Capitolo 24
Dystran imprecò e scagliò il libro per terra. Si appoggiò al parapetto del balcone della torre che aveva usurpato a Styliann e pregò che presto l'inferno ripagasse l'ex Lord della Montagna.
Sapendo che Styliann era ancora vivo, dopo che la sua carica era stata usurpata, Dystran e i suoi alleati erano fin troppo consapevoli dell'importanza che aveva l'utilizzo dei Protettori per il mantenimento del potere. Eppure proprio sotto di lui l'intero esercito stava in piedi muto, imponente e spaventoso, sul prato ben curato. In attesa.
Dopo la comunione mentale con Styliann, Dystran era ripiombato in un sonno agitato. Ma poi un bussare frenetico alla porta della sua stanza lo aveva indotto a precipitarsi nello studio e quindi sul balcone, da cui aveva visto i Protettori uscire dagli alloggi nella notte fredda e ventosa. Con calma e determinazione avevano marciato nella notte illuminata dalle torce, mentre tremolanti riflessi arancioni scintillavano sulle maschere, sulle armature di cuoio, sulle fibbie degli stivali.
Si erano radunati nel giro di un'ora, ma Dystran non era rimasto a vedere. Rientrato di corsa nello studio, aveva afferrato i documenti dagli scaffali accanto al tavolo e li aveva sfogliati, frenetico. L'atto dell'Affidamento era lì, pronto perché lo leggesse. Ma, per orgoglio e per quel senso travolgente di successo dovuto alla nuova posizione conseguita, non si era curato di verificare.
Il testo della dottrina riguardante l'atto era il più moderno del College, scritto da Styliann e concepito per rendere lunga e complicata la procedura di rinuncia alla carica di Lord della Montagna. Quando Dystran ebbe studiato il testo in modo abbastanza dettagliato, riuniti i maestri della cerchia interna ed effettuato il processo di meditazione, erano ormai passati otto giorni.
«Dobbiamo fermarli», bofonchiò. I documenti si trovavano ai suoi piedi, e una pagina aperta svolazzava alla brezza notturna.
«Cosa intendi fare?» domandò Ranyl, la sua confidente anziana.
«Tanto per cominciare, possiamo bloccare le porte con una Chiusura Difensiva.» Dystran gesticolò in direzione del cortile.
«I Protettori faranno a pezzi il legno», disse Ranyl. «Nessun incantesimo per bloccarli è abbastanza potente da tenerli tranquilli e risponderanno all'aggressione attaccando la che ha dato l'ordine di colpire o lanciato la magia. Attaccheranno te.» La voce dell'anziana maga era pacata ma ferma. «Laggiù ci sono quattrocentodiciassette Protettori, tutti dotati di uno scudo magico. So su chi scommetterei, in caso di scontro.»
«Allora che possiamo fare?» Il tono di Dystran era venato di disperazione.
«Lasciali andare e revoca l'atto dell'Affidamento. Oppure paga un assassino per uccidere Styliann. Sono gli unici due modi per riacquistare il controllo dei Protettori.»
Dystran sbuffò. «Un assassino? Ben presto Styliann avrà intorno più di cinquecento Protettori. L'intero popolo degli occadi avrebbe problemi ad avvicinarglisi.»
Ranyl si chinò e raccolse i documenti, sbattendoli sul petto di Dystran. «In questo caso, mio signore, posso umilmente suggerirti di studiarli?»
Sotto di loro, i Protettori si mossero a un tacito comando, preparandosi come se fossero un uomo solo. Dystran sussultò, col cuore che gli martellava forte nel petto. A ogni passo e a ogni movimento delle braccia, i guerrieri comunicavano un senso di forza. Raggiunsero al trotto la porta meridionale, sotto gli occhi di tutto il College. Dystran scosse la testa, e vide più di un volto perplesso girarsi verso di lui.
Giunto alla porta, il Protettore capo scostò con decisione la guardia, tolse la sbarra e apri con l'aiuto di altri due guerrieri il pesante portone di legno rivestito di ferro. Senza più fermarsi, i Protettori si allontanarono alla svelta nelle strade buie di Xetesk, mentre Dystran immaginava la risata di Styliann.
