Capitolo 34
Senedai rifletté cupo sui rapporti che giungevano dall'esercito che circondava il gruppo spaventosamente esiguo di guerrieri mascherati a difesa della residenza di Septern e della porta per la terra dei draghi. Mentre i suoi si stancavano, i nemici sembravano acquisire più forza: i loro movimenti erano calmi, il loro modo di combattere ordinato come mai aveva visto. Sapeva che c'entrava la magia, ma non capiva in che modo: non c'erano maghi, in giro.
Ciò che importava era quanto aveva davanti agli occhi. I cadaveri dei suoi ricoprivano il terreno, tanto fitti in alcuni punti da dover essere trascinati via perché i guerrieri in prima linea avessero un terreno solido su cui combattere. Il pomeriggio avanzava lento; ora dopo ora la pioggia aumentava d'intensità, e con essa la disperazione di Senedai. I guerrieri mascherati non lasciavano brecce; ne erano morti davvero pochi e, anche se gli occadi ne avevano feriti molti, quelli si ritiravano dalla battaglia per curarsi le ferite mentre altri li sostituivano. Avevano una forza e una resistenza straordinarie e un coraggio che Senedai ammirava.
L'incapacità di sopraffarli, nonostante lo squilibrio delle forze in campo, minava la sicurezza e la convinzione degli occadi. Doveva essere una vittoria rapida e invece, mentre il pomeriggio svaniva, Senedai si ritrovava costretto a un'imminente tregua notturna, con l'incubo di dover affrontare un altro giorno di umiliazione. Avrebbe potuto obbligare i suoi guerrieri a combattere alla luce dei fuochi e della luna, ma sapeva che quelle maschere sarebbero state ancora più spaventose al buio; e combattere di notte non rientrava nelle usanze degli occadi, contrariava gli spiriti, anche se a Julatsa lo avevano fatto. Senedai grugnì, maledisse in silenzio il fatto che Tessaya non si fosse fatto vedere, chiamò altre riserve e ordinò un nuovo attacco.
Alla destra di Darrick avvampò un fuoco; gli occadi feriti gridarono di dolore e gli alberi in fiamme gettarono luci violente sulla confusa scena di battaglia. Come aveva sperato il generale, la linea nemica era stata costretta a rallentare e a frammentarsi a causa della densità degli alberi e le prime scaramucce erano andate secondo le previsioni. Coi maghi che evocavano Globi di Fiamma, Fuoco Infernale e Vento di Ghiaccio, la carica degli occadi era stata presto sventata.
Tessaya aveva interrotto l'attacco frontale e mandato una forza consistente verso l'accampamento nemico; si era concentrato su un'area di Grethern larga forse una settantina di passi, sfidando il nemico a serrare le file. Fino a quel momento era stata una tentazione cui Darrick aveva resistito; aveva velocemente riorganizzato le squadre di maghi per prevenire manovre di aggiramento, costretto la prima linea degli occadi a restare esigua, lasciato quattro centurie di riserva perché garantissero una copertura d'emergenza e convocato tutti i maghi affinché compissero scorrerie all'esterno dei fianchi.
Una barriera di metallo che parava altro metallo consentì a Darrick di avanzare. Più avanti, gli occadi avevano respinto tre centurie e stavano sfruttando fino al limite il loro vantaggio. Chiamati i rinforzi, Darrick si precipitò nella mischia dalla sua posizione di controllo, troppo tardi per salvare un gruppetto di maghi intrappolati e fatti a pezzi dai nemici.
«Voglio del fuoco dietro la prima linea! Prima centuria, fianco destro, attaccate a volontà!» ruggì il generale mentre si lanciava in battaglia. Affiancato da veterani e seguito da tre maghi, si buttò nella linea degli occadi, forte di centinaia di uomini, abbassando la spada scintillante su un'ascia in posizione difensiva. «Seconda centuria, protezione dei maghi!»
