Capitolo 26
Styliann sentì una lieve punta di rammarico per quello in cui aveva trascinato gli occadi. I Protettori avevano continuato a correre infaticabili, riposandosi solo quando i nemici alle loro spalle erano stati costretti a fermarsi, per proseguire prima che gli occadi ripartissero. Durante l'intero inseguimento, gli occadi non erano mai rimasti indietro più di alcune ore e Styliann fu colpito dalla loro resistenza e dalla loro determinazione.
Ma il terzo giorno, quando il sole aveva raggiunto lo zenit, il mago si era ricongiunto coi Protettori che aveva chiamato da Xetesk. Gli esploratori che aveva appostato avevano stimato la forza degli occadi intorno ai quattro o cinquemila uomini; anche se i Protettori ammontavano circa a un decimo di quel numero, St; Mann sapeva di avere la vittoria in pugno, perdendo non più di una quarantina di guerrieri.
Il mago osservò il terreno su cui aveva scelto di combattere. Sedeva a cavallo su un rilievo basso, a destra della forza principale di Protettori. Davanti a lui, il suolo s'innalzava leggermente fino a un piccolo altopiano, al di là del quale si trovava un ripido pendio su cui ben presto gli occadi avrebbero marciato.
Alcuni Protettori stavano esplorando le zone boschive, in cerca di esploratori nemici, mentre due gruppi di quaranta guerrieri ciascuno erano pronti ad attaccare dai lati quando fosse iniziata la battaglia.
Ne restavano dunque quasi quattrocento per contrastare il fronte centrale. I Protettori se ne stavano perfettamente silenziosi sotto il bordo del rilievo, in attesa del comando mentale di Cil per lanciarsi oltre la cima. Se fosse andato tutto come da programma, si sarebbe giunti alla mischia prima che gli arcieri nemici potessero tendere gli archi.
Styliann aveva scelto un fronte ragionevolmente ridotto per attaccare. La prima linea non sarebbe stata composta da più di ottanta guerrieri: abbastanza stretta da garantire che non venisse sopraffatta e abbastanza larga da poter scatenare l'intera forza dei Protettori su un nemico che sarebbe stato del tutto impreparato per ciò che lo attendeva.
Il mago udì gli occadi molto prima che un ordine silenzioso allertasse i Protettori, tutti pronti con spada e ascia. I canti tribali riecheggiarono dai pendii, filtrati dagli alberi, e risuonarono nel terso cielo azzurro, portati dalle raffiche di vento. Dieci guerrieri, l'avanguardia degli occadi, risalirono di corsa il pendio e lo superarono, incontrando una morte rapida e silenziosa per opera dei Protettori in attesa, prima ancora di avere la possibilità di tramutare i loro canti in avvertimenti. Il resto dell'esercito procedeva svelto - Styliann lo capiva dalla cadenza e dal ritmo delle parole - marciando spedito verso la fine, con la vittoria sulle labbra.
Il mago si sentì irritato all'idea di dover ingaggiare la battaglia che di lì a poco sarebbe scoppiata. Non poteva tuttavia permettere agli occadi d'inseguirlo fino alle porte di Xetesk, come avrebbero indubbiamente fatto se non fossero stati fermati prima. Styliann non aveva garanzie di poter entrare subito in città, e qualsiasi ritardo sarebbe potuto essere letteralmente fatale. Il terreno intorno a Xetesk era aperto, e nei campi davanti alla città circondata da mura anche i Protettori avrebbero fatto fatica contro quattromila uomini.
Styliann si voltò verso Cil. «Ingaggiate battaglia.»
Il Protettore annuì.
Il mago provò un fugace moto di nervosismo, al di là di tutta la sua sicurezza, ma lo soffocò osservando i guerrieri mascherati. Non pronunciarono neanche una parola, non trasmisero nessun segnale tra le file, non si girò neanche una testa in attesa di un ordine.
Il rombo dei passi aumentò, facendo vibrare il suolo via via che il nemico si avvicinava. Al di sopra del canto degli occadi si distinguevano le singole voci, che non aumentavano mai d'intensità durante la corsa. Quattromila occadi promettevano morte ai nemici, battevano le asce sugli scudi conferendo un cupo ritmo al canto. Sopraggiunsero come un'onda precipitosa. Non avevano paura, lo si percepiva in ogni voce. Erano le tribù; quella terra sarebbe stata loro.
