Capitolo 29
Verso mezzogiorno, Lord Tessaya ricevette tramite gli uccelli messaggeri due comunicazioni che lo indussero a perpetrare un massacro che aveva pensato di evitare.
Il primo messaggio, proveniente dai resti della forza di Tao-mi che fuggiva a nord-ovest verso Understone, confermò i suoi peggiori timori sullo stato dell'invasione di Gyernath e sulla sfida lanciata dal barone di cui apprezzava tanto il vino. Peggio ancora, lo informava della distruzione della base meridionale di approvvigionamento e del fatto che Darrick non solo era ancora in vita, ma combatteva duramente.
Il secondo messaggio, pur portando la bramata notizia da Julatsa, gettò Tessaya in preda al dubbio perché riferiva di una piccola forza che aveva fatto breccia nella linea d'assedio poche ore prima della caduta del College. E parlava anche di una missione nella terra dei draghi, di un cataclisma e di una morte che sarebbe giunta dal cielo più violenta di quella promessa dai Lord stregoni. Vista la disfatta degli uomini mandati a inseguire il maledetto mago xeteskiano, Tessaya si sentì insicuro per la prima volta da quando aveva lasciato il villaggio. Pur detestandosi per quel gesto, fece convocare Arnoan.
I due uomini sedettero nella locanda e cominciarono a discutere mentre mangiavano. Gli occhi del vecchio sciamano brillavano maligni. Tessaya sapeva che Arnoan riteneva che fosse stato riparato un grave torto, e lo lasciò fare.
«Dovete restare calmo», disse lo sciamano, spezzando il pane e intingendolo nel brodo.
«Calmo? Il maledetto Corvo è scappato da una città assediata e, a quanto pare, sta andando a parlare coi draghi per formare un'alleanza contro di me. Styliann e la sua spaventosa forza, che adesso ammonta a circa cinquecento elementi, hanno massacrato migliaia dei miei guerrieri pagando un prezzo piccolissimo e, se i miei esploratori hanno ragione, sta per incontrare il Corvo. Ora scopro che i miei fratelli del Sud stanno scappando da una città che credevano fosse loro e che sono stati costretti a distruggere per evitare che venisse ripresa. Hanno il morale a pezzi, e stanno venendo qui sperando nella mia comprensione, che non otterranno. Non è una situazione in cui vedo motivo di restare calmo.» Tessaya si scolò un calice di vino, ironicamente un rosso Blackthorne, si riempì ancora il bicchiere e si ficcò in bocca un pezzo di pane.
Arnoan sorrise leggermente. «Ma quanto di tutto ciò è vero, mio signore? Darrick e Blackthorne, sì, è plausibile. Ma i draghi? La morte dal cielo? Non siamo forse superiori a queste assurde storie? Sospetto piuttosto che il resoconto di Senedai sia in buona parte dovuto ai discorsi isterici di un mago che sapeva di avere le ore contate e desiderava scatenare la paura nel suo aguzzino.»
«Be', ci è riuscito!»
«Dobbiamo lasciar perdere i draghi. Sono creature degli incubi, che non hanno consistenza nel mondo reale», disse lo sciamano. «Non esistono.»
«E allora perché il Corvo se n'è andato? E dove sta andando? Perché Styliann non è rimasto a Xetesk, a difendere la sua città, e si è portato dietro il suo maledetto esercito personale?» Tessaya tamburellò con le dita sul tavolo.
«Mi sembra chiaro che il Corvo, consapevole che il College sarebbe caduto, sia scappato. Sono mercenari, non hanno vincoli di fedeltà.»
Tessaya per poco non sorrise, anche se l'irritazione per il modo in cui lo sciamano sminuiva quelle notizie gli scatenava rabbia. «L'esistenza dei draghi mi sembra più probabile della possibilità che il Corvo abbia evitato di combattere. Non cercare di minimizzare quello che sta accadendo. Il messaggio di Senedai era piuttosto chiaro: hanno varcato la linea con l'aiuto e, devo presumere, la benedizione dei julatsani.» Il Lord sollevò un mano per impedire allo sciamano di replicare. «Sta accadendo qualcosa. Lo sento. E noi ce ne stiamo seduti qui in attesa che scoppi la tempesta. Non attenderò oltre.»
