Capitolo 36

Gli esploratori segnalarono con una comunione mentale che Senedai stava attaccando di nuovo i Protettori. L'alba aveva gettato la sua cupa luce sulla residenza di Septern, illuminando uno scenario di rocce, cespugli e boscaglia fradici per la pioggia incessante.

Darrick fece fermare gli uomini sulla sommità di un leggero rilievo. Saltò su un sasso e chiese attenzione, mentre il vento trasportava le voci di migliaia di occadi che cantavano. «Sapete tutti perché siamo qui. Devo ringraziarvi per la determinazione, la fede e il coraggio che avete dimostrato da quando ci siamo riuniti sulle coste della baia di Gyernath.

«La nostra marcia è cambiata: da marcia di liberazione è diventata di vendetta. Adesso è di difesa. Ma non solo di difesa della residenza di Septern, per contrastare gli occadi e dare al Corvo il tempo di cui ha bisogno. In gioco c'è molto di più, e voglio che tutti voi lo capiate prima di andare in battaglia.» Darrick vide un'onda percorrere il piccolo esercito; udì un fruscio simile a una brezza che sfiori un oceano calmo. Li aveva in mano. Doveva indurli a combattere per la vita di ogni uomo, donna e bambino a est delle Città College. «Considerate la nostra situazione. Gyernath è in piedi, ma non ha più uomini che possano combattere. Blackthorne non c'è più, come julatsa. I College rimasti sono posti di fronte all'enorme minaccia che arriva dall'Ovest, e un esercito di occadi è pronto a colpire Korina, che non è provvista di mura e ha soltanto pochi soldati a difenderla. Il barone Gresse avrebbe potuto opporre resistenza, ma è qui con noi. Gli altri baroni sono nascosti nei loro castelli, a proteggere ciò che è loro, frammentando così la nostra difesa.

«Chi resta? Voi. Voi siete l'ultima speranza di vittoria e di salvezza per Balaia. Nient'altro si frappone sul cammino degli occadi. Se credete nella vostra terra e nella vostra gente, saremo vittoriosi. Gli occadi possono essere numerosi, ma noi abbiamo un cuore più grande; abbiamo il fuoco dentro, abbiamo la fede. Combattiamo per la nostra terra e per le persone che amiamo. Il futuro di Balaia non sarà deciso alle porte di Korina né sotto le mura di Xetesk. Sarà deciso qui, oggi, davanti alla residenza di Septern, e so che ognuno di voi farà la sua parte. Io credo in voi. E voi?»

Il rombo che accolse la domanda risollevò l'animo di Darrick. Grandi parole, pensò, ma la verità sarebbe stata raccontata dai colpi di spada e dagli incantesimi.

Era tempo di credere. Tempo di combattere.

 

«Sol?»

Nell'udire il suo nome da Protettore, il Guerriero Ignoto si voltò.

Cil, Ile e Rya erano in piedi accanto al tumulo di terra sotto cui si trovavano i resti del corpo devastato di Styliann. Non c'era stata una veglia, nessuno aveva provato dispiacere tranne Denser. Niente sontuose cerimonie per Styliann nelle cripte di Xetesk. Niente esposizione solenne in pubblico, niente corteo funebre, niente sepoltura rituale. Niente onore. Solo una tomba grezza scavata dai Protettori nella terra soffice lontano dal fiume, sotto una roccia, in una dimensione aliena.

L'Ignoto si avvicinò ai tre, con alcune corde tessute dai vestare. «Cosa c'è?»

«La decisione è stata presa. Non torneremo su Balaia. Resteremo qui per vivere in mezzo ai Kaan.»

L'Ignoto annuì. «Non mi sorprende. Ora siete sicuri di sentire ancora le vostre anime.»

«E, se la solitudine dovesse diventare troppa, possiamo tornare», aggiunse Rya.

«Le maschere?» L'Ignoto si toccò la guancia, mentre gli riaffiorava spontaneo un doloroso ricordo.

