Capitolo 25
Per un istante gli occhi di Thraun si appannarono, quando la vita scivolò via dall'uomo-fratello. Lo sentì nel profondo del suo essere, e il passaggio al grigiore della polvere creò una voragine di solitudine nel suo cuore di lupo. Un gemito disperato gli sfuggì dalla gola mentre osservava la testa dell'uomo-fratello piegarsi leggermente di lato e il suo petto abbassarsi per non sollevarsi più. L'umana mise da parte un arnese che aveva usato per pulire la faccia dell'uomo-fratello, poi alzò un telo bianco per nasconderne la sagoma immobile.
Thraun vide il dolore in lei e percepì un'impotenza venata di rabbia. L'istante passò, la mente di Thraun fu invasa dalla furia animale. Aprì la bocca e ululò al cielo, mentre la voglia di sangue lo pervadeva e lo spingeva ad andare in cerca di prede.
Il corpo della donna ora trasudava paura, gliela leggeva in faccia e gliela sentiva scaturire da tutti i pori. L'umana arretrò. Thraun ne captava l'odore come captava l'odore della foresta. Era paura di lui, e la paura era una buona cosa: gli diceva quando una preda era sconfitta. Lei però aveva cercato di salvare l'uomo-fratello e Thraun si ritrovò incapace di abbatterla. Un residuo di pensiero gli balenò nella mente impazzita e balzò fuori, mentre un altro ululato gli usciva poderoso dalla bocca. Aveva il corpo devastato, i muscoli pulsanti di rabbia, il sangue alla testa e la foresta nel naso.
Fuori però si arrestò di colpo, graffiando con gli artigli la pietra crudele. Fuori c'era il fuoco e c'erano urla nel buio. C'erano caos e confusione. Gli umani correvano ovunque e l'odore insopportabile di quelli odiati dall'uomo-fratello, di cui ricordava la carne, lo assalì, misto al fetore di morte. Una massa di umani, non contaminati dall'odore degli odiati, stava correndo verso un'apertura nelle mura. Dietro c'era la preda che desiderava.
Thraun si precipitò verso l'apertura e col suo abbaiare selvaggio disperse gli umani. Percepiva paura e sollievo mentre li superava, concentrato sulla preda: gli umani dall'odore forte, il cui sangue aveva assaggiato e desiderava riassaggiare. Sgombrò l'apertura, annusò l'aria e puntò dritto là dove sapeva che la preda lo attendeva. Ululò ancora, per il dolore causato dalla perdita dell'uomo-fratello. Si buttò verso la luce tremolante di un fuoco. Tutt'intorno stavano gli uomini odiati; ne sentiva l'ansia e lo sconcerto di fronte al rumore e alle fiamme che gli umani del branco avevano provocato. Scivolò inosservato nelle tenebre; il frastuono ne coprì i passi e i ringhi sommessi in gola.
La preda.
Thraun non aveva desiderio di appostarsi. Il branco era lontano, i colori della foresta vaghi nella sua memoria e il suo cervello animale pregno di rabbia per qualcosa che era stato preso e non poteva più essere restituito. Balzò a piena velocità dall'ombra, colpendo la prima preda alla gola, lacerandola con le fauci in cerca di sangue, tenendola stretta con le zampe. L'umano cadde per l'impeto del balzo, ma non aveva spirito combattivo; la vita lo stava già abbandonando dallo squarcio sotto il mento. Thraun lappò famelico il sangue, incurante che gli schizzasse sul muso e sul manto. Perso nella bramosia, non udì gli altri umani circondarlo, ma sentì un colpo netto quando uno dei loro bastoni metallici lo colpì.
Si girò e i quattro umani arretrarono, incespicando. Parole spaventate uscirono dalle loro bocche, associate a gesti frenetici delle braccia con cui indicavano il punto in cui uno lo aveva colpito. Thraun si accovacciò, con gli occhi gialli carichi di disprezzo per la loro impotenza e con le fauci gocciolanti di sangue del loro compagno. Si contrasse.
Gli umani arretrarono ancora, ma non poterono scappare, non tutti. Thraun saltò di nuovo, colpendo con le zampe il petto della preda e investendola in faccia col suo alito caldo. Chiuse le mascelle, strappandole la carne da una guancia. L'umano gridò. I compagni colpirono e strattonarono Thraun, che arretrò e cominciò a girare in cerchio.
Una delle prede si girò e scappò urlando. Thraun la osservò brevemente, ma la lasciò andare. Le altre due rimasero lì, sapendo di non potere né combattere per vincere né superare in velocità il lupo. Si divisero e fuggirono in direzioni opposte, ma Thraun aveva già scelto la sua vittima. La seguì a lunghi balzi attraverso uno stretto passaggio con ripide pareti di pietra e pose fine alla sua vita piagnucolante, lontano dalla luce del fuoco.
Saziati mente e corpo, vendicata la scomparsa dell'uomo-fratello, Thraun tornò veloce là dove si trovava Will. La bramosia svanì dalla sua mente, in cui palpitava una parola.
Ricorda.
Per un momento Ilkar pensò che il tumulto non si sarebbe placato. Il granaio era gremito di uomini, donne e bambini di tutte le età. Quando i prigionieri videro che nel varco non erano comparsi gli occadi, invertirono la mossa automatica d'indietreggiare dalla porta distrutta.
Sembrava parlassero, piangessero e urlassero tutti nello stesso momento, e l'elfo temette di essere schiacciato nella fuga verso l'esterno. Urlò per chiedere la calma, e alla sua voce si unirono quelle di Hirad e dell'Ignoto. I tre uomini del Corvo avevano rinfoderato le spade, certi che Denser li avrebbe avvertiti in caso di pericolo.
