido in volto. Teneva in mano una scatola piccola, riccamente ornata.
«Sì, capitano», disse Blackthorne.
«Pensavo che potremmo approfittarne per un sorso.» Il capitano aprì la scatola e mostrò una piccola bottiglia di spirito d'uva di Blackthorne, con quattro bicchierini. «L'avevo conservata per un'occasione speciale. Penso che sia adatta al caso.»
«Mio caro giovanotto, hai reso felice un uomo che sta invecchiando!» esclamò Gresse, con l'animo esultante e con la testa che gli girava come se avesse già bevuto parecchio.
Hirad vide gli eserciti contrapposti, ma non le rovine della residenza. Sha-Kaan puntò in basso, veloce, e il barbaro fu colto da altre ondate di paura quando si sentì scivolare sul collo. Capì dove il Grande Kaan sarebbe atterrato e lo capirono anche quelli che erano a terra. Gli uomini fuggirono spaventati. Grida di terrore riempirono l'area, insieme con inascoltati ordini che invitavano alla calma.
Sha-Kaan sollevò il collo, inclinò il corpo e abbassò le zampe. Hirad afferrò subito un pugnale dalla cintura e tagliò le corde, improvvisamente smanioso di sentire l'erba sotto i piedi, seppur sporca di sangue. Il Grande Kaan abbassò il collo.
Il barbaro scivolò giù, ma le gambe non riuscirono a reggerlo. Subito varie braccia lo cinsero per le spalle, aiutandolo ad alzarsi; ogni muscolo delle cosce e dei polpacci urlò chiedendogli tregua. Hirad si girò e si ritrovò faccia a faccia con Darrick. Sorrise, poi i due si abbracciarono, con forti pacche sulla schiena. «Ancora vivi, eh?»
«Ancora vivi», convenne Darrick. «Festeggeremo dopo. Al momento, proprio dall'altra parte del drago, c'è un esercito nemico.»
Hirad rise finché le lacrime non gli rigarono le guance. «Scusate, generale», disse asciugandosi gli occhi. «La guerra è finita. Bisogna negoziare il ritiro degli occadi dalla parte orientale dei monti Blackthorne. Se non ci stanno, posso organizzare una dimostrazione col drago.»
Darrick sorrise e gli diede un'altra pacca sulla spalla. «Vedrò quello che posso fare.» Poi si allontanò a grandi passi per andare incontro agli occadi.
Hirad si avvicinò alla testa di Sha-Kaan, accanto alla quale il resto del Corvo si era radunato per osservare Darrick parlamentare con Tessaya. Il barbaro posò una mano sulla testa del drago. «Grazie, Grande Kaan.»
Il vecchio drago aprì un occhio. «Avete salvato i Kaan, tu e il Corvo. Sono io che vi devo ringraziare.»
«Allora perché la tristezza? Non sembri affatto contento.»
«Abbiamo perso la residenza, ed è una grande perdita per noi, perché conteneva una porta. Quella porta, come l'altra che stava nel nostro cielo, è svanita. Non so dove cercarne altre.»
Hirad scosse la testa. «Non credo di capire.»
«Pensa che siano bloccati qui», spiegò Erienne. «Almeno per il momento.»
«Ma potete farli tornare a casa, vero?» domandò Hirad osservando i tre maghi, che scossero la testa. Il barbaro si rivolse di nuovo a Sha-Kaan. «Sapevi che poteva accadere, vero? Sei venuto qui per vedere se lo squarcio di Septern esistesse ancora?»
«Certo», rispose il Grande Kaan. «Ma cosa sono le vite di tre draghi in cambio della sopravvivenza di una stirpe? È stato un piccolo sacrificio.»
Hirad restò senza parole. «Vi riporteremo indietro. In qualche modo.» Sorrise. «Dopotutto, siamo il Corvo.»
«La tua boria non ha fine?» chiese Denser, con gli occhi che gli brillavano.
«No», replicò il barbaro. Poi si guardò intorno.
Darrick parlava con Tessaya, che annuiva con lo sguardo fisso sui tre Kaan. L'Ignoto stringeva la mano a tutti i Protettori sopravvissuti. Denser ed Erienne, l'uno nelle braccia dell'altra, radiosi in volto e con l'amore negli occhi. Sha-Kaan, che studiava la sua nuova dimora senza che niente sfuggisse agli occhi azzurri, con la mente pervasa da un senso di trionfo, di tristezza e di grande speranza. Ilkar, con le braccia conserte, sorrideva e scuoteva la testa al pensiero di tutto ciò che era accaduto.
Ce l'abbiamo fatta, si disse Hirad. Il Corvo ce l'ha fatta.
Mancava solo Thraun. Il guerriero biondo era scomparso subito dopo l'atterraggio: era sceso dal drago e si era allontanato in silenzio; aveva bisogno di stare solo. Hirad lo capiva, e sapeva che si sarebbe fatto vedere quando fosse stato pronto.
Dall'esercito di Darrick si levò un grido di allarme. Varie dita indicarono là dove c'era il campo degli occadi distrutto.
«Lasciatelo», ordinò Hirad. «Non vi farà del male.» Il barbaro si accovacciò e, quando Thraun gli si avvicinò, lo accarezzò sulla testa. Sulle labbra gli comparve un mesto sorriso. «Oh, Thraun, che diavolo hai combinato?»
Il lupo aveva un'aria grave e gli occhi umidi. Annusò l'aria ed emise un borbottio, un suono amichevole che lacerò il cuore di Hirad.
Per un istante, il barbaro pensò di non poter trattenere le lacrime. «Non so se puoi capirmi, Thraun, ma ricorda: sarai sempre un Corvo, e sempre noi ti ricorderemo. Ogni bene a te, qualsiasi cosa ora e in futuro ti ritroverai ad affrontare. Che la tua anima possa trovare pace.» Hirad sentì una mano sulla spalla. Era Ilkar.
Thraun avanzò, leccò il volto del barbaro, poi si girò e trotterellò via.