«Tu sei quello prescelto per vedere per primo», disse Cil. «I demoni qui non possono farci del male. Non hanno controllo in questa dimensione. Qui siamo liberi.»

Senza indugio, ogni Protettore si slegò e sollevò la maschera. L'Ignoto trattenne il fiato, ma la meraviglia nei loro occhi gli comunicò tutto ciò che gli serviva sapere. Per la prima volta da anni sentivano l'aria sulla faccia. Ne respirarono enormi boccate, scossero la testa e osservarono un mondo in cui la vista non era limitata dai margini di due fori.

Rye, Ile e Cil erano tutti giovani; nessuno aveva più di venticinque anni. I loro volti, bianchi fatta eccezione per le zone scure intorno agli occhi e alla bocca, erano segnati da vesciche e rovinati da bolle e piaghe che, pur trattate dai guaritori xeteskiani per evitare infezioni, non riuscivano mai a guarire del tutto sotto le maschere. Lì invece sarebbero guariti e il bel volto di Cil, dai tratti forti, con due occhi di un verde intenso, sarebbe stato rimpianto da molte donne balaiane. Non furono necessarie parole per esprimere ciò che i tre provavano. Gli occhi dissero più di quanto avrebbe potuto il testo più lungo nella biblioteca di Xetesk.

L'Ignoto si avvicinò a quegli uomini, liberi finché restavano nella dimensione dei draghi, e li abbracciò uno alla volta. Guardò in profondità negli occhi di Cil, vedendovi riflessa la speranza di ogni Protettore. «Un giorno saremo tutti liberi e potrete tornare senza maschera, come siete ora. La nostra fratellanza non verrà mai dimenticata e, anche se avremo di nuovo le nostre anime, non saremo mai divisi. Credetemi, io vi sento ancora.»

Cil annuì. «È meglio che tu vada. Noi ci uniremo alla seconda ondata di difesa da terra, coi vestare.»

«Buona fortuna.»

«Buona fortuna al Corvo.»

L'Ignoto raggiunse alla svelta i compagni, vicino ai draghi che lo avrebbero trasportato nello squarcio. Stavano tutti all'ombra gettata dai corpi enormi. Ilkar e Hirad si sarebbero seduti alla base del collo di Sha-Kaan, il guerriero dietro per sostenere il mago quando il lancio dell'incantesimo avesse richiesto tutta la sua concentrazione. L'Ignoto e Denser avrebbero cavalcato Nos-Kaan; Erienne sarebbe stata sostenuta da Thraun su Hyn-Kaan.

«Pronti?» domandò Hirad.

«Sì», rispose l'Ignoto, lanciando di nuovo un'occhiata agli uomini liberi. «C'è molto da fare su Balaia. Andiamo.»

Con la partecipazione di Sha-Kaan e di Jatha, c'era stata un'accesa discussione sul modo migliore per assicurarsi ai draghi. Alla fine la soluzione scelta era relativamente semplice: ogni membro del Corvo si sarebbe legato una corda intorno al petto in modo da avere braccia e gambe libere per afferrarsi e tenersi in equilibrio. La corda sarebbe quindi stata fissata saldamente alla parte inferiore del collo del drago; non li avrebbe tenuti fissi al loro posto, ma avrebbe impedito loro di cadere qualora fossero scivolati. La parte inferiore era abbastanza stretta da consentire a una persona di sedersi a cavalcioni. La massa del corpo avrebbe impedito lo scivolamento all'indietro, e se il drago si fosse gettato in picchiata...

«Dovremo solo restare bene aggrappati», disse Hirad. «Teniamo presente che comunicare sarà molto difficile. Sha-Kaan volerà in testa, tenendo i draghi il più vicino possibile. Avremo tutte le difese che i Kaan potranno distogliere dal cordone intorno allo squarcio. Denser, credo che tu debba dirigere il lancio dell'incantesimo. Thraun, Ignoto, sapete cosa fare. Non lasciate andare i maghi.»

