Capitolo 23
Barras immaginò più che udire il rumore metallico della corona che chiudeva il Manto Demoniaco, ma i gemiti di frustrazione e di collera, che diminuirono fino a scomparire in pochi istanti, erano decisamente reali.
Il Consiglio aveva effettuato l'incantesimo e, una volta terminata l'impresa, provò un'intensa sensazione di sollievo e un fugacissimo momento di euforia. Vilif ondeggiò, e sarebbe caduto se non fosse stato per le forti braccia di Cordolan. Tor-vis, Seldane e Kerela si precipitarono sulla figura raggomitolata di Endorr, mentre Barras ebbe la presenza di spirito di superare incespicando una fila di libri, raggiungere la porta del Cuore e spalancarla. Si ritrovò di fronte la faccia pallida di Kard, su cui comparve un sorriso sollevato.
«Per gli dei, Barras... I rumori che ho sentito.»
«Stiamo tutti bene. Endorr è ferito. Portate i maghi della comunione mentale. Il Manto è tolto.»
Kard esitò. «Endorr?»
«Non c'è niente che voi possiate fare. Pensate alla difesa. Andate. Andate.» Barras lo guardò allontanarsi, poi si girò per tornare nel Cuore.
Kerela si alzò e si passò una mano sulla fronte, tetra in volto. «Non va bene. È in coma.» Batté sulla spalla di Cordolan. «Portatelo dai guaritori, tutti quanti. Io aspetterò i maghi della comunione mentale. Sbrigatevi.»
Cordolan, Torvis e Seldane raccolsero il corpo di Endorr e lo portarono via. Vilif, ancora instabile, li seguì.
«Grazie, Barras», disse Kerela.
«Per cosa?»
«Per avere mostrato la strada a tutti noi.»
L'elfo scrollò le spalle. «Non avrebbe fatto nessuna differenza, se non...» Un rettangolo di luce apparve accanto alla porta del Cuore. Kerela fece per parlare, ma Barras alzò una mano per bloccarla. «Va tutto bene, Kerela. Penso che tu stia per apprendere qualcosa sul mio conto che non hai mai sospettato.»
Il rettangolo divenne solido; contro la luce delle torce si stagliò una sagoma. Avanzò rapida, seguita da altre. Un uomo imponente portava tra le braccia un corpo ed era seguito a brevissima distanza da un lupo e da... «Sommi dei!» esclamò Barras.
«Non vi preoccupate», disse Ilkar. «Il lupo è un mutaforma. È con noi.»
Barras non incontrava il Corvo dalla riunione al lago Triverne, prima del lancio del Ruba Aurora, e lo immaginava intrappolato a ovest del passo Understone. Ma, vedendo i mercenari, tutti insanguinati, comparire da quello che era senza ombra di dubbio un portale dragonene, restò sconcertato. Nessuno di loro era un dragonene, così gli risultava quando si erano incontrati, eppure solo un dragonene poteva indurre l'apertura di un portale. Né c'era Elu-Kaan ad aspettarlo all'interno. «Come siete arrivati qui?»
«È una lunga storia, ma dovrà aspettare», replicò Ilkar, facendo entrare il Corvo direttamente nel Cuore. I non maghi fecero fatica a sopportare il peso del mana; Erienne e Denser invece non erano bene accetti al suo interno. «Dobbiamo avere accesso immediato alla biblioteca e assistenza medica urgente per Will.»
Barras ebbe un'intuizione. «Siete arrivati attraverso il Manto?»
«Sì, ma, per favore, non perdiamo tempo.»
«C'è sempre tempo per accogliere il figlio prediletto», disse Kerela. Baciò Ilkar su entrambe le guance e gli strinse le mani. «Come puoi vedere, parte della biblioteca è qui, perché gli oc-cadi sono alle nostre porte. Dovremmo presto ingaggiare una battaglia che non speriamo di vincere, ma il Corvo favorisce sempre la buona sorte. Ora dobbiamo abbandonare il Cuore per iniziare i preparativi per la comunione mentale. Vieni, porteremo il vostro amico dai guaritori e ci riserveremo qualche minuto per parlare nella sala del Consiglio.» Kerela indicò a Ilkar di precederla.
