Capitolo 31

Lord Senedai si svegliò all'odore dei fuochi dell'accampamento, della carne che si cucinava e dell'umidità, oltre che al vociare degli sciamani che guidavano i guerrieri con canti e con preghiere per chiedere agli spiriti e agli antichi signori della guerra di schierarsi con loro quel giorno. Si girò sul basso giaciglio, con lo sguardo puntato sul tetto leggermente gonfio della tenda. Ascoltò i suoi uomini, percepì il sussurro del vento nel campo e fece un sospiro lento e profondo; poi si mise a sedere, si sfregò la faccia e si passò la mano tra i capelli tutti annodati.

«Servo!» gridò.

Subito la tela che copriva l'ingresso della tenda fu scostata ed entrò un guerriero giovane e alto, poco più di un ragazzo. Il corpo abbronzato era muscoloso e i capelli rasati come previsto dal suo rango. «Mio signore.»

«Le pellicce da battaglia e la colazione», ordinò Senedai.

«Sì, mio signore.» Il servo fece un mezzo inchino e uscì dalla tenda.

Senedai si tirò su con riluttanza e sbirciò fuori: sotto una pioggia leggera, l'oscurità che precedeva l'alba era interrotta solo dai fuochi per cucinare che costellavano l'accampamento. L'uomo contrasse la mascella e tornò nel relativo tepore della tenda. «I canti propiziatori hanno funzionato», bofonchiò.

Un campo di battaglia bagnato era proprio ciò che gli serviva. Sì, il sangue avrebbe reso viscido il terreno sotto i piedi, ma la pioggia sull'erba lo avrebbe reso scivoloso fin dall'inizio, e Senedai sentiva che avrebbero avuto bisogno di ogni più piccolo aiuto nonostante la superiorità numerica schiacciante.

Durante la notte insonne aveva valutato ogni alternativa. Gli sarebbe piaciuto avere a disposizione le catapulte, ma erano ancora a Julatsa, in attesa di essere spostate a Dordover. Poteva tentare di sopraffare il nemico con la semplice forza numerica, calpestandolo nel fango, ma era una carica che avrebbe dovuto guidare di persona e non aveva nessun desiderio di morire quel giorno.

Mangiò, si vestì in fretta e uscì sotto un cielo che si stava rischiarando. Fu avvicinato da un guerriero, che gli porse un messaggio. «Chi lo ha portato?» gli chiese.

«Un cavaliere da Understone, mio signore. È arrivato poco fa.»

Tessaya ha inviato un rapporto. Bene. Senedai tolse il sigillo mentre si dirigeva verso un fuoco che emanasse abbastanza luce da consentirgli di leggere. Si fece strada fra i guerrieri che affilavano le armi, sollevavano pellicce, si addestravano. Ascoltò i familiari rumori di un campo al risveglio: cani che abbaiavano, ordini che venivano impartiti, fuochi che crepitavano, tende che sbattevano, uomini che scattavano, canti che si levavano da ogni parte. Era difficile non sentirsi sicuri della vittoria. I nemici non avevano dove scappare, e anche a un osservatore inesperto sarebbe stato chiaro che erano troppo pochi.

Eppure Senedai sentiva un dubbio nella profondità del suo essere. Quando lesse il messaggio, le sue paure si moltiplicarono. Aveva sperato di vedere Tessaya marciare sul campo per rendere certa la vittoria quel mattino. Invece c'era stato un cambiamento di programma. Tessaya aveva avuto notizie che una grossa forza stava avanzando da sud. Senedai avrebbe dovuto portare a termine l'impresa senza aiuti, così diceva il messaggio; Tessaya si sarebbe unito alle forze di Taomi per schiacciare il nemico del Sud. Si sarebbero ricongiunti in seguito sulla strada per Korina, mentre i rinforzi avrebbero potenziato la difesa di Julatsa. La vittoria era assicurata, concludeva il messaggio. Gli spiriti sorridevano loro e le divinità dei nemici avrebbero distolto lo sguardo.