«E se siamo costretti a rompere la formazione?» domandò Erienne.

«Saprò da Ilkar se questo spezzerà la concentrazione per l'incantesimo, e se quindi dovremo ricominciare. Sha-Kaan sa come ricostituire quanto prima la formazione. Dobbiamo fidarci della loro capacità di volare in schieramento. Che posso dire? Fate attenzione a non cadere.»

Con pacche sulla schiena, strette di mani, abbracci e un lungo bacio tra Erienne e Denser, le tre coppie si divisero per raggiungere i rispettivi draghi e lasciarono che i vestare sistemassero le corde. Mentre salivano sul collo degli animali, che si erano appiattiti al suolo, Hirad sentì l'ira crescere nei Kaan scelti per trasportarli.

«Sarà molto scomodo», brontolò Sha-Kaan.

«Sì, e non solo per te.» Il barbaro si piazzò dietro Ilkar, sentendo le squame ruvide contro i pantaloni e allungò le gambe intorno all'ampio collo. Era come cavalcare un toro. «Dopo questo non potrò più generare figli.»

«Non capisco», disse Sha-Kaan.

«Non fa niente.»

Ilkar guardò Hirad e scosse la testa. «Sei proprio incredibile.»

«Spaventato, Ilks. Molto spaventato.»

I vestare legarono le corde sotto il collo sfruttando le intaccature delle ossa e le squame come punti di ancoraggio.

Hirad scoprì di potersi muovere, ma di non poter allentare la corda tanto da scivolare; davanti a lui, un secondo giro di corda gli offriva un appiglio cui tenersi. Seduto a cavallo di Sha-Kaan, ebbe una nuova percezione dell'immenso potere del drago. L'aria che il Grande Kaan respirava gli fluiva nel collo facendolo vibrare per andare a riempire i polmoni; ovunque i muscoli si contraevano e si rilassavano sotto le squame increspando l'intero corpo; i borbottii e i gorgoglii dei giganteschi apparati interni si trasmettevano lungo le sue gambe e sulla schiena.

Guardandosi alle spalle, Hirad vide la massa del corpo di Sha-Kaan curvare verso l'alto oscurando qualsiasi cosa stesse dietro; non si scorgeva nemmeno la coda. Sotto, proprio dietro i piedi dell'umano, le ali spuntavano dal tronco. L'attaccatura si contraeva e le ali sbattevano piano contro il corpo. Sha-Kaan era una montagna volante e gli umani formiche attaccate su di essa.

«Di chi è stata la trovata?» bofonchiò Hirad. Guardò di lato l'Ignoto, pallido e muto mentre veniva fissato al suo drago. «Ehi, Ignoto!»

«Non c'è niente che tu possa dire per migliorare le cose», brontolò l'imponente guerriero.

«Non vedo l'ora di stringerti la mano, su Balaia», affermò il barbaro.

«Com'è che si dice?» domandò l'Ignoto. Poi per un brevissimo istante gli comparve un sorriso sul volto. «Ci vediamo dall'altra parte.»

«Hirad Coldheart.»

«Sì, Grande Kaan.»

«Siete pronti?»

Hirad fece un profondo respiro. «Sì. Siamo pronti.»

«Allora lascia che vi faccia conoscere i cieli.» Il verso assordante di Sha-Kaan squarciò la relativa pace della terra della stirpe.

Da altre sporgenze, i vestare risposero prima di avviarsi verso le pianure. Le grida degli altri Kaan omaggiarono il Grande Kaan, e stormi di draghi si alzarono in volo. Sha-Kaan si sollevò; Hirad si sentì rivoltare lo stomaco. Le ali del drago si allargarono e si estesero come un rumore di risacca sulla spiaggia. Il barbaro si aggrappò alla spalla di Ilkar, la mano del mago coprì la sua. Poi, con un poderoso battito d'ali, Sha-Kaan si librò nell'aria.

