Capitolo 13
Sha-Kaan e una decina dei suoi si alzarono in volo dalla terra della stirpe, consapevoli di essere troppo in ritardo per salvare Jatha e il gruppo di vestare che avrebbe dovuto incontrare il Corvo.
Nei cieli sopra Teras, lo squarcio dimensionale stava sospeso allargandosi inesorabilmente. Intorno a esso, i draghi di guardia mantenevano la struttura difensiva, a loro agio nel cielo terso di quel giorno e sicuri che avrebbero avuto il tempo sufficiente di approntare una difesa per stroncare qualsiasi attacco.
Ma per quanto le nubi sarebbero rimaste lontane? Quanto ci sarebbe voluto prima che Sha-Kaan fosse costretto a schierare sempre più membri della sua stirpe perché pattugliassero i banchi di nubi spesse, cariche di pioggia, che scendevano periodicamente dai monti di Beshara, favorendo l'accumulo di umidità sulla terra? La pioggia alimentava l'erbafiamma, ma le nubi nascondevano i nemici.
In quel momento quindi era preferibile avere un cielo terso. Il fiume Tere, che attraversava la terra della stirpe, era gonfio e potente e i vestare potevano incanalarlo verso le zone coltivate a erbafiamma. Il raccolto però avrebbe sofferto in pianura, perché l'erbafiamma era avida di umidità e in sua assenza avvizziva rapidamente.
Ma in lontananza, verso le terre devastate di Keol, dove il portale di Septern era stato nascosto dall'astuzia dei vestare, nuove colonne di fumo imbrattavano il cielo, nuovi fuochi coloravano la terra.
Sha-Kaan condusse i draghi in alto, nel firmamento limpido, emettendo grida di saluto verso chi faceva la guardia al Portale. Mentre sorvolavano spediti le colline di Dormar e le distese desolate ai confini di Beshara, le sagome scure in cielo si rivelarono appartenere alla stirpe Veret. Il Grande Kaan restò sorpreso e inviò una domanda alle sue schiere.
Snelli e veloci, i draghi Veret erano creature acquatiche, abitavano di solito le grotte e i mari a nord di Teras e non si allontanavano mai molto dalla terra della stirpe, situata in profondità nell'oceano Shedara. Di colore verde e blu, avevano musi sottili che emettevano un'esigua fiammata, un collo corto, zampe palmate e una coda leggermente appiattita che usavano per spingersi in acqua. Possedevano sul cranio e sul collo aculei ossei velenosi, ma le loro ali, piccole e inclinate all'indietro per consentirgli di procedere veloci in aria e in acqua, costituivano il punto debole. La riserva di olio che lubrificava i draghi di terra e li rendeva resistenti al fuoco era stata sostituita da una rete di dotti contenenti acqua. Il sistema rendeva le ali più manovrabili; ma, prive di difese, erano vulnerabili alle temperature ustionanti del fuoco di drago.
I Kaan si avvicinarono; dovevano catturare i Veret. Sha-Kaan percepiva la paura di Jatha, ne sentiva il martellare del cuore e il respiro affannoso mentre insieme con gli altri vestare correva per sfuggire ai Veret. C'erano otto membri della stirpe nemica, tutti concentrati sulle prede. Quello che assillava Sha-Kaan, quando iniziò la prima picchiata di attacco, era la ragione per cui i Veret si fossero addentrati tanto nell'entroterra; si chiese se avessero intercettato i vestare per caso o se la mossa fosse il frutto di un piano preciso.
All'inizio i Veret non avvertirono la minaccia. Non sapevano che sopra di loro il fuoco di Sha-Kaan era pronto, che le sue mascelle erano spalancate.
Il drago dorato planò di colpo e si mise sulla scia di un giovane Veret blu mare lungo solo la metà di lui, che stava inseguendo un vestare solitario. L'umano non era abbastanza svelto né agile, sebbene Sha-Kaan lo vedesse schizzare di qua e di là, in avanti e all'indietro, fermarsi e rotolare, partire di scatto e stare in piedi, proprio come gli era stato insegnato. La teoria era corretta - lo slancio che i draghi acquisivano in cielo li privava della manovrabilità per adattarsi agli improvvisi cambiamenti di andatura e di direzione - ma la pratica falliva di fronte al più veloce Veret.
