Capitolo 12
Il Corvo si diresse a passo svelto verso nord, lungo la gola in cui si era temporaneamente accampato. Il fornello di Will, raffreddato a sufficienza con la terra e coi piedi, era imballato nel suo involucro di cuoio e si trovava di nuovo sulla schiena di Thraun. Il mutaforma guidava il gruppo, con l'Ignoto al fianco. Hirad costituiva la retroguardia; Denser, Ilkar, Erienne e Will stavano in mezzo ai guerrieri.
Avevano considerato diverse alternative per recuperare un'imbarcazione ma la più semplice - inviare i maghi, protetti da un Occulta Cammino, affinché la rubassero e la conducessero dov'erano gli altri - fu scartata per la più banale delle ragioni: nessuno dei maghi era capace di distinguere la poppa dalla prua. Ilkar aveva ammesso di non avere mai imparato a nuotare e di avere una profonda paura dell'acqua, e ciò aveva suscitato un fugace momento d'ilarità.
Alla fine Denser aveva accettato con riluttanza il piano originario di Ilkar, ma Hirad nutriva dei timori. Lo xeteskiano non era molto lucido, fatto che poteva comportare un grande pericolo per Ilkar quando i due avessero scalato la torre di guardia.
La cattura dell'imbarcazione sarebbe stata seguita da azioni di sabotaggio. I fuochi d'artificio che Ilkar aveva in mente avrebbero svelato la loro copertura e richiesto una fuga rapida, ma erano stati approvati dalla maggioranza in una votazione. Erano tutti consapevoli dell'urgenza della missione, ma l'elfo in particolare era smanioso d'interrompere i rifornimenti per l'attacco alle Città College.
Dall' estremità settentrionale della gola il terreno digradava, gassoso ma solido, conducendo a una roccia a precipizio sull'acqua. Il gruppetto si tenne accanto a essa, nell'ombra, proseguendo con cautela verso l'accampamento, e si fermò poco prima di entrare nella visuale degli occadi. Mancavano poco più di cento passi alla prima tenda del campo. Il Corvo era invisibile dalla torre e al sicuro. Pochi passi più in là, il terreno si abbassava e li avrebbe lasciati esposti.
«Proseguiremo contando di volta in volta fino a trecento, a meno di non sentire rumore di guai», affermò Thraun. «Conoscete il punto d'incontro. Siete pronti?»
Ilkar annuì.
Denser alzò le spalle. «Diamoci da fare.»
«Concentrati sulla tua posizione», gli disse Hirad. «Qualsiasi svista potrebbe farvi ammazzare, e sarebbe una cosa imperdonabile.»
«Non ho perso la vista o il senno», replicò il mago oscuro.
«Solo la determinazione», commentò Ilkar.
«Né il rispetto per i miei amici», proseguì lo xeteskiano, fissando duramente l'elfo.
«Mi fa piacere sentirlo», replicò Ilkar. «Andiamo.»
I due maghi cominciarono a recitare in silenzio una formula, muovendo le mani in alto e in basso. Con un brusco cenno, Denser fece un passo in avanti e scomparve. Ilkar lo seguì e Hirad li sentì parlare a voce bassa mentre si allontanavano.
«Per gli dei, sarà meglio che Denser non mi deluda», affermò il barbaro.
«Non lo farà», mormorò Erienne. «Se non altro, non è stupido.»
«Solo cocciuto, scontroso e maledettamente infelice.»
«Nessuno è perfetto.» Erienne sfoderò un sorriso, ma era forzato e triste.
Come convenuto, Ilkar andò avanti, tallonato da Denser. L'Occulta Cammino rendeva invisibili i corpi, ma non attutiva i rumori. Ilkar restava sulla terra spoglia, attento a evitare l'erba alta fino alla vita, che costeggiava le rocce e cresceva a chiazze sul suolo e fino a una certa altezza sul pendio da cui avevano avvistato il campo per la prima volta.
«Non fermarti quando arriviamo alla scala», disse Denser.
«Conosco i limiti dell'incantesimo. E tieni la voce bassa», rispose l'elfo, un po' brusco.
«Con piacere.»
«Che diavolo ti è successo, Denser?» sussurrò Ilkar.
«Non capiresti», replicò il mago oscuro, in tono pacato e vulnerabile.
«Mettimi alla prova.»
«Più tardi. Nella torre vai a destra o a sinistra?»
«A sinistra, come d'accordo.»
