Capitolo 2

La scena nella piazza centrale di Parve era di sconcerto e di terrore. Al primo grido del drago tutti i rumori erano cessati per un istante mentre ogni testa di uomo e di animale si levava in direzione dello squarcio.

I cavalli slegati si erano voltati ed erano schizzati via, mentre altri avevano disarcionato i cavalieri oppure recalcitravano e strattonavano pali e ringhiere. Dagli animali si levavano versi strozzati, scatenati dall'istinto e dalla consapevolezza innata di una preda che si trovava in pericolo.

Nel caso di uomini ed elfi, il terrore cieco lasciò tuttavia il posto a una specie di attrazione fatale mentre il drago, dapprima una sagoma relativamente indistinta, scendeva. Nelle grida e nei suoni secchi con cui salutava il sole di Balaia c'era una chiara soddisfazione. Girava, roteava e volteggiava con le ali che battevano ritmiche.

Mentre si avvicinava al suolo, la sagoma divenne più nitida e le dimensioni spaventosamente chiare, Ilkar la osservò con sguardo analitico ignorando il tremore del corpo e il martellare del cuore, l'impulso di scappare, di buttarsi a terra, di combattere, di nascondersi.

Il drago non era grande come Sha-Kaan, la bestia che il Corvo aveva incontrato oltre il portale dimensionale nel castello di Taranspike. Non aveva lo stesso colore né la stessa forma della testa, anche se la sagoma era quasi identica. Il collo lungo e sottile s'inarcava e si raddrizzava, la testa scrutava il terreno, la coda ondeggiava seguendo la massa del corpo.

Se Sha-Kaan superava ampiamente i trenta passi di lunghezza, quello ne misurava poco più di venti. Le squame di Sha-Kaan rilucevano dorate alla fiamma delle torce, mentre quel drago aveva un color ruggine; anche la forma dei crani era diversa.

Il silenzio profondo calato sulla piazza centrale svanì quando la gente che osservava a bocca aperta si rese conto con una lentezza paralizzante che il drago stava calando rapido. A quel punto, si scatenò la frenesia. La cavalleria di solito ordinata di Darrick si sparpagliò per le strade; uomini e animali si scontravano mentre si aggiravano confusamente in mezzo al caos cercando una via di fuga.

Darrick gridò brusco per ripristinare l'ordine e la calma, inutilmente. Alle sue spalle, il Corvo e Styliann scattarono in piedi, dimenticando la fatica.

«Dentro, dentro!» gridò Ilkar, precipitandosi verso la galleria della piramide per fermarsi poi di colpo. «Dov’è Hirad?»

L'Ignoto per poco non gli finì addosso. Gridò per chiamare il barbaro, che aveva percorso diverse centinaia di passi e non dava segno di rallentare, ma il tumulto nella piazza coprì le sue parole.

«Vado a prenderlo», affermò l'imponente guerriero.

«No», gli disse Ilkar, osservando il drago che stava piombando sulla città.

L'Ignoto lo prese per un braccio. «Vado a prenderlo», ripeté. «Cerca di capire.»

Ilkar annuì. L'Ignoto rincorse Hirad, che aveva appena svoltato un angolo scomparendo alla vista.

Dall'ingresso della galleria, Ilkar vide il guerriero chinarsi istintivamente al passaggio del drago, che si trovava a pochi passi di distanza dal tetto piatto dell'edificio più alto. La bestia aveva una massa pari a quella di cinquanta cavalli. Ilkar la vide piegare la testa e osservare uomini, elfi e animali in fuga; udì il suo verso secco. Avvertì la paura nel profondo dello stomaco e uno schiocco di dolore nelle orecchie sensibili.

Il drago si alzò, s'inclinò con grazia incredibile per poi scendere con la bocca spalancata e le zanne ben visibili contro il nero delle fauci. Ilkar rabbrividì, lo osservò muoversi, poi impallidì quando il sole gettò la grande ombra del drago sulla sagoma in fuga del Guerriero Ignoto.