Hirad Coldheart entrò nel Cuore, nonostante il fastidio provocato dal mana. «Sha-Kaan ha bisogno di parlarvi», disse, rivolgendosi a Barras.
L'elfo si accigliò. «Tu? Un dragonene?»
Hirad annuì. «Venite. Elu-Kaan è gravemente ferito. Ha bisogno del vostro aiuto.» Fece strada nel corridoio dimensionale.
Kerela si voltò a guardare Barras, con un sorriso. «Ti saresti potuto fidare di me e dirmi che eri un dragonene.»
«Non possiamo dirlo a nessuno. Non è questione di fiducia.»
Il Sommo mago annuì. «Parleremo dopo.»
Il generale Kard si diresse spedito verso le cucine alla base della torre e ordinò ai maghi della comunione mentale di posizionarsi all'esterno del Cuore. Poi uscì nel cortile silenzioso e annuì in segno di approvazione per la disciplina dei julatsani, che avevano osservato l'ordine di rimanere in silenzio dopo la rimozione del Manto. Alzò gli occhi sulla torre mobile degli oc-cadi, illuminata da torce per tutta la notte. Non poteva credere che le sentinelle all'interno non avessero notato la scomparsa del Manto, ma dal loro silenzio presumeva che fosse così; al buio era molto difficile scorgerne il grigio turbinio, ed era indubbio che la gente vedesse ciò che voleva vedere. Tuttavia l'aura maligna era scomparsa, e agli occadi era sfuggito anche quello. Il generale si augurò solo che rimanesse tutto tranquillo per un'altra ora. A quel punto, non solo i maghi incaricati di distruggere la torre sarebbero stati pronti a lanciare l'incantesimo, ma il resto della forza di attacco sarebbe stato sul punto d'invadere le strade di Julatsa.
Tutt'intorno alle mura i suoi uomini erano pronti; avevano visto e percepito che il Manto era stato eliminato. Dietro le porte chiuse, quell'esercito improvvisato attendeva l'ordine di attacco e riceveva le ultime istruzioni. I maghi che si sarebbero librati in volo e quelli che dai bastioni avrebbero coperto la ritirata all'interno delle mura stavano riposando o provando le sagome di mana che avrebbero seminato morte tra gli occadi.
Un trambusto alle sue spalle, all'interno della torre, indusse Kard a girarsi e ad arretrare di un paio di passi in preda al totale sconcerto. Un guerriero imponente si stava avvicinando in fretta, portando tra le braccia il corpo di un uomo molto più piccolo, seguito a brevissima distanza da quello che sembrava un grosso lupo; alle loro spalle, due membri del Consiglio accompagnavano i soldati che trasportavano il corpo senza coscienza di Endorr. Kard rimase a bocca aperta e spostò di riflesso la mano sull'elsa della spada.
«Siamo amici», disse il guerriero. «Da che parte per l'infermeria? In fretta, uomo, Will non ha molto tempo.»
Kard si ritrovò a indicare vagamente a sinistra, al di là del cortile.
Il guerriero annuì e corse nella direzione segnalata, tallonato dal lupo. Proprio dietro di loro, i soldati trasportavano Endorr.
Cordolan si fermò brevemente. «Il Corvo è qui. Barras è un dragonene, credo. Andate nella sala del Consiglio: credo che Kerela stia parlando con loro.» Si affrettò quindi a raggiungere Endorr.
Il generale lanciò un'occhiata al cielo e rientrò di corsa, fermandosi solo per parlare a un luogotenente. «Conoscete la procedura. Gli ordini non sono cambiati, anche se le cose sono mutate leggermente in nostro favore. Se suonasse l'allarme prima che io torni fuori, iniziate l'attacco alla torre. È tutto chiaro?»
«Sì, generale.»
Kard si avviò verso la sala del Consiglio.