«Verificavo soltanto.»
L'accampamento restò tranquillo mentre si avvicinavano e superavano le tende collocate ai suoi margini, intorno agli stendardi. I maghi rallentarono. Dalla tenda più vicina si sentiva russare. Dall'altra parte del campo, un cavallo nitrì e l'inconfondibile odore di sterco di maiale giunse loro col vento che soffiava a folate scuotendo le tende, tirando le corde sui picchetti e portando di tanto in tanto brandelli di conversazione dalla torre di guardia o dal fuoco centrale.
Ilkar valutò il compito che li attendeva. Dalla gola era parso abbastanza facile, ma da vicino la torre sembrava più imponente e gremita di occadi combattivi. Era alta quasi sei passi e costruita su robusti tronchi conficcati nel terreno e sostenuti alla base da sassi che ne garantivano una maggiore stabilità. Un reticolo di assi di rinforzo arrivava fino alla piattaforma munita di tetto su cui si trovavano due sentinelle. Nell'angolo sinistro, una campana era attaccata a un sostegno del tetto, col battaglio fissato perché non ondeggiasse al vento.
«Ricordati, alla gola o attraverso l'occhio fino al cervello. Non possiamo lasciare che gridino», sussurrò Denser.
«Lo so», disse Ilkar, ma sentì i nervi tendersi dentro di sé. Non era il genere di azione cui era abituato. Aveva ucciso numerose volte prima, ma con la spada o con un incantesimo offensivo. «Vado su.»
La scala a pioli saliva tra due pali rivolti verso il campo e terminava in un'apertura nella balaustra che correva tutt'intorno alla piattaforma. Le sentinelle annoiate erano appoggiate al bordo esterno, talvolta si scambiavano qualche parola a bassa voce, ma perlopiù restavano zitte.
Ilkar si afferrò ai lati della scala, attento a non perdere lo slancio. Il legno scricchiolò in modo allarmante e l'elfo ebbe un tuffo al cuore. Scrutò la piattaforma in cerca di segni di agitazione, ma gli occadi non sembravano avere sentito.
La tensione si trasformò in paura, che attanagliò Ilkar per un istante. Quello era un compito per un guerriero, ma nessuno di loro avrebbe saputo mantenere l'incantesimo. Perfino l'Ignoto, che aveva effettuato le Ali d'Ombra poco dopo essere stato liberato dalla schiavitù di una vita da Protettore, non avrebbe potuto mantenere un Occulta Cammino. Era un incantesimo di una certa sottigliezza, che andava appreso e sperimentato; la capacità di conservare la sagoma di mana quando si era fermi e visibili e di eseguire compiti semplici quando si era in movimento senza perdere la concentrazione erano sfaccettature non facili da padroneggiare.
Compiti semplici come assassinare, pensò Ilkar, cupo.
A cinque pioli dalla sommità tutto cominciò ad andare storto. A ogni passo il legno nuovo protestava, non ancora adattato nei sistemi di fissaggio. Ilkar rallentò, ma una guardia curiosa fece inevitabilmente capolino in cima alla scala e si accigliò quando, guardando nel buio sottostante, non vide nulla.
Ilkar sentì la mano di Denser sul piolo che il suo piede stava liberando. Non avrebbero dovuto essere tanto vicini: Denser non aveva rallentato e non poteva avere visto il pericolo.
«Va' indietro», gli disse Ilkar sottovoce. Rallentare troppo avrebbe significato diventare visibili, e diventare visibili equivaleva a morire. «Va' indietro.» Fece un altro passo tenendo i piedi sull'estremità dei pioli, ma l'ennesimo cigolio spezzò il silenzio della notte, risuonando assordante alle sue orecchie.
La sentinella si sporse di più e guardò in basso, perplessa per la differenza tra ciò che udiva e ciò che non vedeva.
Ilkar pensò per un istante di scendere, ma il cambio di direzione lo avrebbe tradito, per non parlare del fatto che avrebbe colto Denser del tutto di sorpresa. La criticità della situazione lo travolse.
La sentinella si raddrizzò, ma non si scostò dal bordo della piattaforma.
Tenendo lo sguardo fisso sulla scala, Ilkar posò una mano proprio ai piedi del nemico e con l'altra estrasse il pugnale.
Non aveva altra scelta. «Per gli dei», bofonchiò, e balzò su, tenendo il coltello davanti a sé. Colpì la sentinella all'inguine.