 

Quando l'alba s'insinuò nel cielo, i baroni Blackthorne e Gresse erano accanto a uno dei fuochi di guardia. La giornata restava buia per via delle nubi, ma ormai si riuscivano a intravedere le sagome degli occadi che si muovevano. Dopo avere trasportato o aiutato i feriti a raggiungere un nascondiglio in mezzo alle rocce, a nord-ovest, i cavalieri di Darrick si erano divisi per sellare i cavalli e apparire molto più numerosi di quanto in realtà non fossero.

«Non hai la sensazione di essere stato tagliato fuori?» domandò Gresse, bevendo una buona sorsata di tè nella mattinata fredda e umida.

«In effetti, ho partecipato a missioni più entusiasmanti», convenne Blackthorne. «Ma Darrick ha ragione. Siamo troppo vecchi per correre per tutta la notte.»

«Cosa credi che faranno?»

«Gli occadi?»

«Sì. Resteranno fermi o avanzeranno?»

Blackthorne si grattò la barba perfettamente curata. «Be', sono troppo in ritardo per unirsi oggi alla battaglia presso la residenza di Septern. Se fossi in loro, mi accerterei che fossimo andati tutti via prima di cercare di raggiungere i compagni. Poi andrei.»

«Quindi è una buona idea sellare i cavalli», affermò Gresse.

Blackthorne annuì. «Non credo però che c'inseguiranno.

Dobbiamo essere abbastanza esposti da essere avvistati, ma fuori dalla portata delle frecce.»

Gli occadi erano a poche centinaia di passi di distanza, sparpagliati tra le rocce e la foresta. Se quelli visibili ammontavano a meno di trecento, Blackthorne non aveva dubbi che il grosso della forza fosse posizionato non molto lontano. Darrick era riuscito a passare? Probabilmente sì. Tra le linee nemiche non si erano levati allarmi e nessuno era tornato portando notizie di catastrofi.

Blackthorne sapeva che, col diffondersi della luce, non avrebbero potuto mantenere molto a lungo l'inganno e si sentì sollevato quando udì che i cavalli erano sellati e pronti. Il cuore prese a battergli più veloce. Sarebbe stata una prima metà mattina eccitante, si disse.

Al suo fianco, il barone Gresse aveva tolto la rugiada da una pietra e si era seduto per gustarsi una nuova tazza di tè. Soldati e maghi erano pronti; i sacchi erano legati alle selle, le spade pulite e infilate nei foderi. Avrebbero dovuto abbandonare la forgia e l'armeria, ma non importava: l'attrezzatura poteva essere rimpiazzata, gli abili combattenti e i maghi no.

«Pronto a correre?» domandò Blackthorne.

«Certo.» Gresse posò la tazza a terra e si sfilò uno stivale per togliersi un sasso.

«Amico mio, non esiterei a lasciarti morire», disse Blackthorne, sorridendo.

Il barone più vecchio ridacchiò. «Tutti gli altri in questa guerra stanno vivendo una tensione e una paura che non hanno mai provato in vita loro. Non volevo che ti sentissi escluso.»

Accanto a Blackthorne un soldato si schiarì la gola.

«Capitano?» disse il barone.

Il soldato, quasi del tutto nascosto da un elmo col paranaso, da un pesante mantello e da un'armatura di cuoio, s'inchinò leggermente. «Miei signori, credo che dovremmo prepararci a muoverci.» Indicò in direzione della pista principale, che si stava rapidamente riempiendo di occadi. Lungo l'intero fronte echeggiavano grida e strilli di rimando; nelle voci si percepiva chiaramente un tono di ansia e di urgenza, anche se la lingua era sconosciuta.

La cavalleria pattugliava ancora il campo, come aveva fatto per tutta la notte, apparendo e scomparendo alla vista dietro le tende, facendo gran mostra di attizzare i fuochi perimetrali e lanciando grida ogni mezz'ora per comunicare che tutto era tranquillo.