Dentro, il granaio era poco illuminato, ma non buio. Cinque o sei lanterne con gli stoppini bassi illuminavano quello spazio cavernoso retto da archi di pietra; a destra e a sinistra, Ilkar vide alcune zone riservate per mangiare e lavarsi. Sebbene l'odore di sudore e di aria stantia fosse forte e diffuso, l'assenza di un fetore più violento gli fece capire che almeno i prigionieri non erano costretti a urinare o defecare nello stesso luogo in cui dormivano.
Alcuni giovani lo guardarono con volti stanchi e infuriati. Le loro voci si persero in quella confusione di suoni. Ilkar riconobbe in mezzo alla folla l'aura inconfondibile di un mago e avanzò per parlargli. La sua mossa provocò la reazione della gente, che arretrò istintivamente, e l'elfo poté solo immaginare il trattamento che i prigionieri avevano ricevuto dagli occadi.
La loro paura affondava le radici nell'ignoranza di ciò che succedeva fuori dal granaio: ogni giorno alcuni di loro venivano presi, e non tornavano più. Ilkar sapeva dove si trovavano i prigionieri scomparsi e, all'idea che quella gente, la sua gente, non lo sapesse, si sentì rivoltare lo stomaco. Provò una nuova ondata di rabbia per le condizioni in cui Julatsa versava.
Ma i corpi che giacevano all'esterno del College erano qualcosa che non si poteva ignorare e rappresentavano un effettivo pericolo per il piano di salvataggio, se la questione non fosse stata affrontata nel modo giusto.
Il mago visto da Ilkar, di mezza età, con rossi ciuffi di capelli flosci che gli spuntavano sulla testa, aveva un'aria enormemente sollevata, ma l'elfo non lo lasciò parlare, invitandolo con un cenno ad avvicinarsi. S'incontrarono e si strinsero le mani a un passo dalla calca.
«Come ti chiami?» domandò Ilkar.
«Dewer.»
«Io sono Ilkar e questo è il Corvo. Siamo qui per portarvi via, ma non abbiamo molto tempo.»
Dewer restò a bocca aperta. «Il Corvo?» Aveva le lacrime agli occhi.
«Sì. Mi serve silenzio. Gli occadi sono vicini e dobbiamo andarcene subito. Chi è il capo?»
«Spargerò la voce che facciano silenzio», disse Dewer. «Parla con Lallan, mentre io zittisco tutti.» E indicò un uomo.
Lallan era alto e magro, e dimostrava poco meno di sessantanni. Indossava abiti eleganti di un verde scuro e una camicia color borgogna, sporca e lacera, ma di qualità. Aveva il volto tirato e stanco, ma fiero, e se ne stava eretto, rifiutandosi di piegarsi al brusco rivolgimento della sua sorte.
Ilkar s'incamminò rapido verso di lui, facendo nel contempo cenno all'Ignoto e a Hirad di raggiungerlo. «Lallan, io sono Ilkar», disse, stringendogli la mano. «Questi sono Hirad e il Guerriero Ignoto.»
Lallan assentì. «Vi ho riconosciuto quando siete entrati.»
«È molto importante che la tua gente ci ascolti e segua le nostre istruzioni. In caso contrario, potrebbe esserci un massacro», spiegò l'elfo.
«In quanti siete, qua dentro?» domandò Hirad.
«Tremilaquattrocentosettantotto», rispose Lallan, con sicurezza. «All'inizio eravamo di più, ma gli occadi hanno portato via i più vecchi, i più giovani e alcune donne.»
«Lo so, e questa è una cosa che adesso dovremo affrontare», disse Ilkar.
Un'ondata di discorsi concitati fu seguita da esortazioni a tacere e quindi da un silenzio quasi totale.
«Impressionante», commentò l'Ignoto.
«Avevamo deciso in partenza che la disciplina è importante», spiegò Lallan. «Parlerò io per primo, poi vi presenterò. Se lo chiedo, vi ascolteranno.»
I quattro uomini si scostarono dalla folla e si avvicinarono alla porta. Denser scelse proprio quel momento per atterrare sulla soglia, liberare Erienne dal suo abbraccio, baciarla e rialzarsi in volo. La maga entrò di corsa, infrangendo il silenzio della massa, i cui mormorii diedero voce a tutta l'ansia.
«Erienne?» domandò Hirad.
«Siamo nei guai», esordì lei. «La forza principale degli occadi, proveniente dalla parte occidentale della città, ha cambiato direzione e sta venendo qui. Denser crede che gli uomini siano guidati da qualcuno che ha capito cosa sta succedendo. Arriveranno molto presto. Abbiamo studiato il percorso per tornare al College, ma è stato attaccato in una decina di punti, strada per strada. È una disdetta per Kard. I suoi uomini stanno morendo là fuori, e lui ha bisogno di loro sulle mura.»
«Lallan, è il momento di parlare», disse l'Ignoto.
L'uomo annuì e si rivolse alla folla, che tacque alla sua prima parola. «Amici miei», disse con le braccia in alto e coi palmi rivolti all'esterno. «Il Corvo è qui per organizzare il nostro salvataggio. Sarà rischioso, e vi supplico di ascoltare ciò che Ilkar ha da dirvi e di non lasciare che nessun dubbio vi offuschi la mente. Gli occadi stanno arrivando. La nostra unica possibilità è agire con decisione. Ilkar, spiegaci il vostro piano.»
