Capitolo 30

Lord Senedai ordinò di fermarsi per montare il campo e per far riposare gli uomini dopo tre giorni di dura marcia, nonché per chiedere agli spiriti di schierarsi con loro nella battaglia imminente. Non c'era urgenza di attaccare la forza che circondava le rovine della casa di Septern, diventata per gli occadi l'icona di tutti i mali della magia. Molti guerrieri che sedevano intorno agli stendardi e ai fuochi non avrebbero mai creduto di arrivare fin lì. Gli spiriti li avevano guidati e avrebbero dovuto dare loro la forza di vincere. Gli sciamani, pur privati della magia distruttiva, si ritrovarono così al centro dell'attenzione e del rispetto di tutte le tribù.

Senedai si sarebbe dovuto sentire estremamente sicuro di sé. I guerrieri mascherati che difendevano la casa erano circondati; non avevano via di fuga ed erano in minoranza in un rapporto di circa uno a venti. Con l'alba sarebbe giunto il massacro e, dopo, l'inseguimento per catturare il Corvo, non importava fin dove. Avrebbero annientato il gruppetto di mercenari, ponendo fine al disperato tentativo di trovare gli aiuti citati dal mito. Era quello che aveva detto ai suoi guerrieri mentre li passava in rassegna con aria tracotante.

Tuttavia in quel momento, mentre si trovava solo, i dubbi cominciarono ad assalire Senedai come mai era successo prima, davanti alle porte di Julatsa. Si ritrovò a chiedersi se gli ottomila che aveva lasciato ad amministrare la città, a sorvegliare i prigionieri e ad assistere i feriti non fossero i veri fortunati. Si erano visti privare della possibilità di conquistarsi ulteriore gloria, si erano ritenuti quasi disonorati. Senedai avrebbe quasi voluto essere rimasto con loro com'era diritto di un Lord vittorioso.

Si trovava ai margini dell'accampamento, oltre le sentinelle più lontane, e guardava verso le rovine. Il piccolo esercito contava quattrocentosettantasei guerrieri mascherati; il giorno prima aveva ordinato a un esploratore di contarli. Tutti dotati della stessa armatura e delle stesse armi, tutti potenti e tutti con quelle orrende maschere. E in quel momento tutti in piedi, silenziosi, immobili.

Senedai rabbrividì e guardò dietro di sé per essere sicuro che nessuno lo avesse visto. C'era qualcosa di profondamente inquietante nell'immobilità di quei guerrieri, nel loro stare dritti come fusi, nel tenere le mani giunte davanti. Solo le loro teste tradivano qualche movimento mentre seguivano l'ammassarsi delle forze nemiche. Sarebbero stati avversari formidabili e Senedai era più che certo che, quando avesse ordinato agli arcieri di tirare, non sarebbero rimasti lì ad aspettare. Quella era la migliore occasione per creare un punto debole nella loro formazione, eppure il pensiero che lo caricassero, sebbene fossero in numero esiguo, lo turbava.

Diede le spalle alla residenza di Septern, e nella luce rossa del sole morente pensò al segno sopra Parve. Il buco nel cielo. Il giovane mago aveva blaterato all'infinito dei draghi che si sarebbero riversati su Balaia attraverso di esso, e Senedai non era tanto sicuro che fosse una menzogna. Per quella ragione, in fondo, si trovava lì e per quella ragione Lord Tessaya gli aveva ordinato di distruggere a tutti i costi le rovine della casa fino alle fondamenta e d'inseguire il Corvo per ucciderlo. Tessaya sapeva che là c'era una porta, un passaggio per un altro luogo.

Senedai fu colto da un altro brivido e si avviò verso la tenda. L'intero posto sapeva di magia e di male. Gli faceva accapponare la pelle. Si augurò che Tessaya arrivasse prima che lui fosse costretto ad attaccare da solo.

 

I baroni Blackthorne e Gresse insieme col generale Darrick attraversarono lentamente a cavallo le rovine di Understone, con una guardia serrata di trenta cavalieri, anche se tutti e tre capirono subito che non era necessaria. L'esercito aveva proseguito la marcia verso est in direzione di Korina stando ben lontano dal passo Understone, senza aspettarsi resistenza - come in effetti era accaduto - in prossimità della pista principale. Gli oc-cadi che stavano inseguendo non erano andati a ovest verso la loro patria.