Hirad si unì alla riunione improvvisata tra Kerela e i maghi del Corvo, dopo avere presentato Barras a Sha-Kaan.
Il Grande Kaan doveva tornare immediatamente all'Apertura d'Ali e avrebbe lasciato il corridoio dimensionale aperto affinché Elu-Kaan ricevesse l'aiuto necessario attraverso i flussi interdimensionali, sotto l'occhio attento di Barras. Hirad venne presentato rapidamente al Sommo mago e al generale Kard.
«La comunione mentale è in corso all'interno del Cuore.» Kerela proseguì da dove si era fermata quando Hirad era entrato nella stanza. «Non sappiamo chi ci sentirà e in quanto tempo i rinforzi ci potrebbero raggiungere. Quello che sappiamo è che, quando il cielo si rischiarerà, aumenteranno le probabilità che gli occadi si accorgano della scomparsa del Manto Demoniaco. Quando inizierà l'attacco, pensiamo di poter reggere per due, forse tre giorni; dopo, il College sarà perduto.»
Ilkar annuì, anche se trovava difficile accettare la situazione. «Che probabilità abbiamo, con esattezza?»
«Non lo so», rispose Kerela. «Le forze nemiche ci superano in un rapporto di circa dieci o quindici a uno. Ovviamente noi abbiamo le mura e tutti i maghi.»
«Va male», osservò con delicatezza Erienne. «Ma non è la nostra preoccupazione primaria, vero, Ilkar?»
Dopo quella che parve un'eternità, l'elfo scosse la testa. «Non siamo venuti qui per contribuire a salvare Julatsa.» Prima di continuare, Ilkar si leccò il labbro superiore. «Balaia è minacciata da qualcosa di molto più grande degli occadi e il Corvo ha l'incarico di bloccarlo prima che ci annienti tutti, occadi inclusi.»
Denser restò cauto in silenzio; decise di accendersi la pipa e di limitare il suo contributo a cenni e scuotimenti del capo. Hirad fu lieto della sua reticenza.
Kerela rimase zitta per un po', con un'ombra di perplessità sul volto. Poi chiese: «Ma il Ruba Aurora non ci ha garantito la vittoria?»
«Sui Lord stregoni, sì», rispose Erienne. «Tuttavia l'effettuazione dell'incantesimo ha prodotto uno squarcio nel tessuto della nostra dimensione, ed è uno squarcio che cresce a ogni respiro. Ci connette con la dimensione dei draghi, e alla fine diventerà troppo grande perché i Kaan lo difendano. Saremo invasi da draghi di tutte le stirpi.»
Stavolta il silenzio di Kerela fu più lungo. C'era uno strano parallelismo tra il danno dimensionale che le era stato descritto e l'improvvisa straordinaria forza con cui i demoni si erano opposti all'eliminazione del Manto. Il Sommo mago studiò i volti del Corvo in cerca di menzogne e di slealtà che sapeva già di non trovare, e della verità che sapeva vi avrebbe trovato ma cui non voleva credere. «Cosa dovete cercate nella biblioteca?» chiese alla fine.
«I testi di Septern», rispose Erienne, quasi prima ancora che Kerela completasse la domanda. «Qualsiasi cosa ci aiuti a chiudere un portale dimensionale. Un portale dimensionale veramente grosso.»
Il Sommo mago annuì e allargò le mani. «Ovviamente avrete l'accesso ai nostri testi. Sono sicura che Barras confermerà le vostre parole, quando avrà finito quanto deve fare. Vi suggerisco d'iniziare a cercare nel Cuore, dopo che avremo completato la comunione mentale. Barras ha portato lì numerosi testi fondamentali, e ce ne saranno molti di Septern. La biblioteca contiene però più di un centinaio delle sue opere e di testi correlati. Il nostro bibliotecario vi aiuterà, ma potrebbe essere una lunga ricerca.»
«Abbiamo al massimo due giorni», replicò Ilkar, alzandosi.