L'uomo grugnì per la sorpresa e il dolore, barcollò all'indietro e cadde sulla piattaforma riuscendo a strappare di mano il pugnale a Ilkar. Poi mise le mani sulla ferita, stringendo forte, mentre il sangue sgorgava macchiandogli i gambali.
Ilkar continuò a spostarsi a sinistra, sapendo che Denser si sarebbe portato a destra.
L'altra sentinella si girò e restò a bocca aperta di fronte alla scena. Il coltello lanciato da Denser la colpì esattamente alla gola. Il grido della sentinella si trasformò in un gorgoglio, mentre il sangue le fuoriusciva dalla ferita.
Ilkar si accucciò, prese un secondo pugnale e lo conficcò nell'occhio della prima sentinella, spingendo fino al cervello.
L'altra sentinella afferrò il pugnale che aveva in gola, mentre arretrava e muoveva la mandibola senza emettere suono. Quando Ilkar tornò visibile, quella sgranò gli occhi.
Troppo tardi l'elfo si accorse del pericolo. La presa invisibile di Denser afferrò il guerriero nemico, strattonandolo. La sentinella perse l'equilibrio, agitò le braccia all'indietro e prese in pieno la campana, scalzandola dal supporto; poi cadde a terra, morta, con Denser sopra.
La campana dondolò con un suono sordo e precipitò oltre la torre. Nell'urto contro le rocce, il battaglio si staccò, colpendo con un singolo rimbalzo la superficie accidentata. Il tintinnio smorzato risuonò in tutto l'accampamento.
«Almeno gli altri sapranno che ce l'abbiamo fatta», disse Denser.
«Siamo nei guai», replicò Ilkar. «Conosci un po' di dialetto dell'Ovest?
Denser scosse la testa.
«Siamo in grossi guai.»
Voci aspre si levarono dalla torre vicina e sotto di loro si udirono chiaramente i primi segnali di un allarme che si stava spargendo.
«Sta' giù», disse Denser.
«Grazie per il suggerimento», ribatté Ilkar. «Hai qualche aItra idea brillante?»
«Sì, troviamo una barca, impariamo a navigare e lasciamo in pace le torri.» Denser strisciò verso l'apertura nella balaustra.
Le grida dalla torre vicina erano più forti, più incalzanti. Ci fu un momento di silenzio prima che la campana suonasse e svegliasse l'accampamento.
«Per gli dei, che disastro», mormorò l'elfo, alzando la testa per guardare il campo.
Denser lo trascinò giù, con lo sguardo d'un tratto pervaso dal luccichio dell'energia. «Volevi un diversivo? Te lo darò.» Chiuse gli occhi e si preparò a lanciare incantesimi.
Sul volto di Ilkar spuntò un sorriso.
Quando il Corvo udì la campana, Thraun posò il carico e cominciò a togliersi l'armatura di cuoio.
«Non devi farlo, Thraun», disse Will, col volto segnato dalla preoccupazione.
«Dobbiamo creare un diversivo, altrimenti Ilkar e Denser verranno uccisi.»
«Non credo», replicò Hirad.
«Siamo sette contro trecento. Dobbiamo concederci una possibilità di combattere», osservò Thraun.
«Ma non è questa la vera ragione, giusto?» Will stava fissando gli occhi tinti di giallo del compagno.
Lampeggiarono di rabbia prima che lui scuotesse brusco la testa. «Adesso non c'è tempo di parlare.» Il mutaforma si voltò verso Hirad. «Non aspettatemi sulla riva. So nuotare. Vi troverò io.» Si stese per terra, nudo.
L'Ignoto si caricò il fornello di Will e la spada di Thraun sulla schiena. Will ripose i vestiti e l'armatura e se li mise in spalla.
«Meglio che andiate», disse Thraun. «Vi raggiungerò.»
La notte si stava riempiendo del frastuono della rabbia e della confusione. Hirad condusse silenziosamente gli altri lungo il margine delle rocce. Ben presto la torre si stagliò in vista e la riva piegò d'un tratto a sinistra, là dov'era stato montato il campo.
«Dove sono?» chiese il barbaro. Poi vide una sagoma alzarsi sulla torre.
Denser stese le braccia. Sei colonne di fuoco scesero sibilando dal cielo e inondarono l'accampamento di una luce accecante. Ognuna si abbatté su una tenda, provocando una spaventosa devastazione. Il Fuoco Infernale.
