Capitolo 11
Ilkar e Thraun udirono un debole rumore provenire dall'accampamento degli occadi, molto prima di percepire lo sciabordio dell'acqua sulla costa occidentale del golfo di Triverne.
Era notte, sei giorni dopo che si erano divisi da Darrick e Styliann. Il Corvo, guidato da Thraun e dall'esperienza dell'Ignoto, aveva percorso rapidamente un terreno sempre più ostile tra le colline ai piedi dei Denti di Sunara, la più importante catena montuosa settentrionale. Costretti a seguire piste poco usate, lontane dai villaggi e dagli accampamenti degli occadi, si erano fatti strada superando valli fitte di foreste, vasti pendii di scisto, formazioni rocciose crollate e altipiani duri e freddi.
Per Hirad erano stati sei giorni di crescente preoccupazione riguardo a Denser, sempre più chiuso in sé. L'euforia iniziale per il suo successo e il conseguente recupero avevano rapidamente ceduto il posto a una cupa introspezione e infine a un'arcigna riluttanza a comunicare con gli altri. Erienne aveva sofferto molto; le sue delicate premure scatenavano parole aspre e furiosi rifiuti.
«È come se sentisse di avere compiuto quello per cui è nato», aveva osservato Erienne la quarta sera, dopo che Denser era andato come al solito a dormire presto. «Sono sicura che nel profondo tiene a me e al nostro bambino, ma non gli sembra abbastanza e certamente lo nasconde. Ha inseguito il Ruba Aurora per così tanto tempo che ora si sente perso.»
«E l'imminente invasione dei draghi non gli mette per nulla il fuoco sotto il sedere», aveva osservato Ilkar. «Perdona la battuta.»
«No. Il senso di urgenza e la forza di volontà sono scomparsi in lui negli ultimi giorni e, alla luce di quello che abbiamo saputo ieri notte, è molto strano.»
Erienne si riferiva a una sessione di comunione mentale, con cui avevano appreso i primi risultati significativi nelle misurazioni dell'ombra di mezzogiorno. Parve sarebbe stata coperta in poco più di trenta giorni, a meno che il Corvo non avesse trovato un modo di chiudere lo squarcio. Trenta giorni, e poi i draghi avrebbero governato Balaia.
Ma ciò rappresentava ancora un futuro lontano. In quel momento dovevano superare gli occadi e arrivare a Julatsa.
Si erano fermati in una valle riparata dal vento pungente che soffiava dal golfo; gli alberi dondolavano e frusciavano, l'erba era appiattita sul terreno e i robusti cespugli si aggrappavano alle vicine felci. Avevano disceso a fatica un lungo pendio fangoso tra rocce verticali, creato da una vecchia frana; la valle era piena di massi ricoperti da licheni.
Il pendio opposto era tappezzato di edera dai fiori purpurei e disseminato di sassi sparsi, trattenuti solo da un sottile strato di terra. Qua e là alberi stentati crescevano cercando di contrastare il vento. Thraun e Ilkar avevano risalito la sponda per verificare la situazione nel golfo.
Hirad si sfregò le mani protette dai guanti e accettò una tazza di tè caldo, contento di avere tenuto il fornello di Will. Quello stesso giorno, visto che erano più d'impedimento che di aiuto, avevano liberato i cavalli in una valle boscosa, distruggendo selle, morsi e speroni e tutto ciò che non poteva essere trasportato con facilità. Dopo una breve discussione, Thraun si era caricato in spalla la sacca col fornello di Will, senza che quel peso gli facesse minimamente venire l'affanno.
Il piccolo fornello a legna era sistemato su una roccia piatta, e la sottile colonna di fumo risultava invisibile contro il cielo rannuvolato; erano tutti lieti del calore senza fiamma che emanava. La luce che emetteva non era nemmeno sufficiente a illuminare i loro volti, tantomeno a rivelare la loro posizione. Mancavano cinque ore all'alba.
«Quanto manca ancora?» domandò Hirad.
«Forse mezz'ora a un passo sostenuto, ma per accedere dalla direzione giusta ci vorrà il doppio. Dovremo andare un po' più a nord, altrimenti ci vedranno», rispose Thraun.
«Com'è la situazione?» chiese l'Ignoto.