Mentre superavano al trotto le porte bruciate della palizzata da poco costruita e incendiata, sotto lo sguardo vuoto di due vedette date alle fiamme, Darrick aveva scorto il primo schizzo rosso e si era voltato verso i suoi dicendo: «Tenete per voi quello che vedrete. Non sarà piacevole».

Mentre si fermavano nel centro della città, o in quello che supponevano fosse il centro, quelle parole suonarono così prive di senso. Non sarà piacevole. L'enormità dell'eufemismo poteva quasi sembrare umoristica, ma ridere sarebbe stato il sommo oltraggio.

In tanti anni di vita militare, Darrick pensava di avere visto tutto. Aveva visto gli zoccoli dei cavalli fracassare i crani di uomini stesi a terra che urlavano per chiedere aiuto. Aveva visto giovani tenersi il ventre coi visceri che fuoriuscivano tra le dita e con gli occhi sgranati che cercavano speranza nei volti degli amici. Aveva visto arti staccati da corpi sani, mascelle falciate via, occhi trafitti da frecce e asce che spuntavano dalla testa di uomini che ancora camminavano, troppo scossi perfino per accorgersi di essere morti. Aveva visto le ustioni spaventose del fuoco e del freddo che la magia poteva arrecare col semplice sussurro di una parola e, in tempi più recenti, la terribile devastazione dell'acqua che aveva inondato il passo Understone gettando i corpi lacerati e lividi nelle spaccature nella roccia. Sempre tuttavia c'era stata una sorta di giustificazione: la guerra era un impegno che entrambe le parti sostenevano, consapevoli dei probabili esiti in termini di sofferenza.

Lì a Understone tuttavia era molto diverso. La città di Blackthorne era stata distrutta, ma la popolazione era fuggita nelle campagne o si era unita all'esercito del barone. La stessa scelta non era stata concessa agli abitanti di Understone: quel massacro era stato del tutto intenzionale.

Darrick scosse la testa. Conosceva il modo di ragionare di Tessaya, e quello non rientrava nei suoi metodi. A giudicare dalle rovine bruciate, gli occadi avevano fortificato Understone. La palizzata circondava quasi l'intera città, costellata di vedette armate. Trincee e fossi erano stati scavati all'esterno delle mura di legno, e varie roccaforti erano state realizzate in posizioni difensive lungo tutta la città. Tessaya aveva in mente un'occupazione a lungo termine.

Eppure qualcosa aveva mutato in modo radicale e orribile i suoi piani. Ogni edificio era stato bruciato sino alle fondamenta, le pietre erano state abbattute a una a una, e tutto ciò che gli occadi stessi avevano costruito si trovava ormai in pezzi o ridotto in mucchi di cenere. Ovunque c'erano corpi sparsi. Un massacro rituale: gola tagliata, occhi cavati, ventre aperto, corpo disposto con gambe e braccia divaricate in direzione del sole nascente.

Dovevano essercene più di trecento. I soldati della guarnigione di Understone e quelli della forza delle quattro Città College. Erano morti da un giorno; i nugoli di mosche riempivano l'aria col loro sinistro ronzio mentre corvi e altri animali mangiatori di carogne aspettavano che i cavalieri li lasciassero all'inatteso banchetto. Il tanfo di putrefazione era sempre più forte.

«Per tutti gli dei che ci guardano, cos'è successo qui?» La voce di Gresse era un basso sussurro. Scese da cavallo e rimase immobile in un atteggiamento di rispetto. Il resto dei cavalieri lo imitò.

«È un avvertimento», disse un soldato. «Vogliono farci paura.»

«No», replicò Blackthorne. «Sono loro ad averla.»

«Avevi visto già una cosa del genere?» chiese Gresse, incredulo.

Blackthorne scosse la testa. «È documentato nella biblioteca di Blackthorne, o meglio lo era. Non è la prima volta che gli occadi invadono Balaia orientale.»

«Allora cos'ha spinto Tessaya a farlo?» chiese Darrick.

«Suppongo che l'incendio sia solo per impedire a chiunque di beneficiare di quanto aveva fatto costruire. I sacrifici - perché di questo si tratta - sono tutt'altra cosa. Quando gli occadi vanno in battaglia, gli sciamani chiamano gli spariti perché si schierino dietro di loro e li benedicano dando loro forza. Quando temono che il nemico sia più forte, sacrificano gli avversari per tenere lontano il male che credono li insegua. Questi poveri disgraziati sono le vittime di un rituale sciamanico; sono collocati verso il sole nascente perché gli occadi sostengono che l'alba dona la vista agli occhi delle divinità dei nemici e che ciò che vedono toglie loro il coraggio.»