L'elfo fece un passo avanti. «Fuori è buio, solo i fuochi magici illuminano il cielo. Gli occadi hanno in mano Julatsa, e abbiamo un'unica possibilità di strapparvi alle loro grinfie. Vogliamo che voi facciate così: al comando di Lallan, uscite di qui e scappate più velocemente che potete al mercato meridionale, seguendo le strade principali per il College. Non fermatevi finché non sarete all'interno delle mura. Chiunque sia in grado di combattere e trovi un'arma su un cadavere, la prenda; potrebbe averne bisogno. Per il momento, le strade sono sicure grazie alla difesa dei soldati e dei maghi del College, ma questi vengono attaccati duramente. Chiunque si attardi nella fuga, rischia la vita.
«Il College, dentro le cui mura troverete rifugio, è sotto assedio. Non è la libertà, non ancora, ma da lì potrete fare la vostra parte per aiutarci a riconquistare la città. Chiunque ritenga di avere altrove migliori possibilità può tranquillamente scegliere un'altra direzione di fuga.
«Quando vi avvicinerete al College, vedrete una scena terribile. I corpi di tutti quelli che sono stati presi da questo granaio attorniano le mura, assassinati dagli occadi nel tentativo d'indurre il College ad arrendersi. I nostri concittadini hanno dato la loro vita per offrirci una possibilità. Non fermatevi a piangerli finché non sarete dentro, altrimenti la loro morte potrebbe essere stata vana.»
Il silenzio venne rotto da qualche domanda urlata, da mormorii di dolore e da singhiozzi di disperazione.
Ilkar alzò la voce per evitare che il rumore si diffondesse. «Amici miei, non c'è tempo per le domande. Dobbiamo scappare il più rapidamente possibile e pregare che gli dei e i nostri soldati ci proteggano. I forti devono aiutare i deboli e portare i più piccoli. Non ho bisogno di esortare i maghi a proteggere i compagni. Dividetevi e organizzatevi. Andate!» concluse l'elfo, battendo le mani.
La sala fu avvolta dal clamore dell'azione: il battito di migliaia di piedi sul pavimento lastricato, le grida e i versi dei gruppi che si organizzavano, lo sbatacchiare del legno mentre i tavoli venivano rovesciati per fare spazio davanti al portone.
Ilkar non poté trattenere un sorriso e si voltò verso Hirad e l'Ignoto, che stavano entrambi annuendo in segno di apprezzamento. Grazie alla loro disciplina, i julatsani avevano una possibilità di salvarsi.
Denser atterrò di nuovo davanti al portone e parlò in tono concitato. «Venite. Sono quasi al magazzino. Arriveranno dall'accesso occidentale. Dobbiamo muoverci adesso, altrimenti ci travolgeranno.» Allargò le braccia per prendere Erienne. «Pioggia di Fuoco, direi.» Lei annuì e si librarono in volo.
Il primo gruppo era pronto.
Lallan non esitò. «Via, via, via! Dal mercato meridionale seguite la strada liberata dai soldati. Prendete le armi ovunque le troviate. Scappate!» L'ultima parola si perse nel fragore dei piedi e delle grida d'incoraggiamento che risuonarono nel granaio.
I prigionieri corsero via, liberi. Hirad e l'Ignoto raggiunsero Ilkar a sinistra del portone e insieme osservarono i julatsani compiere il tentativo di guadagnarsi la libertà. Sopra di loro, Denser ed Erienne volteggiavano lentamente, osservando l'avanzata degli occadi.
Julatsa era tutta un campo di battaglia: il clangore delle spade, l'esplosione degli incantesimi, le urla e gli incitamenti all'azione giungevano da ogni parte.
«Non credevo che sarebbe andato tutto liscio», commentò Ilkar.
«Non sono sicuro che sia così», replicò l'Ignoto. «Si muovono troppo lentamente.»
La colonna di cittadini procedeva spaventata, a passo lento, incespicando; i vecchi che non erano stati assassinati dagli occadi erano sostenuti dai più giovani, che ne risultavano rallentati. Nel granaio si sentiva la voce di Lallan sopra la confusione generale: spronava, esortava a compiere uno sforzo maggiore, a fare più in fretta.
Sopra i tetti, Denser, con la vista potenziata, controllava Julatsa e più specificamente la minaccia immediata per il Corvo. Nelle strade, i julatsani erano sempre più sotto pressione, incalzati dal nemico. Denser vedeva gli occadi riversarsi dagli alloggi e dai campi, emergere dalle case, dagli uffici e dalle locande occupate, legarsi le armi alla vita e precipitarsi verso la battaglia, mentre le campane di allarme suonavano in tutta la città.
I punti deboli della difesa julatsana si trovavano soprattutto nel mercato meridionale, dove le costruzioni cedevano il posto ai ciottoli e il fronte della linea difensiva era più ampio. Gli oc-cadi non avevano ancora raggiunto quel punto, bloccati dalla feroce difesa nelle vie principali e dall'uso avveduto del fuoco, usato come barriera. I julatsani sfruttavano la loro conoscenza delle strade e fino a quel momento né il granaio né il College erano stati assaltati.
Tuttavia a sud e a ovest del granaio più di tremila occadi stavano raggiungendo la piazza e ben presto avrebbero inghiottito il Corvo e i prigionieri appena fuggiti.
I julatsani continuavano a fuoriuscire dal portone del granaio, incalzati dal gesticolare di Hirad, dell'Ignoto e di Ilkar, e il suono delle loro voci si alzava nel cielo, che a poco a poco si stava rischiarando.
Denser si abbassò di nuovo, rimanendo sospeso sulla folla in movimento. «Hirad, da un momento all'altro questa piazza pullulerà di occadi decisi a sbudellarvi. Sono a meno di una strada di distanza dagli accessi sud e ovest e non siamo in numero sufficiente per fermarli in campo aperto.»
Il barbaro scrollò le spalle. «Allora fateli ritardare», disse indicando Erienne, che stava a occhi chiusi tra le braccia del mago oscuro, profondamente concentrata. «Non ce ne andremo finché questo posto non sarà vuoto.» Lanciò un'occhiata all'interno. «Restano solo poche centinaia di persone.»
