Capitolo 22

I maghi del Consiglio di Julatsa circondarono la fiamma del mana nel centro del Cuore, tenendo le braccia perpendicolari al corpo, mentre il rombo del mana demoniaco risuonava tutt'intorno, spazzando via le sagome di contenzione che i maghi cercavano di creare e costringendoli a impiegare energie solo per tenere chiusa la porta per la dimensione dei demoni.

L'incantesimo per eliminare il Manto Demoniaco era iniziato in modo abbastanza tranquillo. La sagoma di mana che lo avrebbe chiuso e che avrebbe ricacciato l'energia nella dimensione dei demoni, paragonabile a una corona, era stata realizzata e lanciata rapidamente. Ma, nel momento esatto in cui la sagoma si era connessa col Manto, i demoni avevano attaccato, inviando scariche di mana puro lungo la periferia del Manto stesso.

Mentre lottava disperatamente per mantenere la concentrazione e i brandelli della corona di mana, Barras si compiacque del fatto che i membri del Consiglio fossero così abili nel padroneggiare la magia. Un gruppo meno esperto avrebbe perso del tutto il controllo e sarebbe stato travolto, ritrovandosi con le menti devastate dalla forza che i demoni scagliavano loro addosso. A dire il vero, Endorr e Cordolan avevano avuto un cedimento momentaneo e si erano affidati al resto del Consiglio per mantenere il contatto mentale con la corona finché non avevano recuperato la concentrazione.

Barras temeva però che, per quanto potenti fossero, non sarebbero riusciti a mantenere il controllo a lungo, ed era già troppo tardi per tornare indietro. La struttura di mana che cingeva il Manto veniva mantenuta dai demoni, ed era per quello scopo che richiedevano un'anima importante. Al momento dell'eliminazione, il controllo veniva tolto ai demoni e rimesso in mano a Julatsa, implicando un forte dispendio di mana e una notevole variazione nell'essenza della sagoma dell'incantesimo. Era a quel punto che, almeno in teoria, i demoni avrebbero potuto forzare la protezione da essa garantita e inondare Balaia di mana sufficiente a estinguere la vita di ogni essere vivente. I maghi julatsani conoscevano da sempre tale eventualità, ma mai i demoni avevano usufruito di una indipendente di potere abbastanza grande da trasformarla in realtà. Almeno fino a quel momento.

Ciò che tuttavia preoccupava davvero Barras era che i demoni sapevano con precisione quando colpire, e ciò significava che conoscevano la dottrina julatsana e la manipolazione del mana molto meglio di quanto il Consiglio immaginasse. Significava pure che potevano contrastare qualsiasi mossa del Consiglio prima ancora che venisse tentata.

A fasi alterne, i maghi tentavano di piazzare sul Manto la corona di mana o la tiravano via per impedire che i demoni la facessero a pezzi. Barras rabbrividì. La corona era il punto debole della struttura; se fosse stata distrutta, avrebbe mutato il Manto e lo avrebbe reso vulnerabile. Perderla era impensabile: i demoni sarebbero stati liberi.

«Kerela, dobbiamo ricreare la sagoma. La corona sta perdendo il contorno. Non possiamo chiuderla così com'è.» La voce dell'anziano elfo era bassa, ma ogni membro del Consiglio poteva udirla al di sopra del rumore del mana che bersagliava le loro menti.

«Prima dobbiamo riacquistare coesione. Il legame col Manto non è automatico», replicò Kerela, con voce calma e autoritaria. «Endorr, abbiamo bisogno di uno scudo contro il mana dei demoni.»

«Sì, Sommo mago.» La fatica nella voce del giovane rispecchiava quella della sua coscienza.

«Lascia a noi la corona. Siamo in grado di tenerla mentre tu lanci l'incantesimo», disse Kerela.

«Mi ritiro», avvertì Endorr.