Ma Tessaya non deve affrontare quello che è toccato a me.

Quando il sole illuminò il cielo, mostrando i Protettori perfettamente immobili sul terreno davanti alle rovine, così come lo erano stati al calare della sera, Senedai rabbrividì e pregò che gli si presentasse una soluzione per non finire umiliato.

Alle sue spalle, un cane abbaiò e una voce aspra lo zittì. Il comandante degli occadi gettò il messaggio nel fuoco e chiamò i luogotenenti per impartire gli ordini di battaglia.

 

Nella luce del tardo pomeriggio il generale Darrick si sedette a un tavolo per consultare le mappe, con Blackthorne, Gresse e un mago specializzato in comunione mentale. Gli occadi si erano fermati e accampati; gli esploratori avevano segnalato che Tessaya e i resti della forza del Sud erano riusciti a ricongiungersi. «Cosa sta accadendo?» chiese Gresse, perplesso. «Stanno succedendo cose strane. Mi dispiace non avervelo detto, ma non sembrava essercene motivo. E, in ogni modo, dovevamo tutti affilare le asce contro gli occadi.»

«Quali cose, con precisione?» insistette Gresse. «Vi sembrerà assurdo, ma è tutto vero, ve lo giuro», disse Darrick. Si guardò intorno, per essere sicuro che nessuno origliasse. «C'è uno squarcio nel cielo, sopra Parve, e si sta allargando. A quanto pare, quando la sua ombra coprirà la città a mezzogiorno, i draghi c'invaderanno. Non chiedetemi come o perché. Il Corvo e Styliann sono partiti in cerca di un modo per chiuderlo. Adesso, però, gli occadi stanno mettendo in pericolo anche se stessi, sebbene ciò sembri ridicolo. E noi dobbiamo fermarli.»

«Ma perché gli occadi li hanno inseguiti? Più di diecimila guerrieri si sono messi a rincorrere sei persone?»

«Sì, ma pensano che il Corvo porterà qui i draghi. Hanno frainteso la situazione, e ciò rende molto difficile affrontarli. Questo spiega perché Tessaya si sia mosso. Guardate.» Darrick indicò la mappa. «Il piano di Tessaya era marciare su Korina mentre l'esercito meridionale saccheggiava Gyernath e quello settentrionale prendeva Julatsa, per tagliare quindi i rifornimenti lungo l'intera via, da nord a sud, alle Città College più forti, Xetesk e Dordover. Di Lystern, se ne sarebbe potuto occupare dopo. Ha migliaia di uomini per difendere entrambe le città e il passo, perciò è tranquillo. Sa anche, o pensa di sapere, che l'Est non ha una difesa coordinata; quindi, anche se il Ruba Aurora ha eliminato i Lord stregoni e la loro magia, ritiene ancora di poter conquistare tutta Balaia. Di conseguenza, vuole Korina per tagliare la principale via di rifornimento est-ovest e piegare il morale dei balaiani orientali.

«Ma non tutto è andato secondo i suoi piani. Tanto per cominciare, Gyernath è sopravvissuta al violento assalto ed è ancora in piedi. Voi due e il vostro variegato esercito avete fatto a pezzi il resto della forza meridionale, cosa di cui è venuto a conoscenza solo molto di recente. Poi il Corvo è riapparso a oriente, come del resto Styliann e il sottoscritto, ed è sfuggito all'assedio di Julatsa. Presumibilmente torturando qualche prigioniero, Tessaya viene a sapere perché il Corvo è fuggito, anche se si tratta delle risposte sbagliate. Sa che deve muoversi rapidamente e, mentre lo fa, comincia a lasciare il deserto dietro di sé, sapendo che non possiamo ancora prendere il passo e che deve ostacolare i nostri approvvigionamenti. Sta andando dritto a Korina, ma non vuole condurci verso la residenza di Septern e rischiare che impediamo all'altro suo esercito, anch'esso diretto a Korina, di catturare e uccidere il Corvo. Farei lo stesso, se credessi nelle loro superstizioni. Da solo, il Corvo ha già distrutto forze apparentemente indistruttibili, e Tessaya è sicuro che possa rifarlo. Meglio non correre pericoli, si sarà detto; meglio vederli tutti morti.»

