Capitolo 17
La camera del Consiglio era tetra e fredda. All'esterno del College era calato uno strano silenzio. Due uomini erano morti, decine erano ferite e Kard aveva imposto il coprifuoco nel cortile e nel comprensorio. Chiunque non svolgesse compiti essenziali era confinato in casa, e la guardia pattugliava con forze ingenti determinate costruzioni, in particolare due degli edifici di servizio.
Un cordone di ottanta soldati proteggeva la base della torre e, per la prima volta, gli uomini rimasti sulle mura guardavano verso l'interno, non all'esterno.
Barras immaginò con cuore greve, come del resto fecero tutti i membri del Consiglio, la battaglia che si sarebbe verificata all'interno delle mura qualora avessero mantenuto il Manto. La cosa non gli piaceva e, sebbene si rendesse conto che sarebbe stata la fine del College, sentiva di non poter permettere che si arrivasse allo scontro.
«Perché non capiscono?» Endorr era frustrato.
«Dov'è la tua famiglia?» ribatté Cordolan. La sua consueta aria gioviale era da tempo un ricordo.
«Sai che non ho famiglia.»
«Allora non potrai mai capire perché non capiscono.» Cordolan unì la punta delle dita.
«Perché?»
«Perché la tua famiglia non muore mentre tu sopravvivi illeso dentro queste mura. Le persone che ami non partecipano al gioco del sacrificio umano. Le tue più profonde paure per fratelli, sorelle e genitori non ti si materializzano davanti agli occhi.»
«Non possiamo più pensare di conservare il College di fronte a un simile massacro», affermò Barras. «Credevo, come indubbiamente facevi anche tu, Endorr, che il College e la magia julatsana fossero più importanti delle vite dei nostri concittadini. Non lo sono. E poi credevo che Senedai non avrebbe messo in pratica la sua minaccia, che si sarebbe fermato dopo una dimostrazione di spacconeria. Mi sbagliavo. Ho visto le facce di quanti sono morti oggi e la rabbia di quanti ci hanno affrontato. A meno che tu non sia cieco, devi capire che non possiamo lasciar continuare questo massacro.»
«È un cambiamento di opinione notevole», osservò Seldane. «Non molto tempo fa ci siamo seduti qui col generale Kard e ci siamo detti d'accordo che niente, nemmeno la vita, era importante quanto conservare il College.»
«Sì, e siamo stati ipocriti, brutalmente insensibili e moralmente indifendibili», replicò Barras.
«Non possiamo permettere che il College cada», intervenne Torvis. «Non possiamo veder morire la magia julatsana. Lo squilibrio nell'energia destabilizzerà l'intera Balaia.»
«Possiamo seppellire il Cuore», affermò Kerela. «La nostra essenza pulserà per sempre.»
Seldane scosse la testa. «Perché darsi tanta pena? Se perderemo l'arena, la torre e la biblioteca, resteremo molto impoveriti. Cos'è il Cuore, se non il simbolo della nostra magia? Sono i nostri libri, la nostra architettura, i nostri luoghi di straordinaria solennità a renderci maghi julatsani. Per quanto vitale sia, il Cuore è soltanto uno degli edifici che compongono il College.»
«Se non facciamo niente, tra queste mura si scatenerà una battaglia, e non voglio che nel mio College i julatsani versino il sangue dei concittadini.» Lo sguardo di Kerela possedeva una forza profonda, come profondo era stato il dolore che le aveva colmato gli occhi di lacrime.
«Se mettiamo piede all'esterno di queste mura, verremo uccisi, e chiunque non sia un mago sarà fatto schiavo. Non vedo lo scopo di metterci nelle mani degli occadi e di lasciare il College alla loro mercé», disse Vilif.
«Una cosa che non faremo sarà cedere, ve l'assicuro», affermò Kerela.
«Se combatteremo, perderemo», dichiarò Seldane. «Possiamo vivere qui finché non arriveranno gli aiuti.»