Le colonne andavano in cerca di anime. Denser aveva visto giusto nel supporre che sotto le tende dormissero uomini o cani, e ogni colonna perforò la tela per cibarsi a sazietà. Squarciò bauli carichi di provviste, mucchi di carne affumicata, granaglie, corde e armi, facendo esplodere la farina che propagò il fuoco ad altre tende. Le coperture di tela scoppiarono per l'onda d'urto e gettarono schegge e detriti in alto nella notte. Le fiamme guizzarono di lato formando una coltre arancione che si allungò colpendo uomini e tende circostanti. I guerrieri intorno al fuoco non ebbero nessuna possibilità di salvarsi.
«Corvo, andiamo!» gridò Hirad, mentre l'accampamento piombava nel caos. Da qualche parte, portata dal vento, pensò di udire una risata. Prese a correre verso i piedi della torre in cui si trovavano Ilkar e Denser.
Diversi Globi di Fiamma si librarono in aria per cadere quindi in picchiata sulle tende all'estremità nord del campo e riversare fuoco sugli stendardi, bruciando uomini e tele. Altre grida si unirono agli ordini sbraitati, agli strilli d'allarme e al rombo di una ventina di roghi. Gli occadi scappavano in tutte le direzioni portando secchi, provviste recuperate, compagni ustionati e morenti. Un pugno di nemici partì per intercettare il Corvo e riconquistare la torre.
«Lascia perdere lo scudo, Erienne», disse Hirad, mentre prendevano posizione. «Dobbiamo passare all'offensiva. E alla svelta.» Il barbaro ruggì e si scagliò contro il primo avversario, menando un fendente da sinistra a destra. Quello si bloccò e balzò indietro. Hirad incalzò con un altro colpo al collo, che l'altro evitò girandosi. Hirad cambiò presa e il terzo fendente aprì un taglio enorme sul petto dell'avversario. Mentre il sangue sgorgava sulle pesanti pellicce, Hirad avanzò e gli trafisse cuore. Girandosi, vide l'Ignoto impegnato con due nemici.
L'imponente guerriero infilò la spada nel fianco di uno e sferrò un calcio nello stomaco all'altro, per poi finirlo con un fendente sulla testa.
Hirad valutò le alternative. Poi gridò: «Ilkar, abbiamo bisogno di voi due quaggiù».
«Abbiamo un'idea migliore», ribatté l'elfo. «Andate sulla riva, ci vediamo lì.»
Hirad si concentrò di nuovo sulla battaglia.
Il fuoco imperversava nel centro del campo; attizzato dal vento, divorava sempre più tende. I versi angosciati degli animali in preda al terrore si levavano sul fragore delle fiamme e sul clamore delle voci. Proprio davanti al Corvo spuntò un drappello di occadi.
«Io vado a sinistra», disse l'Ignoto.
«Alla mia destra, Will», ordinò Hirad.
Will si mise alla svelta in posizione.
Gli occadi continuarono a correre. Lo slancio era l'arma più grossa che avevano, e il loro numero sarebbe bastato a sopraffare l'esigua linea del Corvo. Hirad si contrasse, pronto alla lotta, ma a una ventina di passi la carica si disgregò.
Erienne avanzò tra Hirad e l'Ignoto. Si accucciò e allargò bene le braccia. «Vento di Ghiaccio», gridò.
La temperatura precipitò all'istante quando un cono di aria gelida saettò dai palmi della maga, colpendo al centro l'avanzata nemica. Col suo ampio fronte prese in pieno sei uomini, che si accasciarono stringendosi la faccia; avevano le labbra bruciate, gli occhi congelati e spaccati. Le loro grida di agonia erano poco più di ronzii disperati nelle loro bocche devastate. Alla periferia dell'incantesimo, il sangue si ghiacciò nella carne, le armi caddero dalle dita intorpidite. L'intera linea si fermò incespicando davanti all'improvvisa folata di aria glaciale.
Rapido com'era venuto, il Vento di Ghiaccio svanì, ma non ci fu tregua per gli occadi colpiti. Mentre cercavano di mettere un po' di ordine nella devastazione creata dall'incantesimo, vennero colti di sorpresa da Thraun. Il lupo si era avvicinato silenzioso, ma in quel momento ululò e si lanciò in mezzo al nemico ad altezza di collo, squarciando la gola di uno e gettandone a terra con le enormi zampe un altro, che rimase stordito.