«Quindi ci combatterà solo per impedirci di raggiungere Senedai?» Gresse aveva un'aria scettica.

«Per questo, ma anche perché è meglio combatterci là che nei pressi di Korina dove crede, sbagliandosi di nuovo, che riceveremo aiuti consistenti. Forse tali da sconfiggerlo.» Darrick aveva il cuore che gli batteva all'impazzata e vedeva le varie tessere del mosaico incastrarsi nella mente dei baroni.

«Ma tutto ciò è irrilevante, se Senedai uccide il Corvo», affermò Blackthorne. «Perché, se ha ragione a proposito dei draghi...»

«L'unica possibilità per tutti noi - occadi o balaiani orientali - è che Senedai venga fermato», terminò Darrick.

«Tessaya non ci crederà», affermò Gresse. «Che gli dei possano precipitare, non sono nemmeno sicuro di crederci io.»

«Supponiamo che tutto ciò sia giusto. Quanto potranno resistere i Protettori?» chiese Blackthorne. «Abbastanza da far sì che il Corvo porti a termine l'impresa? Da permetterci di evitare Tessaya e colpire Senedai?»

Darrick scosse la testa. «Per quanto riguarda il Corvo, non lo so. Tutto ciò che so è che non riusciremo ad aggirare Tessaya, non con un esercito così grosso. Ci ha già individuato con gli esploratori.»

«Allora dovremo combatterlo?» Gresse non era per nulla turbato all'idea.

«No. Se combattiamo e vinciamo, ci vorranno come minimo due giorni.» Darrick sorrise per quanto stava per dire. «Abbiamo solo una scelta. Sebbene possa sembrare inverosimile, dobbiamo avere il suo aiuto.»

«Allora che facciamo?» domandò Blackthorne, anche se conosceva la risposta e stava già lottando per mettere da parte il desiderio di vendetta.

«Lo raggiungeremo il più rapidamente possibile, cercheremo di apparire più forti di quello che siamo e lo convinceremo a mandare un messaggio a Senedai.»

 

Hirad sapeva che sarebbe stato bello, lo aveva intuito dalle sensazioni nella sua mente quando Sha-Kaan gliene aveva parlato, ma non immaginava così tanto. Avevano risalito un ripido pendio roccioso per più di un centinaio di passi, col sole di un arancione intenso che splendeva dallo stesso cielo azzurro che li aveva accolti all'arrivo nella dimensione dei draghi.

Il resto del viaggio era stato una corsa tesa attraverso la pianura devastata dal fuoco. I sopravvissuti si erano riuniti a un'ora di distanza dal punto in cui il drago Veret aveva attaccato; se il Corvo era illeso, a eccezione di qualche graffio, solo Cil e altri due Protettori rimanevano dei sei che avevano oltrepassato lo squarcio, e Jatha aveva perso sette uomini.

Styliann non aveva detto una parola su quanto aveva visto quando i Protettori erano morti, ma il sussulto che aveva avuto quando un drago Kaan li aveva sorvolati, di ritorno alla terra natia, era bastato a Hirad per capire. Il signore di Xetesk era impallidito ed era apparso scosso; per la prima volta, il barbaro aveva effettivamente provato comprensione per lui.

La battaglia nei cieli era stata vinta, anche se con enormi difficoltà. Hirad aveva avvertito il dolore di Sha-Kaan mentre diceva ai suoi di scegliere una stirpe, i Veret, e di attaccarla finché non l'avessero scacciata spezzandone il morale e la neonata alleanza con un'altra stirpe nemica.