A destra e a sinistra, gli occadi furono sbaragliati prima che la forza principale reagisse all'attacco. Darrick bloccò un affondo di lancia e colpì in faccia l'aggressore spaccandogli le labbra e il naso; fermò con un piede la punta della lancia prima che l'avversario potesse raccoglierla e gli infilò la spada nel petto.
Dietro la linea di combattimento le urla cessarono improvvisamente; un clangore metallico e un rumore inconfondibile di ghiaccio che si spaccava annunciarono la spaventosa avanzata di un Vento di Ghiaccio. Più in là piovve dal cielo un Fuoco Infernale. Vari corpi volarono in aria, smembrati. L'esplosione dell'incantesimo frastornò le orecchie ad amici e nemici.
Davanti a Darrick, un avversario fu colto da un'esitazione che gli risultò fatale. Il generale non si fermò e lo infilzò sino alla colonna vertebrale; sentì la spada colpire l'osso. Il sangue zampillò sull'erba.
Gli occadi cominciarono a indietreggiare. Darrick ordinò di mantenere la linea; non avevano necessità d'inseguirli e, con la luce pomeridiana che calava rapida sotto la volta della foresta, non avrebbero dovuto resistere tanto a lungo.
«Ci stanchiamo. È comprensibile. La luce svanisce. In basso a destra, blocca ascia. Non proseguiranno l'attacco dopo il crepuscolo. Siate forti. Colpisci a sinistra, un passo indietro. Riposa. Mantieni la linea. Il nostro Affidato lo richiede. Non ci saranno fallimenti.»
Gli arti di Aeb protestavano, ma lui si rifiutava di lasciar trasparire la fatica.
Gli occadi erano al limite della disperazione. Era stata per loro una giornata dura e mancavano di organizzazione; non erano addestrati per la massima efficienza. Però erano diverse migliaia e, sebbene non riuscissero a sfondare, continuavano a resistere. Mancavano meno di due ore al calare della notte e, col cielo grigio e fosco, la luce si affievoliva velocemente.
L'oscurità non faceva differenza per i Protettori: non avevano bisogno di luce per combattere. Aeb abbassò l'ascia, abbattendola sulla spalla di un avversario già affaticato, e con la spada concluse il lavoro. Al suo fianco, la guardia di Oln fu superata; il Protettore fu ferito violentemente alla coscia destra e vacillò, incapace di mantenere l'equilibrio.
«Accovacciati.»
Aeb abbatté l'ascia sul guerriero nemico, che non ebbe neppure il tempo di assaporare la soddisfazione per avere ferito un guerriero mascherato.
«Ritirati. Copre Aeb.»
Oln per poco non cadde all'indietro. Non avrebbe più combattuto, a meno che i fratelli sopravvissuti non gli avessero dato forza. Aeb fracassò col pomo della spada il cranio di un avversario e si voltò verso un altro guerriero nemico, con la mente piena delle parole dei fratelli. Quel giorno trenta Protettori erano morti, e altri cinquanta non erano più in grado di combattere. Avrebbero resistito sino a fine giornata, ma non avrebbero retto a un altro giorno di combattimenti.
Tessaya uscì a precipizio dalla foresta, per udire i veloci rapporti. I balaiani orientali svolgevano rapide azioni di contrasto che lui non aveva previsto ed erano abbastanza forti da combattere faccia a faccia. Gli occadi li avevano affrontati lungo un ampio fronte tra gli alberi e su un fianco più corto che attraversava la pista, dove la battaglia aveva avuto fasi alterne. Gli orientali non si erano dimostrati inclini a incalzare per sfruttare il vantaggio acquisito. Era come se aspettassero qualcosa, ma Tessaya non riusciva a capire cosa. Non c'erano rinforzi in arrivo, di quello era certo.
Scosse la testa e alzò lo sguardo al cielo che si stava scurendo rapidamente. La pioggia ticchettava sul terreno, com'era accaduto per quasi tutto il giorno. In lontananza, in cinque o sei punti nella foresta, ardevano roghi; Tessaya sentiva il calore di quelli più vicini, pur sapendo che non sarebbe durato. Niente durava sotto la pioggia.