«Nel frattempo, generale Kard, potrebbe esservi utile parlare col Guerriero Ignoto e col sottoscritto», disse Hirad. «Se dobbiamo combattere per voi, dobbiamo poter dire la nostra su come organizzare le difese.»
Kard si mostrò infastidito da quelle parole. «Sono più che preparato a organizzare una difesa in caso di assedio.»
«Ma noi siamo il Corvo», replicò Hirad. «E abbiamo partecipato a più assedi di quelli che potete immaginare. Sia come assedianti sia come assediati. Insisto, vi prego.»
Kerela posò una mano sul braccio di Kard. «Dovremmo approfittare di ogni aiuto.»
Il generale annuì. «D'accordo, anche se dubito che cambierete i piani già ideati.»
«Anch'io. Ma, se possiamo migliorarne anche solo un aspetto, ne sarà valsa la pena», disse Hirad.
Kard indicò la porta. «Venite. Gli occadi non aspetteranno a lungo.»
Il Guerriero Ignoto aveva posato Will su un giaciglio nell'infermeria, sapendo che non sarebbero serviti impacchi né infusi. L'ometto richiedeva interventi tutt'altro che usuali.
Thraun si era seduto accanto al giaciglio, leccava ogni tanto il volto di Will ma perlopiù si limitava a fissarlo con un'espressione di pura disperazione negli occhi umidi e grandi. L'Ignoto lo accarezzava assente, mentre Will veniva esaminato dopo che fu spiegato ai guaritori quanto gli era successo.
L'infermeria era un edificio basso, di pietra, con un tetto di ardesia, le cui pareti erano rivestite da arazzi vivaci. Conteneva venti giacigli ben distanziati in due file da dieci, anche se l'Ignoto sapeva che ben presto avrebbe accolto un numero di feriti tre o quattro volte superiore e si sarebbe rivelata del tutto inadeguata. In fondo allo stanzone, dov'erano state messe a scaldare le pile di lenzuola di ricambio, un fuoco ardeva in un ampio caminetto, offrendo uno spettacolo rasserenante con le sue delicate fiamme e fornendo calore sia per i pazienti sia per i balsami curativi.
L'Ignoto si sentiva davvero vicino a Will. Conosceva fin troppo bene il terrore di un'anima strappata dagli artigli dei demoni. Che si fosse vivi o morti, non faceva differenza. L'anima apparteneva al corpo finché non si superava il confine della morte.
L'anima di Will non era persa, ma i demoni l'avevano quasi certamente toccata. Il gelo glaciale di un artiglio demoniaco, che aveva raggiunto il cuore profondo del suo essere, rappresentava la ragione per cui l'ometto versava in uno stato tanto grave. Era un miracolo che la mente riuscisse ancora a ordinare ai polmoni di respirare. Quando la maga guaritrice terminò il tentativo di contatto con la coscienza sepolta di Will, il suo sguardo inespressivo fu più che eloquente.
«Allora?» domandò l'Ignoto. Non si faceva illusioni sulle possibilità di sopravvivenza dell'amico.
«Non ho mai visto nessuno sprofondato in una tale condizione», disse la maga. Era una donna alta, graziosa, con le dita lunghe, i capelli grigi tagliati corti e il viso raggrinzito per l'età. «Anche se respira, stento a credere che la sua anima sia ancora nel corpo. Non riesco nemmeno a percepire la sua mente, figuriamoci a contattarla. Qualcosa lo tiene in vita, ma non credo che sarà per molto.» Lanciò un'occhiata a Thraun, come aveva fatto già più volte in precedenza.
«Non preoccupatevi per il lupo. È sicuramente consapevole che Will è gravemente malato, e credo capisca che state cercando di aiutarlo. Allora, quanto ci vorrà?» L'Ignoto vide Hirad e il generale julatsano entrare nell'infermeria e puntare dritti verso di lui.
«Prima che si svegli o prima che muoia?»
«Sappiamo entrambi che la prima è un'eventualità alquanto improbabile», replicò l'Ignoto.