Nel momento stesso in cui la sua mente si ritrasse dalla corona, quelle di Vilif e Seldane si precipitarono a colmare la lacuna nella sagoma e a tenerla insieme. Barras chiuse gli occhi e lasciò che la sua mente si spostasse cauta verso Endorr; sentì la trazione sul mana mentre il giovane mago creava lo scudo, ne modificava la forma consueta, utilizzata per respingere incantesimi offensivi, e la trasformava in una barriera atta a parare un flusso di mana puro. L'elfo sorrise. Endorr era davvero geniale: aveva fuso lo scudo magico con una maschera di mana studiata per bloccare gli attacchi mentali. Con la stessa rapidità con cui era comparso, però, il sorriso gli svanì dal volto. La sagoma di Endorr era imperfetta, i due incantesimi si connettevano in modo impreciso, tanto che uno fluiva indiscriminatamente nell'altro creando instabilità. Eppure il giovane mago non sembrava averlo percepito, dato che v'infondeva sempre più forza.

Mentre Endorr si preparava a lanciare, i margini dell'incantesimo cominciarono a pulsare. Proprio lì, nel centro di quel rozzo dodecaedro, c'era un'accozzaglia di colori. Il giallo contrastava con un porpora vivo e un grigio scuro vorticante che indicava una debolezza potenzialmente catastrofica dell'incantesimo.

«Endorr, non sei stabile. Consulta la dottrina. Non lanciare. Hai tempo.»

Le parole incalzanti di Barras influenzarono la concentrazione di tutti intorno alla fiamma di mana. Alcuni filamenti della corona si staccarono quando il Consiglio, sviato, notò la sagoma difettosa di Endorr.

Il giovane però non le udì. All'esterno della corona, era perso nella sua stessa concentrazione, muoveva le labbra senza emettere suono e aveva le mani tremanti mentre cercava di tenere insieme la sagoma. Ma non riusciva a vedere il danno al centro. La tenebra erodeva l'essenza del legame degli incantesimi; se fossero stati lanciati, il risultato sarebbe stato disastroso.

«Endorr!» gridò Kerela, senza perdere la presa sulla corona mentre tentava di rompere la concentrazione del mago più giovane.

Endorr continuava a recitare in silenzio le formule, e il resto del Consiglio fu pervaso da una sensazione di ansia che si riflesse sulla corona. Kerela invitò gli altri a concentrarsi e la sagoma si stabilizzò, anche se tutti gli sguardi rimasero puntati sul giovane mago.

Nessuno poteva muoversi. Farlo avrebbe reso la corona ingestibile: cinque maghi non potevano sperare di conservarla in mezzo alla tempesta scatenata dai demoni. Endorr si accinse a lanciare l'incantesimo. Il dodecaedro pulsava di un giallo intenso, screziato di bronzo e bianco, però nel centro c'era il grigio. Barras percepì la tensione farsi strada all'interno del cerchio.

«Preparatevi. Se subisce un contraccolpo, dovremo essere forti», li avvertì Kerela.

Perché Endorr non vede l'errore? Barras si sforzò di trovare il modo per arrivare a lui, ma sapeva che non c'era niente da fare. E sapeva che, distogliendo di nuovo la mente dall'incantesimo, avrebbe posto la corona ancora più a rischio.

Endorr aprì gli occhi, diede la parola d'ordine, e solo allora vide la malformazione della struttura che la sua mente avrebbe dovuto cogliere. Divenne rosso in volto, mentre la sagoma si espandeva per poi collassare su se stessa, consumata simultaneamente dal grigio devastante al suo interno. Uno strillo acuto sfuggì dalla bocca del giovane, il sangue gli scaturì dal naso e dalle orecchie e il suo corpo tremò. Endorr annaspò furiosamente nel tentativo di controllare l'incantesimo che si contraeva.

Con un lampo nello spettro del mana, che per un istante annullò ogni pensiero, la struttura implose. La testa di Endorr si piegò violentemente all'indietro e i suoi arti si tesero. Poi il giovane mago si accasciò immobile sul pavimento del Cuore.

Il bagliore svanì con la stessa velocità con cui era apparso. La corona stava vacillando. Una nuova scarica di mana si propagò ululando lungo i bordi del Manto, interrompendo il legame in una decina di punti.

«Bloccatela», ordinò Kerela. «Bloccatela!»

I sei membri rimasti del Consiglio lottarono per mantenere la presa, afferrando la copertura traballante per conferirle una parvenza d'ordine.

«E ora?» chiese Seldane, con voce piena di paura.

«Aspettiamo e riflettiamo», rispose il Sommo mago. «Ci concentriamo e ci rafforziamo.»

«Aspettiamo cosa?»

«Non lo so», ammise Kerela.