«Per gli dei, è un grosso rischio», osservò Denser.
«Allora comincia a scagliare giù un po' di fuoco», replicò Hirad. «Va' e renditi utile.»
Il mago gli lanciò uno sguardo torvo. Poi tornò su in cielo, puntando a sud-ovest.
«Forza, sbrigatevi!» gridò Ilkar, in un tono venato di frustrazione.
Nel granaio restavano circa duecento persone e Hirad non poté non sorridere, sebbene udisse le urla furiose del nemico in avvicinamento. «Calmati, Ilkar. Ce la caveremo.»
«Calmarmi? Un esercito di occadi sta per massacrarci, insieme con una marea di vecchi e bambini, e tutto quello che sai fare è punzecchiare l'unico uomo che può rallentarli, con quelle frecciatine che escono dalla tua grossa bocca di barbaro. Non dirmi di calmarmi!»
«Ilkar.» Il Guerriero Ignoto aveva un tono di monito. «Col tuo modo di parlare fomenti il panico. Una maggior fretta va bene, una fuga alla cieca no.» L'Ignoto confortò con una pacca amichevole un uomo dall'aria fragile. «Va bene così, mantieni il passo. Non c'è quasi più tempo.» Si chinò di nuovo verso l'elfo. «Siamo il Corvo, non dimenticarlo. Se restiamo calmi, lo faranno anche loro.»
«Siamo sull'orlo del massacro, proprio come dice Denser», osservò Ilkar.
«Avete entrambi ragione», replicò l'Ignoto. «Ma, come sostiene Hirad, non lasceremo nessuno indietro.»
Il granaio era quasi vuoto. Un uomo li superò trotterellando, con un bambino sulle spalle e un neonato tra le braccia, seguito da due giovani donne che trasportavano un'anziana parente.
«Come andiamo, Lallan?» gridò Ilkar.
«Bene, ci siamo quasi.»
Una luce improvvisa dietro di loro gettò netti brandelli di ombra sulla piazza lastricata. Hirad si girò di scatto. Gocce di fuoco stavano cadendo come una pioggia intensa dal cielo, concentrate in un'area circoscritta a sud. Al di sopra dell'incantesimo, la sagoma scura di Denser che trasportava Erienne si alzò rapida, seguita dalle forme scure delle frecce. Nessuna andò a segno, da quello che Hirad poté vedere, e il raschiare del legno sulla pietra, quando i dardi caddero a terra, si perse nel baccano del tumulto che si scatenò quando la Pioggia di Fuoco centrò il bersaglio.
Dietro gli edifici suonarono i corni, gli occadi gridarono, qualcuno urlò per il dolore o la sorpresa. Si udiva chiaramente il rombo di una miriade di piedi che correvano e, là dove la Pioggia di Fuoco colpiva, le fiamme lambivano il legno e accarezzavano l'aria, aumentando il chiarore dell'alba.
Denser ed Erienne girarono e si gettarono di nuovo in picchiata. Sotto di loro, avvampò una striscia lunga e sottile di Pioggia di Fuoco, che cadde rapida. Altre frecce solcarono il cielo, troppo lente per colpire la veloce coppia di maghi, che ripiegò verso il granaio.
Atterrando in un turbinio di polvere, mentre gli ultimi julatsani uscivano dal portone, spronati dalla voce incalzante di Lallan alle loro spalle, Denser posò Erienne e scosse le braccia indolenzite. «Li stiamo rallentando, ma non fermando. Io...»
Con un ululato, i primi occadi apparvero nella piazza. Giunsero come un'inondazione improvvisa in una valle, riempiendo lo spazio con la forza del loro numero e l'aria col suono assordante delle grida quando individuarono le prede. I prigionieri liberati caddero in preda al panico e corsero via, emettendo grida lancinanti, mentre ogni parvenza di ordine nella retroguardia svaniva, travolta dal caos del terrore. La gente inciampava, spintonava e si faceva strada a forza verso l'uscita nord della piazza.
«Muovetevi rapidi, mantenete la calma! Aiutate gli amici. Non spingeteli di lato!» La voce di Lallan si levò sul frastuono incessante, ma fu ignorata.
L'Ignoto si voltò verso di lui. «Va' via di qui. Non girarti a guardare», disse. «Hirad, è tempo di agire.»
Il barbaro studiò la velocità di avvicinamento degli occadi e stimò che i fuggitivi avrebbero raggiunto la strada poco prima del nemico. «Tocca a voi, maghi. Ci servono un po' di macerie per rallentarli. Mi dispiace, Ilkar, ma alcuni dei tuoi edifici dovranno venir giù.» Indicò gli uffici amministrativi della città e gli alloggi disposti lungo il margine settentrionale della piazza intorno al granaio.
«Non c'è problema», replicò l'elfo. «Venite, voi due.» Il julatsano aggirò di corsa la folla sempre più esigua, tallonato da Erienne e Denser.
«Ignoto, restiamo io e te a difendere la retroguardia.»
L'imponente guerriero annuì. «Andiamo.»
I due si girarono e si affrettarono a seguire le orme dei julatsani in fuga, spingendoli verso l'uscita della piazza.
La voce di Hirad incitava e persuadeva gli uomini, le donne e i bambini spaventati. «Continuate. Non lasciatevi prendere dal panico, siamo alle vostre spalle.»
L'Ignoto raccolse una bambina caduta e scattò in avanti, piazzando la bimba urlante sulle spalle di una giovane donna.
Poi si voltò in direzione degli occadi all'attacco, incrociò lo sguardo di Hirad e gridò: «Giù!»