«Vedrai tu stesso, la luce riflessa dall'acqua non è così poca», disse Ilkar. «Riteniamo che ci sia un accampamento di circa trecento uomini, tutti alloggiati in tende disposte in semicerchi intorno a stendardi e fuochi. Ci sono tre torri di guardia rivolte verso terra e un gruppo di tende nel centro del campo, che conterranno sicuramente le provviste per la traversata del golfo. La via principale è da sud. Dobbiamo scegliere l'accesso settentrionale al di là della torre di guardia più lontana, ma anche in quel caso sarà pericoloso.»
Hirad annuì. «Barche?»
«Molte. Da piccole imbarcazioni a barche più grandi adatte all'oceano, anche se solo gli dei sanno dove se le siano procurate. Dovremmo essere in grado di trovare qualcosa da manovrare facilmente.»
«Cosa c'è sulla sponda opposta?» domandò Will.
«Un accampamento meglio fortificato, presumo», rispose Thraun. «Ma non siamo riusciti a vedere tanto in là. Comunque navigheremo dritti verso la bocca delle cascate Goran, per evitare qualsiasi cosa possa esserci.»
«E questo accorcerà di un po' il viaggio», aggiunse l'Ignoto.
«Che mi dite dei cavalli dall'altro lato?» chiese Will.
«Abbiamo due opzioni: rubarne alcuni dagli occadi o sperare che le guardie del lago Triverne siano ancora vive», disse Ilkar. «Non è troppo improbabile, dato che gli occadi sembra siano giunti soltanto fino a Julatsa.»
Hirad si sfregò la bocca con la mano. «D'accordo, la teoria va bene. Ora passiamo alla pratica. Come ci procuriamo una barca senza svegliare tutto l'accampamento?»
«Finite il tè e venite a vedere», replicò Ilkar. «Io e Thraun abbiamo un'idea.»
Poco dopo, i membri del Corvo si trovavano distesi a guardare giù lungo un pendio coperto di felci che terminava nei Prati, con la spiaggia ai margini del golfo di Triverne. A sud finiva invece in una ripida scarpata e di lì nei monti Blackthorne stessi, mentre a nord montagne e colline si appiattivano via via che si avvicinavano alla costa settentrionale, a un giorno di cavallo.
Davanti a loro c'era l'accampamento degli occadi. Era silenzioso, anche se un grande fuoco ardeva nel centro di un cerchio di tende. Altri fuochi bruciavano lungo la costa, illuminando le barche tirate in secca sulla sabbia; altrove il campo era al buio, fatta eccezione per il riflesso della luna sull'acqua.
La luce naturale conferiva una tonalità blu scuro alla vista di Hirad, che tuttavia riuscì a distinguere le tre torri di guardia. Ognuna aveva due sentinelle e una campana: le informazioni erano risultate affidabili. Quella posta più a sud controllava la pista principale, che si allontanava tortuosa verso sud-ovest, e si trovava davanti a un recinto contenente cavalli e bestiame; le stie per i polli e i ricoveri per i maiali erano a poca distanza, ma gli animali erano tranquilli. Dopo una rapida occhiata al campo, Hirad non individuò segni di destrana, ma era sicuro che i cani da guerra fossero lì da qualche parte, probabilmente di guardia all'interno o vicino alle tende centrali: un deterrente per chiunque avesse voluto aumentare le proprie razioni di cibo.
Le altre due torri, equidistanti lungo il perimetro del campo, oscuravano in parte i gruppetti di tende montate intorno ai fuochi spenti, mentre gli stendardi svolazzavano e sbattevano al vento.
Thraun aveva ragione: l'unica via ragionevole era più a nord, dove sarebbero stati controllati da una torre soltanto. «La via che dobbiamo seguire attraverserà la parte superiore dell'accampamento, costeggerà il fuoco principale e scenderà verso la spiaggia. Dobbiamo eliminare le sentinelle della torre settentrionale, altrimenti ci vedranno, Ilkar ha suggerito che due di noi, protetti dall'Occulta Cammino, le sorprendano e le uccidano senza fare rumore. Quello sarà il primo ostacolo eliminato.»
«Due maghi, immagino», disse Denser a Hirad. «Chi ha in mente?»
«Puoi rivolgerti direttamente a me se vuoi», puntualizzò Ilkar.