«Possiamo rintracciarli e tenerli d'occhio come facciamo ora», disse Arnoan. «Per noi Understone è importante. Non dobbiamo abbandonarla.»
«Forse, adesso che sei sdentato, hai perso il fegato di combattere, mio sciamano, ma io no.» La voce di Tessaya era calma e fredda. «Lascia che ti dica come stanno le cose. Il Corvo sta andando a parlare coi draghi... o, se non coi draghi, con qualcosa di altrettanto potente che ritiene possa fermarci. Styliann e le sue creature si uniranno al Corvo. Nella migliore delle ipotesi, se non li inseguiamo e non li uccidiamo, potenzieranno le difese di Korina, e non voglio che succeda. Nella peggiore, troveranno un alleato che non possiamo sconfiggere.
«Lord Senedai ha ritenuto la questione tanto seria da inseguirli con buona parte dell'esercito, Lord Taomi si sta precipitando qui, forse col barone Blackthorne e col generale Darrick alle calcagna. Il nostro obiettivo è controllare Balaia prendendone la capitale, e non lo raggiungeremo stando seduti qui in attesa che Taomi ci porti i guai in casa.
«Darai istruzioni a Riasu perché presidi le fortificazioni orientali del passo Understone. Nessun mago deve avvicinarsi abbastanza da lanciare un altro incantesimo d'acqua. Marceremo prima per trovare il Corvo e poi verso Korina. Il tempo ci sta scivolando via di mano, mio vecchio amico. E noi dobbiamo cogliere l'opportunità mentre ancora l'abbiamo.»
Arnoan rimase muto per un po' a succhiarsi il labbro superiore e a fare cenni col capo mentre rifletteva. «È una mossa audace, mio signore. Ma che mi dite di Understone stessa? Abbiamo fatto tanti sforzi per renderla sicura.»
Tessaya si guardò intorno osservando la palizzata quasi completa e il sistema di torri. Scrollò le spalle. «È servita al suo scopo. Ha tenuto noi al sicuro e i nostri guerrieri occupati. Non corriamo il rischio di perdere di nuovo il passo. I College non si muoveranno ora che Julatsa è crollata e che Styliann è assente. La lasceremo.»
«A Riasu?» chiese Arnoan.
«No. Non lasceremo nessun edificio in piedi.»
«E i prigionieri?»
Tessaya sospirò e si passò una mano sul volto. «Siamo guerrieri, non guardiani. Non devono potersi unire di nuovo alla battaglia.»
«Mio signore?» Lo sciamano era impallidito.
«Per noi non hanno nessun valore e sono diventati un peso. Desidero liberarmene.» Tessaya si alzò, con una sensazione nel cuore che non corrispondeva al gelo nella sua voce; non avrebbe voluto che andasse in quel modo. Il suo sguardo si posò sugli alloggi in cui erano tenuti i prigionieri. Espirò profondamente, poi s'incamminò a passo di marcia per dare l'ordine.
Avvertendo forse la loro ansia o sentendosi lui stesso spronato, Jatha condusse in fretta il Corvo più alcuni ospiti sgraditi lontano dallo squarcio. Svoltò più volte nella grotta scavata dall'uomo prima di arrivare a una parete nuda; si fermò solo per guardarsi alle spalle, poi scomparve al di là della parete.
Il Corvo si arrestò di colpo.
«Ilkar?» chiamò l'Ignoto.
L'elfo fece un passo in avanti. «Un'illusione, direi.» Posò la mano sulla parete. «Non so...» Non terminò la frase. Spinse di nuovo, e stavolta la mano affondò nella superficie. «Straordinario.»
Denser lo aveva raggiunto. «Interessante», commentò. «Non è una struttura di mana.»
Erienne e Styliann si accalcarono al termine del passaggio, tastando l'illusione di pietra.
«Be', è effettivamente roccia», disse Styliann. «Ma modificata.»
«Forse riconosce certe persone o qualcosa», azzardò Denser. Vi affondò la mano fino al gomito, e con le dita sentì lo spazio aperto al di là. «Offre solo una resistenza simbolica.»
«Come farà a riconoscere me?» domandò Stylnnn. «Non sapevano della mia venuta.»