Lord Tessaya guardò a denti stretti Styliann e la sua spaventosa scorta galoppare verso nord, mentre gli occadi faticavano a mettersi in riga. Chiamò il luogotenente di grado più alto, un uomo di nome Adesellere. «Voglio quattromila uomini alle loro calcagna prima che l'alba sorga in cielo. Non lasciateveli sfuggire. Voglio che avvertiate Riasu di mandare cinquemila guerrieri. Deve anche essere avvisato di raggiungermi subito. Infine voglio che tu organizzi personalmente la difesa avanzata di Understone, del passo e dei dintorni. Stai attento a sud. Io proseguirò per Korina tra due giorni. Provvedi che ogni comandante abbia uccelli messaggeri. È tutto chiaro?»
«Sì, mio signore», rispose Adesellere, un aiutante vecchio e fidato, pieno di cicatrici di battaglia. «Volete che rimanga con la difesa?»
Tessaya annuì e gli mise una mano sulla spalla. «Sei uno dei pochissimi di cui mi possa fidare. Manda Bedelao dietro Styliann. lo avvertirò gli esploratori a nord e a sud. Ho la spiacevole sensazione che dovremo rivedere i nostri piani. Non tutti i Lord delle tribù si sono comportati come avrebbero dovuto.»
«Non vi deluderò, mio signore.»
«Finora non l'hai mai fatto.» Tessaya lo congedò e guardò l'area di adunata, dove Adesellere stava urlando ordini per creare una parvenza di ordine tra i guerrieri. Imprecò, cercando di capire quando le cose avevano cominciato ad andare male.
Con la distruzione dei Lord stregoni certamente, ma c'era di più. L'attacco a Julatsa non era stato abbastanza rapido e, a sud, Taomi era andato incontro alla catastrofe. In teoria i balaiani orientali non avevano speranze, ma gli occadi non erano riusciti a catturare né a uccidere nessuna delle figure di spicco nello schieramento nemico: il generale Darrick, il barone Blackthorne e i membri del Corvo erano tutti ancora vivi e intenti a combattere. Styliann sarebbe tornato a Xetesk, come un simbolo di speranza per i maghi.
Era necessario che Senedai occupasse le Città College, che Adesellere bloccasse qualsiasi avanzata da sud e che la sua marcia verso Korina alla testa di diecimila occadi fosse veloce e senza errori, si disse Tessaya. Poteva ancora prendere Korina. La capitale piena di orgoglio si crogiolava nel suo senso di successo e nelle sue ricchezze, e aveva poco tempo per provvedere a una difesa organizzata. Ci sarebbe stata una resistenza, ma, coi College e con gli eserciti del Sud impegnati, Tessaya era certo di poter prevalere. Tuttavia non sarebbe stata la marcia gloriosa che aveva previsto e sognato, con le rovine fumanti dei College alle sue spalle. Per quel mezzo fallimento voleva che qualcuno pagasse, e pesantemente.
La flottiglia di Darrick, composta da barche di piccole e medie dimensioni, aveva attraversato più di tre quarti della baia di Gyernath, quando un grido di allarme si levò dall'estremità a sud del gruppo. Il generale scrutò rapido la spiaggia cui si stavano avvicinando: era deserta, eppure la costernazione si stava diffondendo tra le barche alla sua destra. Vedeva gli uomini, o più probabilmente gli elfi, indicare il Sud.
All'inizio Darrick non vide nulla; ma poi, quando una vicina imbarcazione a due alberi non ingombrò più la visuale, individuò le vele. Due, poi quattro; stavano superando il promontorio di Gyernath. Ogni rumore a bordo cessò e sempre più occhi si voltarono a guardare la flotta che solcava la baia nella loro direzione.
Darrick scorse altre vele superare il promontorio. Comparivano come fantasmi portati dal vento: predatori silenziosi, veloci e letali. «Per gli dei del mare», borbottò. Si voltò verso il suo luogotenente. «Ho bisogno che elfi e maghi mi dicano chi c'è a bordo di quelle navi.»
Il soldato si allontanò di corsa, gridando un nome che Darrick non riuscì a capire.
Il generale chiamò i segnalatori. «Le bandiere, per segnalare un cambiamento di rotta. Nord-est, subito. Se quelli sono occadi, ci serve tutta la distanza che possiamo guadagnare.»
I messaggi furono trasmessi, mentre la flottiglia cambiava rotta puntando verso una spiaggia meno accessibile. Quasi subito, anche la flotta sconosciuta, composta perlopiù da imbarcazioni a tre alberi, variò la sua rotta; si stavano avvicinando, e in fretta. Sulla cima degli alberi e dalle poppe sventolavano stendardi. Si distinguevano ormai minuscole figure in mezzo al sartiame e file di facce sui ponti. Migliaia di facce.