Per la prima volta, Barras colse negli occhi dell'amica la possibilità della sconfitta.

«Non lo so.»

 

Il corridoio dimensionale vibrò quando squarciò il bordo esterno del Manto Demoniaco. Subito la sagoma verde della camera fredda fu ricoperta dalle forme azzurre dei demoni che si contorcevano. Senza l'incantesimo protettivo, le anime del Corvo sarebbero già state preda di quelle creature, ma gli ululati di frustrazione e di dolore emessi da un centinaio di demoni furono ugualmente terrorizzanti. Per un istante, nessuno si azzardò ad agire.

«Non aspettateli. Colpiteli quando premono contro l'incantesimo. Fate in modo che vi temano», disse Sha-Kaan. Come per dare il buon esempio, mosse di scatto la testa in avanti sputando fuoco, agitò le zampe anteriori e sferzò la coda, prima di riavvolgerla protettivo intorno ai maghi.

La punta della spada dell'Ignoto cessò di battere. «Corvo», ringhiò. «Corvo, con me!» Alzò la spada e menò un fendente tra i demoni.

Si levarono urla di rabbia, seguite da un dimenarsi di arti e da uno scintillare di artigli che sfioravano il metallo delle armi. Hirad lanciò una breve occhiata a destra e vide Will sferrare un feroce attacco con le due spade corte, che s'intrecciavano a formare un reticolo complesso. Thraun ululò e si unì all'assalto.

Il barbaro tornò a considerare la sua situazione. Le spade del Corvo avevano fatto infuriare i demoni; li vedeva sciamare intorno alla superficie della camera fredda in cerca di un punto da cui colpire con facilità. S'infilavano ripetutamente nello spazio privo di mana, per poi ritrarsi con grida di angoscia. Stavano tuttavia sopraggiungendo sempre più numerosi, e il desiderio di assaggiare quelle nuove anime sarebbe infine prevalso sui danni provocati dalla permanenza in un'aria senza mana.

Hirad alzò lo sguardo. Altri demoni si accalcavano in alto, chiedendo a gran voce sangue, reclamando l'essenza della vita. «Sono così tanti. Riusciremo a sconfiggerli?» domandò.

«Il nostro ruolo non è sconfiggerli», spiegò Sha-Kaan, mentre con un getto calibrato di fuoco inceneriva il braccio di un demone che si era spinto troppo in là. «Più ne attireremo, meno pressioni ci saranno sul Consiglio julatsano. Dobbiamo tenerli occupati. Potrebbe dare ai maghi la possibilità di eliminare il Manto.»

«E se non ci riescono?»

«Allora saremo tutti morti.» Sha-Kaan girò la testa e fissò brevemente il suo dragonene, che sentì un senso di sicurezza fluirgli in corpo. «Combatti, Hirad Coldheart. Combatti, Corvo. Come non avete mai combattuto prima.»

Un demone osò sfidare la tortura della camera fredda, e la battaglia per la sopravvivenza ebbe inizio.

 

Il martellio nelle menti dei maghi divenne più persistente, come un vento forte che si trasformi in uragano. Strappava i filamenti che tenevano insieme la corona, risucchiava l'energia dai corpi e minava la concentrazione. Mentre acquistavano forza e sicurezza, mentre il mana che scagliavano a grandi ondate contro il Consiglio julatsano piegava la volontà dei maghi, i demoni si avvicinavano, ormai a un passo dall'osare far breccia nella dimensione balaiana.

All'inizio si udì un mormorio in cui Barras non riuscì a percepire nulla di coerente. Poi aumentò lentamente di volume e si tramutò in un'unica voce, pregna del disprezzo di milioni di demoni. Prometteva infelicità, un'eternità di sofferenza per lui e per tutto ciò che aveva a cuore; gli garantiva dolore, supplizio e sofferenza senza fine. Gli prometteva l'inferno, se avesse continuato ad affidarsi al suo inutile incantesimo. Se invece vi avesse rinunciato, se avesse permesso ai demoni di completare quell'impresa, sarebbe stato risparmiato. Sarebbero stati tutti risparmiati.