Sha-Kaan aveva assegnato ai balaiani quattro draghi come scorta, nonostante l'attenzione in più che ciò avrebbe inevitabilmente attirato. Così avevano proseguito, turbati da quanto avevano vissuto fino ad allora e consapevoli dello spaventoso potere distruttivo di ogni singolo drago. Niente lo dimostrava meglio della pianura, che avevano lasciato dopo un ulteriore giorno di viaggio per addentrarsi fra le colline sassose ai piedi delle montagne avvistate dalla foresta morta. Quando si voltarono a guardare, notarono le cicatrici e le ferite nel terreno che sarebbero rimaste aperte per molto tempo.

La pianura non brillava più a perdita d'occhio, azzurra e rossa per le fronde. Sotto una coltre enorme di fumo e di cenere, un bagliore giallo e arancione indicava che il fuoco ardeva ancora consumando vorace e insaziabile la rigogliosa vegetazione. Là dove le fiamme si erano già spente, la terra era annerita, devastata fino alle radici e anche oltre. Le piante prima o poi sarebbero ricresciute, ma non per quello la scena apparve meno terribile.

«Un solo drago», mormorò l'Ignoto mentre osservavano immobili, come ipnotizzati, la distesa infinita di fumo e di fiamme. «Uno solo.» Quelle parole li indussero ad aumentare il passo in salita.

Poco dopo, il Corvo guardò per la prima volta la patria dei Kaan. Il pendio che avevano risalito si era appiattito formando un altopiano di roccia scavata, con un promontorio che sovrastava la loro terra. Tutt'intorno si apriva un altro mondo. Un tappeto verde ondeggiante ricopriva un'ampia valle. Le foglie grosse, attaccate a rami enormi che si allungavano sotto la superficie, dondolavano leggermente. Hirad poté solo immaginare la dimensione dei tronchi su cui crescevano. La luce del sole penetrava coi suoi deliziosi raggi colorati nei pallidi tentacoli di nebbia; lo sfondo desolato dei monti con le cime imbiancate, che digradavano sino a formare scure pianure, completava il quadro.

Ma non era solo quello lo spettacolo che Hirad aveva visto. Nel cielo sopra il tetto di foglie, i Kaan volteggiavano e si gettavano in picchiata. Alcuni planavano aggraziati e volavano in cerchio, altri invece ripiegavano le ali per gettarsi veloci tra gli alberi. I corpi dorati scintillavano nella luce arancione mentre ruotavano; quando scomparivano, si trascinavano dietro vortici di nebbia. Si chiamavano lanciando versi di benvenuto, di addio, di tristezza, di amore e di devozione duratura alla stirpe; erano versi gutturali, oppure grida sorde che echeggiavano sulle pareti della valle. Toccarono il cuore e i sensi di Hirad, permeandolo del calore del senso di appartenenza, in netto contrasto col freddo della guerra che ogni giorno carpiva qualche Kaan al cielo.

Il barbaro sentì le gambe cedergli e si accovacciò, piegandone una. Posò la mano destra a terra e si protese a guardare. Sarebbe potuto restare lì per tutto il giorno, tale era la maestosità dei Kaan e della loro patria. Sentì una mano sulla spalla e alzò lo sguardo: era Ilkar. «Incredibile!» esclamò il barbaro, indicando lo splendido paesaggio. Tornò quindi a posare lo sguardo sui Kaan, sugli alberi e sulla nebbia che ricopriva la valle mentre una brezza calda e umida gli investiva il viso.

«Se vivessi fino a cinquecento anni, questo sarebbe il ricordo incancellabile in punto di morte», disse Ilkar, in un tono che esprimeva tutta l'emozione per quella meraviglia.

«Non preoccupiamoci solo di Balaia. Questo è quello che stiamo cercando di salvare. E per questo non possiamo fallire.» Hirad si alzò e si asciugò gli occhi umidi.

Anche Jatha osservava la patria, con aria quasi sbalordita. «Casa», mormorò.

«Vedi cosa significa per loro? Avrà visto questo spettacolo centinaia di volte, eppure...»