Tutto accadde all'improvviso. Un attimo prima, i Protettori erano immobili, mentre il canto degli occadi e il rumore dei loro piedi li investivano. Un attimo dopo, la battaglia era scoppiata in un vorticare di spade, simile a un ciclone sulla cima del rilievo.
Ben distanziati, per poter brandire liberamente entrambe le armi, i Protettori si lanciarono muti tra le file degli occadi. I canti morirono in gola, trasformandosi in grida di avvertimento e ordini di battaglia, mentre i primi stramazzavano a terra senza vita. La forza xeteskiana attaccò con brutalità senza paragoni, bloccando il nemico con uno sbarramento di colpi d'ascia e di spade. L'aria fu pervasa da urla di dolore.
Styliann osservò i Protettori annientare l'avanguardia degli occadi. Risalì il rilievo su cui si era posizionato, avvicinandosi di più alla battaglia, e fu accolto dalla vista degli altri due tronconi delle forze xeteskiane che stringevano dai lati il nemico, come una tenaglia. Falciarono l'esercito delle tribù, isolandone una sezione di circa trecento guerrieri.
Completamente circondati dai Protettori, gli occadi furono massacrati, mentre la forza del College oscuro formava una prima linea avanzata, di nuovo ben distanziata, ma disposta ad arco per attirare i nemici.
Il comandante degli occadi riuscì infine a impostare una reazione. Gli ordini furono trasmessi alla colonna in preda al panico, che ruppe le file e avanzò per attaccare su un fronte più ampio. Dietro le linee, gli arcieri fuggirono.
Styliann allora preparò l'incantesimo dei Globi di Fiamma. Prima che venissero incoccate le frecce, i quattro globi arancioni striati di bianco sfrecciarono oltre i due schieramenti e riversarono il loro fuoco sugli arcieri indifesi. Una coltre di fumo nero si alzò dalle vittime che bruciavano; si levarono urla di dolore più forti degli ordini per ricostituire le file.
La battaglia vera e propria fu ingaggiata al centro dell'esercito degli occadi. Avevano paura, ed era visibile nella postura dei corpi. Stavano affrontando maschere e acciaio lucidato: una morte che non avrebbero mai visto in faccia, una morte silenziosa e inarrestabile.
I Protettori non emisero un suono. Nessun grugnito di sforzo mentre colpivano, nessun grido di battaglia, nessun urlo da parte dei feriti e dei pochi che furono colpiti a morte. Niente. Erano un muro di spade e di asce, di maschere senza lineamenti, di cuoio scuro. Per le orecchie di Styliann, il rumore delle loro armi era quasi musica. Ne osservava l'inesorabile avanzata, paragonandola mentalmente a una danza macabra.
Le lame brillavano nella luce del sole, facendo a pezzi la difesa degli occadi. Asce e spade si abbattevano spietate, mentre i Protettori dettavano il ritmo sferrando un attacco fulminante e spaventoso. Lo sbattere delle armi contro gli scudi, il tonfo sordo delle lame contro i corpi, il clangore del metallo che colpiva il metallo generando scintille... tutto giunse a Styliann misto a una nube di sangue nemico. Altre tre volte il mago scagliò devastanti Globi di Fiamma nei gruppi di arcieri. Tre volte il fuoco inondò il cielo e tre volte un fumo acre si alzò, mescolandosi alla polvere e al sangue.
Gli occadi erano coraggiosi e decisi; Styliann ne ammirava lo spirito, pur compatendo l'inutilità dell'azione. Ma non facevano semplicemente la fila per morire. Dalle retroguardie, più di cinquecento ruppero i ranghi per girare intorno al campo di battaglia, con l'intento di attaccare al fianco i Protettori. Sorvegliati per tutto il tempo dagli esploratori nascosti a destra e a sinistra, s'imbatterono in una forza di guerrieri xeteskiani che si erano staccati dalla linea per affrontarli prima che diventassero una minaccia per Styliann.
Alla fine, la forza dei Protettori piegò il morale del nemico. La battaglia imperversava da più di un'ora, e i Protettori continuavano ad avanzare decisi e in silenzio, camminando tra i corpi degli occadi senza mai abbassare lo sguardo per controllare dove mettevano i piedi, ogni passo sicuro e certo. Quanti erano dietro la linea di combattimento dirigevano i movimenti, consentendo ai fratelli di concentrarsi sull'attacco, altri invece si chinavano per estrarre i caduti in quella carneficina.