Le frecce volarono sopra la testa del barbaro, piombando sui civili indifesi. Una decina di persone cadde e la linea si disintegrò. La gente prese a correre in tutte le direzioni per evitare i dardi letali.
«No!» gridò Hirad. «Avanti. Continuate ad andare avanti.» Ma la sua voce si perse. Alle sue spalle, il frastuono degli occadi aumentò e sui ciottoli della piazza si sentì il battito dei loro piedi. «Ilkar!» gridò con una voce che era quasi un muggito. Vide l'elfo girarsi dalla sua parte. «Scudo di Pietra! Difendi l'uscita.»
Una freccia sfiorò sibilando l'orecchio destro di Hirad, conficcandosi nella spalla di un vecchio. L'uomo cadde, e altri si fermarono per aiutarlo. Il barbaro li spronò a continuare, mentre scavalcava il corpo. «Non fermatevi. Non potete aiutarlo. Correte.» Con l'Ignoto di nuovo accanto, incitò e spinse i julatsani fuori dalla piazza, attendendosi a ogni passo che una freccia si conficcasse nel corpo di qualcuno.
I dardi continuavano a cadere, ma venivano lanciati sulla folla per scatenare ulteriore panico. Chi non si era disperso dopo le prime frecce aveva deciso di correre a capofitto e di affidarsi alla fortuna.
Hirad vide davanti a sé Ilkar lanciare l'incantesimo, Erienne e Denser impegnati a preparare la magia che avrebbe abbattuto gli edifici davanti agli occadi. Di fronte a loro, i soldati julatsani invitavano coi cenni la gente a proseguire, aiutandola a raggiungere la relativa sicurezza lungo un percorso che Hirad sapeva essere sempre più minacciato.
«Ci siamo quasi», gridò il barbaro. «Continuate a correre.»
Le frecce non cadevano più sulla folla, grazie allo scudo di Ilkar. Hirad e l'Ignoto raggiunsero la fila di soldati, si fermarono e si voltarono. Gli occadi erano a meno di cento passi.
«Ora, Denser», supplicò Hirad. «Ora, Erienne.» Lui e l'Ignoto allargarono le braccia e indietreggiarono, spingendo i soldati.
«Martello di Terra!» esclamarono insieme Denser ed Erienne.
Il terreno brontolò e si mosse. Hirad percepì un'onda attraverso il corpo, via via che la scossa si spostava verso la piazza, aumentando d'intensità. Continuando a indietreggiare, vide la carica degli occadi vacillare, lontana ancora una quarantina di passi, mentre l'onda d'urto si avvicinava agli edifici.
Sotto il nemico si aprirono alcune crepe, mentre il terreno era percorso da scosse violente. Gli occadi furono scagliati a terra, costretti a fermarsi e a tenersi in equilibrio. Alle loro spalle i compagni proseguirono l'avanzata, calpestando quanti erano caduti, finché i corni e le urla non li rallentarono.
I palazzi tremarono, persero qualche pezzo di muro, poi la polvere li avvolse e le tegole precipitarono. Denser ed Erienne alzarono di scatto le braccia verso il cielo, prima di abbassarle e tenerle perpendicolari al corpo; poi si voltarono e scapparono.
«E ora di andare, Ilkar», disse il barbaro. «Tieni su quello scudo, se puoi.»
L'elfo annuì. Hirad lo afferrò per un braccio e lo portò via, tenendo sempre d'occhio la scena alle sue spalle.
Lastre di pietra alte due volte un uomo volarono in cielo, per conficcarsi poi nella strada in una ventina di punti, lanciando ovunque una pioggia di ciottoli e di fango. La terra si sollevava sotto gli edifici e sotto i piedi degli occadi, seminando caos e distruzione mentre tremori e onde aumentavano d'intensità via via che diventavano più mirati.
Con uno schianto netto che echeggiò nel cielo, gli edifici sul lato sinistro della piazza crollarono; le pietre precipitarono a cascata, coprendo la fuga dei julatsani. Pochi istanti dopo, anche gli edifici sulla destra della piazza cominciarono a ondeggiare, lastra dopo lastra, scagliando pezzi di ardesia e di legno e disperdendo la linea degli occadi. Dall'altra parte della strada si aprì una spaccatura nel terreno che si allungò da sinistra a destra, sollevando sbuffi di polvere e raggiungendo in alcuni punti la larghezza di un passo.
«Sfruttiamo l'occasione!» tuonò Hirad. «Forza, dritti al College. Andiamo!»
La guardia cittadina ripiegò e serrò i ranghi mentre abbandonava le strade della città. Erano stati addestrati proprio per quell'azione specifica. Esercitatasi per anni a combattere strada per strada, a ripiegare in sicurezza al successivo collo di bottiglia e a compiere azioni di guerriglia per indebolire e demoralizzare gli aggressori, la guardia si portò efficacemente verso il College.
All'interno del cordone di soldati, il Corvo si occupò dei civili, incoraggiandoli, mentre gli scudi dei tre maghi offrivano protezione dalle frecce che continuavano ad abbattersi sulla folla in fuga.
Hirad sapeva che i crolli degli edifici non avrebbero trattenuto a lungo gli occadi, e già i lanci di frecce indicavano che i nemici stavano avanzando lungo vicoli paralleli, pur non in numero sufficiente da sopraffare l'abile guardia cittadina, che respingeva ogni tentativo di aggressione. C'era tuttavia un punto debole nella loro linea e, quando guardò indietro e vide la ritirata sotto controllo, Hirad prese la sua decisione. «Ignoto!» gridò al di sopra delle urla della folla e degli ordini sbraitati dai capitani della guardia. «Il mercato meridionale.»
L'Ignoto annuì. «Corvo! Corvo, con me!»