«Non arriveranno!» replicò Kerela, battendo il pugno sul tavolo. «Ancora non capisci quello che sarebbe dovuto essere ovvio fin dall'inizio? Finché il Manto resta, nessuno verrà in nostro aiuto. Abbiamo eretto una barriera impenetrabile. Siamo al sicuro. Nessuno sa cosa succede qui dentro. Vi dirò una cosa: se fossi una dordoveriana, non mi precipiterei contro le spade degli occadi senza nessuna garanzia di aiuto da parte di chi dovrei salvare. Voi lo fareste?»
Si udì bussare alla porta e Kard entrò. Sembrava angustiato; il volto, rosso e tutto segnato da vene, gli si stava imperlando di sudore.
«Il vostro arrivo è tempestivo», disse Kerela. «Vi prego, prendetevi da bere, sedetevi e diteci cosa accade là fuori.»
Kard annuì, grato per la momentanea tregua. Si slacciò il mantello e lo appoggiò sullo schienale di una sedia, si riempì di acqua un bicchiere di cristallo e si sedette, sospirando rumorosamente. Scolò il bicchiere e lo posò con garbo, mentre riprendeva un colore più naturale. «Sono troppo vecchio per queste cose.»
Intorno al tavolo si diffuse una risatina.
«Questo vale per gran parte di noi», osservò Vilif.
Il generale sorrise brevemente. «D'accordo, per il momento le cose sono tranquille, ma non posso mantenerle così a tempo indefinito. I rifugiati non sono nostri prigionieri, non sono disarmati e superano i miei soldati in un rapporto di due a uno, anche se questo è un problema irrilevante perché non li combatteremo corpo a corpo. Non se in questa stanza verrà presa una decisione, la decisione giusta, prima di mezzogiorno. Dobbiamo fermare le uccisioni di Senedai.»
«Cosa vorreste facessimo, generale?» chiese Seldane.
«Rimuovete il Manto.»
«Per farci massacrare?» Endorr era furioso.
«No, giovane idiota», ringhiò Kard, che aveva improvvisamente cambiato atteggiamento e assunto una voce dura, da militare. «La guardia del College di Julatsa non lascerà che nessuno finisca massacrato, né abbandonerà questi edifici alla mercé degli occadi. Conservate la vostra lingua tagliente per gli incantesimi.»
«Kard, state calmo», esortò Barras, allungando una mano verso il generale. «Siamo tutti sottoposti a un'enorme pressione.»
Il generale annuì e si raddrizzò la giacca dell'uniforme. «Per poter guadagnare il tempo che ci serve, numerose azioni dovranno svolgersi in rapida successione. E in buona parte vedranno coinvolti soprattutto i maghi. Posso esporre le mie raccomandazioni senza essere interrotto?»
Kerela sorrise. «Penso che non ci siano obiezioni.»
«Bene.» Kard lanciò un'occhiata penetrante in direzione di Endorr. «Ritengo che i dordoveriani siano nascosti probabilmente a mezza giornata di cavallo da Julatsa, o poco più, e siano probabilmente anche in contatto coi julatsani fuggiti. Se così non è, falliremo.
«Dopo che il Manto sarà stato rimosso, i maghi dovranno portare a termine due compiti nel momento stesso in cui gli oc-cadi daranno l'allarme. Primo, effettuare una comunione mentale per stabilire un contatto con chiunque sia in grado di udire, ma in particolare coi dordoveriani. Abbiamo bisogno di loro e di chiunque sia là fuori, per colpire la retroguardia degli occadi. Forse riusciremo a trattenerli per un paio di giorni, o forse no.
«Secondo, è necessario che la torre mobile venga distrutta. Non m'interessa come, ma è necessario farlo perché, una volta sparito il Manto, fornirà accesso e visuale.» Il generale si riempì il bicchiere e bevve. «I miei soldati sono pronti a prendere posizione e ho bisogno che mi autorizziate a predisporre una linea difensiva di maghi intorno alle mura. Infine, Barras, ho bisogno che parliate con Senedai. Ditegli che fra tre giorni usciremo. Vedete se riuscite a ritardare altre assurde morti. È tutto.»