Stava accadendo tutto troppo velocemente. L'Ignoto alzò lo sguardo mentre l'ombra lo inghiottiva avvolgendolo in un crepuscolo istantaneo; si girò e piegò ad angolo retto rispetto alla traiettoria del drago. L'enorme bestia risalì verso il cielo, e il suo urlo di delusione fu seguito da un altro di pura rabbia.

Hirad, che correva a precipizio per le strade deserte, udì il secondo ruggito. Ansimò quando avvertì un peso all'interno della testa e si portò le mani sulle orecchie.

«Fermati!» tuonò una voce, facendolo cadere a terra.

 

Mentre saliva verso la zona del cielo che ribolliva, Sha-Kaan sentì crescere la rabbia. Per lui era stato un battere di palpebre da quando aveva avvertito l'uomo, Hirad Coldheart, dei pericoli rappresentati dalla conoscenza che possedeva e dall'amuleto rimasto tanto a lungo attorcigliato ai suoi artigli. Era stato ripagato con l'inganno.

Prima il furto dell'amuleto, poi sicuramente l'uso della formula e infine l'apertura di un corridoio fin su Balaia, la dimensione d'interscambio della stirpe Kaan.

Alle sue spalle, la stirpe si era librata dal Choul, scontenta per l'improvvisa interruzione del sonno. Trenta Kaan in volo, per unirsi a quanti già volteggiavano intorno alla porta in cielo.

Attirato dalla presenza della porta e dall'impulso che quella inviava ai nervi di ogni drago presente nel suo raggio, il nemico arrivava da ogni parte. Se non fossero riusciti ad allontanare le stirpi avversarie, si sarebbe scatenata una battaglia come mai si era vista nei cieli dalla comparsa di Septern, il mago che aveva salvato la stirpe Kaan offrendole la dimensione d'interscambio di cui aveva bisogno, al tempo in cui si era ridotta sull'orlo dell'estinzione.

Sha-Kaan batté le ali più rapidamente mentre un avvertimento gli echeggiava in mente. Da un banco di nubi dietro lo squarcio, un drago della stirpe Naik puntò verso la massa fluttuante; superò veloce l'approssimativa difesa, e il suo grido di vittoria cessò d'un tratto quando si buttò nel varco scomparendo alla vista.

Altri fecero per seguirlo ma Sha-Kaan comunicò loro mentalmente di star fermi. «Me ne occupo io. Voi teneteli a bada. Non cedete il varco.» Salì, girò intorno allo squarcio, ne valutò dimensioni e profondità, piegò le ali e lo attraversò in picchiata. Sfrecciò in un miasma di pressione, cecità, messaggi afferrati a metà e di una vaga conoscenza di ciò che si trovava all'esterno del corridoio. Piombò nei cieli di Balaia e avvertì subito la presenza di due esseri noti.

Il drago nemico Naik incombeva poderoso nella sua coscienza; Sha-Kaan lanciò allora il suo urlo di guerra sapendo che non avrebbe potuto rifiutare la sfida. L'altra presenza era più piccola, molto più piccola, ma non meno rilevante: Hirad Coldheart. Avrebbero dovuto fare due chiacchiere, si disse Sha-Kaan. E, mentre scendeva in picchiata sull'altro drago, inviò all'umano il comando di fermarsi.

 

Ilkar sentì la pelle formicolargli mentre alla paura si sommava l'impotenza totale; si aspettava di lì a poco ancora più draghi e ancora più terrore. Alle sue spalle, Styliann e il resto del Corvo stavano fissando il cielo. Per la prima volta nella loro lunga e vittoriosa carriera, tutto ciò che potevano fare era guardare.

La battaglia fu rapida e violenta. I due draghi si avvicinarono a velocità spaventosa, quello piccolo dal basso, l'animale dorato più grande dall'alto, in picchiata.

«Sha-Kaan», sussurrò Ilkar, riconoscendo il drago dorato.