Forse alcuni umani sarebbero morti per le strade della città, ma era un prezzo alto da pagare per salvare il Consiglio, il vero cuore della magia julatsana? Era proprio inconcepibile che, dopo una vita di sacrifici e di dedizione agli altri, i maghi pensassero per una volta a se stessi? Il prezzo in termini di vite umane sarebbe stato di gran lunga inferiore al beneficio ottenuto per le generazioni future. Rinunciare. Tutto ciò che dovevano fare era rinunciare.

Barras aprì gli occhi di scatto. Tutti i membri del Consiglio li tenevano chiusi; Cordolan aveva perfino un sorriso sul volto. Sopra di loro, la sagoma della corona si stava lentamente disfacendo. Dalla sommità, le punte che ruotavano veloci precipitarono e scomparvero. Dal centro, la compattezza della struttura reticolare si disgregò. Lungo i bordi, la connessione col Manto si logorò e fu infine spezzata dall'ondata di mana demoniaco.

«No!» gridò l'elfo.

La corona traballò; solo l'istinto dei maghi evitò che cadesse in mano ai demoni. Ma il grido di Barras spezzò la poca concentrazione rimasta nella mente degli amici.

«Kerela, svegliati», disse l'elfo, sapendo che l'uso del nome proprio l'avrebbe scossa, ma forse anche allontanata dal cerchio. Era un rischio da correre, e Barras afferrò la parte della corona affidata alla maga mentre lei riprendeva i sensi, pronunciando parole di consenso e di accettazione che si trasformarono subito in imprecazioni e minacce. Barras sudava e tremava sempre più via via che la sua mente prendeva possesso di una parte della struttura più grande di quella che riusciva a controllare bene.

Un istante dopo, Kerela era lì con lui. Lo mise garbatamente da parte mentre riassumeva il suo ruolo. Senza nemmeno soffermarsi a riflettere disse: «Adesso gli altri. Subentra a loro prima di parlare. E sii delicato».

Come se stessero risvegliando dei bambini da un sonno profondo, ricco di sogni, Barras e Kerela sfiorarono le menti dei compagni. Tutti tornarono vigili, piombando in uno stato dapprima di smarrimento e poi di disperazione. Udivano i demoni: le voci invitavano a negare la realtà e ad arrendersi, all'inizio persuasive, poi concitate e infine furiose quando ebbero perso, almeno temporaneamente, l'ascendente sulla mente dei maghi.

Vilif fu l'ultimo a reindirizzare le energie mentali per cercare di conservare la corona. Aveva un'aria terribilmente stanca e i suoi quasi ottant’anni gli pesavano sulle spalle. La postura eretta era scomparsa, sostituita da quella curva, a occhi socchiusi, dello scoraggiamento. La testa calva era di un bianco malsano e gli arti tremavano. L'anziano mago era quasi al limite.

«Vilif, prevarremo», disse Barras. «Fidati della forza di tutti noi. Fa' che il Cuore continui a battere.»

Vilif annuì, e una vaga luce tornò nei suoi occhi. Ma nell'intero cerchio l'atteggiamento del Consiglio era più eloquente di qualsiasi parola. Prima che Barras li svegliasse, erano stati a un soffio dalla catastrofe. Senza un aiuto esterno, senza qualcosa che bloccasse il potere incontrollato dei demoni, sarebbero stati sconfitti. Era solo questione di tempo.

 

L'aria fu pervasa da grida mentre l'attacco aumentava sempre più d'intensità. Hirad non aveva tempo per vedere come se la stessero cavando i compagni, aveva abbastanza problemi per conto suo.

I demoni gli si scagliavano addosso da tutte le parti, scoprendo i denti sottili come aghi, con gli artigli che luccicavano vividi. I volti erano devastati dal dolore, i corpi opachi come lame non lucidate. Eppure continuavano ad arrivare.

Hirad sollevò la spada con la destra e impugnò un coltello con la sinistra. I demoni giungevano a ondate, ciarlando e ridendo, urlando e gridando, promettendo morte eterna. Il barbaro mosse la spada a zig-zag davanti a sé; sentì la pesante lama colpire il bersaglio, udì un grido straziante e vide un demone che si stringeva il moncherino di una gamba. Poi il terribile essere lanciò uno sguardo carico di odio e svolazzò via.

Il fragore aumentò. Hirad tracciò con la spada un cerchio sopra la testa, facendo indietreggiare i demoni. Alle sue spalle, cinque creature si buttarono sui maghi. L'Ignoto arrivò per primo e colpì con la spada, troppo rapido perché i demoni riuscissero a schivarlo.