Gresse si accigliò. «Hanno paura di noi?»

«Non credo. Non di noi», affermò Darrick. «Qualcosa ha spaventato Tessaya al punto di indurlo ad abbandonare i suoi piani. Di solito è un uomo molto attento. Ritiene che l'invasione possa fallire e, ovunque sia andato, crede che sia una mossa determinante per la sua campagna.»

«E, ovunque vada, i suoi lacchè lo seguiranno», aggiunse Gresse.

«Sì. Sembra che ora daremo la caccia al pesce grosso, non più all'intero branco», convenne Blackthorne.

Darrick increspò le labbra. «Prima, però, tutti questi uomini devono avere l'onore di una pira.»

«Il tempo è fondamentale», replicò Blackthorne in modo un po' brusco. «Questi uomini non ci ringrazieranno se i loro assassini ci sfuggiranno mentre seppelliamo i loro corpi.»

Darrick lo guardò freddamente. «Prenderemo Tessaya, questo è certo. Abbiamo ottomila uomini che stanno marciando verso est. Unitevi a loro e mandate indietro la mia cavalleria. Noi provvederemo affinché questi uomini abbiano l'onore che si meritano. Vi raggiungeremo prima del tramonto.»

«Scusatemi, generale», disse Blackthorne. «Con le mie parole non intendevo...»

Darrick fece un gesto con la mano. «Capisco, barone, e non per questo vi rispetto di meno. Ma non posso lasciare i miei uomini a putrefarsi in questo grottesco mattatoio. Voi provereste la stessa cosa, al mio posto.»

Blackthorne sfoderò un sorriso e rimontò a cavallo. «Certo, generale. Siete una brava persona. Vi prego, prendetevi tutto il tempo che vi serve.»

«Il tempo è una cosa che possediamo in misura molto limitata. Ma, almeno, per noi non è ancora scaduto.»

 

Il Corvo lasciò il Choul molto prima dell'alba. I maghi avevano discusso fino a tarda notte; Hirad ne aveva sentito le voci basse nel sonno che era stato stranamente frammentato: continuava a destarsi e riaddormentarsi. Quand'erano stati svegliati da Jatha, il barbaro si era sentito stanco e irritabile, e aveva colto lo stesso stato d'animo negli occhi degli amici e in quelli di Styliann.

Anche se il sole non aveva raggiunto la pianura, ancora avvolta nell'ombra, in cielo c'era abbastanza luce per poter vedere. In ogni direzione si trovava solo erba alta. La semioscurità era, a suo modo, confortante; Hirad provò un senso di sicurezza che sapeva essere fasullo. Nelle tenebre ci si poteva nascondere da altri esseri umani, ma né la gente di Jatha né i draghi avevano problemi a vedere al buio. Viaggiare in quelle condizioni poteva solo mettere il Corvo in una posizione di ulteriore svantaggio. Hirad lo riferì all'Ignoto che annuì, come se pensasse la stessa cosa.

La formazione era variata rispetto al giorno prima. Se Jatha e i suoi facevano ancora strada, i maghi del Corvo si erano spostati più indietro per continuare a parlare con Styliann, lasciando i Protettori a sorvegliare la retroguardia, e Hirad, l'Ignoto e Thraun a occuparsi dei fianchi. Chiuso nel suo mondo d'infelicità e di senso di colpa per la morte di Will, Thraun avrebbe senza dubbio combattuto, all'occorrenza, ma niente di più. Mangiava ciò che gli mettevano davanti, dormiva, faceva la guardia quando glielo chiedevano e rispondeva alle domande sul terreno e sulle piste. Per il resto, si era completamente ripiegato su se stesso.

A metà mattina il terreno, inizialmente piatto e uniforme, cominciò a innalzarsi. All'inizio blandamente, poi in modo più ripido; anche se salite e discese non erano mai molto lunghe, stroncavano le forze. Ormai perfino Jatha, che teneva un passo molto sostenuto, appiattiva l'erba della pianura e la spezzava attraversandola in fretta.

Hirad notò come Jatha lanciasse di continuo occhiate verso lo squarcio mentre i suoi, con la fronte aggrottata, scrutavano il suolo da entrambe le parti. «Non hai mai la sensazione che ci sia qualcosa che non vada?» domandò il barbaro all'Ignoto.