«Gresse, rimettiti quello stivale», disse Blackthorne.

«Problemi col laccio, mio vecchio amico.»

«I tuoi stivali non hanno lacci. Rimettitelo. Questo scontro frontale sta per concludersi.» Blackthorne abbassò lo sguardo e vide Gresse lanciare un'occhiata al nemico, infilare il piede nello stivale e balzare in piedi.

Gli occadi stavano avanzando.

«Cavalleria!» gridò il capitano. «Preparate la ritirata. Sguardi rivolti all'indietro. Lentamente!»

«Ho un'idea!» esclamò Blackthorne, mentre si allontanavano a poco a poco e gli occadi guadagnavano cautamente terreno. «Se possiamo, montiamo in sella, manteniamo una distanza di rispetto e proteggiamoci con uno Scudo di Pietra. Vorrei parlare col loro comandante.»

«Per tutti gli dei, perché?» domandò Gresse.

«Fidati di me.»

Gresse scrollò le spalle. Il capitano della cavalleria trasmise il cambiamento d'ordine.

 

Hirad aveva vomitato tutto quello che c'era nello stomaco ben prima che Sha-Kaan si mettesse in orizzontale per puntare direttamente verso lo squarcio. Lo avrebbero raggiunto in non più di un'ora, tale era la velocità, con Nos-Kaan e Hyn-Kaan dietro e gli altri draghi posizionati intorno allo squarcio oppure intenti a volare davanti al Grande Kaan.

Il rombo del vento che sibilava intorno alla testa rimbombava nelle orecchie e ottenebrava tutti i sensi. Hirad non riusciva ad aprire gli occhi, ridotti a due fessure. Sotto, il terreno era assurdamente lontano: un ammasso di colori e di strutture indistinte per la nausea e per la confusione create dalle virate di Sha-Kaan. Solo la dimensione dello squarcio conferiva il senso della direzione, e anche quella vista era oscurata qua e là dalle nubi.

Hirad sentì una pulsazione calda nella mente.

Sha-Kaan gli rallentò il flusso sanguigno e gli placò il battito del cuore. «Calmati, Hirad Coldheart. Non ti lascio cadere.»

«Magra consolazione», borbottò il barbaro. Percepì allegria, poi serietà.

«Le nubi nasconderanno i nostri nemici. Dovremo stare attenti.»

Ilkar si voltò raggiante, eccitato per il volo. D'altronde, se fosse caduto, avrebbe potuto lanciare le Ali d'Ombra prima di toccare terra. «Come va, Hirad?» gridò.

Il barbaro si limitò a scuotere la testa e a tenersi più saldamente alla corda che i vestare avevano legato al collo di Sha-Kaan.

«Te la stai cavando bene.»

«Non mi sembra.» Hirad azzardò un'occhiata alle spalle e vide gli altri due draghi in formazione serrata. Denser lo salutò con la mano; l'Ignoto non lo vide: aveva la testa piegata e si aggrappava con forza alla corda.

Voltatosi di nuovo in avanti, Hirad notò un cambiamento nel placido volteggiare dei draghi davanti allo squarcio. Alcune grida echeggiarono in lontananza; i Kaan si divisero in gruppi di tre e schizzarono via. Il barbaro seguì la loro traiettoria e si sentì tremare per ciò che vide: il cielo era nero, picchiettato da centinaia di punti che ben presto si rivelarono essere draghi nemici diretti verso di loro.

Sha-Kaan emise un verso stridulo, facendo rabbrividire il barbaro, e aumentò la velocità. «Tieniti, Hirad Coldheart. Inizia la battaglia.» Sha-Kaan avanzava poderoso nell'aria, i battiti delle sue ali risuonavano con violento fragore nelle orecchie del barbaro.