Altre creature si riversarono nella camera fredda. Pur restando senza fiato per la mancanza di mana, si accinsero ad attaccare la schiena e il fianco indifesi dell'Ignoto.

«Indietro, Corvo!» tuonò Hirad. «Will, alla mia sinistra. Ignoto, a destra. Proteggete i maghi.»

Will sventò un violento attacco da parte di un paio di demoni che volteggiavano in alto, arretrando fino a porsi a mezzo passo dal barbaro, impegnato a scacciare le creature che minacciavano l'Ignoto. L'imponente guerriero abbassò la spada, che si abbatté sul pavimento di pietre, ed estrasse un paio di pugnali a lama lunga dai foderi che portava ai polpacci. Era la terza parte del triangolo difensivo del Corvo.

«Will, se diventa troppo dura, possiamo farti allontanare», disse Hirad. «Avvertici.»

«Lo farò, non ti preoccupare.»

Sha-Kaan li sovrastava tutti e procedeva nella sua opera di distruzione senza emettere suono, solo brevi fiammate dalla bocca. Hirad lo sentiva nella mente, calmo e controllato.

Sopra le teste degli umani, i demoni sferrarono un altro attacco.

 

Thraun soffocò lo sconcerto mentre sosteneva l'uomo-fratello e colpiva ripetutamente gli esseri azzurri sibilanti che arrivavano dal cielo verde. Chiudeva le fauci su una carne insapore, esangue, che gli scivolava via tra le zanne. Sapeva di causare loro dolore e sapeva che i suoi artigli li ferivano, però non sanguinavano e, non appena lui cessava di mordere, le punture dei denti ricominciavano.

Provava una paura più grande di quella che gli scatenava la grande bestia che, a quanto pareva, non era contro di loro ma il cui potere avrebbe potuto annientarli con tanta facilità. Gli esseri azzurri non erano uccelli, eppure volavano, e non erano uomini anche se camminavano eretti, quando volevano. Il loro odore spaventava Thraun; non era odore di questo mondo, era alieno ed era cattivo, come di morte eterna. Al pensiero, il lupo corrugò il muso e un istante dopo artigliò la faccia di una creatura, che urlò e poi scomparve troppo rapidamente perché Thraun riuscisse a seguirla con lo sguardo. Restò indifeso al morso di un'altra creatura. Una sensazione come di fuoco gli si diffuse in testa. Ululò e scosse il capo, scrollandosi di dosso la creatura, che andò a sbattere contro una parete.

Il terrore rischiava di sopraffarlo. Thraun indietreggiò, gemendo. Guardò l'uomo-fratello, che combatteva insieme con gli altri uomini.

Poi l'aria diventò blu.

 

«Eccoli!» annunciò Sha-Kaan.

Confuso, Hirad guardò le pareti della camera fredda. I piccoli corpi dei demoni che si contorcevano erano spariti, sostituiti da migliaia di occhi su facce grandi quanto quelle delle bambole. Sopra quegli occhi si stagliavano arcuate sopracciglia scure; i tratti di un azzurro intenso erano aspri, la pelle era tesa sulle guance e sulle mascelle squadrate, i globi oculari infossati nelle orbite profonde. Le bocche erano minute, coi denti inseriti nelle gengive tutte nere.

«Oh, santi dei», sussurrò Hirad.

«Non lasciate che vi sconfiggano. Proteggete le vostre anime», li esortò Sha-Kaan.

«Come accidenti dovremmo fare?» ribatté Will.

«Evitate di guardarli negli occhi. Quando hanno la vostra mente, possono prendervi l'anima», rispose il drago.

I demoni attaccarono. Subito il cielo si riempì di esseri con ali blu e di altre creature, grandi quanto bambole, senza ali, che gridavano per il piacere di aggredire nuove anime e per il dolore causato dall'aria per loro tossica, invasero la camera fredda a centinaia. Per ogni dieci che cadevano, incapaci di muoversi, ne arrivavano altri venti. Ma erano indeboliti.

Imitando i compagni, Hirad mollò la spada per un secondo pugnale. «Tieni alto il numero di nemici colpiti, Corvo. Attento ai maghi.»