La maga sorrise mesta e annui. «Se non inizia a riprendersi in un giorno, lo sposterò nella stanza dei feriti irrecuperabili, per lasciarlo morire in pace.»
L'Ignoto si accucciò accanto al lupo, che lo guardò malinconico. «Non so se mi capisci, Thraun, ma ci sarà una battaglia. Per aiutare Will, combatti con noi. Abbiamo bisogno di te.»
Thraun incrociò lo sguardo dell'Ignoto e lo sostenne per un certo tempo prima di muoversi. Leccò la faccia di Will, poi si stese per terra ai piedi del giaciglio.
L'Ignoto si tirò su, notando che i tagli alle braccia stavano guarendo grazie agli incantesimi lanciati da Erienne e da Ilkar. «Be', valeva la pena tentare», disse avvicinandosi al generale Kard e a Hirad. «Allora, signori, dobbiamo discutere dell'assedio...»
«Davanti a una tazza di tè, direi.» Kard indicò l'estremità occidentale dell'infermeria. Il fuoco ardeva intenso e diversi pentolini erano appesi sopra le fiamme.
Una volta sistemati comodi, l'Ignoto porse la mano a Kard. «Mi dispiace di non essermi presentato prima. Sono il Guerriero Ignoto.»
«Lo so. Io sono Kard, generale delle forze julatsane.»
«Sarà meglio essere brevi», disse l'Ignoto.
Il generale annuì. «È in corso una comunione mentale per avvertire eventuali forze amiche nelle vicinanze che abbiamo bisogno di aiuto. Uno dei vostri maghi, Ilkar, mi ha dato il nome di una maga che sappiamo di poter contattare.»
«Pheone», disse l'Ignoto.
«Sì. Quando arriverà l'inevitabile allarme dalle sentinelle nemiche, sferreremo l'attacco.»
«Perché aspettare?» domandò Hirad.
«Perché ogni momento guadagnato porterà gli alleati più vicini. E senza aiuto perderemo sicuramente la battaglia.»
«Ma aspettare è sempre un errore», replicò l'Ignoto. «Tiene i vostri sulle corde ed elimina la sorpresa totale, che per voi è così importante. Attaccate quando siete pronti. Distruggete la torre degli occadi prima che abbiano la possibilità di suonare l'allarme e mandate fuori i vostri per le strade subito dopo il primo attacco con la magia, presumendo che sia questo che avevate in mente.»
«Ma...»
«Le vostre idee sono valide, generale, e ai dordoveriani bisogna dare più tempo possibile perché arrivino, ma pensate all'effetto sugli occadi. Prima ancora che si accorgano che il Manto non c'è più, verranno uccisi nel sonno o intorno ai fuochi dell'accampamento. Prima ancora che possano opporre una resistenza significativa, tornerete dentro le mura ad aspettarli.»
Kard annuì. «Capisco il vostro ragionamento. Poi li tratterremo il più a lungo possibile con gli incantesimi, impedendo loro di sferrare un potente attacco.»
«Sì, ma bisogna cominciare colpendoli con durezza. Induceteli ad avere paura di avvicinarsi», suggerì l'Ignoto. «Dopo il primo attacco, spostate sempre i maghi. Fate in modo che gli occadi non sappiano da dove arriverà l'attacco successivo.»
«D'accordo», disse Kard, con un'aria vagamente risentita. «Ma dovremmo sgombrare il passaggio sulle mura.»
«Va bene, perché potete posizionare i guerrieri ai piedi delle mura finché non sarà il momento di chiamarli. Anche se forse vorrete tenere gli arcieri dietro i bastioni», suggerì Hirad. «Ricordatevi, se l'attacco improvviso per le strade ha successo, gli occadi saranno demoralizzati e allo sbando. Impiegheranno parecchie ore a riorganizzare l'assedio e ad attaccare. Se riuscite a danneggiarli mentre si avvicinano alle mura, potete ritardarli ancora di più. Ma dovete usare bene i maghi.»