Per gli occadi era un'impresa disperata. Anche quando uno dei Protettori cadeva, la linea xeteskiana non rischiava mai di essere spezzata; quasi prima ancora che il guerriero mascherato toccasse terra, un altro lo sostituiva completando la rete difensiva. Ogni Protettore attaccava senza nemmeno lanciare una fugace occhiata ai lati. Mentre con l'ascia o con la spada colpiva un avversario, con l'altra arma parava i colpi diretti a sé o a un compagno, guidato dalla mente comune la cui forza risiedeva a Xetesk e i cui occhi guardavano da cinquecento volti. Non tralasciavano quasi nulla, non offrivano agli occadi nessun bersaglio, e qualsiasi bagliore di speranza veniva stroncato da un movimento di spada effettuato nel momento cruciale.
Styliann vide la fine. A destra della linea di combattimento, gli occadi lanciarono un'offensiva disperata. Tra gli uomini armati di spade e di asce s'infilarono i guerrieri con le lance. Emisero grida di battaglia, fecero appello alle energie residue e si gettarono in avanti.
Subito e in modo quasi impercettibile, i Protettori reagirono. Serrarono leggermente i ranghi, aumentarono un po' la velocità di attacco. Le asce e le spade degli occadi colpivano solo acciaio. Le lance furono bloccate dalle mani protette dai guanti dei Protettori della seconda fila e i lancieri trascinati verso la morte. I corpi si accasciavano a terra, i feriti urlavano e il sangue scorreva sui piedi di quanti erano ancora vivi. In pochi secondi, il tentativo degli occadi di fare breccia nella linea di Protettori si capovolse: gli xeteskiani crearono un varco nella difesa del nemico, che perse ogni ordine e si sparpagliò.
Lungo l'intero fronte, gli occadi si voltarono e fuggirono, ignorando gli ordini, persa la convinzione e crollato ormai lo spirito. I Protettori non si mossero per inseguirli; rimasero fermi e li guardarono andare via.
Styliann posò la mano sulla spalla di Cil, che si voltò. «Potete prendere le maschere dei morti. Ma fate alla svelta coi vostri riti. Dobbiamo tornare a Xetesk prima che cali la sera di domani. C'è molto da fare.»
Avevano trovato Thraun raggomitolato ai piedi del giaciglio di Will. Il personale dell'infermeria non aveva osato spostare il grosso guerriero biondo; gli aveva tuttavia gettato una coperta sul corpo nudo, perché stesse al caldo e conservasse la sua dignità.
Era stato tutto ciò che avevano potuto fare, perché dalle porte arrivavano a ondate i feriti e i moribondi julatsani. Ogni giaciglio era occupato. Il rosso scuro si era aggiunto ai colori dell'infermeria e i gemiti di dolore e di paura si mescolavano allo sbattere dei secchi, al mormorio dei maghi, alle grida incalzanti del personale e al rumore di piedi che correvano in tutte le direzioni.
Will era steso sul giaciglio, col volto coperto dal lenzuolo, in attesa che il Corvo lo prendesse e gli rendesse onore. L'area intorno a lui e a Thraun era una bolla di mesto silenzio in mezzo al baccano dell'infermeria.
Il Corvo aveva effettuato la veglia, ma non aveva potuto procedere alla sepoltura. Le vittime dell'assedio dovevano essere depositate nei sotterranei dell'arena, dove il clima era fresco e asciutto e l'aria pregna d'incenso.
Thraun era stato sistemato nel giaciglio e lasciato dormire, con gli occhi ridotti a due pozze scure; la sua bocca si muoveva senza emettere suono, formando parole di angoscia e di dolore, e le lacrime sgorgavano copiose. Il Corvo si concesse un po' di tempo per parlare, in una stanza della torre.
Fuori, gli occadi avevano raccolto le proprie forze, avvicinato torri d'assedio e catapulte, e si erano preparati ad attaccare, mentre in cielo il sole splendeva, infondendo a Julatsa calore e vigore.