Il Grande Kaan si precipitò giù dal cielo di Balaia costellato di nubi, urlando la sua rabbia. Un attimo prima di scontrarsi con l'altro drago piegò un'ala; con tale manovra si abbassò e, mentre passava accanto al ventre dell'avversario, alitò. Il fuoco si diffuse lungo tutto il corpo del Naik.

Un urlo di dolore squarciò l'aria. La bestia ferita salì a spirale torcendo il collo, cercando il nemico, ma guardò nella direzione sbagliata.

Chiusa la bocca per spegnere il fuoco, Sha-Kaan si voltò, salì e tornò bruscamente indietro per aggirare l'avversario. Mentre il drago Naik, disorientato e sofferente, lo cercava, Sha-Kaan si lanciò nello spazio che li divideva, batté le ali per stabilizzarsi sopra la preda, inarcò il collo e la colpì con forza terribile alla base del cranio.

L'impatto si propagò lungo tutto il corpo. Il Naik annaspò con gli artigli nell'aria sottile, batté furiosamente le ali mentre il suo verso si trasformava in un gorgoglio e il suo corpo, ormai un peso morto, precipitava dal cielo.

Ilkar osservò trattenendo il fiato mentre Sha-Kaan cadeva insieme con la sua vittima. Quando entrambi ebbero raggiunto l'altezza dei tetti, Sha-Kaan si allontanò con un'ultima rotazione e con un profondo ruggito di trionfo, mentre l'altro drago si sfracellava nella piazza centrale scuotendo la terra. Si alzò una nube enorme di polvere, e i corpi in attesa di bruciare sulle pire scivolarono giù in una grottesca danza di morte.

Parve fu pervasa da un senso d'inquietudine, dalla sensazione rivoltante che ci fosse qualcosa di terribilmente sbagliato. Nella quiete che seguì la lotta, l'unico rumore udibile era il battito delle ali di Sha-Kaan che volteggiava sopra la vittima. Grande quasi il doppio dell'avversario sconfitto, il drago vittorioso dominava il cielo con la sua forza selvaggia. Fece tre giri prima di abbassarsi sulla piazza con un lungo ruggito gutturale e di puntare verso Hirad.

«Oh, no.» Ilkar si mosse per andare incontro all'amico.

«Cosa credi di poter fare?» La voce di Styliann, seppur scossa per il terribile spettacolo cui avevano assistito, racchiudeva ancora in sé forza, minaccia e cinismo.

Ilkar si voltò. «Non capite, vero? Persone come voi non capiscono mai. Non so cosa posso fare, ma qualcosa farò. Non posso lasciarlo affrontare quel coso da solo. Hirad è uno del Corvo.» Il mago elfo corse fuori nella piazza, seguendo le tracce dell'Ignoto.

Dopo un istante, Thraun e Will fecero lo stesso. Denser si accasciò di nuovo a terra, esaurite le energie, con gli occhi fissi sulla massa immobile del drago che Sha-Kaan aveva ucciso così facilmente. Erienne gli si accovacciò accanto e gli prese la testa tra le mani.

«Per gli dei del cielo, che ho fatto?» sussurrò il mago oscuro.

 

Hirad era steso con le mani sulle orecchie mentre i ruggiti dei draghi gli riecheggiavano violenti nella mente. Quando fu tutto finito, si mise traballante in ginocchio e osò lanciare un'occhiata in direzione di Parve. Notò vagamente l'Ignoto che correva verso di lui gridando, ma la sua attenzione era concentrata sulla sagoma di Sha-Kaan che volteggiava in cielo sopra la città morta. L'improvvisa picchiata del drago lo scosse da quello stato quasi ipnotico e la vista della bestia sopra gli edifici gli scatenò nel petto una paura mai provata prima. L'incubo stava per diventare realtà.

Hirad si tirò su e corse via. Sentì nella mente lo spostamento d'aria creato dall'avvicinarsi di Sha-Kaan prima ancora che la sua ombra gli piombasse addosso. Rassegnato a morire, smise di correre e alzò lo sguardo mentre l'immenso drago volteggiava arrotolando e srotolando il collo.