Il barbaro sospirò. «Dobbiamo collaborare, altrimenti finiremo tutti ammazzati. Denser, so che per te le cose sono difficili in questo momento, ma abbiamo ancora del lavoro da fare e tu ci servi. Laggiù ci sono trecento occadi. Quanto credi che dureremo se si accorgono che siamo sulla loro spiaggia e rubiamo le loro barche?»
«Sono più che consapevole della situazione. Volevo solo sapere chi sarebbe stato scelto per questa piccola missione suicida.»
«Io e te, ecco chi», disse Ilkar. «Potrebbe distoglierti dal tuo dolore, o da qualsiasi cosa sia.»
«Tu non hai idea di cosa io stia provando», replicò Denser, sprezzante.
«Lo so. Ma in questo momento stai facendo di tutto perché soffriamo con te. Cerca di collaborare di nuovo, potrebbe perfino piacerti.»
«Prova a completare il lavoro della tua vita e a scoprire che è una maledizione», ribatté il mago oscuro.
«Basta! Non abbiamo molto tempo», li interruppe l'Ignoto. «Thraun, continua.»
«Tutto ruota intorno alla torre di guardia. Come vedete, non possiamo accedervi da nord perché le rocce sono troppo ripide per essere discese e verremmo notati. Dobbiamo girarvi intorno in direzione del campo, scendere e tenerci nell'ombra a ridosso delle rocce.» Thraun indicò le zone di cui stava parlando, ma Hirad non riuscì a distinguerle con chiarezza.
«Il tuo piano si basa tutto sulla faccenda della torre di guardia?» chiese Will.
Thraun scosse la testa. «Per quanto riguarda il fatto di entrare in sicurezza nell'accampamento, sì, in gran parte. Ma la nostra idea si fonda anche su altre due cose. Innanzitutto, un ripiego nel caso ci vedano. E poi una piccola azione di sabotaggio.»
«Oh, dei», borbottò Denser.
Hirad sorrise. «Sarebbe una scortesia non ascoltare il piano. Dicci tutto, Thraun.»
Styliann non si diresse alla baia di Gyernath. Né intendeva farlo quando aveva lasciato i cavalieri di Darrick. Era stato avvicinato dagli xeteskiani della cavalleria, ma non potevano offrirgli nulla e lui non era nella disposizione d'animo di condurre uomini che non fossero i migliori in assoluto in termini di velocità, combattimento, abilità e resistenza.
Perciò si portò verso le fortificazioni all'estremità occidentale del passo Understone, attorniato soltanto dai novanta Protettori. Aveva di fronte forse cinquecento occadi, ma non era eccessivamente preoccupato. Riteneva di poterli costringere alla resa o alla totale disfatta, ma non era giunto fin lì per combattere. Doveva passare rapidamente a est e promettere qualcosa che non aveva intenzione di dare: aiuto.
Il suo arrivo provocò un bel po' di sconcerto sulla piattaforma che correva lungo la parte interna della palizzata appena costruita. L'aria si riempì di grida, gli archi furono tesi e i cani abbaiarono. Gli fu ordinato di fermarsi e lui lo fece, mentre la luce sempre più fioca del tardo pomeriggio si rifletteva sulle maschere dei Protettori, che con la loro silenziosa immobilità inquietavano gli occadi. Styliann rimase al centro del battaglione difensivo, con le mani sul pomo della sella, e osservò gli occadi tentare di assumere una parvenza di ordine.
L'impulso iniziale di attaccare fu frenato, e dall'assembramento spuntò un uomo fiancheggiato da altri quattro. Avanzò fino a piazzarsi a pochi passi dalla prima fila dei Protettori; venti teste mascherate si mossero impercettibilmente per sorvegliare l'uomo e la sua guardia: le armi erano nel fodero, ma i corpi tesi, pronti all'azione. Il Lord degli occadi parlò in un dialetto tribale, scandendo le parole, in tono aspro, rapido ma sicuro di sé. «State sconfinando in terre che appartengono alle tribù unite. Dichiarate perché vi avvicinate.»
«Mi dispiace di essere arrivato all'improvviso», replicò Styliann. Il suo dialetto dell'Ovest era arrugginito, ma comprensibile. «Prima di parlare, vorrei sapere a chi mi sto rivolgendo.»
«Il vostro uso della mia lingua vi fa guadagnare un po' di rispetto. Il mio nome è Riasu. Vorrei conoscere il vostro.»
«Sono Styliann, Lord della Montagna di Xetesk.» Non vide motivo di correggere la leggera imprecisione. «Siete voi che comandate qui?»