Perciò, mentre Sha-Kaan prendeva posizione dietro il nemico, il Veret, dopo avere inseguito la preda con rapidi allineamenti d'ala e lievi movimenti del capo e del collo, aprì la bocca ed esalò due getti di fuoco che squarciarono il corpo del vesta-re. La vittima fu sollevata e scagliata contro un albero, il corpo in fiamme si accasciò a terra; il torace presentava un gigantesco buco, la testa era avvolta dal fuoco. Il legno avvampò in quell'improvviso inferno e l'ondata di fiamme si propagò alla foresta mettendo in fuga gli uccelli.
Sha-Kaan ruotò leggermente a destra e liberò tutta la potenza del suo fuoco, dilaniando l'ala spiegata del Veret, mentre frenava per virare e controllare la picchiata. Sconvolto, il giovane drago girò la testa di scatto e lanciò una fulminea occhiata a Sha-Kaan, prima che il fuoco gli distruggesse la membrana dell'ala facendolo precipitare nella foresta. Il corpo morente rimbalzò sul terreno prima di andare a sbattere, privo di controllo, in un boschetto di tronchi spaccati dove giacque immobile, mentre una nube di terra e foglie morte si sollevava in aria.
Sha-Kaan risalì bruscamente scrutando il terreno in cerca di Jatha, di cui avvertiva ancora la presenza, e il cielo per avere un quadro della battaglia. I Kaan stavano inseguendo tre Veret; gli agili draghi verdi e blu ruotavano e volteggiavano cercando di sfuggire agli aggressori più grossi e possenti. Un Veret era fermo in aria; i suoi aculei avevano perforato lo strato inferiore di squame più morbide del collo di una Kaan, ma quella resisteva con le mascelle affondate nella nuca del nemico. Dalla ferita sgorgava sangue e Sha-Kaan le inviò l'ordine di mollare. La risposta che gli giunse lo rattristò: il veleno stava avendo la meglio sull'organismo del drago femmina; sarebbe morta, ma non avrebbe lasciato che il Veret vivesse.
Sha-Kaan restò a guardare mentre i due precipitavano verso la morte, prima di puntare dritto verso Jatha. Il vestare spaventato stava ancora correndo, ma Sha-Kaan lo bloccò e atterrò Proprio davanti a lui. Jatha e il suo gruppo erano ancora a un giorno di distanza dal portale di Septern; sarebbero dovuti essere già lì e al sicuro, ad attendere i visitatori balaiani.
«Grazie ai cieli siete arrivato, Grande Kaan», ansimò Jatha. «Noi...»
«Calmati», gli comunicò Sha-Kaan, placando con la mente il fervore di quella del vestare. «Siediti e rallenta il tuo cuore. Il tuo battito mi fa male alle orecchie.»
Jatha si accasciò al suolo, inspirò grandi boccate di aria e sulle sue labbra comparve un abbozzo di sorriso. Nel cielo sopra di loro, i Kaan scacciarono i Veret e si disposero in formazione per pattugliare la zona.
«Dimmi perché siete tanto lontani dal portale.» Sha-Kaan sentì che la pulsazione di Jatha aveva cessato di essere così pericolosamente accelerata.
«C'è grande fermento a Keol. Il mio gruppo è stato rallentato perché ha dovuto nascondersi dalle bande di Naik e Veret. Sembrano essere in qualche modo legati; è l'unica ragione cui posso pensare per spiegare la comparsa dei Veret in cielo. Li abbiamo visti per la prima volta ieri, volavano a sud e abbiamo pensato di riuscire a evitarli. Poi però siamo stati vittime di un'imboscata. La nostra posizione era stata svelata, e siamo rimasti vulnerabili ad attacchi come quello cui avete assistito.»
I Naik e i Veret alleati. Dunque i Kaan erano in guai più grossi di quanto avesse pensato, rifletté Sha-Kaan. Un attacco concertato da parte di tre o più stirpi rischiava di essere troppo. «Fino a che punto sei sicuro che ci sia un'alleanza?»
«Quando si sono incontrati, non hanno combattuto tra loro», rispose Jatha. «Li abbiamo osservati per un giorno intero. Grande Kaan, queste sono le nostre terre, anche se non le difendiamo. Non possiamo permettere un'occupazione nemica. Li porterebbe troppo vicini a Teras.»
«Ci sono pericoli peggiori di quello rappresentato dalla possibilità che altre stirpi ci portino via territori morti come Keol. È fondamentale che, quando arriveranno qui, gli umani di Balaia raggiungano la terra della stirpe. Non posso assegnarvi dei draghi per farvi da scorta. Se ciò che dici risultasse vero, non posso permettermi di attirare l'attenzione su di voi volando in vostra difesa, capisci?»