I pugnali del barbaro sibilarono e si disposero in modo da difendere la testa e il busto. I demoni avevano invaso l'aria come uno stormo di uccelli e ricoprivano il pavimento. Un paio di creature comparvero attraverso le pietre, ma erano troppo sfinite per causare veri danni ed ebbero solo l'effetto di ostacolare l'avanzata dei loro fratelli.

I pugnali del barbaro squarciavano un corpo dopo l'altro. Con gli avambracci, Hirad bloccava e fracassava nasi, artigli e costole, ricacciando i demoni urlanti da dov'erano venuti. I suoi piedi calpestavano e calciavano, schiacciavano, spezzavano e maciullavano i corpi indeboliti, che scomparivano. Però i demoni continuavano ad avanzare, a graffiargli l'armatura, ad avvinghiarglisi alle braccia, a ferirgli la sommità del cranio; fuoco e ghiaccio gli scatenavano dolori in tutto il corpo. Hirad gridò tutta la sua rabbia e raddoppiò la furia del combattimento.

Al suo fianco, Will respirava troppo veloce e i grugniti di paura che accompagnavano ogni colpo davano i brividi.

«Will, devi fare dei respiri più profondi», suggerì il barbaro, mentre continuava a muovere i pugnali per respingere i demoni. «Concentrati sui bersagli, ignora il dolore. Non possono ucciderti se non raggiungono i tuoi occhi.»

«Ce ne sono così tanti!»

«Ogni demone che respingi è un demone in meno.» Hirad menò un fendente in una fila di quattro demoni, che si ritirarono urlando.

Dietro di lui, Sha-Kaan sputava energicamente fuoco dalle narici o attraverso i denti, e ogni getto inceneriva numerosi demoni. I suoi artigli scintillavano alla luce del fuoco e la coda sferzava l'aria sopra i maghi, abbattendosi sui demoni che sopraggiungevano a ondate. Ogni suo movimento era controllato e ogni vampata tesa a provocare il massimo danno.

Non era lo stesso per Thraun. Il lupo, chiaramente angosciato di fronte a quell'attacco alieno, emetteva bassi guaiti, ruotava la testa di qua e di là, girava in cerchio. Chiudeva le mascelle sul vuoto, menava colpi con le zampe in ogni direzione e teneva sempre d'occhio Will.

L'attacco aumentò ancora d'intensità. Sempre più demoni invasero la camera fredda.

«Teneteli a distanza, stiamo vincendo la battaglia», annunciò Sha-Kaan.

«Vincendo?» Hirad ansimò, mentre colpiva di nuovo coi piedi e coi pugnali. I demoni erano ovunque. Gli strisciavano su per le gambe, gli mordevano l'armatura di cuoio, gli sciamavano intorno alla testa avvinghiandosi al cuoio capelluto. Il barbaro immaginò il fuoco e il ghiaccio saettargli nel corpo e vide il sangue sgorgare abbondante.

L'Ignoto non si lamentava, ma era senza fiato per le numerose ferite ricevute. Will aveva quasi smesso di combattere; era ammantato di un azzurro chiaro, teneva le braccia sopra la testa. Vicino a lui, Thraun ululava e menava colpi agli aggressori dell'amico, mentre il corpo gli si ricopriva di tagli e la pelliccia si lordava di sangue.

Sha-Kaan rilasciò un'ampia fiammata, poi sferrò violenti colpi con la coda. La sua immensa pelle dorata era ricoperta di azzurro e il suo corpo tremante non riusciva a scacciare la tenace progenie dell' inferno.

«Continua, Corvo, continua!» urlò Hirad mentre mulinava le braccia sopra la testa, ignorando il dolore alle gambe. I suoi pugnali ferivano gli aggressori che giungevano dall'aria.

Tuttavia i demoni incalzavano e alcuni di loro dedicarono l'attenzione ai maghi. L'Ignoto lanciò un grido di avvertimento e fece un balzo per colpire quegli esseri che cercavano di avere la meglio sui tre maghi, ancora protetti dall'incantesimo. Finché la camera fredda fosse rimasta integra, il Corvo aveva una possibilità. Ma, anche con essa, la battaglia era quasi al termine.

Will gridò. I demoni gli avevano preso la faccia.

«No!» urlò Hirad. «Allontanatevi da lui, bastardi!» Si gettò sull'amico buttandolo a terra, e insieme con l'Ignoto trascinò via i demoni dal corpo del compagno.