I suoi uomini, insanguinati e coraggiosi, avevano assaltato il nemico per tutto il pomeriggio senza tuttavia riuscire a fare breccia o ad attirarlo in campo aperto. Il nemico aveva opposto una fiera resistenza, e la magia era in buona parte responsabile di quell'inaspettato successo.
«Cosa stanno difendendo?» chiese Arnoan, ponendo la domanda che Tessaya non si era mai posto.
Il Lord delle tribù Paleon si accigliò. Sentì un'ondata gelida sulla schiena quando finalmente capì. «Da quanto combattiamo?»
«Forse da tre ore, mio signore.»
«Sono un idiota!» borbottò. Poi la sua voce si trasformò in un ruggito. «Paleon, sganciatevi! Revion, mantenete la posizione! Taranon, attaccate il fianco orientale!» Si voltò quindi verso Arnoan, afferrò l'anziano per il colletto e avvicinò a sé il volto rugoso. «Trova Adesellere. Non deve lasciare che c'in-seguano.»
«Che succede, mio signore?»
«Non vedi? Sei cieco? Darrick ha mandato degli uomini a sud perché ci aggirassero mentre ci tiene occupati. Difende un esercito diretto verso Senedai. Ora va'.» Tessaya tornò di corsa all'accampamento e chiamò le sue tribù, le uniche di cui si potesse fidare.
Taomi aveva fallito e le sue tribù Liandon erano state fatte a pezzi da Blackthorne; non era degno nemmeno di comandare una difesa. I Paleon avevano nelle mani il destino degli occadi; se avessero dovuto correre per tutta la notte per bloccare il nemico, lo avrebbero fatto.
Darrick sferrò un calcio al ginocchio di un avversario, sentì l'osso cedere, superò quindi l'uomo e si precipitò verso le forze nemiche in fuga. Nell'intero campo di battaglia erano riecheggiate grida; gli occadi si erano ritirati del tutto da quel settore. La mossa di arretrare verso il campo aveva il sentore di una ritirata prestabilita, e per un istante Darrick fu contento di lasciarli andare. Ma il grosso della forza nemica che si riversava al di là del fronte della foresta indicava tutt'altro.
Il generale arrestò la carica e fece fermare le sue due centurie, o meglio quello che ne rimaneva. «Tessaya l'ha capito», disse al suo luogotenente. «Dobbiamo effettuare un ripiegamento tattico fino al campo. Credo che ci lasceranno andare. Trovami un mago che possa effettuare una comunione mentale. Devo comunicare con Izack.»
Il soldato partì di corsa, ripiombando nelle profondità della foresta.
La battaglia imperversava ancora violenta. Alcuni Globi di Fiamma si abbatterono in un'area di fitta boscaglia, seminando la morte tra gli occadi. Da entrambi i lati dell'incendio, i soldati di Darrick si gettarono sul nemico stordito sollevando e abbassando le spade. Sulla destra, una carica degli occadi aveva ricacciato indietro una centuria isolata. Mentre Darrick osservava, un mago fu ucciso da una freccia.
«A me!» urlò il generale, superando con un balzo un albero caduto. «Colpite con Globi di Fiamma il retro della linea, noi prendiamo il fianco.»
Gli occadi li videro e li udirono arrivare. Le frecce saettarono tra i rami, e una sfiorò i capelli del generale per conficcarsi nell'occhio di un uomo alle sue spalle.
«Togliete di mezzo quegli arcieri!» Darrick si buttò nella mischia e incrociò la spada con l'ascia di un enorme guerriero, mentre nell'aria umida scoccavano scintille. Il generale ruotò con due mani l'arma, allentò la presa dell'avversario fino a costringerlo ad abbassare l'ascia a terra, si piegò in avanti e gli diede una testata in faccia. L'uomo prese a sanguinare dal naso e barcollò all'indietro. Darrick alzò la spada, sventò un tentativo di parata e infilzò il guerriero nella gola.