L'Ignoto sorrise e allungò una mano per stringere brevemente il braccio di Kard. «Generale, non mettiamo in dubbio la vostra capacità o la vostra autorità, contribuiamo solo con la nostra esperienza. A quanti assedi avete preso parte?»
«Questo è il primo», ammise Kard.
«Allora finora avete fatto un lavoro fenomenale», replicò l'Ignoto. «Noi abbiamo passato quasi dieci anni a combattere dentro o fuori le mura dei castelli.»
«In tal caso, sono contento di avere i vostri consigli.»
«Ci aiuteranno a vivere più a lungo», disse Hirad.
«C'è un'altra cosa.» Il generale finì il tè. «Senedai, il Lord degli occadi, ha dei prigionieri julatsani, probabilmente migliaia. Ha promesso di ucciderli tutti, se lo avessimo ingannato.»
«Non pensate che sarà troppo occupato a risolvere i problemi che gli creerete, per preoccuparsi dei prigionieri?»
«È quello che ho detto al Consiglio, ma francamente ne dubito», replicò Kard. «Senedai ha almeno quindicimila guerrieri là fuori. Sono sicuro che ne possa destinare un po' per eliminare un potenziale pericolo.»
L'Ignoto si accigliò. «Ci sono maghi tra i prigionieri?»
«Credo di sì, ma se ne stanno in incognito», rispose il generale. «Altrimenti Senedai li avrebbe già uccisi. È spietato, come ha già dimostrato con tutti i prigionieri sacrificati nel Manto.»
«C'è qualche comunione mentale diretta a loro? Dove li tengono?» chiese l'Ignoto, vedendo Hirad porsi le stesse domande e arrivare alla stessa conclusione.
«A sud della città, probabilmente nel magazzino del grano. È l'unico edificio abbastanza grande per il numero di persone che crediamo sia stato catturato. Per quanto riguarda la comunione mentale, non possiamo rischiare. Non vogliamo che i prigionieri o gli occadi abbiano sentore del piano prima dell'attacco.»
L'Ignoto scambiò una breve occhiata con Hirad, che inarcò le sopracciglia e annuì. «Li libereremo», disse l'imponente guerriero. «Ma richiederà una lieve variazione del piano.»
«In che senso?» domandò Kard.
«Lasciate che se ne occupi il Corvo», disse Hirad. «Sappiamo quello che facciamo.»
Il generale annuì. «D'accordo.»
La comunione mentale aveva portato notizie promettenti. Pheone, la maga già contattata dal Corvo, era con un gruppo di duecento julatsani che comprendeva altri undici maghi. Si stavano facendo strada verso il punto in cui sospettavano che i dordoveriani fossero accampati, e avrebbero potuto colpire gli occadi entro un giorno, aggirando la città.
Anche i dordoveriani erano stati trovati dalla comunione mentale. Duemilacinquecento fanti, cinquecento cavalieri e cinquanta maghi, che stavano per tornare a Dordover a causa degli occadi ammassati a Understone e avevano invece ricevuto l'ordine di marciare verso Julatsa.
Altri tre gruppi di soldati e cittadini, misti a un pugno di maghi, forse centocinquanta persone in tutto, erano stati rintracciati e avvertiti del piano di attacco. Si sarebbero uniti all'impresa, soprattutto se fossero riusciti a intercettare la forza dordoveriana.
Ciò significava che i julatsani, insieme col Corvo, dovevano respingere almeno per un giorno le forze degli occadi, che li superavano di numero in modo drammatico. Kard riteneva che avrebbero potuto farcela. Tutto stava nel morale delle truppe, nell'uso efficace dei maghi e, elemento cruciale per sostenere lo spirito all'interno del College, nella liberazione, a opera del Corvo, dei prigionieri che si presumeva fossero nel granaio.
Il College stava godendo del primo colpo di fortuna dopo la caduta di Julatsa. La notizia dell'arrivo inaspettato del Corvo si era diffusa come un fulmine, portando il sorriso sui volti e inducendo la gente a parlare di buoni presagi. Al Corvo si attribuiva anche il merito di avere reso ciechi gli occadi della torre mobile che, dopo un'ora dalla rimozione del Manto, non si erano ancora accorti della vulnerabilità del College.