Abbassati gli scudi, i tre maghi si misero in formazione dietro la coppia di guerrieri e corsero nello spazio aperto del mercato meridionale di Julatsa dove, in tempo di pace, venivano venduti cereali e altri prodotti agricoli.
La piazza del mercato risuonava delle grida di soldati e civili e del clangore delle armi mentre gli occadi bersagliavano l'esigua linea difensiva, incuranti degli incantesimi che seminavano morte tra le loro file.
Hirad si diresse a sinistra, dove la linea julatsana veniva ricacciata indietro, senza avere bisogno di controllare che i compagni fossero con lui. Vedeva centinaia di occadi riversarsi in un'ampia strada di accesso e buttarsi all'attacco; davanti a loro c'erano una ventina di guardie e un paio di maghi, uno dei quali sollevava uno Scudo di Pietra ogni volta che partiva un lancio di frecce.
«Denser, ci servono Globi di Fiamma. Ilkar, aiuta il mago con lo scudo. Erienne, fa' qualsiasi cosa tu possa fare per tenere lontano gli occadi. Ignoto, con me.» Hirad si gettò nel centro della linea nemica, affondando con furia la spada.
L'Ignoto diede istruzioni al capo della squadra julatsana.
«Prendi metà dei tuoi uomini e difendi la ritirata a sud. Lascia i maghi con noi. Fa' muovere la gente. Le cose stanno andando bene, ma non siamo ancora salvi.»
«Sì, signore», rispose il soldato.
Alcuni attimi dopo, l'Ignoto era al fianco di Hirad e si stava facendo spazio con la spada; fendeva l'aria, tracciando un cerchio stretto verso l'alto. Scagliò a terra un guerriero che aveva cercato disperatamente di bloccarlo. Quegli sbatté contro i compagni più indietro; il manico della sua ascia si spaccò e le sue mani si ricoprirono di sangue.
Hirad assestò un pugno in faccia all'uomo che lo fronteggiava; poi gli affondò la spada nello stomaco. «'Signore'?» sbottò, scuotendo la testa. «Ignoto, sei sicuro che sapesse chi sei?»
L'Ignoto si arrischiò a lanciare un'occhiata al barbaro, mentre tracciava un arco con l'ascia bipenne senza colpire nulla, ma tenendo tutti a distanza. Piegò la bocca leggermente verso l'alto e scrollò le spalle. «Ha semplicemente riconosciuto l'autorità, quando l'ha avuta di fronte.»
Hirad sorrise. «Sei proprio un arrogante bastardo.»
«È il vantaggio di avere uno spadone così grosso.» L'Ignoto ammiccò e sollevò l'arma.
L'assalto alla linea julatsana si era leggermente affievolito; l'arrivo del Corvo aveva rivitalizzato la guardia cittadina. Gli occadi non erano poi così determinati a fare breccia nella piazza; un'espressione preoccupata comparve fugacemente sui loro volti mentre le frecce continuavano a rimbalzare sugli scudi magici.
In quella tregua parziale apparvero i Globi di Fiamma di Denser, che sfrecciarono sopra le teste della prima linea nemica e atterrarono nel folto del gruppo, provocando morte, panico e confusione.
Pur essendo una scena cui aveva assistito molte volte in passato, Hirad dovette farsi forza di fronte all'orrore delle fiamme magiche che divoravano armature e carne, ardevano intense come nella forgia di un fabbro ed erano difficili da spegnere. Gli occadi colpiti morirono tra urla terribili. Gli altri ruppero le righe e si sparpagliarono, abbandonando i compagni che si strappavano via le pellicce nel vano tentativo di spegnere il fuoco.
Hirad e l'Ignoto erano pronti per il contraccolpo: l'istinto di allontanarsi dal centro dell'incantesimo spinse infatti gli occadi verso di loro. I due guerrieri del Corvo guidarono i julatsani, colpendo il nemico con forza e violenza e spingendoli verso le spade della guardia cittadina.
Prima che i fuochi magici di Denser languissero, una Pioggia di Fuoco si abbatté tra le file sconcertate degli invasori, che si dispersero e ripiegarono alla rinfusa.
«Tornatevene a casa, occadi!» gridò Hirad. «Non conquisterete mai Balaia orientale.»
Lui e l'Ignoto si chinarono sui caduti, finendo coi pugnali quanti erano ancora in vita. Raccolsero asce, spade e coltelli abbandonati, mozzando le mani che li stringevano.
«Abbiamo guadagnato un po' di tempo», disse l'Ignoto, guardando dietro di sé, mentre si riallineava con Hirad e passava il carico di armi ai soldati pronti a combattere. «Ma solo un po'. Guarda quel movimento.» Indicò un punto, facendo oscillare la spada.
Gli occadi si erano rimessi in formazione a una trentina di passi di distanza, in prossimità del punto in cui un vicolo stretto incontrava la strada principale. Dietro quella linea, altri guerrieri si dirigevano a nord verso il College. Non erano numerosi, ma era presumibile che stesse accadendo lo stesso dal lato opposto del mercato.
«L'ultima cosa che ci serve è subire un attacco consistente prima di essere al riparo dentro le mura del College», disse l'Ignoto. «Ci serve maggior forza più in su, vicino alle mura.»
La piazza si stava svuotando rapidamente e ormai era occupata soprattutto da guardie cittadine e soldati.
«Credo che ce ne dovremmo andare», suggerì Hirad. «Se non lo facciamo, verremo ben presto travolti.»
L'Ignoto annuì. «Sono d'accordo. Al mio segnale, arretriamo. Denser, Erienne, pensate a Ilkar.»
Udendo le voci tranquillizzanti del Corvo, i julatsani cominciarono a indietreggiare dalla piazza. Gli occadi avanzarono invadendo la strada, pur sempre cauti e a una trentina di passi di distanza.