Seguendo l'esempio, Thraun prese a sferrare morsi, schiacciando i piccoli corpi tra le possenti mascelle.

«Sha-Kaan!» gridò il barbaro, al di sopra di quel tumulto. «Dobbiamo andarcene. Subito!»

«Ancora un poco», replicò il drago, con voce strozzata. «Possiamo vincere. Dobbiamo vincere.»

Hirad tuttavia sentì di avere i nemici sul collo; gli stavano distruggendo l'armatura per raggiungere la pelle. Capì che presto il Corvo avrebbe ceduto.

 

Endorr giaceva immobile sul pavimento, con le mani premute sulla testa, un ginocchio piegato, l'altra gamba distesa. Un filo di bava gli usciva dalla bocca; dal naso gocciolava un po' di sangue. Era ancora vivo.

Barras vide tutto ciò con distacco, mentre il flusso principale dei suoi pensieri era rivolto a resistere nella vana battaglia per impedire alla corona di disgregarsi. I demoni percepivano la vittoria e con le loro stoccate perforavano l'armatura della sua forza di volontà. Il mana ululava tutt'intorno, inondandogli la mente, indebolendo la sua presa sulla struttura che il Consiglio doveva mantenere e rimbombandogli nelle orecchie al di sopra delle risate profonde.

In tutto il cerchio, lo sforzo era palese. Sudore, lacrime, fronti aggrottate, smorfie di dolore, corpi tesi formavano un quadro vivente della disperazione e della sconfitta imminente. Sul pavimento, Endorr aveva urgentemente bisogno di aiuto e non c'era niente che gli altri maghi potessero fare per lui. Non c'era niente che potessero fare per se stessi.

«Quanto ancora?» ansimò Seldane.

«Finché sarà necessario», rispose Kerela, ma sapevano tutti che quella non era la risposta a ciò che Seldane aveva chiesto.

Barras sentì una lacrima di sconforto sgorgargli dagli occhi. Erano in trappola. Lo scudo di Endorr non aveva funzionato e non potevano abbandonare la corona per lanciare un incantesimo difensivo perché i demoni non avrebbero dato loro il tempo di farlo. Non potevano resistere per sempre; una volta esaurito tutto il mana, avrebbero ottenuto lo stesso risultato che se avessero mollato in quel momento. Però non potevano arrendersi ai demoni. Non quando c'era una minuscola possibilità che qualcosa da qualche parte li aiutasse.

Barras soffocò altre lacrime, stavolta di rimpianto. Aveva sognato una vecchiaia piacevole, coccolato dall'abbraccio amorevole del College che serviva da una vita. Poi gli occadi avevano attaccato e lui era riuscito ad accettare la propria morte come evento eroico nell'ambito della difesa di quello stesso College.

Ma quella? Una fine umiliante, vana e senza senso in una stanza chiusa, lontano dall'aria fresca e dal sole. Una fine che non avrebbe dato speranza a nessuno e tormento a tutti, inappropriata per un elfo della sua posizione e per qualsiasi membro del Consiglio. Ciò che erano quasi sul punto di accettare come inevitabile non era accettabile in nessun modo, in nessuna forma o sfumatura.

Barras alzò la testa dal petto, con la vista ancora sintonizzata sullo spettro del mana e iniziò a rinsaldare i filamenti della corona.

«Barras?» Lo sforzo aveva tolto ogni energia alla voce di Torvis.

«Che io sia dannato se lascerò che quei maledetti mettano piede nel mio College e nel mio mondo. Non ho intenzione di avviarmi remissivo alla morte.» L'elfo sottolineò ogni parola con una sferzata della mente, che aveva ricompattato ulteriormente la fragile struttura della corona, sentendosi tuttavia pervaso dalla disperazione.

«Grandi dei della terra, non siamo impotenti!» esclamò Kerela. «Tutti coloro che credono di esserne in grado mostrino a quei bastardi chi possiede Balaia. Se non ci riuscite, resistete e non indebolitevi.» Si unì a Barras, rinforzando in qualche modo la struttura e aumentandone le dimensioni.