Un gruppo di sei maghi uscì dalla base della torre. L'alba si stava avvicinando, sebbene fosse ancora buio. Il cortile era silenzioso, fatta eccezione per i rumori delle pentole in cucina, dei fuochi che venivano alimentati e delle mute proteste della catena da poco ingrassata del pozzo, quando l'acqua veniva estratta dal fiume sotterraneo. Da tanti punti di vista era, come richiesto da Kard, un preludio del tutto ordinario, sebbene artefatto, per il giorno che doveva venire.
Dietro ogni porta all'interno delle mura, però, un drappello di uomini era pronto a precipitarsi contro l'accampamento nemico. I maghi ricognitori prepararono le Ali d'Ombra.
Il Corvo, già nascosto presso la porta meridionale, era in attesa. Hirad e l'Ignoto sollevarono le armi, Ilkar ed Erienne prepararono rispettivamente uno Scudo di Pietra e una Pioggia di Fuoco. Denser, grazie alle Ali d'Ombra, avrebbe stabilito il percorso; era il modo migliore per evitare scontri con gli occadi.
Sei maghi julatsani attraversarono il cortile, pronti a lanciare incantesimi distruttivi contro la torre mobile. Nonostante tutti i rivestimenti in metallo ai livelli inferiori, la piattaforma di guardia era ancora scoperta, seppure protetta da reti contro le frecce. Non ci fu nessun avvertimento. All'improvviso una decina di Globi di Fiamma sfrecciò in cielo; la preparazione molto accurata aveva conferito ulteriore velocità e precisione all'incantesimo.
L'improvvisa luce illuminò il cortile mentre si spostava rapida verso le impotenti sentinelle nemiche. L'ombra seguì la luce arancione come in una sequenza ipnotica e, prima che i globi colpissero il bersaglio, sul College calò un brevissimo silenzio.
La notte julatsana s'illuminò mentre un fuoco arancione inghiottiva la piattaforma della torre mobile, attaccando legno e carne e consumandoli entrambi con pari voracità. Le fiamme saettarono verso l'alto; sulla piattaforma gli occadi bruciavano, urlando nell'agonia. Uno di loro cadde oltre il parapetto, in una scia di fumo e fiamme. Un unico rintocco disperato della campana di allarme risuonò lugubre nella notte, insieme con le urla dei moribondi.
Il cortile del College si animò. Kard e i capitani urlarono ordini; soldati e civili corsero alle porte, che furono spalancate. Il primo a riversarsi nelle strade di Julatsa fu il Corvo, con Denser, dalla vista potenziata magicamente, che volava in avanscoperta. Dietro sopraggiunse una forza di seicento soldati e civili armati, più trenta maghi. A nord sarebbero andati quasi quattrocento soldati più venti maghi, lasciando il College temporaneamente sguarnito di spade ma non privo di difese magiche.
Nei giorni del Manto Demoniaco, Senedai aveva smobilitato la forza che in origine aveva circondato le mura del College, disperdendola nei quartieri più lussuosi della città, in cui si era impossessato di qualche palazzo. Tuttavia una serie di posti di guardia sbarrava ancora le strade che partivano dall'anello acciottolato all'esterno delle mura del College, proprio nel punto in cui le mura incontravano i primi edifici cittadini. Era li che sarebbe stato sferrato il primo attacco.
Hirad guidò il Corvo al di là dell'anello, verso la strada principale, che conduceva al quartiere delle botteghe. Gli occadi lanciarono grida di avvertimento e sguainarono le armi; le urla furono riprese in una decina di punti, ma la marea julatsana stava per spazzare via quell'esigua prima linea difensiva.
«Corvo!» ruggì Hirad. «Corvo, con me!» Scattò in avanti, con l'Ignoto alla sua sinistra e Ilkar subito dietro.
«Scudo su», annunciò l'elfo. «Mantieni l'incantesimo, Erienne.»