«Scudo giù», annunciò Ilkar. «Aspettate. Non va bene: se ci caricano, ci sconfiggeranno. Dobbiamo tenerli ancora più lontani. Ci servono Coni di Forza statici che coprano ogni uscita della piazza. Qualsiasi mago in grado di lanciare incantesimi lo faccia. Hirad, fidati di me.»
«Come sempre», replicò il barbaro.
Ilkar cominciò a effettuare la magia. «Resterò con lui. Gli altri cerchino quei maghi.»
«Non è questo il momento di separarci», disse l'Ignoto. «Siamo il Corvo.» Prese a battere ritmicamente la punta della spada sulla pietra ai suoi piedi.
Accostatisi alla spalla di Ilkar, Denser ed Erienne formarono una linea di maghi.
Hirad fu pervaso da un senso di calma. Sorrise e si voltò verso il nemico.
La sommessa cantilena dell'elfo cessò e fu data la parola d'ordine. Il Cono di Forza, invisibile e impenetrabile, si scagliò verso gli occadi che avanzavano.
«Scudo di Pietra su», disse Erienne.
«Ilkar è al sicuro», aggiunse Denser.
La superiorità numerica ebbe la meglio sulla paura della magia: gli occadi caricarono. Urla infuriate scaturirono dalle loro labbra mentre asce e spade riflettevano i primi raggi di luce del mattino. Ma, fatti solo pochi passi, la carica s'interruppe bruscamente quando i guerrieri cozzarono contro il Cono di Forza, che sbarrava efficacemente la strada.
Gli occadi rimbalzarono contro la superficie invisibile, barcollarono e caddero a terra. Quelli più indietro, non capendo quanto stava succedendo, superarono i compagni stesi a terra, solo per scoprire la verità tra nasi sanguinanti e asce che schizzavano via dalle mani. Per un po' lo sconcerto soppiantò la rabbia, mentre i guerrieri si tiravano su perplessi, raccoglievano le armi e avanzavano di nuovo cautamente, con le mani tese fino a incontrare la barriera invisibile.
Hirad li osservò con una sorta di distaccato piacere, fiducioso in entrambi gli incantesimi dei maghi del Corvo.
L'Ignoto controllava la piazza alle loro spalle, valutando la difesa degli altri ingressi e calcolando quando sarebbe stato il momento di scappare.
Gli occadi considerarono rapidamente il problema. Gli attacchi al Cono erano inefficaci; le frecce si spezzavano all'impatto o rimbalzavano, ripiombando sulla forza retrostante. Gli arcieri spostarono l'attenzione ai margini del Cono, ne saggiarono l'altezza scagliando le frecce via via più in alto, fino a oltrepassarne il bordo, ma i dardi ricaddero sullo Scudo di Pietra eretto da Erienne. Il fallimento stroncò ogni nuovo grido di esultanza degli occadi, che tacquero e indietreggiarono di un paio di passi. Sapevano di essere davanti a una magia che non riuscivano a penetrare, ma possedevano un'ultima arma. Il tempo. Nessun incantesimo poteva durare per sempre.
Hirad osservò il Corvo. Ilkar ed Erienne erano profondamente concentrati a mantenere gli incantesimi. Denser teneva una mano sulla spalla di Erienne, intento a controllare la magia. L'Ignoto era arretrato di qualche passo per avere una visione migliore dell'intera piazza; aveva la fronte aggrottata, ma non era accigliato: la situazione non era critica.
Hirad si voltò di nuovo verso il nemico e ne osservò la frustrazione crescente. Incrociò lo sguardo di un guerriero e sfoderò un ampio ghigno. L'uomo aveva il volto sporco di sangue e la pelle delle nocche lacerata; stringeva con forza il manico dell'ascia. Gli occhi, scuri e dallo sguardo meditabondo sotto le grosse sopracciglia, spiccavano su una faccia rovinata dalle intemperie e dalle battaglie. Labbra sottili, grandi orecchie e una chioma ribelle incorniciavano il volto dall'aria sdegnosa.
Hirad inclinò la testa, assunse un'espressione dura e si raddrizzò. «Pensi di potermi prendere?» domandò.
Il guerriero, evidentemente in grado di capire qualcosa del dialetto orientale, annuì.
«Sai contro chi stai combattendo? Siamo il Corvo. Siamo il vostro incubo, la vostra morte.» Hirad vide l'altro cambiare posizione e alzare l'ascia in segno di sfida.
«Dovevi proprio farlo?» chiese l'Ignoto. «Così li rendi più cattivi.»
«Non abbastanza.» Hirad vide l'Ignoto mordersi il labbro. «Che c'è?»
«Non ci sono maghi a sufficienza nella piazza. Gli occadi stanno tempestando di frecce le zone in cui sanno che non abbiamo scudi. È solo questione di tempo prima che uno dei Coni ceda.»
«I prigionieri?»
«Hanno sgombrato la piazza, ma procedono lenti. Più in su nel corridoio di sicurezza sono in corso degli scontri.»
«Quanto tempo pensi che abbiamo?» domandò Hirad.
«Quanto in gamba sono gli arcieri?» replicò l'Ignoto.
«Abbastanza.»
Un rombo echeggiò nella piazza. Qualche istante dopo, una delle guardie julatsane superò di corsa la posizione del Corvo, diretta a nord.
«Se restiamo, moriremo», affermò Hirad.
L'Ignoto annuì e si accostò a Ilkar. «Dobbiamo andare. Quando ti stringo la spalla, molla il Cono e scappa. Non voltarti a guardare.»
La risposta dell'elfo fu un lieve cenno del capo. Denser riferì lo stesso messaggio a Erienne.