«Come fa a mantenere una forma e un aspetto solidi?» chiese Erienne.
«Penso che sia un incantesimo vincolato, un po' come lo squarcio», rispose Ilkar. «È stato collocato qui volutamente, per nascondere l'apertura.»
«Come l'intero sistema di grotte, se è per questo», aggiunse Denser. «Anche se il resto è più che solido.»
Hirad, che era rimasto appoggiato a una parete a grattarsi oziosamente il mento, sbuffò e fece un passo in avanti, con un sorriso sulle labbra. «Tanta saggezza, e nessuno di voi ha un dannato indizio, vero?»
I quattro maghi si voltarono, tutti con la stessa aria sdegnosa.
«Stiamo cercando di risolvere la questione prima di attraversare alla cieca», replicò Ilkar.
Hirad posò una mano sulla struttura e premette con forza. «Vi sfugge il punto sostanziale.» Allontanò la mano, poi l'appoggiò di nuovo, stavolta con maggiore delicatezza, facendola affondare facilmente nella pietra.
Sul volto di Ilkar comparve una buffa smorfia. «Tu sai che cos'è, vero?»
Hirad annuì, sorridendo.
L'elfo sospirò e si rivolse ai maghi. «Dobbiamo accettare che sappia cose che noi non sappiamo. Non accade spesso, ma è così.»
«Allora?» sbottò Denser, seccato.
«Non è magia. Non come quella che voi conoscete, almeno», spiegò il barbaro. «È un pezzo di materia interdimensionale che reca i segni dei Kaan e di Balaia. Nessuno al di fuori di questi gruppi può varcarla. Per gli altri è roccia solida. In gamba, questi draghi, no?»
Attraversarono la parete, e Denser trovò conferma dei ricordi dettagliati che possedeva del paesaggio. Emersero in una valle ampia di terra annerita e di alberi bruciati: i tronchi morti si allungavano verso il cielo, coi rami protesi come dita nella vana ricerca d'aiuto. Solo la vegetazione più tenace del sottobosco cresceva su quel terreno devastato. Un odore acre permeava l'aria.
La roccia che celava l'apertura appariva come una rupe crollata, indistinguibile dalle altre disseminate lungo i pendii della valle. Il cielo era di un blu intenso, meraviglioso, attraversato da sottili nubi alte. Non si muoveva niente. Nessun animale si aggirava annusando sotto gli alberi, nessun uccello cinguettava sui rami o volteggiava tra il fogliame. L'atmosfera era greve, densa e umida; ogni odore era alieno alle narici. E l'aria generava malessere nei polmoni, pur essendo priva di componenti venefiche.
«C'è un silenzio così profondo», mormorò Erienne.
Il Corvo rimase unito, a pochi passi di distanza da Styliann e dai sei Protettori; questi ultimi sembravano un po' turbati, cosa che non sfuggì all'Ignoto. Jatha si trovava insieme con una ventina dei suoi, tutti piccoli rispetto ai balaiani, simili in altezza al povero Will ma più robusti, con gambe e spalle possenti e corpi abituati al duro lavoro fisico. Erano tutti maschi e portavano barbe intrecciate di varia lunghezza; quella di Jatha era la più elaborata.
Mentre il Corvo osservava il paesaggio desolato, gli uomini di Jatha scrutavano il cielo o tenevano l'orecchio accostato a terra per cogliere i rumori di un attacco, senza mai allontanare molto le mani dalle armi: spadoni tozzi con la lama piatta e piccole mazze adatte a combattere con forza bruta.
«E ora?» domandò Ilkar.
«Andiamo all'Apertura d'Ali», rispose Hirad. «Andiamo dai Kaan.»
Jatha lo affiancò e lo guardò con espressione ansiosa. «Posto brutto», disse, poco pratico del linguaggio balaiano. Col braccio sinistro li invitò ad avviarsi nel fondovalle. In lontananza, alcune colline brillavano nella caligine del sole. «Casa.»
«È ora di andare», affermò Hirad. «Sembra che la faremo a piedi.»
«Niente draghi che ci diano un passaggio?» chiese Denser.
«No.»
Il Corvo s'incamminò dietro Jatha. Il terreno era duro, riarso dal sole e dal fuoco; qua e là, quando attraversavano una valle, spiccava l'intenso biancore di qualche osso.