«Certo. Dovremmo considerare la possibilità di essere attaccati.» L'imponente guerriero si passò da una mano all'altra la spada ancora inserita nel fodero.

«Fammi parlare un attimo con Jatha.» Hirad avanzò e gli toccò una spalla.

Il servitore dei Kaan si girò e fece un sorriso forzato, anche se dai suoi occhi traspariva preoccupazione.

«Cosa c'è che non va?» domandò il barbaro.

Jatha aveva un'aria perplessa.

«Pericoli?» Hirad indicò il cielo e gesticolò come aveva fatto il servitore per indicare un drago.

Jatha annuì vigorosamente. «Presto battaglia in cielo. Noi attenti.» Indicò i propri occhi e poi l'area circostante. «Altra battaglia.»

Hirad annuì. «Va bene, Corvo. Presto potremmo avere compagnia dal cielo e dalla terra. Prepariamoci. Thraun, Ignoto, ai fianchi destro e sinistro. Ilkar, lo scudo. Denser ed Erienne, incantesimi d'attacco, per favore.»

Davanti, due coppie di servitori si staccarono dal gruppo principale e scomparvero in mezzo all'erba, con le spade sguainate. Jatha proseguì aumentando ancora il passo fin quasi a trotterellare.

Hirad lanciò una breve occhiata verso Styliann. «Presumo che io possa lasciarvi la difesa della retroguardia.»

Styliann assentì. «Da dietro non avremo problemi.»

Nel cielo, la difesa dello squarcio era stata rafforzata. Hirad stimò che circa settanta draghi Kaan stessero volteggiando in formazione stretta. Le loro grida echeggiavano sull'intera pianura; era un suono ossessionante, che innervosiva il barbaro: quegli strilli acuti e quei brontolii sommessi suonavano alieni alle sue orecchie. Mosse le spalle, sentendo un formicolio alla nuca; guardò involontariamente dietro di sé, e rabbrividì.

All'inizio erano punti neri in alto nel cielo; arrivavano da un luogo oltre la valle boscosa che avevano percorso il giorno prima. Ma, via via che si avvicinavano, Hirad vide le loro forme, lunghe, sottili e veloci. Erano più di venti e volavano in un unico scaglione puntando dritti allo squarcio. I versi dei Kaan si fecero più pressanti e i draghi preposti alla difesa abbandonarono le formazioni prestabilite per disporsi in gruppi di attacco di cinque o sei e partire in direzione del nemico.

«Andare», disse Jatha. «Attenti.»

Hirad fece per avviarsi, ma una variazione nel movimento in cielo attirò il suo sguardo: un drago si era staccato dal gruppo e stava puntando in basso sulla pianura, mirando proprio a loro. «Corvo, rinfoderate le spade e dimenticate gli incantesimi. Dobbiamo scappare. Protettori, anche voi, altrimenti morirete.» Il barbaro indicò la sagoma che si stava precipitando verso di loro. Sarebbe arrivata loro addosso in un baleno.

«Hirad!» Jatha lo stava tirando per un braccio, con voce angosciata. Alle sue spalle, gli altri servitori erano agitati. Jatha allargò bene le dita delle mani, poi aprì le braccia. «Andare», disse, ripetendo il gesto. Gridò un ordine ai suoi, che si sparpagliarono all'istante nell'erba, ciascuno in una direzione diversa.

Hirad afferrò l'idea. «Corvo!» urlò. «A due a due, a distanza di tre passi. Corvo, con me!» Senza attendere di vedere se Styliann fosse con loro, si buttò in mezzo all'erba sentendo al fianco l'Ignoto e Ilkar. Guardò a destra e a sinistra, riuscì a stento a vederli, ma non poté individuare gli altri mentre incespicavano e si facevano strada a fatica tra l'erba alta e fitta che ostacolava ogni passo.

Stavano correndo alla cieca ed era tutto affidato al caso. Mentre sferzava i gambi pieghevoli, Hirad immaginò il drago scendere in picchiata ridendo di fronte ai pietosi tentativi di sfuggirgli, intento a scegliere la prima vittima. Nessuno di loro aveva una possibilità. Se il drago avesse sputato fuoco, tutti sarebbero diventati cenere fluttuante nell'aria.