Sha-Kaan rimase fermo in aria per un istante prima di atterrare con delicatezza in un pigro battito d'ali. Il corpo dorato si piegò in avanti in modo che tutti e quattro gli arti lo sostenessero. Ripiegò le ali e tirò indietro la testa prima di spostarla di scatto in avanti e di urtare l'umano.

Stordito, Hirad percepì la rabbia del drago e lo guardò dritto negli occhi, restando sorpreso quando non vi vide riflessa la sua morte. La testa di Sha-Kaan era immobile; la massa del suo corpo riluceva al sole cancellando qualsiasi altra vista. Hirad non si curò di mettersi in piedi, ma pensò di parlare.

Le narici di Sha-Kaan si dilatarono, scagliando sull'umano due getti di pestilenziale aria calda. Il drago studiò Hirad per un po', muovendo i piedi per mettersi comodo, artigliando senza sforzo le profonde spaccature del terreno secco e compatto. «Ti direi 'ben trovato', Hirad Coldheart, ma non è il caso.»

«Io...» mormorò il guerriero.

«Taci!» La voce di Sha-Kaan si diffuse sulle Terre Desolate e rimbombò fragorosa nella mente dell'umano. «Quello che pensi non è importante. Quello che hai fatto sì.» Il drago chiuse gli occhi e inspirò con un gesto lento. «Una cosa così piccola, eppure in grado di causare tanto danno. Hai messo la mia stirpe a rischio.»

«Non capisco.»

Gli occhi di Sha-Kaan si aprirono e trafissero l'umano. «Ovviamente non capisci. Tuttavia mi hai rubato qualcosa.»

«Io non...»

«Taci!» tuonò Sha-Kaan. «Taci e ascoltami. Stai zitto finché non ti ordinerò di parlare.»

Hirad si leccò le labbra. Sentì l'Ignoto rallentare via via che si avvicinava; i suoi piedi scricchiolavano sulla terra. Gesticolò dietro di sé con la mano per tenere lontano l'amico.

Sha-Kaan parlò di nuovo. Gli occhi erano due mari di collera azzurra; le narici larghe lanciavano getti di aria fetida. Il barbaro si sentiva piccolo, insignificante. Eppure quella bestia imponente scelse di parlargli anziché di bruciargli la pelle e di carbonizzargli la carne sulle ossa.

Lo stato d'animo di Sha-Kaan era ben diverso dalla reazione divertita che aveva avuto al loro primo incontro, al di là della porta dimensionale dragonene nel castello di Taranspike, l'incontro che fra mille peripezie aveva condotto il Corvo a Parve e all'impiego del Ruba Aurora. Sha-Kaan era arrabbiato, e in ansia.

Il barbaro ebbe la sensazione che non avrebbe sentito niente di piacevole. E aveva ragione.

«Ti avevo avvertito», affermò Sha-Kaan. «Ti avevo detto che tenevo lontano da voi ciò con cui avreste potuto distruggere voi stessi, e con voi la mia stirpe. Hai deciso di non ascoltare. E adesso il frutto delle tue azioni macchia il cielo nella mia dimensione e nella tua.

«Qui, Hirad Coldheart, sta il problema. È tipicamente umano cercare di salvarvi condannando chissà quanti della mia stirpe a morte per difendervi. Ma la vostra salvezza può essere solo temporanea. Perché, quando la mia stirpe non esisterà più, resterete indifesi. Basta un solo drago a distruggervi. E ce ne sono migliaia che attendono di fare a pezzi questo posto. Migliaia.»

Hirad guardò negli abissi profondi degli occhi di Sha-Kaan, quasi in trance.

«Non hai idea di quello che hai fatto, vero?» Il drago batté molto lentamente le palpebre, disturbando la concentrazione di Hirad. «Parla.»

«No, non ce l'ho. Tutto quello che so è che dovevamo trovare e lanciare il Ruba Aurora, altrimenti i Lord stregoni e gli oc-cadi ci avrebbero spazzati via. Non ci puoi biasimare per avere cercato di salvare le nostre vite.»