Fu allora che notarono il cambiamento. All'inizio era così lieve da risultare quasi impercettibile, ma via via s'intensificò. Una goccia nell'intensità della tempesta di mana, un turbamento nelle voci che schernivano e pungolavano. Sarebbe stato facile attribuirsi il merito, ma Barras sapeva che il loro rinnovato sforzo non aveva nulla a che vedere con quel cambiamento. Incredibilmente stava accadendo il miracolo: qualcosa o qualcuno aveva sviato i demoni.

«È l'unica possibilità che abbiamo!» La voce di Kerela, carica di tutta la sua autorità, chiamò il Consiglio all'azione. «Abbiamo sprecato abbastanza tempo prezioso, adesso liberiamo la nostra città da questo dannato Manto.»

 

La corona, prima così offuscata, tornò a brillare.

Le grida di Will minacciavano di spezzare la concentrazione dei maghi del Corvo più dei demoni che sciamavano sopra i loro corpi. Ignorando il proprio dolore, Hirad e l'Ignoto afferravano e schiacciavano, sferravano calci e calpestavano quelle orrende creature che strisciavano e si gettavano in volo sulle prede più indifese.

Con una mano, l'Ignoto si strappava via i demoni che cercavano i suoi occhi, mentre con l'altra scacciava gli aggressori dei maghi, stando sempre accucciato per evitare la coda di Sha-Kaan che batteva di qua e di là, rivestita di azzurro.

Will, dimenticate da tempo le spade corte, rotolò a terra annaspando vanamente e lanciando gemiti acuti; il suo corpo si sollevava e ondeggiava sotto il peso dei demoni che lo attaccavano.

Hirad provò una nausea sempre più forte nel vedere gli artigli colpire il bersaglio. «Will, sta' fermo!» gridò, scuotendo vigorosamente la testa per scacciare una bestia che sentiva di avere sulla sommità del capo. «Merda», ansimò, sentendo il freddo strisciargli sul cuoio capelluto e un rivolo di sangue scendergli sulla fronte.

Will continuò a contorcersi, dimentico di tutto, coi demoni che gli coprivano la faccia. Il barbaro gli strinse una spalla e gli sollevò il viso, strappandogli le creature di dosso; ignorò i segni che vi avevano lasciato e tenne gli occhi lontani dai loro terribili sguardi. Nel frattempo Thraun, confuso e spaventato, restava a guardare, girandosi di tanto in tanto per staccarsi con la bocca un demone dal corpo.

I demoni feriti sparivano nel nulla da cui erano venuti, solo per essere sostituiti da altri. Le loro risate risuonavano orrendamente allegre mentre graffiavano e mordevano.

Un artiglio afferrò la guancia di Hirad e tirò, strappandogli la pelle. Il barbaro imprecò e si staccò il demone dalla faccia, schiacciandolo in una mano. Will sfuggì alla sua presa e rotolò via, sfregandosi con forza i fianchi e il volto.

«Fermo, Will.»

Ma l'ometto non ascoltava. «Devo uscire di qui», gemette. «Uscire...» Si alzò e corse verso i margini della camera fredda.

«No. Will, no!» Hirad spiccò un balzo e lo colpì alla caviglia mentre correva.

Will finì a terra, ma si rialzò. Il barbaro sentì i demoni che incitavano l'ometto.

Reagendo in ritardo, Thraun abbaiò e balzò verso il compagno, mancandolo per pochissimo. Will raggiunse i margini della camera fredda e allungò una mano al di là. In quello stesso istante i demoni, insieme con tutto il male e la malvagità, scomparvero. Ilkar, Erienne e Denser terminarono l'incantesimo. Il corridoio tornò immobile.

Nella quiete che seguì, Hirad guardò il Corvo e Sha-Kaan. Il Guerriero Ignoto era vicino ai maghi relativamente incolumi, con la testa ridotta a un ammasso di tagli aperti, le braccia rivestite da una patina di sangue. Il Grande Kaan era appoggiato sul ventre; Hirad percepì che era ferito e sapeva che i demoni lo avevano fatto patire per vendicare tutte le creature uccise delle vampate di fuoco.

Un ululato squarciò l'aria. Thraun era accanto alla sagoma prona di Will, con una zampa appoggiata sul petto dell'ometto; nei selvaggi occhi gialli c'era un misto di profondo dolore e di furia cieca.

«Oh, no», mormorò Erienne.

Will non si muoveva.