Hirad fece per buttarsi nella mischia, ma la voce dell'Ignoto lo frenò.
«No, Hirad. Lascia che ci pensi lui. Non possono fargli del male. Andiamo alla riva.»
Il barbaro annuì. «Come programmato», disse, e andò a nord per aggirare il primo gruppo di tende bruciate. Trasalì e sguainò la spada quando una sagoma scura gli volteggiò sopra la testa.
Denser rimase sospeso in aria con le Ali d'Ombra spiegate, stringendo fra le braccia Ilkar, che si teneva aggrappato al suo collo. «Abbiamo altri danni da provocare. Prendete la barca e allontanatevi nel golfo. Io volerò», disse il mago oscuro.
Ilkar non disse nulla. Aveva gli occhi chiusi mentre preparava un incantesimo.
«Sta' attento, Denser», lo ammonì Erienne.
«È un'idea ben radicata nella mia mente.» Lo xeteskiano salì rapido e tornò indietro, puntando all'estremità meridionale del campo.
Hirad seguì il volo con lo sguardo. La sagoma nera di una freccia saettò accanto ai due maghi. Subito dopo, i cancelli dei recinti del bestiame e dei cavalli andarono in pezzi e gli animali fuggirono in preda al panico.
«Andiamo, Corvo.» Hirad corse verso la riva, lasciando Thraun al suo massacro e i maghi alla loro distruzione.
Thraun sentiva l'odore dei fuochi, della paura e del sangue misto a quello delle prede animali e dei cani. Si fece rapidamente strada nell'erba, col corpo bruno chiaro che si confondeva coi colori della notte. Si fermò al perimetro dell'insediamento umano; decine di odori facevano a gara per prevalere. Li ignorò. I nemici si raggrupparono davanti all'uomo-fratello. Lo minacciavano con le armi affilate. Col rumore del branco che gli echeggiava nella mente e con l'odore della foresta nitido nel ricordo, Thraun caricò.
Il primo nemico non si era nemmeno girato per affrontarlo. Thraun balzò, serrò le mascelle su una gola indifesa; con la zampa sinistra colpì l'umano al petto e con la destra ne scagliò un altro al suolo. Il sangue gli riempì la bocca e gli imbrattò il naso; il grugnito di piacere fu l'ultimo suono che la sua vittima udì.
Il panico attanagliò il nemico, che ruppe le file e scappò. Thraun girò la testa. L'uomo-fratello e gli altri si stavano allontanando rapidi. Acqua. Il suo cervello si sforzò di ricordare. Li avrebbe incontrati sull'acqua. Guardò giù e diede una zampata all'umano che aveva atterrato. Questi smise di muoversi, col sangue che gli ricopriva il volto devastato. Thraun ululò di nuovo e partì seguendo l'uomo-fratello e soffocando l'impulso di cacciare le prede animali che schizzavano di qua e di là. Il loro terrore aveva un sapore stuzzicante.
L'uomo-fratello si portò ai margini dell'insediamento. Thraun era all'interno della prima linea di tende, quasi tutte in fiamme, con gli occupanti morti o intenti a scappare alla cieca. Non c'era ordine. Da destra provenivano rumori di allarme. Tre nemici si avvicinarono all'uomo-fratello.
Thraun li investì in piena velocità, colpendo il primo al petto e scagliandolo contro gli altri. Reso frenetico dal sangue, squarciò e lacerò, tranciando la carne coi denti mentre dimenava la testa di qua e di là, picchiava con le zampe e trascinava con gli artigli.
Un nemico lo colpì con la sua arma affilata. Thraun guaì e si girò verso il torturatore, che sgranò gli occhi. Era stato un duro colpo, ma il fianco di Thraun non si era aperto. Il lupo digrignò i denti e avanzò.
Denser tornò indietro verso le tende in fiamme, levandosi in alto per valutare la devastazione che aveva con tanta spettacolarità provocato. Gli occadi in preda al panico erano lungo i margini dei roghi; la loro catena di secchi intaccava a stento il calore e la distruzione. Il Cono di Forza di Ilkar aveva abbattuto gli steccati degli animali per un tratto di diversi passi e, nella confusione scatenata dalla paura e dal fuoco, i cavalli fuggivano dalle vampate che lambivano l'aria, calpestando indiscriminatamente uomini e tende.
Alla sua sinistra, Thraun chiuse le mascelle sul braccio armato di un guerriero nemico; più in là, nelle ombre gettate dal fuoco, Denser scorgeva di tanto in tanto il Corvo che si stava dirigendo indisturbato verso la riva.