Hirad guardò tutti i compagni, sapendo che la prima cosa da fare era riposare un po'; dall'arrivo di Sha-Kaan non avevano più dormito e avevano combattuto senza sosta. Ilkar ed Erienne, ne era certo, erano esausti; per quanto riguardava Denser, non era altrettanto sicuro. Lo xeteskiano appariva relativamente riposato e vigile, con la pipa stretta come sempre tra i denti; tuttavia i suoi occhi avevano quello sguardo distante che lo accompagnava da diversi giorni. Era come se Denser fosse assorto in pensieri più grandi di quelli che poteva formulare in compagnia del barbaro; eppure era un miglioramento rispetto al cupo disinteresse che il mago oscuro aveva mostrato da quando avevano lasciato Parve.
«Credo che la morte di Will abbia indotto la trasformazione di Thraun», disse Ilkar.
Erienne annuì.
«Dev'essere così», convenne l'Ignoto. «Ma credo che fare congetture del genere non sia il miglior modo di utilizzare il tempo molto limitato che abbiamo.»
«Dobbiamo cercare di capire, altrimenti non saremo in grado di aiutarlo», osservò Erienne.
«È così. Ma, a parte Thraun, ci sono problemi che temo alcuni di noi abbiano trascurato nell'entusiasmo degli ultimi momenti», replicò l'Ignoto, in un tono che scoraggiò chiunque a contraddirlo.
Hirad per poco non sorrise, ma si controllò. Quello era l'Ignoto di cui il Corvo aveva bisogno: il pacato giudice e l'organizzatore, oltre allo straordinario guerriero.
«Siamo venuti qui per trovare i testi di Septern, ma non sappiamo quanto il College potrà resistere all'offensiva nemica. L'impresa è ulteriormente complicata dal fatto che parte della biblioteca si trova ora nel Cuore, proprio sotto di noi. Non abbiamo idea di quanto tempo la ricerca prenderà; Barras, per aiutarci, non ci può assegnare molti maghi, distogliendoli dalla difesa del College. Forse non ce ne darà proprio nessuno.
«Dobbiamo fare la nostra parte per proteggere il College dagli occadi, soprattutto per avere abbastanza tempo per compiere le ricerche nel Cuore e in biblioteca. Dobbiamo anche assistere Thraun, finché non sarà abbastanza in forma per viaggiare. Quando avremo ciò per cui siamo venuti, dobbiamo uscire da Julatsa, che l'assedio sia ancora in corso oppure no.
«Lo squarcio si allarga ogni giorno. Non ci aspetterà, e siamo già troppo in ritardo. Se le misurazioni sono esatte, abbiamo solo sette giorni per chiuderlo, e l'unico portale dimensionale che conosciamo è almeno a tre giorni di cavallo.» L'Ignoto si appoggiò alla sedia e sorseggiò una tazza di tè.
«Ma guardaci», disse Hirad. «In questo momento non possiamo combattere o lanciare incantesimi in modo efficace. Siamo tutti a pezzi. La prima cosa che ci serve è il riposo.»
«A Parve abbiamo fatto una cosa che si sta rivelando una di problemi», osservò Denser, avvicinando alla pipa la fiamma creata sul suo dito. «Qui abbiamo compiuto un salvataggio eroico, ma si aspettano che facciamo altri atti del genere.»
«Be', grazie per il contributo incisivo», affermò Ilkar. «Hai altre perle di saggezza da dispensarci?»
«Sentivo solo di doverlo dire», replicò Denser, con una scrollata di spalle.
«Non fa differenza cosa la gente si aspetti», precisò Hirad. «Il Corvo fa quello che il Corvo deve fare. E quello che dobbiamo fare ora è riposare. Non voglio vedere nessuno di noi sui bastioni oggi, a meno che non ci sia una breccia, cosa di cui dubito.»
«Non credete che i julatsani si attendano consigli da parte nostra, oppure pensate che stiamo semplicemente al loro fianco per sollevare il morale?» chiese Denser.
«Abbiamo detto a Kard tutto ciò che gli serve sapere», replicò l'Ignoto. «Ora dobbiamo pensare a noi. Ilkar, in che condizioni sei?»
«Non sto troppo male», rispose il julatsano. «Qui nel College riesco a ricaricarmi in fretta. Tutti possiamo farlo, anche se Denser ed Erienne dovranno filtrare il flusso di mana. Siete tu, Hirad e Thraun che avete bisogno di riposare. Io andrò nel Cuore per iniziare le ricerche e dormirò questa notte, occadi permettendo. Se Erienne e Denser vogliono darmi una mano, la biblioteca sarà aperta per loro.» Entrambi i maghi annuirono. «Bene.»