«Quanto è lontana?» domandò Erienne, con la mano sul ventre, preoccupata.
Hirad scrollò le spalle.
«C'è pochissimo tempo», disse Ilkar. «Abbiamo molto da imparare, per lanciare un incantesimo efficace.»
«Ammesso che il tempo a nostra disposizione non sia già scaduto», mormorò Denser. Mise un braccio sulle spalle di Erienne. «Stai bene?»
La maga sorrise. «Un po' di stanchezza, credo.»
Il gruppo continuò a fondovalle per più di un'ora prima che Jatha imboccasse il letto secco di un fiume che risaliva tortuoso un pendio. Si fermarono in cima, là dove una fila di tronchi anneriti si diradava. La vista era mozzafiato.
Davanti a loro si estendeva, ininterrotta per miglia e miglia, una pianura ricoperta di erba alta che sussurrava mossa dal vento. Le folate parevano giocare sulla superficie gialla screziata di rosso e di blu, creando vortici scuri che andavano e venivano come i gorghi del mare. Il terreno formava lievi ondulazioni per finire bruscamente contro le colline ai piedi di una catena montuosa ammantata di nubi, che correva all'orizzonte perdendosi nella nebbia.
A contaminare il cielo blu picchiettato di nuvole, come una colossale macchia su uno splendido tessuto, c'era lo squarcio. Lungo i margini le nubi ribollivano e tumultuavano. Sulla sua superficie balenavano e saettavano fulmini rossi; l'intero squarcio fluttuava, i bordi si contorcevano incessanti nel blu.
E poi c'erano i draghi. Hirad ne contò quaranta che volavano in formazioni complicate ma ordinate davanti allo squarcio, mentre un'altra ventina volteggiava in gruppi di tre a maggiore distanza, gettandosi in picchiata nelle nuvole sottili e virando mentre i richiami echeggiavano deboli sulla terra.
Jatha li indicò. «Kaan.»
«Si può fare?» chiese l'Ignoto, dando un'altra occhiata ai Protettori, che tenevano tutti lo sguardo fisso sullo squarcio e sui suoi guardiani.
Styliann emise un sospiro lungo, quasi un sibilo. «La magia ha una risposta a tutto.»
«Alla fine, sì. Ma il tempo è una cosa che non abbiamo», replicò Ilkar. «Dobbiamo fare in fretta e sfruttare ogni momento. Guardate le dimensioni di quella cosa.»
Hirad credette quasi di vedere lo squarcio crescere mentre lo osservava. Forse era davvero così.
L'Ignoto gli passò una mano davanti agli occhi. «Hirad?»
Il barbaro distolse lo sguardo dallo squarcio e dai Kaan che lo sorvegliavano. «Che c'è?»
«È ora di andare.» L'Ignoto indicò Jatha, che stava fissando con riverenza il barbaro. «Jatha. L'Apertura d'Ali?»
Il servitore del Grande Kaan si accigliò, poi s'illuminò. «Apertura d'Ali», disse, e indicò le montagne lontane al di là della pianura. Il suo sorriso si fece leggermente esitante. «Attenti.» Puntò il cielo, e con le braccia imitò il gesto di volare in picchiata. «Attenti.» Si toccò gli occhi e poi gesticolò in tutte le direzioni.
«Capito, Corvo?» domandò Hirad. Dal silenzio, comprese che gli altri avevano afferrato.
Il gruppo si avviò lungo il pendio, verso la pianura che ondeggiava seducente.
L'erba era più alta perfino di Cil e dell'Ignoto, ma essendo fitta obbligava a procedere in modo lento e tortuoso. Aveva l'odore di un campo fresco, ma possedeva anche un aroma dolce e allettante, come di frutta matura in una giornata calda. Offriva una buona protezione contro eventuali minacce da terra, ma erano tutti più che consapevoli di quanto fosse visibile dall'alto la traccia che lasciavano.
Jatha era più ottimista, spiegava loro a gesti come i fili d'erba tendessero a raddrizzarsi, ma anche la sua espressione si fece preoccupata quando vide i danni creati dai balaiani più pesanti. Continuò a farli camminare al passo più spedito possibile per l'intero pomeriggio, fermandosi solo brevemente per mangiare.