«Il vostro pensiero arriva fin lì. Le ripercussioni delle vostre azioni non v'interessano mentre vi crogiolate nella gloria dell'immediato trionfo, vero?»

«Siamo stati costretti a usare tutte le armi a nostra disposizione», disse Hirad.

«Quell'arma non era a vostra disposizione», replicò Sha-Kaan. «Ed è stata usata in modo impreciso. Me l'avete rubata.»

«Era lì per essere presa», ribatté Hirad. «In modo impreciso o no, l'abbiamo usata per salvare Balaia.»

Sha-Kaan spalancò le fauci e rise. Il suono si propagò stridulo sulle Terre Desolate mettendo in fuga i cavalli, bloccando l'Ignoto e scagliando Hirad per terra. La risata cessò all'improvviso; l'eco risuonò come tuono contro le rocce quando colpì gli edifici di Parve.

Il grande drago allungò il collo e spostò lentamente la testa sopra la sagoma prona di Hirad, con la saliva che gocciolava dalle fauci semiaperte, fino a fermarsi all'altezza della sua faccia. Il barbaro si sollevò sui gomiti e guardò in quegli occhi che inghiottivano la luce; tremò, quasi capace di toccare quelle zanne che avrebbero potuto con tanta facilità strappargli la vita, grosse ciascuna quanto il suo avambraccio.

«Salvare Balaia», ripeté Sha-Kaan con voce calma e fredda. «Non avete fatto niente del genere. Anzi, avete creato una breccia tra i nostri mondi, ed è una breccia che i Kaan non possono difendere per sempre. Quando falliremo, chi credete vi proteggerà dalla distruzione totale o da un'abbietta schiavitù?» La testa del drago s'inclinò verso l'alto.

Hirad seguì il suo sguardo e vide l'Ignoto, Ilkar, Will e Thraun che si trovavano a pochi passi di distanza, impauriti ma non piegati. Sorrise e sentì il cuore riempirsi d'orgoglio.

«Chi sono quelli?» domandò Sha-Kaan.

«Sono il Corvo.»

«Amici?»

«Sì.»

Sha-Kaan ritrasse il collo per osservarli tutti. «Ascoltate attentamente, e vi dirò cosa dev'essere fatto per la salvezza di tutti.»

 

Lord Tessaya percorse le strade di Understone reggendo una bottiglia di liquore bianco d'uva. Strade sconvolte dal fuoco, dal sangue e dalla pioggia cuocevano sotto un sole rovente che solidificava il fango formando sculture grottesche in cui si ravvisava l'impronta della morte.

Il baccano dei festeggiamenti echeggiava dai pendii verdi e rigogliosi nei dintorni della città. Una decina di fuochi scoppiettava e sfrigolava, il fumo saliva a spirale nel cielo un po' nuvoloso. Le urla dei litigi e le aspre risate dei racconti si levavano al di sopra del frastuono generale, ma mancavano alcuni rumori: le grida dei torturati, i pianti delle donne violentate e le suppliche dei morenti.

Tessaya era contento, perché non era giunto a Understone per devastare e distruggere. Quel finale di partita lo riservava alle Città College. No, era giunto a Understone per conquistare e governare. Il primo passo verso il dominio sull'intera Balaia. Un dominio tutto suo, dal momento che i Lord stregoni non esistevano più.

Non avrebbe governato soltanto col terrore. In una terra troppo vasta per essere tenuta in pugno con la paura, quello sarebbe stato il metodo degli stolti. Il suo piano era semplice. Dominare sui centri abitati, grazie alla forza dei suoi guerrieri. Piazzare uomini fidati nel ruolo di feudatari e diffondere le proprie regole e la propria disciplina. Controllare le riunioni, controllare i discorsi. Essere visibili. Lasciare poca speranza e non fomentare la legittima rabbia.

Tessaya si morse il labbro. Significava abbandonare il metodo tradizionale degli occadi ma, da quello che vedeva, l'antico sistema non aveva portato altro che conflitti e divisioni. Se gli occadi volevano governare su Balaia, avrebbero dovuto per forza adattarsi.