A Hirad facevano male le gambe, per la forza con cui si teneva intorno al collo ruvido del drago, e aveva le mani dolorosamente gelide nonostante i guanti. Stringeva la corda rigido come un morto. Si augurò solo di riuscire a muovere le dita, per reggere Ilkar al momento opportuno.

 

Non c'era più coesione. I messaggi balenavano nelle menti con la velocità del giorno prima, ma per qualche ragione i pensieri non si tramutavano nell'azione istantanea che sarebbe stata necessaria. E ciò causò la morte di molti Protettori.

Mezz'ora prima dell'alba, Aeb sentì cadere il doppio dei fratelli rispetto al giorno prima. Presentava un profondo taglio su un braccio, che aveva trasformato l'ascia in poco più di un bastone di difesa; mentre il braccio che impugnava la spada lavorava il doppio solo per tenerlo in vita.

Gli occadi sentivano che qualcosa era cambiato e incalzavano il nemico. Cominciarono a verificarsi i primi cedimenti tra i Protettori, perché quelli che avanzavano per prendere il posto dei fratelli morti erano essi stessi feriti.

«Pensare e agire. Lasciare che accada.»

Aeb mandava messaggi urgenti, ma ormai erano tutti faccia a faccia con la verità. Senza un Affidato che li rendesse un'entità sola, non riuscivano a mantenere quella coesione che faceva di loro una straordinaria potenza combattiva. Gli occadi morivano ancora in un rapporto di cinque a uno, ma a quel tasso avrebbero preso la residenza di Septern a metà pomeriggio.

Quando il primo fuoco avvampò nell'accampamento degli occadi, Aeb stava già considerando l'idea sconosciuta della sconfitta.

 

I maghi di Darrick lanciarono un feroce attacco contro le riserve degli occadi. Contemporaneamente Izack sferrò la prima offensiva. I balaiani orientali si gettarono tra carri, tende e barricate di legno in fiamme, col nemico che faticava a capire cosa stesse succedendo mentre cadeva sotto le spade e gli incantesimi. I Globi di Fiamma sfrecciavano alti e colpivano gli occadi; la Pioggia di Fuoco si riversava sfrigolando come un torrente dal cielo gonfio d'acqua; la Grandine di Morte si abbatteva rumorosa sulle linee nemiche, tagliando e squarciando la carne fino alle ossa coi suoi bordi taglienti come rasoi.

«Centurie, staccatevi!» ordinò Darrick.

Il comando fu trasmesso dai capitani all'intero esercito. La forza si divise in linee come previsto, sparpagliandosi a semicerchio nell'accampamento ormai in preda alla confusione. Il generale guidò i suoi uomini attaccando la linea difensiva che si stava formando in fretta, facendo a pezzi i guerrieri disarmati e scontrandosi con quelli che erano stati un po' più rapidi ad armarsi. Al di là del campo di battaglia e oltre la residenza di Septern, il susseguirsi di esplosioni indicava che Izack stava bersagliando col fuoco le posizioni degli occadi.

Darrick infilzò la spada ad altezza di vita e squarciò un ventre fino alla colonna vertebrale; la vittima cadde senza avere il tempo di urlare. «Spezzate questa linea, forza!» gridò il generale.

Tutt'intorno le sue truppe incalzarono impetuose, più di quanto avessero mai fatto in vita loro. Il sangue velava l'aria, l'odore acre del fumo e della carne bruciata permaneva sotto la pioggia e le grida dei feriti, lo strepito degli aggressori e le urla incalzanti dei difensori.

Darrick esultò mentre deviava un colpo d'ascia ben mirato al suo petto; respinse il nemico e affondò la spada nel cuore. Poi scostò con un calcio il corpo senza vita e avanzò. Più avanti, vedeva i guerrieri che combattevano contro i Protettori. Se anche fosse stata l'ultima cosa che avrebbe fatto, sarebbe arrivato a loro.