Quando la sera si stava avvicinando, Jatha e i suoi cominciarono a cercare qualcosa, anche se per Hirad la distesa monotona d'erba non presentava interruzioni. Al segnale di un compagno, Jatha bloccò la colonna. Si voltò verso Hirad ed esagerò il gesto di camminare in punta di piedi.
Il barbaro annuì e si voltò verso il Corvo. «Cercate di non calpestare troppa erba, va bene?»
Jatha li portò lontano dal sentiero; camminava molto lentamente e prestava attenzione a ogni passo mentre scostava l'erba con le mani; i suoi lo imitavano con molta cura. Hirad alzò le spalle e fece lo stesso, sapendo che il Corvo avrebbe seguito l'esempio.
La lenta avanzata continuò per una buona mezz'ora, e lo scopo era chiaro: ci sarebbe voluto un esperto di tracce abile come Thraun per trovarli.
Come accaduto per gran parte del giorno, la meta non fu chiara finché non la raggiunsero. Hirad, che seguiva l'ultimo uomo di Jatha, per poco non gli finì addosso quando il gruppetto si fermò di colpo. Quattro servitori erano accucciati approssimativamente in semicerchio; scostarono un graticcio di legno ricoperto di erba e di terra. Senza indugiare, Jatha fece strada giù nel buio.
«Incredibile!» esclamò Ilkar.
«Sono stupito che siano riusciti a trovarlo», osservò Hirad.
«Non esserlo», replicò Thraun in tono monocorde, privo di emozione. «La pista è ben segnata.»
L'Ignoto gli diede un colpetto sulla spalla. «Venite, andiamo dentro e accendiamo il fornello. Ho una voglia disperata di tè.»
Dopo avere risistemato la copertura, il Corvo scese una ripida serie di rozzi gradini di fango e pietra in una grotta naturale. Alcune lanterne illuminavano il cammino; la cavità misurava una decina di passi dal pavimento al soffitto, il corpo principale circa dodici passi di lato. Dalla parte opposta alle scale, il soffitto si abbassava rastremandosi bruscamente a formare una stretta nicchia attraverso cui passava una corrente d'aria costante.
Il pavimento era coperto di foglie secche. A sinistra si trovavano cataste di legna, ciotole e piatti metallici, nonché quattro grossi barili d'acqua. Alcune stuoie di erba secca intrecciata furono spostate a destra e disposte a terra per rendere più accogliente la fredda pietra. Gli uomini di Jatha collocarono le lanterne in vari buchi scavati nelle pareti; la luce illuminò allora bordi irregolari, mensole che sporgevano nella caverna e liane dondolanti che scendevano dall'alto. Era freddo e umido; gli odori di muffa e di marcio si mescolavano dando vita a un cocktail sgradevole per il naso, ma almeno il gruppo era al sicuro.
Il centro della caverna era dominato da una fossa poco profonda in cui gli uomini di Jatha prepararono con abilità un fuoco, il cui fumo scompariva nel soffitto poroso. Il calore si diffuse rapido verso l'esterno e ben presto il gruppo iniziò a rilassarsi, ad allungare le membra stanche, ad appoggiarsi alle stuoie e a adattarle per trasformarle in comodi giacigli.
«Choul», disse Jatha, allargando le braccia per indicare la caverna.
Hirad annuì. «Choul», ripeté.
Jatha e i suoi avevano occupato l'area opposta alle scale e stavano preparando il cibo. Da zaini e sacchi apparvero carne secca e radici; le pentole furono appese ai ganci sopra il fuoco, per far bollire l'acqua.
Nello spazio davanti alle scale, Thraun montò il fornello. Niente avrebbe interferito col tè del Corvo e tutti vi si raccolsero intorno, una scena consueta in un ambiente inconsueto.
A Styliann e ai sei Protettori non rimase che sedersi contro la parete. Il mago era muto, meditabondo. Dopo avere parlato brevemente con Cil, si avvicinò al Corvo, con un fascio di carte in mano. «Abbiamo molto da fare», disse.
«Sì», convenne Hirad. «Dobbiamo bere il tè e mangiare. E il Corvo deve parlare. Poi voi quattro maghi potrete mettervi al lavoro.»