«Volete uscire fra tre giorni?» domandò Torvis.
«No, tra due. Ma non voglio che gli occadi siano pronti a riceverci. Qualsiasi istante guadagnato sarà prezioso.»
«Allora dovremmo rimuovere il Manto di notte, quando un numero minore di occadi si accorgerà della sua scomparsa», suggerì Endorr.
«Proprio così», convenne il generale. «Pensavo al buio che Precede l'alba. Ricordate, non vogliamo scatenare guai nel cuore della notte, perché anche i dordoveriani staranno dormendo. Non dovremo abbattere la torre finché gli occadi non si renderanno conto che il Manto non c'è più. Cerchiamo di guadagnare tempo, per mobilitare i dordoveriani: è un fattore che potrebbe rivelarsi cruciale.»
«Ma non cambia il fatto che cederemo il College», osservò Seldane.
Kard girò la testa e la guardò a lungo. «Mia signora, non ho nessuna intenzione di cedere questo College.»
«Allora perché rimuoviamo il Manto, per il quale, vi ricordo, Deale ha dato la vita?» chiese Endorr.
«Perché è venuto di nuovo il tempo di combattere per la nostra libertà. E di scommettere sul fatto che gli aiuti arriveranno», rispose Kard. «Se la situazione si farà disperata, possiamo seppellire il Cuore. La vita di Julatsa continuerà a pulsare finché non la reclameremo.»
«Ma non crederete di certo che possiamo vincere?» Lo scetticismo di Endorr traspariva in pieno dal ghigno sul suo volto.
«Giovanotto, non comincio mai una battaglia che non credo di poter vincere. Avete visto l'energia là fuori. Se la incanaliamo nel modo giusto, e se gli aiuti all'esterno della città colpiranno la retroguardia degli occadi, possiamo vincere.»
«Grazie, Kard», disse Kerela. «Suggerirei che voi e Barras parliate con Senedai. Noi rimarremo qui e vedremo come assegnare ai maghi i compiti che ci avete indicato.»
Mentre s'incamminava con Kard e con la scorta verso la porta settentrionale, Barras percepì la tensione nel College silenzioso. Nella torre che sovrastava gli edifici di servizio, sei occadi appoggiati al parapetto osservavano quei movimenti con blando interesse.
«Avreste dovuto fare il negoziatore, generale», osservò Barras, con un sorriso amaro. «Siete quasi bravo quanto me a mentire.»
«Non capisco cosa intendiate», replicò Kard, tenendo lo sguardo dritto davanti a sé.
Ma Barras si accorse che il labbro inferiore del generale tremolava. «All'esterno di queste mura ci saranno diecimila occadi armati e determinati. Dentro abbiamo settecento soldati, qualche centinaio di uomini arrabbiati e meno di duecento maghi- Cosa credete che intenda dire?»
«A dire il vero, in base alle stime che abbiamo fatto, là fuori potrebbero esserci anche ventimila occadi.»
«Pensate davvero che i dordoveriani stiano aspettando un segnale? Saranno stati richiamati nella loro città quando Julatsa è caduta.»
«No, direi che sono ancora là da qualche parte. Solo che non ce ne sono abbastanza.»
«Allora quanto a lungo riusciremo a trattenere gli occadi?»
Kard scrollò le spalle. «Difficile a dirsi. Realisticamente, forse per tre giorni. Ma potrebbe essere tutto finito in un solo giorno, se lo spirito crolla.»
«Dunque non pensate che possiamo vincere?»
Kard scoppiò a ridere. Con una mano assestò una pacca sulla spalla dell'elfo e con l'altra aprì l'uscio della torretta sulla porta settentrionale. «Sarò anche vecchio, ma non rimbambito. Vi suggerisco caldamente di collocare i testi più preziosi nel Cuore, prima di seppellirlo.» Poi indicò le scale. «Dopo di voi.»