Riasu annuì. «Ho una forza di più di duemila guerrieri, che hanno chiuso il passo ai nostri nemici. Voi sembrate uno di essi.»
Styliann era sicuro di poter utilizzare la lingua in modo molto più colorito, ma quella fu la migliore traduzione che riuscì a elaborare nel tempo di cui disponeva. «L'abilità dei vostri guerrieri mi è nota», disse, faticando a trovare le parole giuste. «Ma non possedete la magia. Io ve la porto.»
Riasu scoppiò a ridere. «Non ci serve la vostra magia. È male, e deve morire. Come voi.»
Styliann rimase impassibile nonostante la minaccia. «Conosco la vostra paura...»
«Io non ho paura», lo interruppe Riasu, in tono più duro.
Styliann alzò le mani per invitarlo alla calma. «Le vostre frecce non possono ferire me o i miei uomini. Provate.» In pochi secondi levò uno Scudo di Pietra, ma Riasu si limitò a scuotere la testa. «Chi è il capo dei vostri eserciti a est?»
«Lord Tessaya.»
«Parlerò con lui.»
«Solo se vi permetterò di proseguire il viaggio», replicò Riasu. «E questa è una cosa che non ho nessun desiderio di fare. Cosa volete?»
Styliann annuì, riluttante a dare una prova di forza. Il fatto stesso che Riasu non avesse ordinato di attaccarlo dimostrava la cautela e la paura che gli occadi nutrivano nei confronti della magia, per non parlare del potere dei Protettori. Ma temeva che quel Lord di grado inferiore lo fraintendesse, e non poteva permettersi di perdere qualche Protettore. «Sediamoci, parliamo e mangiamo davanti a un fuoco», propose l'ex Lord della Montagna. «Qui fuori, su terreno neutrale.»
«D'accordo.» Riasu gridò alcuni ordini agli uomini che pregiavano l'ingresso della palizzata.
In un frullare di attività, apparvero la legna per il fuoco, una pentola, delle cibarie e un nutrito drappello di guerrieri. Ben presto fuoco avvampò e l'acqua prese a scaldarsi sulle fiamme.
Riasu e Styliann si sedettero di fronte al fuoco, ognuno con una decina di guerrieri alle spalle. Gli altri Protettori ebbero ordine di arretrare.
Styliann sorrise per la disposizione scelta da Riasu, che ignorava il metodo di comunicazione di cui disponevano i Protettori. Se l'incontro si fosse interrotto, Riasu sarebbe stato ammazzato e la sua guardia sopraffatta; l'ex Lord della Montagna avrebbe ricevuto rinforzi ben prima che dalla palizzata arrivasse qualche aiuto. Tuttavia in quel modo Riasu era soddisfatto, e per Styliann quello era ciò che più contava.
Con in mano un pezzo di carne, Riasu iniziò a parlare. «Non dirò che è un piacere. Ma non getterò via le vite dei miei guerrieri in una battaglia inutile. Questa è una cosa che ci ha insegnato Lord Tessaya.»
«Ma non ha fermato la grande perdita di vite a Julatsa», replicò Styliann, preferendo al vino un infuso di erbe che un veloce incantesimo aveva rivelato essere innocuo.
«Non ne so niente.»
«Io sì.» Styliann studiò la reazione dell'avversario. Con la vista potenziata penetrò il bagliore del fuoco e l'oscurità sempre più fitta: scorse un'ombra di dubbio sul volto di Riasu. «Le vostre convinzioni sulla magia non vi aiutano. Odiate la magia perché non la capite. Se la capiste, comprendereste che vi potrebbe aiutare.»
«Non credo. Siamo una razza guerriera. I vostri trucchi possono uccidere, mutilare, farvi vedere cose molto lontane... Ma un giorno trionferemo su di voi.»
Styliann sospirò, comprendendo che quella discussione sarebbe stata inutile. «Però dite di non voler gettare via le vite dei vostri uomini. Se non mi ascolterete, farete proprio questo.» Maledisse lo scarso vocabolario che possedeva di quella lingua aspra; non riusciva a conferire la giusta enfasi alle sue affermazioni.
«Parlatemi del patto», disse Riasu cambiando argomento senza dimostrare di avere sentito, né tantomeno compreso, quanto detto fino a quell'istante dal mago.