Il barbaro provò rabbia all'idea che Sha-Kaan li lasciasse così indifesi e urlò mentalmente il nome del Grande Drago, chiedendo assistenza, supplicando che andasse a salvarli. Incespicò, per poco non cadde, e soffocò un grido mentre un brutale pensiero si faceva strada nella testa che gli martellava. Era l'incubo diventato realtà. Al castello di Taranspike aveva sognato di correre su un terreno spaccato senza arrivare da nessuna parte, ma il risultato era sempre lo stesso: veniva preso, e la pelle gli veniva bruciata sulle ossa mentre restava lì impotente.

Un'ondata di calore si abbatté sulla pianura, a poca distanza, accompagnata da una luce rossa mentre le fiamme si propagavano nell'erba. Nessuno urlò, ma d'altronde non ne avrebbero avuto il tempo. Hirad pregò che Jatha non fosse stato colpito e aumentò il passo. Un fumo denso invase il cielo mentre l'erba secca veniva avvolta dal fuoco.

Con un movimento vorticoso in mezzo al fumo, il drago - una bestia lunga più di venti passi - girò per prepararsi a un altro attacco. Il suo corpo azzurro e liscio scivolava agile in cielo, le sue ali battevano a tempo. L'ombra era nera sul terreno e le ali enormi sbattevano come vele mentre fendevano l'aria, spostandola con grandi spinte ed emettendo un rumore simile all'ululato del vento intorno agli edifici.

Con lucida certezza, Hirad capì che il drago sarebbe andato di nuovo a cercarli. Continuò a correre a spalle chine e con le braccia sollevate per proteggersi la faccia. A neanche dieci passi di distanza, il terreno digradava di colpo; era la loro unica chance. «Corvo!» ruggì il barbaro per sovrastare il rumore del fuoco, le grida degli altri e i richiami di un centinaio di draghi. «C'è un pendio proprio davanti. State bassi!» Percepiva il drago volteggiare dietro di loro. Proseguì, fece l'ultimo passo spiccando un mezzo balzo e si lanciò giù per il pendio rotolando più e più volte; l'erba, il suolo e le pietre gli si paravano davanti mentre precipitava.

Hirad faticò a controllare la velocità; il terreno era più ripido di quanto avesse pensato. Sopra la sua testa, una grande fiammata sferzò l'aria incenerendo l'erba sulla sommità della scarpata e scatenando un altro incendio che infuriò e consumò la vegetazione circostante. Il calore si riversò lungo il pendio; l'ombra scorreva veloce mentre il drago allargava gli arti per rallentare. Hirad arrivò sul fondo e si fermò di colpo contro l'Ignoto, con la polvere che offuscava l'aria, seguito da una cascata di terriccio.

I due si aiutarono a vicenda ad alzarsi. Ilkar si trovava a pochi passi di distanza; scosse la testa mentre lui si metteva seduto tutto avvolto dalla polvere e il fumo oscurava l'aria più in alto. Un odore acre di bruciato giunse fin laggiù; il rumore del fuoco appiccato dal drago era vicino.

«Corvo!» gridò Hirad. «Rispondetemi, se mi sentite. Venite da questa parte.»

Thraun apparve al suo fianco e fece un brusco cenno.

«Eccoci», disse Erienne. Sanguinava per un taglio sul mento; Denser la cingeva con un braccio alla vita. «Forse non è il posto più adatto per una donna incinta», commentò la maga. Hirad doveva avere palesato la sua preoccupazione perché lei subito sorrise. «Ma ci vuole molto più di una scivolata sull'erba per fare del male al figlio di un mago.»

«Il fumo in cielo ci nasconderà, ma il fuoco ci ucciderà se rimaniamo in zona», disse l'Ignoto. «Dobbiamo allontanarci e risalire il pendio opposto. Il vento soffia da est a ovest, perciò suggerisco di andare a est.»

«D'accordo. Allontaniamoci dal fuoco. E copritevi la bocca, se potete.» Hirad prese un panno dalla tasca e se lo legò intorno alla bocca. Provò un sollievo istantaneo dal fumo che soffocava il cielo sopra di loro e si stava spostando, pronto a invadere la bassa fenditura in cui si erano nascosti.

Il fuoco ardeva ai due lati guadagnando costantemente terreno lungo la scarpata alle spalle e sulla destra, via via che percorrevano veloci la base della fenditura.