Raggiunta la fine del paese, Tessaya si fermò per un istante e bevve dalla bottiglia. Davanti a lui partivano le piste che si addentravano in profondità nel cuore di Balaia orientale, le arterie lungo cui avrebbe marciato verso la vittoria.

Su entrambi i lati, dolci pendii verdi si perdevano in lontananza verso le praterie dove risiedeva Lord Denebre, un vecchio socio d'affari. Lì la terra era ricca, gli animali erano abbondanti e la pace totale. Per il momento.

C'erano decisioni da prendere, ma prima c'erano interrogativi cui rispondere. Tessaya si diresse a sinistra su per un pendio dove i difensori di Understone avevano costruito i loro alloggi, poi diventati le loro prigioni. Una ventina di strutture di tela e di legno studiate per duecento uomini. Sei ospitavano circa trecento prigionieri, e ciò lasciava molto spazio per gli uomini di Tessaya, almeno per quei pochi che desideravano un riparo. Uomini e donne erano divisi, e gli occadi feriti giacevano fianco a fianco coi balaiani orientali, che erano nemici ma meritavano rispetto e la possibilità di vivere dopo avere scelto di combattere anziché capitolare subito da vigliacchi.

Mentre si avvicinava agli alloggi, Tessaya notò con piacere il portamento delle sentinelle. Dritte come fusi e collocate a intervalli regolari intorno alle capanne dei prigionieri. Fece un cenno all'uomo che gli aprì la porta.

«Mio signore», disse la sentinella, chinando il capo con deferenza.

La capanna era puzzolente e calda, gremita di gente. Gli uomini erano sdraiati scomposti sulle brande e sul pavimento; alcuni giocavano a carte, altri parlavano tra loro. Una cosa li accomunava tutti: era l'espressione della sconfitta, l'umiliazione di una resa spregevole. Quando Tessaya entrò, il silenzio si diffuse nell'intera capanna, e tutti quegli occhi spaventati lo fissarono in attesa che la loro sorte fosse decisa.

«È ora di parlare», disse Tessaya. Il disprezzo con cui li osservava era tangibile.

Un uomo si mosse nella calca. Era grasso, brizzolato; troppo basso per essere un guerriero. Forse in passato era stato potente, ma la sua armatura sporca di fango non copriva niente che incutesse timore, solo grasso. «Sono Kerus, comandante della guarnigione di Understone. Potete rivolgere a me le domande.»

«E io sono Tessaya, signore delle tribù unite. Ti rivolgerai a me chiamandomi 'mio signore'.»

Kerus non disse niente, si limitò a chinare il capo.

Tessaya colse paura nei suoi occhi. Avrebbero dovuto congedarlo molto tempo prima, si disse; il fatto che avessero scelto un soldato di carriera per comandare la guardia di uno dei più importanti punti strategici dell'intera Balaia era indicativo della debolezza del nemico. «Mi stupisce che sia tu il portavoce. Il tuo comandante ci teme tanto da ordinarti ancora di nasconderlo?»

«Il generale preposto alla difesa di Understone è morto, mio signore», replicò Kerus con una nota di sorpresa nella voce. «Sono l'ufficiale di grado più alto rimasto in vita.»

«Morto?» Tessaya si accigliò. Le sue spie avevano ipotizzato che l'esercito si fosse arreso molto tempo prima che il comandante potesse essere ucciso. Forse erano vere le altre voci e Darrick era morto mentre comandava i suoi, ma sembrava improbabile in uno scontro cruciale del genere.

«All'estremità occidentale del passo.»

«Ah.» Tessaya si accigliò ancora di più. Qualcosa non quadrava. Sarebbe presto andato a fondo della questione: Darrick era un uomo di cui doveva conoscere gli spostamenti. «Dimmi, sono curioso. C'è stata un'incursione nelle mie terre prima che riprendessimo il passo Understone?» Sapeva che doveva esserci stata, ma avere una conferma precisa gli sarebbe stato utile.