Jatha chinò il capo. «C'è un altro modo.»
«Nessun umano cavalcherà mai i Kaan. Noi qui siamo i signori.» Sha-Kaan emise un lungo sospiro. «È compito vostro accertarvi che i balaiani raggiungano incolumi Teras. Hai pensato alla battaglia che si scatenerebbe se venissimo visti con degli umani in groppa? Nessun Kaan che li trasportasse avrebbe una sola possibilità di sopravvivere; il nostro regno sparirebbe. Scaccia quel pensiero, Jatha. Capisco la disperazione da cui è nato, ma non dovrà più essere espresso. I Kaan non si piegheranno mai davanti agli umani. Moriremo piuttosto di farlo.»
«Mi dispiace, Grande Kaan. E vi ringrazio per la comprensione.»
«Se tu non fossi tanto importante per me, avrei avuto una reazione diversa. Sei un servitore e un compagno fedele, Jatha. Ora vi sgombreremo la strada perlustrando cielo e terra in cerca dei nemici. Non muovetevi fino al calare della sera e finché non ce ne saremo andati. Mi aspetto che mi segnaliate quando avrete raggiunto il portale.»
Jatha si alzò e allargò le braccia in segno di deferenza, piegandosi su un ginocchio prima di parlare di nuovo. «Sarà fatto, Grande Kaan.»
«Che i cieli ti preservino.» Sha-Kaan allungò le ali e si alzò in volo, chiamando la stirpe perché eseguisse i suoi ordini.
La pazienza di Senedai si esaurì il quarto giorno. Non ci furono avvertimenti né nuovi ultimatum. Col sopraggiungere di un'alba tempestosa, densa di nubi e dell'umidità opprimente che segnalava l'arrivo della pioggia, Barras fu svegliato da un allarme generale che si sparse per tutte le stanze del Consiglio.
L'elfo si allacciò la veste gialla, s'infilò senza calze gli stivali e corse in cortile, vagamente consapevole di avere i capelli grigi che svolazzavano al vento e gli finivano negli occhi. Se li ravviò mentre Kard li raggiungeva. «Senedai?» domandò Bar-ras.
Il vecchio generale annuì. «E ha portato i prigionieri.»
«Maledizione!» Barras aumentò il passo. «Credevo che saremmo riusciti a ingannarlo più a lungo.»
«Avete già salvato tante vite innocenti. Alla fine si sapeva che avrebbe perso la pazienza.»
Alle loro spalle un rumore di piedi che correvano si fece via via più forte. I soldati passarono sferragliando, diretti ai posti di guardia sulla porta settentrionale e sulle mura. Kerela e Sellane raggiunsero Barras.
«Allora adesso inizia.» Kerela era cupa.
Barras annuì. «Se solo avessi potuto guadagnare più tempo.»
Lei gli strinse la spalla. «Ci hai fatto guadagnare più tempo di quanto osassimo sperare. La paura che Senedai ha della magia è più radicata di quanto immaginassimo. Tu lo hai capito e lo hai sfruttato. Sii contento.»
«È più probabile che giorni fa non avesse fretta e ora sì. Temo che da qualche parte sia successo qualcosa che lo obblighi a prendere con urgenza le Città College. Forse uno degli altri Lord è già caduto.»
Cominciarono a salire le scale verso i bastioni.
«Di certo è sotto pressione», affermò Kard. «Ma non crediate che lo sia per qualche ulteriore vittoria degli occadi. Probabilmente è stato spinto ad agire dalla mancanza di successi di altri eserciti.»
Ogni desiderio di discutere cessò quando guardarono la piazza acciottolata davanti alla porta. Lì si trovava Senedai con le braccia conserte, i piedi divaricati e il mantello scuro che svolazzava al vento; i capelli, raccolti in trecce, non si muovevano quasi. Alle sue spalle, un centinaio di occadi circondava un gruppo di cinquanta bambini e anziani julatsani. I prigionieri avevano un'aria perplessa, spaventata; nessuno di loro poteva conoscere il destino che li aspettava, sapevano solo di essere un elemento di scambio di qualche tipo.
«Ho detto che ci sarebbero voluti sei giorni», esordì Barras.
Senedai scrollò le spalle. «In quattro non avete fatto niente, tranne far esercitare i vostri soldati sotto gli occhi dei miei osservatori. Non ho intenzione di discuterne ulteriormente.» Alzò un braccio.