Mentre risaliva il pendio opposto nella direzione stabilita, Hirad cercò di percepire il drago all'attacco o qualche segno di vita da parte di Jatha e dei suoi, ma non ci riuscì. Preoccupato da quell'apparente e improvvisa ritirata, sguainò la spada quasi per riflesso e si voltò verso l'Ignoto, per dirgli di fare lo stesso. Udì un fruscio nell'erba e stava per chiedere a Ilkar uno Scudo di Pietra, quando una freccia corta colpì Thraun alla spalla sinistra.

«Scudo su», annunciò l'elfo.

«Corvo, attento ai fianchi. Denser, credo che qui sarà più utile la spada», disse il barbaro. «Thraun, come stai?»

Una seconda freccia rimbalzò sullo scudo, seguita da una terza.

«Ha colpito solo la carne. Sanguino, ma posso combattere.» Dalla voce monocorde non traspariva nessun indizio del dolore che Thraun doveva provare.

Hirad udì Erienne bisbigliare mentre formava una sagoma di mana, che lui si augurò non contenesse fuoco. Altre tre frecce rimbalzarono contro lo scudo magico, poi alcune grida precedettero un rumore di erba calpestata e di piedi che correvano. «Eccoli che arrivano», disse il barbaro. «Aspettatevi spade corte; sapete cosa aveva Jatha.»

Tre uomini con la testa rasata balzarono fuori, bassi e muscolosi, tutti con una mazza tozza di punte. Mentre caricavano, gridarono in una lingua che Hirad non riuscì a capire, con un'espressione di odio sul volto. Alle loro spalle ne stavano arrivando altri.

Il barbaro si piegò all'indietro e sferrò un colpo incredibilmente poderoso con la spada, esponendo così il fianco destro del nemico. Recuperò veloce l'equilibrio e alzò di scatto l'arma mozzando l'orecchio dell'uomo che cercava di schivarla; quindi gli assestò un colpo mortale, fracassandogli le ossa.

Denser pugnalò la sua vittima al petto e l'Ignoto liquidò in maniera ancora più rapida l'avversario. Il gruppo d'inseguitori tentennò. Se i primi si erano lanciati all'attacco spinti dall'odio e dalla bramosia, gli altri si fermarono a guardare chi avevano di fronte, ne valutarono forza e altezza, studiarono la dimensione delle armi allineate davanti a loro.

«Avvicinatevi», disse il barbaro ai compagni. «Tenete d'occhio i fianchi. Erienne, darei un'altra dimostrazione, se sei pronta.» Il nemico stava indietreggiando. Hirad ne valutava i movimenti. «Attaccheranno di nuovo. Non frontalmente. Erienne, la parte davanti è tua.»

La maga gli si accostò alla spalla, aprì i palmi e pronunciò una sola parola. Il Vento di Ghiaccio spazzò il terreno annientando uomini e vegetazione nel raggio di una ventina di passi. I guerrieri del Corvo avanzarono rapidi dietro il suo gelo. Grida di puro terrore si levarono tutt'intorno; all'improvviso l'unico rumore fu quello dei piedi che correvano mentre i nemici si voltavano e fuggivano.

«Ottimo», commentò il barbaro. Continuò ad avanzare spedito attraversando la zona di devastazione che Erienne aveva creato; i corpi di cinque o sei uomini, congelati per sempre in uno stato di terrore, giacevano sparpagliati nei paraggi. Mentre risaliva il pendio, Hirad vide che il terreno si appiattiva di nuovo; sulla destra, una coltre di fumo copriva la pianura. La domanda era: dov'erano Jatha e Styliann?

Il Corvo si fermò. Erienne si voltò per occuparsi della spalla di Thraun. Il barbaro osservò lo squarcio, intorno al quale era in corso una furiosa battaglia: le fiamme illuminavano il cielo pieno di draghi che si buttavano in picchiata e poi risalivano. Un paio di quelli che dalle dimensioni sembravano Kaan inseguirono un nemico solitario; gli sputarono fiamme sulle ali, poi lo afferrarono per il collo, torcendoglielo con violenza prima di mollare. La vittima precipitò, senza vita.

Da tre direzioni altri draghi sopraggiunsero per unirsi alla lotta, ma degli aggressori del Corvo non c'era traccia. Per un po' tutti fissarono il cielo guardando le immense creature scontrarsi con vigore, velocità e agilità: era una visione senza eguali. Per Hirad fu un duro memento della statura degli umani nel conflitto; fino ad allora erano stati fortunati, si disse, ma per la prima volta da quando avevano affrontato i Lord stregoni sentì che non erano davvero padroni del proprio destino. Se un drago li avesse voluti morti, sarebbero morti.