I baroni Blackthorne e Gresse arrivarono al porto meridionale di Gyernath troppo tardi per prestare la loro traballante armata di soldati e contadini alla battaglia, ma non per vedere la sua conclusione. Mentre Blackthorne guidava i suoi nell'impresa, percepì un senso di sollievo nonostante la distruzione e la morte intorno a sé. Avevano visto i fuochi quand'erano ancora a una giornata di marcia, un bagliore arancione sopra le montagne che rappresentavano i confini più settentrionali di Gyernath. Lui e Gresse avevano temuto il peggio, immaginando il saccheggio del porto e la disfatta dell'esercito, e con essi la fine di qualsiasi pur flebile speranza di vittoria.
Ma Gyernath era sopravvissuta. I resti delle forze nemiche si stavano ritirando alla rinfusa verso Blackthorne. L'attacco era atteso; alcuni degli uomini di Blackthorne avevano avverato la città, e i giorni guadagnati per prepararsi avevano fatto la differenza.
Per otto giorni Gyernath aveva respinto le ondate di occadi provenienti da terra e dal mare, riuscendo infine a prostrare lo spirito nemico mentre parti del vecchio porto bruciavano e la forza dei maghi scemava. Non avevano patito il fuoco bianco e nero degli sciamani come Julatsa, ma avevano pur sempre pagato un caro prezzo. L'esercito aveva perso metà dei soldati e dei riservisti, uccisi o feriti. E i maghi, spietatamente presi di mira ogni volta che gli occadi creavano una breccia nella linea, ammontavano ormai a meno di cento.
Per Blackthorne significava - nonostante la splendida notizia della salvezza del porto - non potersi procurare la forza necessaria a tentare la riconquista della sua città.
«D'altronde, a Blackthorne ci saranno meno occadi di quelli che ci aspettavamo», osservò Gresse. Del forte colpo alla testa gli restavano solo un dolore sordo e qualche sporadico offuscamento della vista.
«Questo dipende in gran parte da quanti ne erano arrivati da Blackthorne e quanti invece erano giunti direttamente dalla baia.»
«Sempre pessimista», ribatté Gresse.
«È facile essere pessimisti», disse Blackthorne. «Guarda lo scempio che hanno fatto di questo meraviglioso porto.»
I due puntarono lo sguardo dalla collina in direzione dell'oceano Meridionale. L'intero porto si apriva sotto di loro nella luce di metà pomeriggio. Il fumo che si levava da una decina di roghi spenti saliva lento in cielo. La strada principale, in cima alla quale si trovavano, conduceva ormai a uno spettacolo di devastazione. Buona parte dei combattimenti si era concentrata sul selciato della via e negli edifici: locande, abitazioni, botteghe di fornai, di armaioli, di carpentieri navali giacevano in rovina.
L'andamento della battaglia strada per strada, casa per casa, era indicato dalla cenere e dal sangue. Pire funerarie ardevano ovunque i baroni volgessero lo sguardo e, solo quando lo posarono sui pali nelle zone adiacenti ai bacini, sui moli e sui magazzini, il porto riacquistò una parvenza del suo aspetto. Più in là, nell'acqua, gli alberi di tre o quattro grosse navi spuntavano dalla bassa marea, ma il blocco di Gyernath aveva sventato qualsiasi tentativo di fare breccia da parte degli occadi, che per natura non erano abili marinai.
Gli otto giorni di combattimento avevano tuttavia lasciato migliaia di persone senza tetto, molti orfani e vedove. L'esercito e la guardia cittadina - almeno gli uomini che riuscivano ancora a camminare - dedicarono le energie residue a salvare ciò che potevano dalle rovine del porto. Troppe volte però da quando Blackthorne e Gresse erano arrivati, il rumore del legno che crollava sovrastava quello del legname nuovo che veniva inchiodato su tetti e pareti. La gloria di Gyernath era svanita.