«Perché lo chiedete, mio signore?» replicò Kerus.

«Perché sei l'ufficiale comandante, nonché mio prigioniero. Ti consiglio di evitare qualsiasi futile tentativo di non rispondere.»

«Sapete bene quanto me che i nostri sono entrati nella roccaforte dei vostri Lord stregoni. Per questo avete perso la vostra magia.» Kerus si produsse nel suo miglior sogghigno.

«Ma non questa battaglia.» L'espressione di Tessaya divenne furiosa. «E la seconda volta che non ti rivolgi a me nel modo corretto. Fai in modo di non arrivare a tre.» Si rilasso quel tanto da bere un sorso dalla bottiglia e da osservare nel contempo le facce arrabbiate che aveva di fronte. «Una mossa sorprendente. Confesso che avevo le mie riserve sulla difesa di Parve. Temo che troppi sciamani anziani la ritenessero uno spreco di buoni guerrieri. Quanti ne avete mandati?»

«Non molti, mio signore.»

«Quanti?»

«Quattrocento cavalieri, alcuni Protettori, un pugno di maghi e il Corvo, mio signore.»

Tessaya registrò tutto, assimilando in silenzio quei numeri, consapevole che non avrebbero nemmeno dovuto minare le difese di Parve, per non parlare di uccidere i Lord stregoni. Fece supposizioni esagerate sul potere del contingente di maghi, ma ancora i conti non gli tornavano. Un pensiero molesto gli affiorò allora nella mente. Aveva visto il potere dell'incantesimo che aveva permesso al nemico di prendere il passo Understone: la magia d'acqua che aveva cancellato tanti suoi consanguinei. Avevano forse usato qualcosa di altrettanto terribile per distruggere i Lord stregoni?

Tessaya rabbrividì. Tre mesi prima, le voci su un tentativo di recuperare un incantesimo dal potere leggendario che gli sciamani chiamavano «Tiafere», cioè Crepuscolo, avevano gettato dubbi sulla riuscita dell'invasione. Ma, se l'incantesimo fosse davvero stato recuperato, lui di certo non si sarebbe trovato lì.

Il Corvo. Tessaya rimuginò su quel nome. Bravi guerrieri. Da non sottovalutare mai, visto che pareva si fossero avvicinati ai Lord stregoni e ai loro servi, gli sciamani.

«Perché il Corvo è andato a Parve?» domandò.

«Non è ovvio?» Kerus assunse di nuovo la sua espressione vagamente compiaciuta. «Hanno portato con loro i mezzi per distruggere i vostri signori. È anche ovvio che ci siano riusciti, mio signore.»

Tessaya non era sicuro che la probabile distruzione dei Lord stregoni fosse un problema per lui. Tutto ciò che sapeva era che gli sciamani, dopo avere perso il fuoco, erano tornati al loro posto, all'ombra dei Lord e dei guerrieri tribali. Ciò che lo preoccupava era il fatto che poche centinaia di uomini e di maghi si fossero insinuate nel cuore stesso della fede degli occadi, impresa che doveva avere richiesto abilità tattica, forza e coraggio.

Via via che i fatti cominciavano a concatenarsi, una sensazione di gelo gli percorse furtiva la schiena. Le voci iniziavano ad acquistare un senso: la compagnia di ombre che pattugliava gli altipiani, la forza terribile che compiva saccheggi a sud di Parve e i cavalieri che non smettevano mai di cavalcare. Tutto era accaduto dopo l'attacco con l'acqua al passo Understone. Il gelo si acuì. Solo un uomo avrebbe avuto l'audacia di provare a raggiungere Parve con poche centinaia di uomini.

«Chi era il comandante morto al passo?» domandò Tessaya.

«Neneth, mio signore.»

«E Darrick era il comandante della cavalleria?»

«Sì, mio signore. E tornerà, contateci.»

Le parole di Kerus angustiarono Tessaya per tutto il tragitto di ritorno lungo la strada principale di Understone.