«E ora?» chiese Denser.

«Restiamo vigili», rispose il barbaro. «Controlliamo in alto e intorno. Abbiamo bisogno che Ilkar mantenga lo scudo. Erienne potrebbe averli spaventati, ma possono tornare. Nel frattempo, dobbiamo pensare a trovare gli altri.»

«Ammesso che siano da trovare», disse Erienne. Aveva applicato un tampone di stoffa sulla ferita di Thraun.

Il mutaforma afferrò la freccia con la destra e la tirò con forza, grugnendo per il dolore. Il sangue impregnò il panno scorrendo sulle mani di Erienne, che bloccò rapida il flusso, borbottò alcune parole e premette con più energia.

«Continua a premere», disse la maga, prendendo la mano di Thraun e posandola sul punto di pressione. «Ho chiuso la ferita all'interno, ma devi cercare di non usare il braccio per il resto del giorno.»

«Grazie.»

Erienne gli accarezzò la guancia, con la mano sporca di sangue. «Caro Thraun...» Il suo volto angosciato comunicò tutto quello che non avevano fatto le parole.

C'erano nemici nell'erba e nemici in cielo. Il Corvo si era fermato proprio al di sotto dell'orlo della spaccatura.

«Che facciamo?» domandò Hirad.

«Bisogna andar via di qui», rispose l'Ignoto. «Sappiamo di dover puntare verso le montagne. Possiamo ancora farlo.»

«Vado su», affermò Denser. «Darò una rapida occhiata in giro, cercherò d'individuare gli altri e i nostri aggressori. Che ne dite?»

«È rischioso», osservò Ilkar con voce flebile, tanto era concentrato sullo Scudo di Pietra.

«Non più che muoversi qui alla cieca», replicò lo xeteskiano. «E ci serve Styliann. Ha gli scritti di Septern.»

«Va bene», disse Hirad.

«Sta' attento», si raccomandò Erienne.

Denser annuì. «Non starò via per molto.»

Con un paio d'Ali d'Ombra studiate per andare veloce, il mago oscuro si alzò rapido in volo, capendo subito quanto fosse vulnerabile in un mondo dominato dai draghi. Sebbene fossero lontani, occupati a combattere sopra lo squarcio mentre le loro grida, le loro fiamme e la loro forza creavano uno scenario alieno, Denser si sentì tutti gli occhi addosso. Rabbrividì e guardò la scena sotto di lui.

L'area intorno alla posizione del Corvo era sgombra. Gli aggressori si stavano allontanando verso est; il loro incedere era contrassegnato dall'ondeggiare discontinuo dell'erba. Non sapeva dire quanti fossero, ma non rappresentavano un pericolo significativo. Il rischio più grande che vedeva era il fuoco che imperversava in tre punti, vomitando ondate di fumo nel cielo mentre devastava incontrollato la pianura. Il rogo più vicino aveva invaso gran parte della spaccatura in cui si erano nascosti e si propagava furtivo in tutte le direzioni; il vento ne rallentava ma non ne fermava l'avanzata.

Due aree più grandi bruciavano intensamente alla sua destra e a Denser fu subito chiaro come i draghi avessero rovinato la loro terra; solo una pioggia torrenziale avrebbe potuto impedire al fuoco di devastare tutta l'immensa pianura.

Guardandosi intorno, il mago non vide altro che cielo blu e nubi leggere; quel giorno non ci sarebbe stata tregua al fuoco.

Continuò a volare al di là delle fiamme, in direzione delle montagne, supponendo che chiunque fosse sopravvissuto avrebbe cercato di proseguire. Fu ben presto ricompensato dalla vista dell'erba che ondeggiava e si appiattiva lungo un itinerario approssimativo.

«Styliann», mormorò. Poi si abbassò sopra l'erba e li invitò a fermarsi.

Nelle vicinanze vedeva tre Protettori disposti ad ampio arco; anche se non sembravano seguire nessuno, dal movimento dell'erba Denser capì che Styliann era lì, nascosto da un Occulta Cammino. Non una cattiva idea per qualcuno cui non interessava l'incolumità dei compagni.

«Styliann, fermatevi. Dobbiamo riunirci.»