Sopra la sua testa i Globi di Fiamma sfrecciarono verso il fondo della linea, abbattendo uomini e vegetazione e scacciando le ombre. Le fiamme lambirono tutto ciò che era alla loro portata, attaccando pellicce e fogliame, consumando ogni cosa finché non venivano spente con le asce o soffocate coi guanti di pelle.
La centuria assediata trovò nuovo vigore e avanzò per attaccare gli occadi. I colpi si susseguivano con ferocia formidabile, costringendo i nemici a predisporre una difesa disperata. Un altro Globo di Fiamma piombò in mezzo agli occadi, Darrick spaccò un cranio facendo schizzare sangue e cervello. Poi gli occadi ruppero le righe e scapparono.
«Lasciateli andare», ordinò il generale. Si voltò verso il capitano della centuria. «Resta qui, tieni questo fianco libero, poi ripiega lentamente. Non inseguire nessuno e mantieni uno Scudo di Pietra.»
L'uomo annui e si girò per impartire gli ordini.
Darrick si precipitò di nuovo al centro degli scontri, ormai più fiacchi. «Maledizione! Dov'è il mio mago?»
I sogni di Hirad erano agitati. Più volte si era svegliato con la sensazione di cadere, il cuore che gli martellava nel petto e fastidiosamente in gola.
Andava alla deriva nel vasto mare del nulla. Sotto di lui, il fuoco avvolgeva la terra. Grida d'angoscia e di dolore pervasero la sua mente e un senso di disperazione s'impossessò del suo corpo devastato.
Era solo. Era l'ultimo, ed era perso.
Intorno, l'aria era vuota. Sebbene fosse buio, non brillava neanche una stella e nessuna nube offuscava il cielo. L'unica luce tremolava molto più in basso. E laggiù era tutto morto. Non aveva dove andare.
Rimanere in alto significava morire. Come del resto scendere.
Cadde.
«Stai di nuovo sognando?» domandò Ilkar, accanto a lui. La notte era calda e tranquilla.
Hirad annuì e si mise a sedere. «Il vuoto. Avevo la sensazione di volare, ma nient'altro era vivo.»
«Speriamo che non sia qualcosa di profetico», osservò l'elfo. «Siamo tutti in ansia, Hirad. Non sei il solo a non riuscire a dormire. Forse faresti meglio a non sognare, eh?»
Hirad annuì di nuovo. «Facile a dirsi. In ogni modo, non credo di essere io a sognare. Credo che il sogno fosse di Sha-Kaan.» Si stese di nuovo, sorridendo nel vedere l'elfo inarcare le sopracciglia. Finalmente il Grande Kaan gli placò la mente regalandogli un sonno profondo, senza sogni.
«Dannazione! Non pensavo che lo avrebbero capito», disse Darrick. «Almeno, non così presto.»
Blackthorne sorrise e si appoggiò allo schienale della sedia. «Vi avevo detto che Tessaya non è uno stupido.»
La tenda di comando era come un faro nel campo sempre più buio; il generale aveva proibito tutti i fuochi che non fossero indispensabili. Il crepuscolo li aveva avvolti. I balaiani orientali erano riusciti a ritirarsi, e sull'accampamento era sceso un silenzio inquieto.
Gli occadi avevano piazzato una forza consistente a distanza di rispetto ed erano chiaramente restii ad avvicinarsi.
Darrick aveva inviato i maghi a verificare il numero dei guerrieri presenti nei paraggi. Gli occadi avevano collocato squadre ed esploratori per coprire la pista principale, la foresta e i dirupi, ma avevano deciso di non circondare il nemico.
L'unica buona notizia era che Izack non aveva intenzione di fermarsi finché non fosse giunto a una distanza tale da poter colpire le forze di Senedai. Avrebbe tuttavia dovuto scegliere una posizione diversa da quella pianificata, per cercare di evitare Tessaya.