Ilkar annuì. «Dobbiamo provarci. Ma bisogna anche essere realistici riguardo alle possibilità di riuscita.»

«Parliamone mentre camminiamo. Penso che Jatha sia ansioso di arrivare a destinazione, come del resto anch'io.»

Il servitore li condusse a una scala intagliata nella roccia della montagna. Ripida e rivestita di muschi, scendeva sotto lo strapiombo girando e piegando in mezzo alle spaccature, dietro le cascate e intorno ai giganteschi alberi tra le cui foglie si annidavano altri tentacoli di nebbia che più giù si trasformavano in nubi.

A mano a mano che il gruppetto scendeva in mezzo alle nuvole striate di arancione, l'atmosfera si fece calda e umida, la vista risultò offuscata e i gradini divennero viscidi e bagnati, infidi per quanti non avevano il passo sicuro. Davanti al Corvo, Jatha e i suoi sgambettavano con provetta sicurezza. La voce del servitore contrastava nettamente col suo incedere mentre continuava a gridare: «Attenti!» nella nebbia.

Per i balaiani il cammino fu molto più lento. Appoggiandosi alla roccia su cui scorreva acqua o si trovava una sottile patina di limo, si tennero lontani dal precipizio. Hirad, che seguiva Ilkar, aveva deciso di non fare domande finché non fossero usciti dalla nebbia, ma, anche quando ciò accadde, passò molto prima che riuscisse a trovare le parole.

Dopo un po' la nebbia si assottigliò e si dissolse sotto lo strato di foglie, concedendo una prima visione della patria dei Kaan. Un'area vasta e pianeggiante con rocce, erba e un fiume si estendeva sotto la nebbia che rifletteva una luce calda e delicata sulla terra sottostante conferendo alla patria dei draghi un'atmosfera tranquilla, serena allo sguardo. Il fiume che percorreva serpeggiando il centro della valle era di un blu scintillante; dalle numerose cascate che lo alimentavano giungeva nell'aria immobile uno scrosciare d'acqua. L'erba era di un verde intenso tinto di rosso e blu sulla sommità, come la pianura.

Gli edifici sparpagliati sui fianchi della valle - alcuni bassi, piatti e semisepolti, altri scavati in profondità nella roccia -sembravano semplici strutture di servizio. Ma una costruzione magnifica dominava la terra della stirpe; con le pietre bianche lucidate che scintillavano nella luce del sole, la cupola e le torri che si levavano verso il cielo e le straordinarie ali scolpite le cui punte toccavano quasi la nebbia sovrastante, l'Apertura d'Ali era un monumento stupefacente a Sha-Kaan. La faccia del drago intagliata scrutava il regno, i suoi occhi cercavano continuamente potenziali pericoli. A Balaia non esisteva niente del genere e, nonostante la magia, non sarebbe mai esistito; quella era un'opera nata da un rispetto e da una venerazione assoluti.

Tutti i balaiani si erano fermati ad ammirare quello spettacolo. Hirad guardò di sottecchi i compagni: Denser aveva un riverente stupore sul suo volto, Erienne un sorriso rapito che ben si sposava con l'atmosfera di pace e sicurezza. Per il barbaro era come tornare a casa; chiuse gli occhi e lasciò che le sensazioni del Kaan lo investissero: le membra presero a formicolargli, la mente fu pervasa dai pensieri che Sha-Kaan gli infuse. «Non lasceremo che ciò vada distrutto, vero?» chiese agli altri.

«Lo salveremo o moriremo nel tentativo di farlo», affermò Ilkar.

Hirad vide che la determinazione che aveva legato l'elfo al Corvo per dieci anni non si era affievolita. «Be', io non ho intenzione di morire.»

Si affrettarono a seguire Jatha e i suoi, che avevano continuato fino ai piedi della scala e stavano in quel momento attraversando un appezzamento di erba. La camminata si tramutò in una corsa quando raggiunsero il fiume e una serie di pietre da guado.