«Un'altra cosa, prima che ci separiamo», disse Hirad. «Il Corvo non combatte diviso. Non voglio vedere nessuno impegnato a lottare o a lanciare incantesimi da solo, lo non salirò sui bastioni senza di voi. Siamo il Corvo. Ricordatevelo.»
«E come potremmo dimenticarlo, con te che ce lo ripeti in continuazione?» bofonchiò il mago oscuro.
«Sei ancora vivo, vero, Denser?» ribatté Hirad. «Chiediti perché.»
Styliann aveva perso solo ventitré Protettori, segno sbalorditivo della forza e dell'abilità dei guerrieri uniti nell'anima. Valutò che quasi metà degli occadi fissasse con occhi vitrei il cielo; prima che lasciasse il campo di battaglia, gli uccelli stavano già volteggiando e camminando in mezzo ai morti, pronti al macabro banchetto. Il resto dell'esercito in rotta avrebbe fatto rapporto a Tessaya e il terrore avrebbe causato, a lungo termine, più danni di qualsiasi spada.
Quando l'ex Lord della Montagna arrivò a Xetesk, trovò chiuse le porte della città. Non era sorpreso; a Dystran restavano poche difese e, subodorava Styliann, un numero ancora minore di amici. Il giorno volgeva rapido verso il crepuscolo. Styliann rinforzò lo scudo naturale intorno alla sua mente. Sorrise quando sentì i tentacoli di un incantesimo premere sullo scudo; chiunque fosse a lanciare l'incantesimo non aveva speranza d'infrangere quella barriera. Per restare tanto a lungo Lord della Montagna bisognava possedere una consumata abilità nel proteggere la propria mente.
Styliann smontò e si sedette su una rocca, a una cinquantina di passi dalle porte di Xetesk e a breve distanza dalla pista principale. Quando ammirò la potenza della sua amata città, cinta dalle mura scure, il cuore prese a battergli più veloce.
A ogni lato della grandiosa torre della porta orientale, con le sue ornate finestre ad arco, con diversi scivoli per l'olio bollente e tre livelli di bastioni rinforzati, le mura color grigio spento si perdevano in lontananza per più di un miglio, confondendosi con le tenebre che calavano. Costellate di torrette di pietra grigia per i maghi e per gli arcieri, le mura piegavano a ovest per due miglia prima d'incontrare il grande muro occidentale rivolto verso i monti Blackthorne.
Dotate di profonde fondamenta e di contrafforti interni, le mura, mai più basse di quindici passi, digradavano molto lievemente verso l'esterno, affacciandosi su un'area ricoperta da erba e da cespugli; gli alberi erano stati abbattuti per un centinaio di passi in ogni direzione per garantire una buona visuale ai difensori della città.
All'interno della cinta muraria, Styliann vedeva le luci iniziare ad accendersi nelle torri. La vista lo rattristò più di quanto non volesse ammettere; quell'esilio gli faceva male al cuore. Mentre centinaia di occhi lo fissavano dalle mura e dalle torrette, il mago valutò la situazione.
La guardia xeteskiana che osservava il Lord della Montagna e l'esercito dei Protettori era confusa: nessuno sapeva ancora della tentata usurpazione. Perfino Dystran non era tanto idiota da assumere pubblicamente il comando finché non avesse potuto mostrare il cadavere di Styliann.
Quanti erano rimasti leali a Styliann avrebbero cercato un modo per farlo entrare in sicurezza nel College, sapendo che il Lord non avrebbe potuto volare senza indebolire lo scudo mentale, atto che sarebbe stato quasi certamente fatale. Avrebbero forse negoziato con Dystran e coi suoi consiglieri, chiedendo udienza per Styliann in condizioni controllate, probabilmente in una camera fredda.
Dystran, che molti consideravano un pavido senza acume sufficiente per governare, avrebbe sperato invano in un'azione da parte di Styliann e dei Protettori che gli permettesse di scatenare un'offensiva magica con la benedizione del popolo xeteskiano. Ma anche in tal caso il nuovo Lord della Montagna sarebbe dovuto essere prudente; qualsiasi aggressione a Styliann avrebbe scatenato i Protettori, che avrebbero arrecato danni significativi a Xetesk e al College, prima di essere fermati.