Un uomo stava risalendo a lunghi passi la strada principale, diretto verso i due baroni. Era alto, di mezza età e indossava abiti eleganti. Al collo recava l'emblema di borgomastro e stringeva in mano un rotolo di pergamena. «Vi direi benvenuto, Blackthorne, ma resta molto poco della mia città perché possa farlo.»
«Sempre più di quello che potrei offrirvi attualmente della mia», replicò Blackthorne, stringendogli la mano. «Posso presentarvi il mio amico, il barone Gresse?»
I due si diedero la mano.
«Ho saputo della vostra impresa», disse Scalier. «Oggi è raro trovare un uomo col vostro senso dell'onore, che indossi i colori dei baroni. Esclusi i presenti, naturalmente.»
«Ancora più raro trovare un balaiano orientale vittorioso. Mi congratulo per il vostro trionfo.»
«Se lo si può definire tale.» Il sorriso di Scalier sbiadì e il suo viso lungo, segnato da rughe, assunse un'aria triste sotto i ciuffi di capelli bianchi mossi dal vento. «Non possiamo reggere un altro attacco; saremmo ricacciati in mare. E, quando guardo le rovine, mi chiedo se non sarebbe una benedizione.»
«Capisco i vostri sentimenti, Scalier, come forse nessun altro. Ma sapete che la mia richiesta di soldati e maghi mira a porre fine alla minaccia di un simile attacco.» Blackthorne si grattò la barba. «Immagino che la pergamena contenga la vostra decisione.»
«Sì. Mi dispiace che ci sia voluto tanto per rispondere; il vostro messaggero ha insistito sull'urgenza ma, come avete visto, avevamo un paio di cose da sbrigare.» Scalier porse la pergamena al barone.
Blackthorne la srotolò velocemente, col cuore che gli batteva fiero nel petto mentre scrutava i numeri che vi erano indicati. Sul suo volto comparve un fugace sorriso. «Non potete permettervi di dare tanti uomini e maghi. Dovete mantenere una difesa.» Porse la pergamena a Gresse.
Scalier fece un ampio gesto con le mani. «A che scopo? Guardatevi intorno. Gli occadi vanno fermati e voi potete farlo, se porterete con voi il resto dell'esercito di Gyernath e i suoi maghi. Posizioneremo esploratori e fuochi di segnalazione su ogni via che parte dal porto. Se gli occadi dovessero attaccarci di nuovo, saremo avvertiti in anticipo ed evacueremo la città via mare. Sarete voi a comandare le forze di Gyernath. Che gli dei vi benedicano nella vostra lotta!»
Blackthorne abbracciò il borgomastro, dandogli pacche sulla schiena. «Quello che avete fatto dà una possibilità a Balaia. Quando Blackthorne sarà riconquistata e gli accampamenti degli occadi su entrambi i lati della baia di Gyernath saranno distrutti, marceremo di nuovo verso nord e combatteremo a Understone. Allora ci sarà la resa dei conti.»
«Quando saranno pronti gli uomini?» domandò Gresse.
«Ci vorrà un po' per approvvigionare le navi e perché elaboriate un piano coi miei comandanti, per non parlare della necessità di riposare. Ci sarà una marea adatta alla navigazione tra due giorni, alle prime ore del mattino. Dovreste sfruttarla.» Blackthorne annuì. «Venite, troviamo una locanda che sia ancora in piedi e beviamo alla salute di Gyernath e dell'intera Balaia.» Camminò a testa alta, in preda a un senso di esaltazione.
A Blackthorne avrebbero conseguito una vittoria. I suoi uomini, insieme con gli ottomila di Gyernath, avrebbero ricacciato gli occadi al di là della baia fino in patria, perché si leccassero le ferite. Si augurò che sopravvivessero in numero sufficiente da maledire la loro follia e decidere di non sfidare mai più il barone Blackthorne.