Styliann lo guardò dall'alto, contraendo le labbra. «Siamo ancora fermi a visioni ristrette e meschine?»
Hirad rimase inespressivo. «Tutto quello che so è che ci state ritardando. Durante una missione, noi parliamo ogni sera, rivediamo ciò che è accaduto, facciamo piani. E il metodo del Corvo.»
«Non mi permetterei mai di sconvolgere le vostre preziose abitudini», ribatté Styliann, sarcastico. «In fondo, tutto quello che dobbiamo fare è salvare due piani dimensionali.»
Hirad scosse la testa. Prima che potesse parlare, tuttavia, la voce stanca di Denser si diffuse nella grotta. «Styliann, per amore degli dei, sedetevi prima che Hirad tiri fuori frasi del tipo 'questa è la ragione per cui siamo ancora vivi'.»
Ilkar scoppiò in una sonora risata, che riecheggiò contro le pareti. Styliann scrollò le spalle e tornò dai Protettori.
«Grazie per l'appoggio», bofonchiò il barbaro.
L'elfo sorrise. «Un giorno, Hirad, continueremo la conversazione sulla sensibilità, e parleremo anche di tatto.»
Un aroma delizioso di tè rimpiazzò a poco a poco l'odore di muffa e di marcio. Nella caverna era calato il silenzio. Gli uomini di Jatha comunicavano a gesti e con quella che sembrava una forma molto avanzata di telepatia, tanto che gli unici rumori erano lo scoppiettare del fuoco e il movimento dei corpi stanchi.
Finita la breve riunione, il Corvo bevve il tè in silenzio. Non c'era stato molto da dire, anche se tutti erano stati confortati dalla sensazione di normalità di quella situazione.
Dopo avere mangiato, coi fuochi attizzati per avere un po' di calore, le stoviglie riposte accanto ai barili d'acqua, i quattro maghi esaminarono i testi e le carte portati da Xetesk e da Julatsa.
Per ore si udirono solo uno sfogliare di pagine e qualche sporadico sospiro. Di tanto in tanto, anche se ben poco dei testi era scritto nel linguaggio della dottrina, qualcuno aveva bisogno di aiuto per tradurre certi termini, e un frettoloso mormorio si diffondeva nell'ambiente.
Inizialmente affascinati, Jatha e i suoi avevano osservato attentamente i balaiani, ma l'interesse ben presto era svanito; si erano messi a dormire, fatta eccezione per le due sentinelle sedute sotto la copertura di terra, in cima alle scale.
Hirad e l'Ignoto si appoggiarono a una parete della caverna, con le gambe distese. Le chiacchiere avevano lasciato il posto al silenzio. Thraun, che non aveva detto una parola da quand'erano scesi nel Choul, era sempre perso nei suoi pensieri.
Alla fine, i maghi terminarono la consultazione dei testi e cominciarono a parlare.
«Styliann, da quanto sapevate che le informazioni si trovavano a Xetesk?» domandò Erienne.
«Fin dall'inizio. Il mio silenzio era legato alla consapevolezza che avrei incontrato problemi per impossessarmene.»
«Ma li avevate studiati in precedenza?»
«Non così, mi vergogno a dirlo. Erano sotto chiave nelle camere sotterranee.»
«Cosa ne pensate?»
«Un attimo», li interruppe Ilkar. «Perdiamo solo tempo se cominciamo a esprimere opinioni a caso. Individuiamo il compito e cerchiamo di risolverlo un po' alla volta. Va bene?» Gli altri annuirono.
Sulle labbra di Styliann comparve un sorriso. «Sempre diplomatico, il nostro Ilkar.»
L'elfo scrollò le spalle. «Non abbiamo tempo da perdere. Chi vuole illustrare il problema?»
«Abbiamo uno squarcio non vincolato che unisce due dimensioni e trae potere dallo spazio interdimensionale, grazie al quale si accresce a velocità esponenziale», cominciò Erienne. «Riteniamo che, essendo stato creato dalla magia tradizionale, possa essere chiuso con lo stesso metodo. Tuttavia nella dottrina non esiste un incantesimo specifico per eliminare un simile squarcio, e non ci resta quindi che formulare quella che sarà solo l'ipotesi migliore, non verificata, in base ai frammenti degli scritti di Septern che possediamo e alla nostra scarsa conoscenza. I rischi sono incredibili, il successo dubbio e il potere necessario sconosciuto. Che ve ne pare?»