«Lo sto facendo.»
Quattro occadi si pararono davanti al Corvo. Hirad attaccò con un fendente ad altezza di petto. Il suo bersaglio spiccò un balzo all'indietro, estraendo l'ascia in un flebile tentativo di resistenza, ma il barbaro la scostò con un colpo e diede una testata in faccia al nemico, fracassandogli il naso.
Poi Hirad ruotò con la spada colpendo un altro nemico nello stomaco, e lo finì con una pugnalata al cuore. Quindi voltò l'arma e l'abbassò sul collo dell'uomo col naso rotto, mentre l'Ignoto assestava un forte pugno nel petto del terzo uomo e poi lo pugnalava alla gola. Anche l'ultimo dei quattro occadi fu ucciso dall'Ignoto, con estrema facilità.
Denser atterrò dietro di loro. «A sinistra c'è un vicolo. Prendetelo e poi imboccate la prima a destra. Là per il momento è tranquillo, ma gli occadi si stanno svegliando. Dobbiamo fare in fretta. Erienne, stai bene?»
La maga annuì e indicò con la testa il punto in cui manteneva la sagoma di mana della Pioggia di Fuoco.
Denser si alzò di nuovo in volo.
Hirad afferrò un ramo da un falò e partì di corsa lungo lo stretto vicolo, seguito dall'Ignoto, con la luce tremolante della torcia improvvisata che riusciva a malapena a scacciare le ombre più fitte. Alle spalle udivano le grida degli occadi che si stavano svegliando, il suono degli allarmi e il cozzare dell'acciaio, mentre i guerrieri julatsani ingaggiavano battaglia contro gli invasori. Risuonarono alcune esplosioni, attutite dalle pareti spoglie del vicolo che si allontanava dalla strada principale. La luce dei Globi di Fiamma e il baluginio smorzato della Pioggia di Fuoco creavano brevi luminescenze in cielo.
Svoltando nel vicolo seguente, una stradina lastricata leggermente più larga, Hirad vide Denser sfrecciare veloce più avanti. Lo xeteskiano virò bruscamente a destra e si gettò in picchiata per atterrare di fronte al barbaro, che frenò di colpo.
«È più facile di quanto pensassi», disse Denser. «Il granaio è proprio alla fine di questo vicolo, al di là di un'ampia piazza. È sorvegliato e, ora che l'allarme si è diffuso, c'è luce nelle finestre di ogni edificio, ma tutti gli occadi stanno correndo verso il College. Se siamo rapidi, possiamo...»
Al di sopra dello strepito sempre più intenso della battaglia e delle esplosioni degli incantesimi che colpivano uomini e edifici, un ululato squarciò la notte. Era lungo, pregno di rabbia e di dolore, e si trasformò quindi in un gemito acuto e in un latrato che riecheggiò fino a scomparire. Per una frazione di secondo Julatsa tacque, poi la battaglia riprese.
«Scudo giù», disse Ilkar. «Che diavolo era?»
«Sacri dei!» esclamò Erienne, che aveva perso la sagoma di mana. «Era Thraun.»
«Will», disse l'Ignoto. «Povero Will.»
Un altro ululato squarciò l'aria.
«Cosa farà ora Thraun?» domandò l'elfo.
«Non lo so», rispose Erienne. «Ma credo che sia meglio tornare indietro il più velocemente possibile. Solo noi possiamo provare a calmarlo.»
«Prima però dobbiamo liberare i prigionieri», disse Hirad. «Erienne, va' con Denser, se riesce a reggerti. Forse è meglio che dirigiate i vostri incantesimi dall'alto. Ilkar, Globi di Fiamma e poi la spada. Ci occuperemo di Thraun e della veglia di Will più tardi.» Il barbaro cercò di rimuovere la tristezza per la perdita di un altro compagno. «Corvo, con me.»
Un terzo ululato riecheggiò contro le pareti del vicolo. Stavolta più vicino. Il lupo era libero per le strade di Julatsa.