Tra le sue braccia, Ilkar stava diventando pesante. Denser era un uomo forte e le Ali d'Ombra che aveva creato erano calibrate per reggere il peso di entrambi, ma c'era un limite e il dolore via via più forte agli arti iniziava a minare la sua concentrazione.
«Cos'altro puoi fare?» domandò il mago oscuro.
«I Globi di Fiamma o un altro Cono di Forza. Voglio conservare abbastanza energia da proteggere la barca», rispose Ilkar. «Tu, invece?»
«Te lo farò sapere», replicò lo xeteskiano.
«In che senso?»
«Comincerai a cadere.»
«Divertente.»
«Continua a concentrarti su quei globi. Se riusciamo a distruggere la catena di secchi, potremo tagliare la corda.»
Ilkar annuì e chiuse gli occhi, muovendo leggermente la bocca mentre con le dita descriveva complicati cerchi nell'aria.
Denser si tese all'indietro per bilanciare il movimento. Osservò i gesti esperti dell'abile julatsano, le braccia quasi immobili, le mani che creavano la sagoma del mana insieme con le parole. Niente andava sprecato, non sfuggiva neanche un po' di mana. Ilkar era un mago provetto, aveva studiato la magia per lunghi anni e l'aveva perfezionata con una dolorosa pratica. Denser lo sapeva, perché per lui era stato lo stesso.
Tuttavia, nonostante l'uso accorto che faceva del mana, Ilkar iniziava a stancarsi, mentre Denser si sentiva fresco come prima di lanciare l'Occulta Cammino. Durante l'effettuazione del Ruba Aurora, al mago oscuro era successo qualcosa. Una nuova connessione col mana, un legame forgiato in profondità, nel cuore del suo essere, che gli consentiva di formare le sagome degli incantesimi in modi nuovi. Così come Styliann utilizzava il mana con economia e rapidità, ormai anche Denser possedeva quella consapevolezza, che in realtà era una coesistenza fondamentale con la linfa della magia.
Ilkar annuì, segnale che era pronto a lanciare l'incantesimo.
Aveva gli occhi aperti, concentrati sull'obiettivo. Denser volò sopra la catena di secchi, verso il golfo di Triverne, tornò indietro e arrivò sulla linea offrendo all'elfo il bersaglio più ampio che poté.
«Globi di Fiamma!» Ilkar batté le mani e aprì i palmi. Apparvero tre sfere arancioni, che crebbero fino ad acquisire la dimensione di mele, prima che l'elfo abbassasse di scatto e allargasse le mani.
I Globi di Fiamma volarono via. Mentre cadevano, crebbero ancora fino a essere grandi quanto teschi; piombarono addosso agli occadi indifesi, e il fuoco avvolse pellicce e carne. Le urla dei feriti si levarono sullo scoppiettio dei fuochi che inghiottivano il campo.
Denser, con le braccia che gli dolevano dalle spalle ai polsi, si abbassò verso la spiaggia.
Hirad partì di corsa nello stesso momento in cui i Globi di Fiamma di Ilkar distruggevano la catena di secchi, sconvolgendo la fragile organizzazione degli occadi. Superò rapido le ultime tende prima della riva, conducendo il Corvo sulla sabbia.
I nemici avevano ormai rinunciato a salvare le tende e si erano invece dedicati ad aiutare i compagni, le cui grida di agonia squarciavano la notte.
Davanti al barbaro, Thraun si fermò, controllò che Will fosse al sicuro e sfrecciò sulla sabbia verso Denser e Ilkar, che erano atterrati nei pressi delle barche. Hirad continuò a correre, con la sabbia che gli scricchiolava sotto i piedi; il frangersi ritmico delle piccole onde sulla spiaggia contrastava col clamore del campo distrutto. Thraun atterrò un guerriero nemico da dietro.
Il secchio volò via dalla mano dell'uomo e le grida di avvertimento dei compagni giunsero troppo tardi per salvarlo.
Il baccano calò leggermente. Il fuoco continuava a imperversare, ma gli occadi si fermarono e si gettarono simultaneamente verso le armi quando capirono cosa stava accadendo.
«Dobbiamo fare alla svelta», disse l'Ignoto.
«Corvo!» gridò Hirad. «Corvo, con me.» Caricò un gruppetto di nemici che aveva circondato Thraun.