Tutto ciò che Styliann poteva fare era aspettare. Non dovette tuttavia aspettare a lungo.
Circa un'ora dopo il suo arrivo, con la notte fredda illuminata dalla luna che tingeva di uno strano blu l'accampamento silenzioso dei Protettori, la torretta della porta orientale si riempì di arcieri e di maghi. Poi la porta si aprì leggermente e ne uscì un uomo. Arcieri e maghi restarono in posizione.
Styliann si alzò e si allontanò dal calore del fuoco. Si fece avanti, col solo Cil accanto e col resto dei Protettori che fungevano da muti testimoni a breve distanza. «Bene, bene. Dystran. Sono onorato.»
Nessuno dei due tese la mano all'altro, anche se Styliann considerò con rispetto quella sortita solitaria del nuovo Lord della Montagna.
«Che cosa volete, Styliann?» chiese Dystran, cercando di sembrare rilassato, anche se il guizzare dei suoi occhi tradiva il nervosismo.
«Oh, solo un giaciglio per la notte. Sono un viaggiatore molto stanco», rispose Styliann, caustico. «Cosa diavolo pensi che voglia?»
Di fronte a quell'ira improvvisa, Dystran trasalì. «Non posso permettervi di tornare. È stata presa una decisione. Sono io il Lord della Montagna, ora.»
Le labbra di Styliann si tesero. «Ma io sono tornato, no? Sapevi che lo avrei fatto.»
«Quando ho saputo che eravate ancora vivo e a est, sì, sapevo che sareste tornato.»
«Un vero peccato per te.»
Dystran piegò leggermente gli angoli della bocca all'insù.
Styliann studiò attentamente il volto del rivale, lasciando crescere il silenzio. Poi disse: «Al momento, eserciti controllo su ben poco. Uno squarcio incontrollato sta erodendo il cielo, e c'è pericolo di un'invasione catastrofica da un'altra dimensione. Solo io e il Corvo possiamo trovare una soluzione. Gli occadi stanno assaltando le porte di Julatsa, hanno preso Understone e il passo. Sono pronti a marciare a decine di migliaia verso Korina. Cosa avete fatto tu e i tuoi sostenitori, in mia assenza? Invece di condurre ricerche dietro mie istruzioni od organizzare una difesa seria, inviando soldati in aiuto di Julatsa, avete scelto di favorire i vostri interessi personali. Quanto sembrerete miseri, quando i draghi faranno a pezzi le torri di Xetesk, mattone per mattone.
«Se tu fossi anche solo la metà dell'uomo che ti vanti di essere, capiresti che la nostra contesa va messa da parte finché non saranno sventate tutte le minacce. In questo momento, devo avere accesso alla biblioteca. Da chi verrà gestito il College in futuro è irrilevante».
«Alla biblioteca? Allora volete unirvi alla ricerca che il Corvo sta effettuando a Julatsa?»
L'espressione di Styliann s'indurì. «Il Corvo ha raggiunto Julatsa?»
«Sì. Nonostante la vostra scarsa opinione del nostro operato, siamo di nuovo in contatto con Julatsa, dopo l'eliminazione del Manto Demoniaco, che è coincisa col sorprendente arrivo del Corvo. A quanto pare, quei mercenari hanno liberato diverse migliaia di prigionieri da una città pullulante di occadi, prima di mettersi all'opera nella biblioteca.»
Styliann scoppiò in una sonora risata. «Che gli dei possano precipitare, accidenti se sono in gamba! Glielo devo concedere.» Ogni traccia di allegria svanì subito dal suo sguardo. «Da quanto tempo il Corvo è a Julatsa?»
«Da prima dell'alba», rispose Dystran.
Styliann si morse il labbro. Avrebbe dovuto fare in fretta, altrimenti il Corvo sarebbe passato senza di lui nella dimensione dei draghi; non poteva permetterlo. Poi la mente gli si schiarì e la risposta ai suoi problemi gli si materializzò davanti. «Lascia che ti faccia una proposta», disse l'ex Lord della Montagna. Poi, vedendo Dystran accigliarsi e arretrare, aggiunse: «Credo andrà a tuo vantaggio».
«Vi ascolto.»
«Ovviamente.»