«È semplice. Presto avrò di nuovo accesso al mio College. Voi volete distruggere la magia. Se mi aiuterete, io aiuterò voi.»
Riasu scrollò le spalle. «Abbiamo giurato di porre fine a tutta la magia. Perché dovremmo stringere un patto con voi?»
«Non riuscirete a porre fine a tutta la magia», ribatté Styliann. «Se un solo mago sopravvivrà, ci sarà la magia. Se ci sarà la magia, potrà essere appresa da altri. E non prenderete mai Xetesk.»
«Ne siete così sicuro? Ma, se voi moriste qui, che cosa succederebbe?»
Styliann si massaggiò le tempie. Aveva previsto quella cocciutaggine ottusa e aggressiva, ma ciò non diminuì la frustrazione. «Non mi ucciderete qui. Non ne avete la forza.»
Riasu s'irrigidì. «Osate minacciarmi nelle mie terre?»
«No. Dico solo la verità.» Styliann si rilassò e ridacchiò.
«Duemila uomini.» Riasu indicò la palizzata.
«Lo so. Ma le vostre credenze sulla magia v'impediscono di vedere la verità. Se avessi pensato di dovervi combattere, non avrei temuto l'esito. I miei uomini sono quasi cento e possiedono la magia. Se li vedeste combattere, capireste.»
«Possiamo farvi a pezzi.»
«Siete abili, ma non siete immuni alla magia. Non desidero combattere. Fatemi parlare con Tessaya.»
«Facciamo una prova», disse Riasu. «Uno dei vostri uomini mascherati contro due dei miei guerrieri.»
«Sarebbe una lotta iniqua», osservò Styliann. «Non voglio versare il sangue dei vostri uomini.»
«Allora dite voi un numero.»
«Uno dei miei sconfiggerà quattro dei vostri.»
Riasu inarcò le sopracciglia. «Quattro? Voglio proprio vederlo. Assisteremo a un vero combattimento.» Si chinò a sinistra e parlò a uno dei guerrieri, che annuì e tornò di corsa verso la palizzata. «Scegliete chi preferite.»
«Lo volete davvero? Sono morti inutili.»
«Lo voglio.»
«Come desiderate.» Styliann si allontanò dal fuoco. Con l'indice destro chiamò il Protettore più vicino. «Scegli qualcuno che abbia desiderio di combattere. Non è per proteggermi, ma per dimostrare qualcosa, perciò voglio che sia rapido e sanguinoso, capisci?»
«Capisco.»
«Ottimo. Chi sarà?»
Il Protettore rimase in silenzio per un istante, mentre comunicava coi fratelli. «Cil.»
«Dategli la vostra forza e la vostra vista. Fate che combatta con rapidità e con precisione. Non ci devono essere errori», dichiarò Styliann.
«Sarà fatto.» Il Protettore si voltò.
Cil si staccò dal gruppo radunato lontano dal fuoco. Entrò nella luce, e la maschera riflesse la fiamma gialla. I suoi occhi erano impassibili, fissi sui quattro occadi che attendevano appoggiati sulle loro armi.
Styliann tornò accanto al fuoco, dalla parte opposta rispetto a Riasu. Il Lord tribale era nervoso e incerto, sentimenti che non erano condivisi da quanti aveva scelto per combattere. Quattro possenti guerrieri, con addosso pellicce ed elmi: due impugnavano spade, due brandivano asce bipenni. Si disposero approssimativamente in semicerchio, mentre Cil si avvicinava con l'ascia nella destra e la spada nella sinistra. Il Protettore, che indossava una pesante armatura di cuoio e in maglia di ferro, era più alto degli avversari e rimase in posizione rilassata, con le armi abbassate lungo i fianchi, in attesa.
«Potete ancora salvare i vostri uomini», disse Styliann.
Riasu abbozzò un mezzo sorriso e scosse la testa. «Si salveranno da soli. Combattete!»
Gli occadi avanzarono per circondare Cil, che rimase immobile; non mostrò nemmeno di notare i due che lo aggiravano sui fianchi. Teneva la testa dritta e studiava gli uomini con l'ascia, che gli andavano incontro frontalmente, cauti, un po' chini. D'un tratto, uno dei guerrieri con la spada fece un balzo avanti e cercò di colpire Cil alla schiena. Il Protettore sferrò un colpo con l'ascia, bloccando l'affondo; non si era voltato né aveva mosso i piedi. I quattro occadi iniziarono a girare in cerchio.