Difficilmente le navi di Darrick sarebbero arrivate a terra prima della flotta più grossa, e altre navi comparivano alla vista. Ormai ce n'era una trentina.
Se sono occadi, la cavalleria delle quattro Città College è spacciata, pensò Darrick.
Alla sua sinistra, una maga apparve alta nel cielo, sostenuta dall'incantesimo Ali d'Ombra. Il generale la seguì con lo sguardo mentre lei si allontanava verso sud, in direzione della flotta in avvicinamento, attendendosi di vedere le frecce solcare l'aria nel tentativo di abbatterla. Nell'inquietante silenzio, Darrick udì solo lo scricchiolio del legno, l'incresparsi della tela, il rumore delle prue che solcavano l'acqua e gli schizzi dei remi. La maga proseguì. Darrick si accorse di stare trattenendo il respiro.
Tre sagome si levarono dalla nave ammiraglia per intercettare la maga, e non erano frecce, ma maghi. L'intera flottiglia emise allora un grido di esultanza e sul volto di Darrick spuntò un sorriso: gli occadi non avevano maghi. Chiunque fossero gli inseguitori, erano amici.
Tutti gli occhi erano fissi sul quartetto di maghi che volteggiava in cielo. Di qualsiasi cosa stessero discutendo, sembrò richiedere un'eternità, e Darrick si ritrovò a digrignare i denti per l'impazienza.
D'un tratto, però, la maga planò sulla nave del generale, con uno sguardo eccitato negli occhi e col volto grazioso tutto arrossato. Cominciò a parlare, ansante; le parole le uscirono di bocca in un fiume incomprensibile.
Darrick sorrise e le mise le mani sulle spalle. «Calmati.»
La maga annuì e fece alcuni profondi respiri. «Scusatemi, signore, ma il sollievo che provo...»
«Lo proviamo tutti», replicò Darrick. «Ora dicci chi sono i nostri nuovi amici.»
«È l'esercito di Gyernath. Al suo comando ci sono i baroni Blackthorne e Gresse.»
La risata di Darrick echeggiò in mezzo alle navi e sulle acque calme della baia. Diede una pacca all'albero cui si appoggiava. «Non posso crederci!» esclamò. «L'incontro sarà un vero piacere.» Ordinò ai segnalatori di comunicare il ritorno alla rotta originaria e si voltò, con un ampio sorriso sulle labbra, pregustando l'incontro coi due straordinari baroni.
Poco prima di mezzogiorno, con le due flotte ormeggiate il più vicino possibile alla spiaggia, mentre molteplici chiatte traghettavano uomini e cavalli a terra, sotto gli occhi attenti dei maghi che con le Ali d'Ombra volteggiavano in cielo, Darrick si avviò sulla sabbia verso Blackthorne e Gresse.
I due baroni stavano osservando la spiaggia riempirsi di truppe; da ogni mossa che compivano e dall'aria sui loro volti traspariva determinazione. Mentre il generale si avvicinava, cessarono di parlare e avanzarono verso di lui.
«Che fortunata coincidenza!» esclamò Darrick. «Avevo pensato di andare a Gyernath per incitare l'esercito, prima di marciare su Understone. Ora scopro che due dei nostri - apparentemente noncuranti - baroni mi hanno fatto risparmiare sette giorni e che l'esercito si trova proprio su questa spiaggia.»
Gresse si sfregò la barba. «Noncuranti, eh? Blackthorne, che ne dici?»
«Ci sono tanti giovani generali venuti su dal nulla, con la testa vuota. Per fortuna non ci troviamo davanti a uno di loro.»
Darrick s'inchinò lievemente per il complimento che gli era stato fatto. «Non siete noncuranti, anche se lo stesso non si può dire di alcuni vostri pari.»
Gresse socchiuse gli occhi. «Verranno presi provvedimenti, quando tutto questo sarà finito. Ma sono cose per il domani. Ora, generale, lasciate che vi spieghiamo cosa abbiamo fatto, e potremo così pianificare la liberazione di Blackthorne.»
«Liberazione?» Darrick ebbe un tuffo al cuore e guardò il barone più giovane. «Gli occadi non sono andati dritti a Gyernath e a Korina?»