«No. Dobbiamo allontanarci. Ho perso Jatha, e tre dei miei Protettori sono stati uccisi.»

«Calmatevi, il drago è sparito.»

«Non ci credo.»

Come a dar credito a quelle parole, un ruggito fece capire a Denser che non tutto andava bene.

Sbucando dal fumo, l'immensa creatura si abbassò e afferrò uno degli uomini di Jatha, o forse Jatha stesso, per librarsi di nuovo in aria. Tagliò in due la preda, con le zampe anteriori, e si cacciò entrambi i pezzi in bocca mentre il sangue schizzava e spruzzava ovunque.

Denser sentì il cuore martellargli nel petto e si ritrasse di riflesso, faticando a mantenere la concentrazione. Aveva il respiro irregolare e la bocca secca; il suo corpo fu scosso da un brivido. Quando si asciugò il sudore dalla fronte, si accorse che la mano gli tremava.

«Togliti dal cielo, Denser, sei un bersaglio facile. E costringi Hirad a chiamare i suoi maledetti amici draghi, altrimenti moriremo tutti.» Styliann e i Protettori cambiarono direzione di fuga. «E smettila di segnalare la mia posizione.»

Denser si allontanò in volo, consapevole di essere totalmente esposto. Tenendosi al di sopra dell'erba, puntò rapido verso la posizione del Corvo sorprendendosi della distanza che aveva percorso e calibrando le ali per andare più veloce.

Sentì allora il drago urlare. Guardandosi alle spalle, lo vide inclinarsi e virare. «Oh, dei del cielo.» Sentiva il battito delle ali dell'animale che si precipitava verso di lui; si buttò allora ancora più in basso rasentando gli alti fili d'erba. Trattenendo il fiato, si gettò nel fumo prodotto dal fuoco che stava devastando la pianura; poi svoltò bruscamente a sinistra e sorvolò la linea delle fiamme. Quando uscì di nuovo nell'aria pulita, vide che il drago aveva proseguito dritto e perso di vista il Corvo. Sfruttando il poco tempo che gli restava, Denser tornò veloce verso i compagni e si fermò per atterrare proprio mentre il drago si accorgeva di essere stato ingannato e virava: non avrebbe impiegato molto a raggiungerli. «Svelti, giù per il pendio», disse mentre toccava terra. «Il drago sta tornando. Erienne, ci serve qualsiasi cosa che possa parare il fuoco: un altro Scudo di Pietra. Io tenterò una difesa col Vento di Ghiaccio.»

Lanciarono gli incantesimi mentre procedevano veloci, tenendosi in formazione stretta con Hirad che li esortava a ogni passo. Sapevano che era un'impresa disperata; stavano correndo di nuovo verso le fiamme.

L'ombra del drago passò sopra di loro ancora una volta; la forza di quelle ali era spaventosa. Lo videro tutti inclinarsi e virare per percorrere l'intera spaccatura. Un attimo dopo aprì la bocca per sputare fuoco.

Ma non furono mai colpiti. In cima alla gola, due mascelle enormi afferrarono il drago per il collo e lo scagliarono sul terreno. Le fiamme illuminarono il cielo, due versi squarciarono l'aria e uno venne bruscamente interrotto. L'ombra di Sha-Kaan comparve sopra il Corvo, enorme e confortante. Mentre rimaneva sospeso a mezz'aria, il Grande Kaan respirò grandi boccate d'aria; dalla sua bocca gocciolava sangue. Il sollievo del Corvo era palpabile.

«Ho sentito la tua chiamata, Hirad, ma ero lontano. Allontanatevi dal fuoco e dirigetevi verso le montagne, vi porterò gli altri balaiani e Jatha. Dovete essere pronti a chiudere la porta quando il globo di luce raggiungerà la sua altezza tre volte a partire da ora.» Detto ciò, Sha-Kaan sparì.

Denser crollò a terra. «Datemi un istante.»

«Muoviti quando sentirai troppo caldo, eh», lo punzecchiò Hirad, indicando le fiamme e il fumo a pochi passi. «A proposito, bella mossa, quella del fumo; peccato però che ti abbia visto atterrare. Lavoraci su per la prossima volta.»

Denser alzò lo sguardo con la rabbia negli occhi, che tuttavia svanì quando vide il sorriso sul volto del barbaro. «Divertente, Coldheart, molto divertente.»

Hirad gli tese la mano. «Vieni, abbiamo ancora un bel pezzo da fare.»