«Quanti uomini porterà con sé?» chiese Darrick.
«Be', dai rapporti risulta che Tessaya ha diviso le forze in base alle tribù», disse Blackthorne. «I Paleon sono numerosi, anche se hanno subito perdite sia nella battaglia di Understone sia in quella di oggi. Se li prende tutti, potrebbero arrivare a quattromila.»
Darrick si sentì avvampare. «Izack verrà massacrato.»
«Non se Tessaya non lo trova», intervenne Gresse.
«Non sarà difficile da individuare, quando inizierà a combattere», replicò Darrick, cupo. Si passò una mano sul volto, mentre vedeva il suo piano andare in pezzi. «Che disastro. Non possiamo perdere tempo ad affrontarli qui, non ha senso.» Si voltò verso una coppia di maghi che attendeva ordini. «Quanto è fitto il lato dei dirupi?»
«Non fitto quanto la foresta, signore», rispose uno dei due, grattandosi la barba. Sorridendo, aggiunse: «Potremmo ripulirlo un po'».
«Dovreste ripulirlo parecchio perché faccia qualche differenza per il nostro itinerario», replicò Darrick.
«Siamo in otto. Tutto è possibile», disse il mago. «I nemici non effettuano complicati scambi di messaggi; devono semplicemente gridare, se vedono qualcosa.»
«Rendeteli incapaci di gridare, d'accordo?»
Il mago annuì. «Ci prepariamo subito.» Fece cenno al compagno di seguirlo all'esterno della tenda.
Darrick si voltò e si ritrovò a fissare gli occhi sgranati dei baroni e dei capitani delle centurie sopravvissute. Scrollò le spalle. «Che scelta abbiamo?» Allargò bene le braccia e scrollò di nuovo le spalle.
«Ci vedranno e c'inseguiranno», osservò Gresse. «Non può funzionare.»
Il generale scosse la testa. «Se siamo tutti raggruppati, sì. Ma non lo saremo. Ecco cosa voglio fare. Voglio che ogni uomo sano si porti in fondo al campo. Nessun ferito verrà con noi. Mi serve che una forza simbolica, molto visibile, resti qui. Propongo la cavalleria.
«Percorreremo la pista per un miglio, per poi addentrarci fra le rocce, e useremo i maghi per valutare la presenza di eventuali pericoli davanti a noi. Correremo per tutta la notte, se necessario, ma non lascerò che Izack muoia inutilmente.»
«E i feriti e quelli lasciati indietro?» domandò Blackthorne. «Anche se questo piano folle dovesse riuscire, al sorgere dell'alba verranno sopraffatti e andranno incontro a quel destino che desiderate tanto evitare a Izack.» La voce del barone era venata di rabbia.
Darrick sorrise. «Quando i fuggitivi si saranno allontanati, qualche volontario aiuterà i feriti ad abbandonare il campo e a nascondersi altrove.»
«E la forza visibile?» domandò Gresse.
«Quando gli occadi capiranno e l'assalteranno, scapperà come il vento.» Il sorriso di Darrick si allargò quando vide gli occhi di Gresse brillare a quella proposta. «Che ne pensate? Se ci riusciamo, possiamo fare veramente la differenza, forse anche invertire le sorti e dare al Corvo il tempo di cui ha bisogno. Siete con me?»
Tutti i suoi capitani annuirono. «Sì, signore.»
«Barone Blackthorne?»
«Dunque mi devo occupare dei malati, eh?»
«Dovete difendere i deboli», replicò Darrick. «C'è molta gloria in una cosa del genere, direi. Barone Gresse?»
«Giovanotto, amate scandalosamente il rischio. Tanto scandalosamente da poter vincere. I miei cavalli saranno pronti quando l'alba sorgerà in cielo.»
Darrick batté le mani, sentendo l'entusiasmo sorgere e scacciare i dolori e la stanchezza della battaglia. «Allora muoviamoci. Non abbiamo tempo da perdere.»