«No», rispose Blackthorne. «Come base a sud volevano chiaramente la mia città anziché Gyernath, ed è una fortuna per voi, dato che speravate di mobilitare un esercito in quella città. Buona parte delle forze nemiche si è diretta a nord, a Understone, ma non ci è arrivata.»
«Basta coi riassunti», intervenne Gresse. «Dovremmo sederci e analizzare a fondo la questione. Vogliamo essere alle porte di Blackthorne prima del calare della sera.»
Darrick si sentì rivitalizzato; tutto il suo corpo pulsava di forza e di salute. Quell'inaspettato capovolgimento della sorte era motivo di speranza. Non solo Gyernath era stata in grado di respingere l'attacco degli occadi ma, a quanto pareva, la linea di rifornimento nord-sud del nemico non era attiva. Per la prima volta da quando aveva attraversato il passo Understone per aiutare il Corvo, Darrick credette fermamente che Balaia potesse essere liberata dagli occadi.
La sua convinzione era tuttavia mitigata da una preoccupazione sempre più viva. Anche se, in base all'ultimo calcolo, avevano circa venti giorni a disposizione, il tempo era ugualmente poco e lo squarcio dimensionale erodeva il cielo sopra Parve; l'ombra di mezzogiorno aumentava, segnando l'avvicinarsi della condanna di Balaia per mano di un esercito di draghi. Il Corvo aveva di nuovo il compito di salvare il continente, e di nuovo Darrick doveva cercare di aiutarlo, tenendo gli occadi lontano dal cammino dei mercenari.
Bisognava contattare il Corvo perché, se fosse capitato qualcosa ai valorosi mercenari, solo Darrick e Styliann avrebbero potuto riferire la notizia della nuova minaccia alle Città College. E il generale non si fidava affatto di Styliann.
Elu-Kaan era in punto di morte, assistito finalmente dal suo dragonene, il vecchio mago elfo Barras.
Sha-Kaan non sapeva se le abili cure del julatsano e il flusso guaritore dello spazio interdimensionale sarebbero bastati, ma dovevano tentare. Vista la sua dolorosa esperienza, era in grado di consigliare Barras in merito alle ferite multiple del drago più giovane. Le squame del Grande Kaan erano ricoperte di minuscoli graffi, gli occhi gli bruciavano per il contatto con gli artigli degli Arakhe e nella bocca il ghiaccio dei morsi ne smorzava il fuoco. Sha-Kaan si sentiva addosso il peso della vecchiaia. Masticava balle di erbafiamma meditando sullo scontro con gli Arakhe; gli incantesimi degli umani avevano indebolito in modo provvidenziale gli aggressori.
Elu-Kaan non era stato altrettanto fortunato, si era scontrato con tutta la furia dei demoni e aveva subito orrende ferite nella gola, in profondità. Erano quelle che Sha-Kaan temeva e che aveva indicato a Barras di curare, se ne fosse stato capace.
Per quanto lo riguardava, aveva bisogno di riposare. Avrebbe dovuto farlo nel suo corridoio d'interscambio, assistito dalle cure di Hirad Coldheart e dal Corvo, ma accettò il fatto che non fosse possibile. Dovette perciò accontentarsi dell'energia nella sala d'interscambio e poi, quando si fu stancato di quel rumore, della calma e del silenzio presenti nell'Apertura d'Ali.
Era tutto dolente per il grande sforzo. Le ferite della battaglia coi Naik sopra le pianure meridionali non erano guarite e i muscoli alla base delle ali protestavano. Si guardò il corpo, notando con dispiacere la tonalità sbiadita delle squame dorate. Una volta brillavano intense alla luce; ormai invece erano un fosco indizio della sua età e della sua salute. Non avevano ancora iniziato a staccarsi, e le ali erano ancora ben lubrificate, ma non sarebbe durato tanto. Una parte di lui non vedeva l'ora che arrivasse il giorno in cui non avrebbe più avuto il peso dei Kaan sull'ampia schiena. Ma c'era ancora così tanto da fare, e il destino era incerto come i capricci del vento.