Styliann incrociò le braccia sul petto, certo che i quattro stessero per lanciarsi verso la morte. Forse quello spettacolo era qualcosa di cui gli occadi avevano bisogno, si disse. Un piccolo memento che la conquista di Understone e del passo significava poco per i maghi di Xetesk.
Cil aveva ripreso la posizione rilassata, col corpo perfettamente immobile. Stava ascoltando i fratelli, percependo il terreno sotto i piedi, saggiando l'aria intorno a lui.
Dopo avere deciso che il numero avrebbe risolto la situazione, gli occadi attaccarono insieme. Cil bloccò con la spada un'ascia nemica e sferrò un colpo alle sue spalle, centrando sulla sommità della testa uno degli occadi: il guerriero colpito si accasciò fragorosamente a terra, mentre il sangue e il cervello gli colavano dal cranio. Spostando indietro l'ascia, il Protettore colpì l'arma di un altro avversario e, mentre ruotava per disarmarlo, posizionò la spada parallela alla schiena in modo da bloccare il quarto uomo. Mosse i piedi per la prima volta, fece un quarto di giro a sinistra e scagliò il guerriero con l'ascia contro il compagno. Entrambi volarono a terra.
Cil si girò di nuovo, stavolta per parare una stoccata al fianco e per abbassare l'ascia all'altezza della vita. Squarciò il ventre dell'avversario, lo sollevò in obliquo, aprendogli la gabbia toracica, e tracciò un ampio arco di sangue nell'aria, mentre ruotava verso i due guerrieri restanti. Piombò loro addosso con estrema rapidità: sferrò un colpo a destra con la parte piatta dell'ascia, prendendo il primo in faccia, e trafisse il cuore dell'altro. Prima che Styliann potesse ordinargli di fermarsi, il Protettore aveva decapitato l'ultimo guerriero. Una volta finito, tornò in posizione rilassata, col sangue che scorreva dalle armi nel terreno, nel centro del massacro, mentre il silenzio calava sul teatro di quell'improvvisa carneficina.
«Pensate se tutti i miei uomini avessero combattuto e io li avessi sostenuti con la magia», disse Styliann. «Siete stato voi a volere questo, non io.»
Riasu lo fissò con uno sguardo carico di paura, fremente di rabbia e di umiliazione. «Morirete per questo.» Abbassò la mano.
Dalla sommità della palizzata piovve una gragnola di frecce diretta verso il fuoco dove i Protettori stavano in formazione serrata. I dardi lampeggiarono nella luce del tardo pomeriggio e rimbalzarono contro lo Scudo di Pietra prontamente innalzato da Styliann.
«Mi state mettendo alla prova», affermò il mago. «E questo va bene. Ma ora parlerò con Lord Tessaya.»
«Non pensate di darmi ordini», ringhiò Riasu, con la faccia contorta dalla rabbia.
«Scegliete con cura le prossime parole», lo ammonì Styliann. «Siete lontano dai vostri duemila uomini.»
Lo sguardo di Riasu tradì la paura, mentre analizzava rapido la situazione in cui si trovava: era troppo vicino a una decina di Protettori per sentirsi tranquillo e sapeva che altrettanti occadi non avrebbero tenuto loro testa. «Farò sapere a Lord Tessaya che desiderate parlargli.»
«Bene. Non voglio vedere spargere altro sangue.» Riasu fece un brusco cenno d'assenso e si voltò per allontanarsi. Le parole che Styliann pronunciò un istante dopo lo bloccarono all'istante.
«Vi concedo fino a domani a quest'ora per darmi una risposta. Altrimenti dovrò superare ugualmente il passo, che voi siate con me o contro di me.»
«Non dimenticherò quello che avete fatto, Lord della Montagna. E arriverà il momento in cui sarete solo. Abbiatene paura», replicò Riasu. Si avviò verso la palizzata, mentre i suoi guerrieri indugiavano osservando i compagni caduti.
«Prendete i loro corpi», disse Styliann. «Lui non vi farà del male.»
Cil pulì e rinfoderò le armi per tornare nel gruppo dei Protettori.
Styliann osservò la sagoma di Riasu scomparire e si sedette di nuovo accanto al fuoco. Povero idiota. Scoprirà presto che nessun mago xeteskiano resta mai da solo.