«Sei stata perfetta, amore», disse Denser, passandole una mano tra i capelli.
Ilkar ridacchiò, più per il luccichio negli occhi del mago oscuro che per le parole. Quello era il vecchio Denser, e lui era molto contento di riaverlo. Rifletté sul cambiamento dello xeteskiano: sapeva che Erienne aveva avuto una grande influenza al riguardo, ma sospettava che Denser avesse sempre avuto dentro di sé la forza di riprendersi; aveva solo bisogno di un po' di aiuto.
«Un riepilogo molto accurato», commentò Styliann. «Ora se me lo permettete, maghi del Corvo, credo che la prima parte del rompicapo sia stabilire se possiamo costruire una sagoma di mana capace di formare un legame con lo spazio interdimensionale. Se non riusciamo a realizzarla nella regione dello squarcio, non possiamo sperare di ricucire il cielo, per usare un linguaggio suggestivo.»
«Ricucire... cucire...» Ilkar frugò nella pila di testi. «Septern ha usato queste stesse parole per descrivere qualcosa che ha a che fare con le porte vincolate. Ecco.» L'elfo afferrò un volumetto rilegato in pelle che avevano trovato a Julatsa e lo sfogliò, scorrendo rapido il testo. «Ascoltate qui. Fa parte di una lezione sul processo del pensiero. Quando si ha a che fare con le forze dimensionali, non basta semplicemente comprendere la teoria di una struttura di mana. Bisogna cercare d'inserire in quella sagoma l'essenza di un'attività legata alla terra, qualcosa di terreno e di quotidiano che possa mantenere i pensieri focalizzati non solo durante la formazione ma anche durante il lancio. Le forze interdimensionali influenzano il mana in modi molto diversi rispetto allo spazio balaiano. Un incantesimo effettuato per imbrigliarle o modellarle svilupperà quella che può essere descritta soltanto come una mente tutta sua; una sagoma che avete elaborato, diciamo, per aprire una porta vincolata può rapidamente sfuggire al vostro controllo. Perciò come restare focalizzati e mantenere il controllo? Analizzate la vostra azione e, come ho detto, legatela a qualcosa di comune. Riprendendo l'esempio della porta vincolata, l'effettuazione dell'incantesimo trarrà materia dallo spazio balaiano e materia dalla dimensione bersaglio, le metterà insieme e le fisserà l'una all'altra. Perciò focalizzate, immaginate di avvicinare due pezzi di stoffa e di fissarli. Perché non cucirli? Abbiamo tutti visto cucire qualche stoffa, perciò inserite questo nei vostri processi di pensiero mentre formate la sagoma di mana.» Ilkar passò il libro a Denser. «Prosegue descrivendo il lancio di un incantesimo che gli studenti devono effettuare, ma il significato è chiaro. Cosa dobbiamo fare se non rammendare un buco nell'aria di questa dimensione e nella nostra, per poi separarle e chiudere il corridoio?»
Styliann annuì. «Che ne dici, Denser?»
«Penso che sia tutto splendido, ma non ricordo di avere letto niente su come inserire ago e filo nella struttura. Posso immaginare che introduca una componente d'instabilità.»
«Certo, ma stiamo facendo il passo più lungo della gamba», osservò Erienne. «Il pezzo che abbiamo letto a proposito della teoria di base delle strutture è incompleto. Non sappiamo se quello che costruiremo avrà il potere di unire i bordi dello squarcio. Dopotutto, Septern si trovava proprio lì quando ha effettuato l'incantesimo. Noi opereremo da una distanza che gli dei soltanto conoscono.»
Di nuovo Styliann annuì. «Giusta osservazione, ma non dobbiamo preoccuparci. L'incantesimo di connessione dimensionale che abbiamo usato al passo Understone conteneva l'elemento distanza che io conosco molto bene. Noi quattro abbiamo forza sufficiente a lanciare una struttura di connessione. Non molta, immagino, ma pur sempre sufficiente.»
«Dobbiamo esserne certi», disse Ilkar.