Sha-Kaan inghiottì l'ultima balla di erbafiamma. Prima che avesse il tempo di risistemarsi sul fango caldo e tranquillo, l'allarme risuonò nella sua mente. Fece respiri lunghi e profondi, mentre il fumo gli usciva dagli angoli della bocca via via che l'irritazione cresceva. In cuor suo sapeva che non avrebbe goduto di un vero riposo, ma si aspettava almeno di avere una piccola tregua. Afferrata un'altra balla di erbafiamma, si portò fuori dall'Apertura d'Ali ed emise subito il verso di richiamo della stirpe.
La scena di fronte allo squarcio dimensionale lo scosse nel profondo. Anche se la guardia intorno alla massa bruna in fermento era stata raddoppiata, sembrava penosamente esigua rispetto a ciò che doveva fronteggiare.
I Naik stavano arrivando in forze e con alleati. Le vedette avevano inviato messaggi di avvertimento attraverso la connessione mentale dei Kaan, costringendo la stirpe dormiente e la stirpe attiva ad agire in modo concertato per attuare il piano difensivo progettato da Sha-Kaan.
Lo stesso Grande Kaan tuttavia dovette soffocare i dubbi. Lo squarcio era cresciuto molto più rapidamente di quanto paventasse nei momenti peggiori e si era connesso col cielo sopra Beshara, strappandone i bordi, come per alimentare un appetito vorace. Una sottile striscia di nubi orlava l'apertura e Sha-Kaan sapeva che sarebbe aumentata, causando ai difensori un ulteriore problema di visuale.
Col tempo il portale sarebbe collassato: a causa della sua instabilità si sarebbe ripiegato su se stesso. Ciò tuttavia non sarebbe accaduto se non molto dopo la distruzione dei Kaan e di Balaia. Le onde d'urto che si sarebbero create nell'intero spazio interdimensionale avrebbero fatto tremare ogni dimensione, mai però quanto le rovine di Balaia stessa.
Sha-Kaan scacciò quei pensieri. Per il momento, i Kaan dovevano semplicemente sopravvivere alla battaglia che si prospettava. Da ogni punto del cielo i membri della stirpe sopraggiungevano in difesa della dimensione d'interscambio e della stirpe stessa, mentre da nord una chiazza scura indicava la massa dei Naik e dei loro alleati.
Quando raggiunse l'area più vicina allo squarcio e ne sentì la trazione sulla mente, forte come un vento che lo risucchiasse, il Grande Kaan capì che quanto stava per accadere non si sarebbe più ripetuto. Se il Corvo non avesse raggiunto Beshara prima di un'altra aggressione da parte dei Naik, sarebbe stato tutto perduto.
Il vecchio drago dorato inviò gli ordini, e i primi stormi dei Kaan si prepararono ad attaccare.
Il granaio di Julatsa sorgeva nel centro di una piazza acciottolata e, col suo rivestimento in pietra, rappresentava una barriera contro il fuoco per gli edifici che lo circondavano, perlopiù di legno. I tempi di carestia, in epoche passate, avevano costretto la pacifica popolazione di Julatsa a adottare misure disperate; il sangue di molti uomini affamati, con una famiglia moribonda, era colato tra i ciottoli nel terreno sottostante. Anche se quei tempi erano ormai lontani, il granaio era rimasto in piedi come testimonianza.
Il Corvo si trovava nell'ombra di un vicolo che dava direttamente sulla piazza; erano paralleli alla via principale che partiva dal granaio e raggiungeva il mercato meridionale e infine il College. Denser volteggiava nel cielo stringendo Erienne tra le braccia. Thraun si era quietato, ma il combattimento corpo a corpo si stava facendo più vicino e il rumore delle armi stava crescendo. Hirad cambiò la presa sulla spada. Dovevano essere veloci.
Il granaio misurava più di venticinque passi sul lato corto, che il Corvo aveva di fronte, e forse il doppio su quello più lungo. Gli occadi avevano piazzato cinque o sei sentinelle davanti al portone, rivolto in direzione del vicolo, e vari fuochi contornavano la piazza davanti alle quattro vie di accesso principali.
Quando l'attesa opportunità si presentò, Hirad l'afferrò bramoso. Un Globo di Fiamma atterrò nei paraggi e le sue fiamme sferzarono l'aria. Alcuni occadi si unirono alla lotta in corso ai margini della piazza, a sinistra del Corvo; le altre sentinelle erano nervose e distratte, chiaramente incerte sul da farsi.
«Adesso, Corvo!» gridò il barbaro. Caricò, uscendo dal vicolo con l'Ignoto a fianco e Ilkar un passo più indietro.