«Aspettate!» esclamò l'elfo. «Non potete pensare di vedere i risultati dei nostri sforzi. Non si ha uno smantellamento fisico della magia. Presto saremo pronti.»
«Mi avete mentito, mago. Questo pensano i miei guerrieri. E per questo avrò la vostra testa, come previsto dal nostro accordo.»
«Avete impiegato un bel po' a capirlo», bofonchiò Kard.
«Quanto resisterete è affare vostro», continuò Senedai.
«Ma, via via che il mucchio di cadaveri aumenterà e il suo puzzo v'investirà, crescerà l'odio per voi maghi tra quanti dei vostri sono rimasti vivi.»
Un mormorio carico di tensione si diffuse tra i prigionieri. Barras quasi avverti il battito del loro cuore accelerare, mentre la spaventosa consapevolezza della morte imminente li avvolgeva come la morsa della notte. Gli occadi sbraitarono e riportarono l'ordine, ma la paura aveva segnato i volti, e l'incapacità di capire dei bambini spezzò il cuore dei maghi julatsani.
«Credevo che foste un uomo d'onore, non un assassino dei deboli e degli indifesi», affermò l'anziano elfo. «Siete un soldato, per gli dei. Agite come tale.»
Senedai si passò una mano sulla bocca, cercando apparentemente di nascondere un sorriso. «Siete un abile oratore, mago, ma le vostre parole non mi commuovono più. Non sono io che li ucciderò. Nessuno dei miei prigionieri morirà per mano o per la spada di uno dei miei guerrieri. Io non faccio che rimetterli nelle vostre mani. Se toglierete la coltre maledetta, vivranno.» Senedai indicò il gruppo sui bastioni. «Siete voi gli assassini. Vedrete spegnersi cinquanta vite, e la loro morte vi peserà sulla coscienza.» Alzò di nuovo la mano, stavolta abbassandola prima che Barras potesse aprire bocca per parlare.
Gli occadi si addentrarono fra i prigionieri, mettendosi in due accanto a ciascun julatsano. Li fecero marciare a forza in fila per quattro verso il Manto Demoniaco, proprio sotto la porta settentrionale, e si fermarono a poco meno di un passo dal fluttuante muro grigio. Da così vicino, la sua aura era spaventosa.
Senedai si portò dietro la prima fila di prigionieri, quasi stesse ispezionando i guerrieri sotto il suo comando.
«No, vi prego», lo esortò Barras.
«Abbassate la vostra difesa.»
Barras non disse nulla.
«Non cedete», disse una voce, tra i prigionieri. Nella fila principale c'era un anziano mago, alto e fiero.
Senedai gli si avvicinò rapido alle spalle e lo afferrò per il collo. «Vedo che sei ansioso di morire, vecchio!» esclamò con voce stridula. «Forse vuoi essere il primo.»
«Sono fiero di morire per difendere l'integrità del mio College», ribatté l'anziano mago, guardando Senedai dritto negli occhi. «E gran parte di quelli che sono qui mi seguirà volentieri.» Cercò di divincolarsi. «Lasciatemi andare, maledizione. Posso stare in piedi senza aiuti.»
A un segnale di Senedai, i guerrieri lo liberarono. «Sto aspettando», disse il Lord degli occadi.
L'anziano mago si rivolse agli altri prigionieri. «Oggi vi chiedo di unirvi a me nel donare le vostre vite per salvare il College di Julatsa e quelli che si trovano al sicuro dietro le sue mura. Molti di voi, lo so, non hanno nessun rapporto con la magia ma, in qualità di julatsani, siete stati benedetti da essa e dalla sua forza ogni giorno. Non possiamo lasciare che questa forza muoia. Per centinaia d'anni, i maghi julatsani si sono donati alla loro gente. Siete testimoni di quanti ne siano stati uccisi nel tentativo di difendere la città. Ora, nel momento del massimo bisogno, è giusto ripagarli. Tutti quelli che entreranno volontariamente con me nel Manto dicano di sì.»
Un coro di risposte aspre aumentò di volume e terminò col «sì» acuto di un bambino.
Il mago guardò di nuovo Senedai. «Le vostre parole si contorcono come vermi in un cadavere putrescente. Avete ordinato la nostra morte, state uccidendo dei prigionieri. Julatsa ha il diritto di difendersi e il vostro ricatto vi si ritorcerà contro, conducendo alla morte voi e i vostri simili. Ma non vi daremo la soddisfazione di vederci supplicare per avere la vostra pietà.»