Nella terra della stirpe si levarono grida di benvenuto, e da una decina di piccole abitazioni di pietra e di paglia giunsero altri vestare. I bambini strillarono di gioia; uomini e donne si fecero avanti per accogliere quanti erano stati troppo a lungo lontani dal santuario. Le risate si diffusero nell'aria, accompagnate tuttavia dai pianti e dal dolore dei familiari di chi non era sopravvissuto, che apprendevano in quel momento della perdita.

Il clima tuttavia cambiò presto e tornò a essere solenne. Tutte le facce si girarono verso i balaiani, mentre avanzavano a grandi passi verso il fiume e lo attraversavano sulle stesse pietre su cui poco prima Jatha era balzato con grazia.

«Benvenuto, Corvo. Hirad, casa.»

«Casa», convenne il barbaro, indicando l'Apertura d'Ali. «Sha-Kaan?»

Jatha scosse la testa. «Aspetta.» Sul suo volto comparve un sorriso. «Mangiare? Bere?» Batté le mani e alcuni vestare si allontanarono veloci per scomparire nelle loro case. Jatha si sedette sull'erba e indicò agli ospiti di fare lo stesso.

I vestare tornarono con piatti pieni di frutta o di carne, caraffe e tazze di legno intagliato. Dalle vicinanze giunse una dolce melodia.

La scena e l'atmosfera erano idilliache, ma Hirad non riusciva a non pensare alla ragione per cui erano lì. Un gruppetto di draghi stava seduto in una zona più lontana, coi corpi massicci distesi nel fiume o sulle rocce piatte; muovevano lentamente la testa per afferrare l'erba fiamma o le carcasse che i vestare portavano loro; avevano tutti ignorato l'arrivo degli sconosciuti. La maggior parte di loro, suppose Hirad, aveva volato intorno allo squarcio, era stata ferita nei corridoi d'interscambio o aveva volteggiato nei cieli sovrastanti. Sha-Kaan, ne era certo, doveva trovarsi all'interno dell'Apertura d'Ali, e a Hirad parve strano che non fosse uscito a salutarli.

Ilkar fece un cenno all'amico. «Prima che parli con Sha-Kaan...»

«Sì, lo so, le nostre possibilità...»

«O la mancanza di possibilità», lo corresse l'elfo. «E non irritarti così, sono solo realistico. Devi sapere con precisione a che punto siamo arrivati.»

Hirad staccò un pezzo di carne e buttò giù il cibo col succo di un frutto dolce, verde chiaro.

«Non va poi tanto male», affermò Ilkar. «È solo che abbiamo tante incognite e congetture. Ma lascia che parta dall'inizio. Ignoto, dovresti ascoltare anche tu.»

«Lo sto facendo.»

«Thraun?»

Il mutaforma si avvicinò di più a Ilkar. Aveva una tazza in mano, ma non aveva toccato cibo.

«La teoria è relativamente semplice, ma senza parametri definiti il potere di qualsiasi incantesimo che lanceremo resterà un'ipotesi. Fondata, ma pur sempre un'ipotesi. Quello che dobbiamo fare, e noi quattro siamo abbastanza forti da farlo sotto lo squarcio, è formare un reticolo di mana che si leghi coi suoi bordi. Tutto questo si basa sugli incantesimi di Septern concepiti per arginare gli squarci e contenerli.»

«Quindi arginerete in modo efficace lo squarcio», disse l'Ignoto.

Ilkar annuì. «Poi dovremo chiuderlo. E questo sarebbe ragionevolmente facile se avessimo da affrontare solo un'estremità, ma non è così: abbiamo un corridoio e un'altra estremità delle stesse gigantesche dimensioni. Tutto chiaro fin qui, Hirad?»

«Tutto quello che non capisco me lo farò spiegare dall'Ignoto quando ve ne sarete andati.»

«Andati dove?»

«Dove non potrete sentirmi mentre mi lamento per come complicate le cose», rispose il barbaro, sorridendo.