Sopra di loro, Denser si abbassò lungo la facciata del granaio. Dal cielo, l'incantesimo Pioggia di Fuoco si rovesciò sulle sentinelle, le cui pellicce s'infiammarono. In preda al panico, gli occadi scapparono alla cieca.
Pestando le fiamme che minacciavano di avvolgerlo, la sentinella più veloce si precipitò a testa bassa verso l'Ignoto. L'imponente guerriero si spostò svelto di lato, lasciando però un piede dov'era prima, facendo incespicare il nemico, e affondò infine la spada nella gola dell'uomo prono.
Al suo fianco, Hirad avanzò di corsa per colpirne altri due. «Chi è il primo?» gridò, balzando in avanti. «Tu.» Si abbassò per schivare un colpo di ascia e affondò la spada nel ventre del guerriero a sinistra. Poi liberò la lama e rotolando evitò l'attacco dell'altro.
La sentinella, impegnata a fronteggiare Hirad, diede le spalle all'Ignoto. Era l'ultimo errore che avrebbe compiuto. Prima che la sentinella si accasciasse a terra, il Guerriero Ignoto si era già voltato per affrontare i tre occadi rimasti e Ilkar si era buttato di corsa verso il portone del granaio.
Inclinando la spada, con l'elsa davanti al viso e la lama in basso a sinistra, l'Ignoto parò il primo colpo di ascia e spinse verso l'alto, strappando l'arma di mano a una guardia. Abbassò quindi l'ascia bipenne sul petto del nemico, fracassandone le costole. L'uomo cadde all'indietro, stringendosi il corpo devastato mentre il sangue gli sgorgava tra le mani.
Hirad incrociò la spada con un'altra sentinella, e le sferrò un calcio frontale allo stomaco. La sentinella grugnì per il dolore, ma riuscì a respingere il primo attacco e, pur senza fiato, tenne l'arma ferma davanti a sé. Il barbaro sorrise; fece un passo in avanti, finse di colpire a destra, cambiò presa e trafisse il collo dell'avversario, arrivando fino alla colonna vertebrale.
Hirad allora si voltò e vide l'Ignoto pulire la spada sul cadavere dell'ultima guardia. Sorrise e allargò le braccia. «Siamo bravi, vero?»
«C'è bisogno di chiederlo?» replicò l'Ignoto, rispondendo al sorriso.
Raggiunsero di corsa Ilkar, che si stava preparando a lanciare un incantesimo.
Denser ed Erienne volteggiavano sopra di loro. «Al momento la strada principale è sgombra», disse il mago oscuro. «I julatsani hanno incontrato qualche problema un po' a sud del mercato, ma gli occadi non si sono ancora organizzati. Fate in fretta, perché vedo un piccolo esercito, probabilmente due o trecento uomini, in arrivo da ovest. Non ci vorrà molto prima che giungano qui.»
Hirad annuì. All'interno del granaio, si udivano chiaramente molte voci. Il barbaro batté con la spada sulle porte chiuse da sbarre e catene: dovevano tentare con quel metodo, prima di ricorrere alla magia, perché con un incantesimo distruttivo qualcuno all'interno avrebbe potuto farsi male. «Allontanatevi dalle porte!» tuonò. «Non c'è tempo di spiegare, allontanatevi e basta.»
Ilkar indietreggiò di un passo, facendo un lievissimo cenno al barbaro, che notò il volto dell'amico deformato dalla concentrazione. L'elfo teneva le braccia strette di fronte a sé e piegate, come se dovesse prendere una palla. «Lancio», disse. Mosse di scatto le braccia in avanti, e il Cono di Forza si abbatté fragoroso sul pesante portone di legno. Mentre la sagoma di mana lo investiva, il portone si piegò all'altezza della serratura, poi s'incurvò verso l'interno. Sbarre e catene si spezzarono; i frammenti schizzarono via, colpendo la parete accanto alla testa di Hirad.
«Piano, Ilkar», disse il barbaro.
L'elfo alzò le spalle. «Dovevo essere sicuro che si aprisse.»
I tre uomini del Corvo si precipitarono dentro e si ritrovarono davanti a una marea di facce e voci spaventate.
Hirad diede un colpetto sulla schiena a Ilkar. «È compito tuo, credo. Dopotutto, è casa tua.»
Ilkar gli lanciò un'occhiata di traverso, poi aprì la bocca per chiedere silenzio.