«Non sarà sempre così.»
Barras vide l'odio sul volto di Senedai e capì che l'anziano mago, di cui non riusciva a ricordare il nome, aveva conseguito una vittoria, seppure piccola. «Liberate la mia gente», disse l'elfo.
Senedai scosse la testa e mosse il braccio. I suoi guerrieri lasciarono i prigionieri che trattenevano. Nessuno tentò di scappare e le espressioni perplesse sulle facce degli occadi erano più che eloquenti. Ben pochi avevano capito lo scambio di battute tra Senedai e l'anziano mago, e meno guerrieri ancora capivano perché i prigionieri non cercassero di salvarsi.
«Ci metteremo in fila. Ognuno terrà la mano della persona al suo fianco.»
I prigionieri avanzarono silenziosi, gli uomini e le donne a testa alta nonostante la paura, i bambini senza comprendere, muti per l'enormità della situazione.
Barras non riusciva quasi a guardare, ma sapeva che tirarsi indietro avrebbe significato tradire l'atto di straordinario coraggio che si svolgeva davanti ai suoi occhi. Voleva gridare loro di scappare, di combattere, di lottare contro la morte. Una parte di lui tuttavia capiva che quell'atto di coraggio da parte dei prigionieri avrebbe turbato Senedai più di qualsiasi inutile tentativo di resistenza.
I cinquanta julatsani si fermarono a un passo dal Manto Demoniaco, con un'espressione di terrore di fronte alla morte imminente e al male che pulsava dai margini del Manto. Il vento sibilava intorno alle mura del College. Senedai e i suoi guerrieri apparivano esitanti.
L'anziano mago stava nel centro della fila, stringendo la mano di una bambina sulla destra e di una donna sulla sinistra. Alzò lo sguardo verso i bastioni. «Miei signori, Kerela e Barras, generale Kard, siamo onorati di compiere questo sacrificio. Fate in modo che non sia vano.»
«Non lo sarà», replicò Barras, con voce tremante.
«Come ti chiami?» domandò Kerela.
«Theopa, mia signora.»
«Theopa, il tuo nome vivrà per sempre nella mente delle generazioni di maghi julatsani che ti seguiranno. Il fatto di non averti conosciuto meglio è per me motivo di disonore e di vergogna.»
«Mi basta che voi mi conosciate ora. Che ci conosciate tutti ora.» Il mago alzò la voce. «Venite, incamminiamoci verso la gloria. Gli dei ci sorrideranno e i demoni avranno pietà delle nostre anime.» Dall'espressione di Theopa trasparì tuttavia la paura.
Al suo fianco, la bambina cominciò a piangere. Il mago si chinò e le sussurrò parole che sarebbero rimaste tra loro. La bimba annuì, e sulla faccia le comparve un sorriso.
Barras sentì le lacrime scorrergli sulle guance. Un soldato gli Passò accanto e borbottò qualcosa sottovoce.
Kard lo udì. «Considerati confinato nei tuoi alloggi», gli disse il generale. «Non parlare con nessuno, per strada. Mi occuperò io di te.»
Il soldato impallidì e si allontanò.
«Non siate duro con lui», disse Barras.
«Vi ha accusato di omicidio.»
«Ha ragione.»
Kard si portò davanti all'elfo, celandolo agli occadi di sotto. «Non lo pensate mai, mai. L'assassino sta al di fuori di queste mura. E pagherà il giusto castigo per la sua colpa.»
Barras gli fece cenno di scostarsi. «Lord Senedai», gridò. «Che i vostri sogni possano essere infestati dalle ombre dell'inferno, ogni giorno della vostra breve vita.»
Senedai s'inchinò. «Tornerò a mezzogiorno. Altri moriranno.»
Barras iniziò a preparare un incantesimo. Da lì poteva colpire Senedai, bruciargli la carne fino a lasciargli solo le ossa.
Kerela lo bloccò, distogliendolo dalla sua concentrazione. «Capisco il tuo odio. Ma sprecherai il mana all'interno del Manto. Meglio incanalare le nostre energie per trovare un modo di liberare noi e i nostri prigionieri. Vieni, Barras. Riposa e rifletti.»
Il Sommo mago condusse Barras giù dai bastioni, mentre le lacrime bagnavano il volto dell'elfo.