Il lupo ringhiò, balzò in mezzo a loro muovendo le mandibole e fendendo l'aria con gli artigli. Guardinghi, gli occadi si tennero a distanza. Ma non poterono evitare il Corvo.
«Erienne, trova una barca. Will, difendi i maghi. Ignoto, con me.» Hirad si buttò tra gli occadi, tranciando carne e pellicce con la spada. Al suo fianco, l'arma dell'Ignoto rifletteva il bagliore dei fuochi mentre si conficcava nelle vittime.
Thraun ululò e spiccò un salto, affondando le mascelle nella gola di un nemico.
Hirad parò un colpo di ascia alla testa. La sua spada scivolò lungo il manico dell'arma nemica, raschiando il legno e mozzando le dita della mano che lo stringeva. L'avversario ebbe un sussulto, gridò e lasciò cadere l'ascia. Il colpo successivo di Hirad gli squarciò la gola.
Altri occadi accorsero. Thraun superò l'ultimo cadavere per attaccare un drappello in arrivo. Le spade si levarono e si abbatterono ma Hirad vide, mentre con un pugno fracassava il naso di un nemico e infilzava l'uomo allo stomaco con la spada, che Thraun non aveva riportato ferite.
Alle loro spalle, un fulmine blu saettò arcuato in cielo, perforando gli occhi di tre occadi che caddero a terra urlando. L'attacco cominciò a indebolirsi. Hirad parò un colpo grossolano, si fece sotto, respinse con una testata l'avversario e lo finì con una pugnalata al cuore. Accanto a lui, l'Ignoto infilò la spada in due toraci facendo zampillare il sangue da un'arteria tagliata e da un polmone fracassato, mentre i ringhi di Thraun accompagnavano le grida di disperazione degli occadi.
Hirad guardò al di sopra della spalla. Ilkar ed Erienne avevano spinto una barca in acqua; era abbastanza grande e li avrebbe facilmente accolti tutti. Will stava armeggiando con le cime delle vele, leggermente instabile sull'imbarcazione dondolante. Era tempo di ripiegare.
Gli occadi avevano perso ogni voglia di combattere. Thraun ne inseguì qualcuno, tenendo gli altri lontano dalla spiaggia. Hirad e l'Ignoto arretrarono sulla sabbia. Si scatenarono nuovi fulmini dalle dita di Denser, e altri occadi caddero con le facce annerite e gli occhi fumanti.
«Salite e partiamo», ordinò Hirad.
Sulla spiaggia volarono alcune frecce, che cozzarono contro lo Scudo di Pietra di Ilkar.
Hirad ghignò. Il Corvo era in gamba come sempre, un'unità incrollabile.
Quando entrarono in mare, il barbaro si girò e insieme con l'Ignoto saltò nell'acqua bassa per spingere la poppa della barca. La temperatura fredda gli rivitalizzò i muscoli. «Dimmi se iniziano a seguirci», disse.
Altre frecce rimbalzarono contro lo scudo. La barca avanzò tra la lieve corrente e le onde; il vento creava solo un po' di maretta nel golfo, a così breve distanza dalla riva.
Hirad avvertì degli schizzi alle sue spalle e si voltò. Will si drizzò sulla barca. Tre occadi li inseguivano, roteando le asce sopra la testa e lanciando grida di battaglia. L'Ignoto batté la spada nell'acqua; il normale suono argentino dell'acciaio si ridusse a uno sciaguattio e a un grattare attutito sui ciottoli sottostanti. Attesero, ma gli occadi non ce la fecero.
All'improvviso il mare esplose e Thraun emerse dall'onda che aveva creato, trascinando un uomo in acqua. Un urlo riecheggiò dalla spiaggia; gli altri occadi si girarono e scapparono mentre il loro compagno veniva lasciato galleggiare, in balia della corrente, col sangue che chiazzava l'acqua illuminata dalla luna.
Hirad urlò vittorioso, esultando di fronte ai fuochi che costellavano il buio sopra l'accampamento in fiamme.
L'Ignoto gli diede una pacca sulla spalla. «Vieni, facciamo andare questa barca.»
I vecchi amici percorsero in fretta i pochi passi che li separavano dalla piccola imbarcazione e salirono a bordo, con Thraun che gli nuotava energicamente accanto. In pochi momenti la vela fu spiegata, il vento tese la tela scura e il Corvo fece rotta verso est. Verso casa.