«Risulterà chiaro», replicò Styliann. «Ora, per introdurre l'ago e filo di Denser nella struttura...»
Accanto all'Ignoto, Hirad sbadigliò e si stiracchiò. Sarebbe stata una lunga notte.
Il suo nome era Aeb, ma quello era l'unico tratto personale di cui era fornito; non sentiva in nessun modo di possedere un'individualità, né quando veniva mandato in missione da solo né quando si trovava con tutti i suoi fratelli. Sentiva ognuno di loro prepararsi a difendere la casa come da istruzioni del suo Affidato, il mago Styliann. Le ragioni erano irrilevanti, l'ordine era tutto.
Aeb era un uomo forte, che ricordava vagamente la sua chiamata all'età di ventitré anni. Vestito, come tutti i Protettori, di cuoio nero pesante e dotato di un'armatura di maglia, indossava stivali rigidi e la maschera di ebano, portava sia la spada sia l'ascia da battaglia. Guardò il tratto che aveva davanti, con calma assoluta. Era una calma che solo un Protettore poteva provare: l'orizzonte pullulava di occadi.
I Protettori avevano seguito per diverse ore l'avanzata dell'esercito nemico, prima attraverso la mente di una decina di esploratori e poi col contatto visivo mentre la forza proveniente da Julatsa si metteva in posizione e li circondava a una distanza di circa duecento passi. Mentre il giorno svaniva verso un caldo crepuscolo, Aeb saggiò le sensazioni dei fratelli, nessuno dei quali riteneva che l'attacco sarebbe arrivato prima dell'alba.
«Smonteremo di guardia a turno», pensò Aeb, trasmettendo subito il messaggio ai fratelli. Guardò a destra, a sinistra e poi le rovine della casa, alle sue spalle.
Dalla formazione difensiva che non lasciava brecce per attaccare l'edificio, alcuni Protettori fecero tre passi indietro e si avvicinarono a una serie di fuochi accanto ai quali si trovavano olio combustibile, cibo e acqua; avrebbero fatto dei turni di guardia, ogni quattro ore o fino a ordine contrario, in caso di minaccia: a quel punto sarebbero stati tutti pronti a combattere. Gli occadi non avrebbero avuto modo di sferrare un attacco a sorpresa. In ogni caso, la notte era più pericolosa per gli occadi, che avevano bisogno della luce per combattere efficacemente.
Nella mente di Aeb si susseguirono sensazioni e pensieri dei fratelli, tutti filtrati da quell'area che si trovava proprio dietro la coscienza da combattimento. Sapeva in ogni momento tutto ciò che vedevano e udivano gli altri, avvertiva ogni pulsazione del loro corpo quando respiravano, ne conosceva ogni debolezza, ogni muscolo dolente, ogni ferita subita. I fratelli feriti venivano protetti dai più adatti al compito; non avrebbero mai perso nessuno per mancanza di organizzazione.
L'unica ombra di preoccupazione che turbava il coacervo di anime era che Cil e gli altri cinque partiti con Styliann in quel momento non venivano percepiti, sebbene le loro anime fossero ancora nel pozzo. Era come se fossero per qualche motivo assopiti; vivi, ma non coi fratelli. La loro unità si sarebbe rafforzata quando fossero tornati.
«I perduti non si sentono ancora», segnalò Ayl, un fratello incaricato di sondare le anime dei sei, in cerca di segni di un loro risveglio.
«Però sono ancora vivi», fu la risposta. «Quando tornerai per prepararti a combattere, non pensare più a loro.»
Aeb lasciò vagare lo sguardo sui nemici che si ammassavano. Saggiando i pensieri degli altri Protettori, stimò che ce ne fossero circa diecimilacinquecento, tutti combattenti esperti, guerrieri che erano stati vittoriosi sia sui maghi sia sui soldati: gli occadi credevano nella propria forza e nella capacità di spazzar via il piccolo esercito che avevano di fronte.
I Protettori non potevano permettere che accadesse. Styliann contava su di loro. Come Sol, che non era più tra loro. Aeb lasciò che i pensieri riguardanti quel Protettore arrivassero ai fratelli, e sentì un forte impulso a proteggerlo. Non ci sarebbero stati errori.