Ilkar scosse il capo. «Siamo sicuri che Septern abbia aperto e chiuso corridoi dimensionali e che ci sia una teoria che consideri il tessuto, per così dire, necessario a chiudere un buco nello spazio interdimensionale. Ciò che riteniamo di dover fare è costruire quella che può essere meglio descritta come una 'spoletta' di mana che, ancorata a questa estremità dello squarcio tramite il bordo che realizzeremo, percorra il corridoio girandovi intorno, esca dall'altra parte e avvicini completamente i lati chiudendo lo squarcio e il corridoio a entrambe le estremità.»

«È realizzabile?» L'Ignoto prese un frutto da un piatto che gli era stato avvicinato e ringraziò con un sorriso la donna che lo aveva servito. «Mi sembra molto inverosimile.»

Ilkar sospirò. «Non sappiamo ancora se possiamo farlo. La teoria è lì, nei testi di Septern. Styliann e Denser stanno cercando di associarla alle teorie dimensionali xeteskiane; a quel punto, avremmo un incantesimo capace di chiudere una porta.»

«Ma la difficoltà sta nella 'spoletta', vero?» osservò Hirad.

«Sì. È certamente un'estensione del reticolo di mana che creeremo per contenere lo squarcio da questa parte, ma al momento stiamo facendo soltanto delle ipotesi, e questo è molto pericoloso.»

«Non voglio angosciarvi, ma non c'è tempo per tentare altro», ricordò Hirad. «Dobbiamo lanciare questa cosa domani, altrimenti sarà troppo tardi per i Kaan. E sapete bene cosa significherebbe per Balaia.»

«Lo so, ma abbiamo sempre detto che sarebbe stato difficile.» Ilkar socchiuse leggermente gli occhi; le orecchie gli diventarono rosse. «Sviluppare nuovi incantesimi non è facile.»

«Manteniamo la calma.» L'Ignoto sollevò le mani. «Forse mi sono perso qualcosa, ma perché non lanciate il reticolo che argini lo squarcio da questa parte, lo chiudete, e poi tornate su Balaia e fate lo stesso a Parve?»

Ilkar inarcò le sopracciglia e sorrise. «Bella idea, ma abbiamo dovuto scartarla. Anche presumendo di poter tornare a Parve dalla residenza di Septern, non funzionerebbe. La forza nello spazio interdimensionale è troppo grande e il corridoio resterebbe sempre lì, privo di una seconda apertura. Dobbiamo chiudere anche il corridoio, e il reticolo è di per sé instabile: non durerebbe tanto da permetterci di raggiungere Parve. Per questo siamo dovuti venire qui. Dobbiamo chiudere lo squarcio dalla parte contraria a quella in cui si è formato.»

«Quante possibilità avete di riuscirci?» chiese Hirad, che aveva il piatto ancora pieno ma stava perdendo in fretta l'appetito.

«Se Denser e Styliann non trovano spunti nella teoria dimensionale xeteskiana, non abbiamo quasi nessuna possibilità, perché non abbiamo idea delle forze che agiscono al di là dello squarcio. In caso contrario, ci baseremo sulla migliore ipotesi realizzando una struttura di mana completamente nuova, e non sapremo con certezza se funzionerà finché non lo vedremo coi nostri occhi. In ogni caso, per essere lanciata da terra richiederà tutte le nostre forze combinate.» Ilkar tacque e guardò Hirad con aria grave. «Ci sono minori possibilità di successo rispetto a quelle che avevamo coi Lord stregoni.»

«Sha-Kaan non ne sarà felice», disse il barbaro.

«Be', dovrà convivere con l'idea.»

«O morirci», ribatté Hirad. Si alzò, si scrollò la terra dai vestiti e dall'armatura di cuoio e si avviò verso l'Apertura d'Ali.

«Chi mai vorrebbe essere un dragonene, eh, Ignoto?» Ilkar cercò di sorridere.

«Chi mai vorrebbe essere uno di noi, Ilkar?» replicò l'imponente guerriero.