«Pronti? Hirad, Denser?» L'Ignoto vide i loro bruschi cenni di conferma, posò una mano sulla spalla di Ilkar e gliela strinse.
Il julatsano tese le mani e il Cono saettò in mezzo agli occadi prima di disperdersi, abbattendo una decina di guerrieri e creando un momentaneo scompiglio. Al Corvo bastò.
«Scappate!» gridò Hirad, e tutti fuggirono.
Denser afferrò Erienne, più lenta, tra le braccia e schizzò in cielo con le Ali d'Ombra.
Il barbaro guardò a destra: vide un'ondata di occadi gettarsi nello spiazzo, e davanti a loro un pugno di soldati e maghi julatsani cercare disperatamente di evitare la catastrofe.
La colonna di prigionieri, persa ormai ogni sembianza di ordine, scappava verso il College. Su entrambi i lati della piazza, la guardia cittadina e quella del College erano impegnate in una dura battaglia contro gli occadi, intenzionati a bloccarli con una manovra a tenaglia.
I tre del Corvo, protetti dallo Scudo di Pietra di Ilkar, si posizionarono in retroguardia. Sopra di loro, Denser volteggiava, mentre Erienne lanciava una Pioggia di Fuoco per interrompere la carica e guadagnare tempo prezioso. Mentre si avvicinavano ai punti difensivi sulla strada che portava al College, l'Ignoto e Hirad sbraitavano ordini alla guardia julatsana perché si disimpegnasse.
Raggiunsero veloci la colonna di prigionieri, con le mura del College che incombevano enormi a poca distanza. Grandi cortine di fuoco magico chiudevano la via per la porta meridionale sullo spiazzo acciottolato, davanti all'antica scuola, e nascondevano i mucchi di cadaveri che marcivano là dov'erano stati lasciati.
Erano vicini a trovare riparo, tanto vicini, ma i difensori dell'ultimo vicolo cedettero sotto l'impeto degli occadi, e il nemico si riversò in strada agitando le armi intorno alla folla terrorizzata.
«Denser, blocca l'accesso!» tuonò l'Ignoto, mentre aumentava il passo verso la breccia che minacciava di bloccarli.
Hirad imprecò e si gettò nella calca, fracassando con la spada la schiena di un guerriero nemico che aveva conficcato l'ascia nel cranio di un vecchio uccidendolo proprio quando la salvezza era in vista.
Denser ed Erienne si portarono sui nemici. La Pioggia di Fuoco iniziò a cadere e stavolta fu un vero diluvio: una coltre di gocce infuocate piombò sulle pietre, sui mattoni, sui corpi.
L'Ignoto, che grazie allo slancio aveva acquisito molta forza, abbatté due guerrieri nemici. «Correte. Raggiungete la porta!» gridò.
L'esercito degli occadi invase la strada, una gragnola di frecce rimbalzò fragorosa sui muri e ricadde sui julatsani in fuga.
Hirad squarciò le cosce di un altro nemico, si chinò e raccolse un bambino che gli era caduto davanti ai piedi. «Via! Via», gridò.
Ilkar mollò lo Scudo di Pietra e balzò in avanti, con l'Ignoto che lo precedeva di poco. Sopra le loro teste, gli incantesimi lanciati dai maghi julatsani solcavano il cielo: fuoco, ghiaccio e grandine si abbattevano sull'esercito nemico. Là dove i guerrieri venivano atterrati dalla magia, contro cui erano impotenti, la carica rallentava e si arrestava.
«Chiudete i cancelli», gridò Hirad mentre si avvicinavano, e le guardie della porta eseguirono.
Il Corvo s'infilò nell'apertura rimasta. Le grandi porte di legno rivestite di ferro si richiusero con fragore, l'incantesimo di Chiusura Difensiva permeò il legno con un sibilo; le ultime frecce cozzarono innocue.
Hirad posò il bambino, che si aggrappò urlante alla sua gamba con la bocca spalancata per la paura e con gli occhi colmi di lacrime. Il barbaro pulì e rinfoderò la spada. Poi si sentì addosso gli sguardi degli amici, li vide sorridere tra un ansito e l'altro per riprendere fiato. Alzò le spalle e diede qualche colpetto affettuoso sulla testa del bimbo; il volume del pianto aumentò. «Sei al sicuro adesso», disse Hirad. «Calmati.»
Denser atterrò lì vicino. Erienne si allontanò a precipizio dalle sue braccia per staccare il bimbo dalla gamba del barbaro. Se lo tenne al petto e gli batté delicatamente la schiena. Il piccolo le aveva gettato le braccia al collo. «Non sai proprio niente di bambini?» domandò a Hirad, ma c'era affetto nella sua voce, non rabbia.
«Non molto.» Il barbaro sorrise. «Grazie.» Si guardò intorno nel cortile del College: pullulava di cittadini sconcertati ma sollevati, alcuni dei quali ebbero la presenza di spirito di ringraziare i soccorritori, prima che le guardie del College li portassero via, ansiose di sgombrare gli spazi esposti a rischio di attacchi.
Intanto il fuoco di fila d'incantesimi era cessato. Al di là delle mura gli occadi rumoreggiavano, sospettosi della magia; ben presto tuttavia quella calma apparente sarebbe svanita. I soldati delle guardia cittadina erano già stremati per la battaglia, i maghi avevano esaurito le proprie energie, e non era neanche sorta del tutto l'alba.
Il Corvo doveva trovare i testi di Septern. Ma prima aveva un obbligo da assolvere, un impegno che non poteva essere rimandato.
Hirad indicò l'infermeria. «Corvo, andiamo. Abbiamo una veglia da effettuare.»
I mercenari attraversarono con passo solenne il cortile del College. Di Thraun non c'era traccia.