 

Senedai si girò in preda allo stupore totale e fissò, un centinaio di passi più in là, il punto in cui la sua tenda spariva in mezzo alle fiamme e in cui la sua seconda linea veniva impegnata in battaglia da un nemico che sarebbe dovuto giacere morto su un campo molto lontano. Colto da un'indecisione fatale, chiamò un luogotenente. «Per lo spirito, che sta succedendo?»

«Mio signore, gli orientali hanno sferrato un attacco a sorpresa. Sono qui su due fronti.»

«Questo lo vedo!» Senedai afferrò il guerriero per le pellicce e se lo avvicinò al volto. «Dimmi solo che possiamo trattenerli. Devo conquistare quell'edificio prima che il sole raggiunga lo zenit.»

«Li tratterremo...»

Si udì allora un'altra serie di esplosioni, stavolta dal lato opposto della residenza di Septern.

«Che sta succedendo?» urlò Senedai al cielo. Si rivolse di nuovo al luogotenente. «Se uno di quei bastardi mette piede su quest'erba per attaccarmi, ti strapperò personalmente il cuore e me lo mangerò. Fermali!» Sguainando l'ascia, si fece strada a forza nella prima linea. «Combattete, cani, combattete! Non subirò una sconfitta.» D'un tratto si ritrovò faccia a faccia con un guerriero mascherato che, pur tenendo l'ascia bassa, si mise in guardia con la spada a una velocità spaventosa. «Non subirò una sconfitta», gridò Senedai. Alzò l'ascia con mani tremanti e l'abbassò; la spada dell'avversario parò facilmente il colpo.

Come dal nulla, l'ascia nemica si sollevò e Senedai balzò indietro sentendone il taglio affilato passargli sibilando accanto al naso. Quando l'avversario abbassò nuovamente la spada, Senedai la fermò con l'ascia e colpì di punta ferendogli il braccio. Il guerriero mascherato indietreggiò di un passo, mentre un filo di sangue gli bagnava l'armatura.

Senedai sorrise e portò indietro l'arma per terminare l'opera, ma sentì un terribile calore al fianco. Abbassando lo sguardo, notò la spada nemica infilata nel suo ventre. Non l'aveva vista arrivare; non aveva considerato quell'eventualità mentre sferrava il colpo decisivo. Eppure capì subito che sarebbe stato lui a morire.

L'ascia gli cadde dalle dita fiacche. Mentre crollava a terra, Senedai udì un nome che si trasformò in un boato di esultanza e di trionfo. Tessaya.

 

Sarebbero dovuti fuggire giorni prima, ma il rispetto per quell'incarico li aveva trattenuti lì. Da giorni ormai non era più necessario misurare l'ombra, ma lo avevano fatto lo stesso, contrassegnandone la corsa verso la periferia della città e documentandola perché altri occhi in futuro potessero leggere, se qualche scritto fosse sopravvissuto.

Jayash alzò lo sguardo verso la spaventosa massa scura che copriva il cielo gettando Parve in un perenne crepuscolo. Le nubi sfregavano contro i suoi bordi, scatenando una pioggia di una natura mai vista né percepita; all'interno dello squarcio, i fulmini balenavano e sfrigolavano. A grande distanza, uno colpì la terra scuotendo il suolo. Si stavano facendo più frequenti.

Ma tutto ciò non contava più. Quello era il giorno in cui tutto si avviava alla fine, il giorno in cui l'ombra avrebbe coperto interamente Parve. Era chiaro che il Corvo aveva fallito: non sarebbero arrivati aiuti e lo squarcio avrebbe continuato a erodere il cielo.

Perciò rimasero tutti lì nella piazza centrale, soldati e maghi, con gli occhi fissi sullo squarcio e sulle ombre che si allungavano all'avvicinarsi del mezzogiorno. Attesero con pazienza. Ormai per loro non c'era altro da fare, tranne morire.

Attesero l'arrivo dei draghi.